Messaggi del 30/03/2022
Post n°3725 pubblicato il 30 Marzo 2022 da namy0000
2022, Riccardo Maccioni, Avvenire, 29 marzo La preghiera. Se un dialogo tra innamorati, funziona davveroL’amico lo dice a mezza bocca, con grande rispetto, senza nessun gusto della provocazione: ammirevoli i Rosari, emozionanti le Vie Crucis, suggestive le veglie, ma alla fine che cosa resta? La domanda rimbalza nel cuore e nella testa di tanta gente, forse anche di molti credenti: pregare serve davvero? Perché a guardare i risultati, il piatto piange. E con lacrimoni grandi così. Invochi la fine della pandemia e il Covid imperversa, chiedi pace e le bombe continuano a cadere, di pioggia antidoto alla siccità che asseta i campi e le famiglie, neanche a parlarne. E hai voglia a usare le formule colte e a citare i maestri della mistica: la realtà sta lì a fissarti, arida e precisa come una sentenza. O forse il problema riguarda proprio il modo con cui la guardiamo, è l’emotività che si impone sulla pazienza, è l’urgenza del tutto subito che non contempla l’educazione all’attesa. La preghiera come il gettone nella macchinetta del caffé che, appena lo introduci, il bicchierino inizia a riempirsi. Come una magia che è all’opposto della vita dello spirito. La prima è una forzatura, spesso un inganno, comunque una formula di superiorità, l’altra è una scuola di ascolto, una lenta discesa dentro se stessi, un esame della vista per gli occhi del cuore. Un incrocio tra tempi che battono a ritmi diversi, i nostri e quelli di Dio, calibrati su prospettive differenti: il desiderio di interrogare e catturare l’istante che passa, di fronte all’infinito presente. Si tratta di provare ad accorciare le distanze, di imparare a coniugare altrimenti i verbi, di non impelagarsi nella nostalgia. Ma per riuscirci servono umiltà, silenzio, costanza. La formula di intercessione e pentimento, piuttosto che il ringraziamento, come scuola per imparare a guardare il mondo con occhi differenti. L’invocazione, non come richiesta di un prodigio, ma di una trasformazione dal di dentro, di una vera conversione, per usare un’espressione tipica della Quaresima. Che in definitiva significa imparare a vedere le cose come le vede il Signore, capire le sue traiettorie e tentare di imitarle. Forse la formula non sarà teologicamente corretta, ma avvicinarsi a Dio significa innanzitutto amarne la logica, per così dire il modo di pensare. In fondo si diventa santi, per “dimenticanza”: di noi stessi e della nostra orgogliosa e superba autosufficienza. Domandiamoci allora se quando preghiamo accettiamo un risultato contrario a quello che vorremmo, se siamo disposti a chiamare vittoria quello che prima di entrare in chiesa consideravamo sconfitta, se abbandoniamo subito o se invece, in forza di una prospettiva più grande, siamo pronti a consumare i pantaloni sugli inginocchiatoi. Ce lo insegnano i testimoni della fede di ogni tempo, con il cuore contento anche senza possedere nulla. Perseverare fa miracoli, abbassa il cielo fino a farcelo trovare dentro di noi, nasconde la fatica. Si tratta infatti del linguaggio dell’amore, che aspetta malgrado mille rifiuti, che ti tira giù dal letto come l’amico importuno del Vangelo, che alla fine gli apri la porta se non per affetto, almeno per sfinimento di fronte alla sua insistenza. Con il Signore è lo stesso: mai arrendersi, piuttosto confidargli la fatica, la delusione, l’impazienza. Come nel dialogo tra innamorati, dove non è importante ciò che dici ma esserci. Perché la preghiera, ogni vera preghiera, in fondo non è che stare con Dio e accettare la sua presenza. Che abbraccia, ama, perdona e insegna a perdonare: il miracolo più grande, il segreto per diventare veri uomini e vere donne. Bei discorsi, si dirà, però intanto la guerra, il Covid, la siccità. La risposta è Salomone che chiede non la ricchezza ma la sapienza, è l’eccomi di Samuele, è il sì di Maria che alle nozze di Cana “anticipa” i tempi di Gesù. È leggere la realtà con l’orologio del Padre, che vuole solo il meglio per i suoi figli e di fronte alla loro insistenza indica la strada più veloce per uscire dall’incubo. Un sentiero fatto di cuore e intelligenza. Come la compassione che consola il malato mentre nei laboratori si studiano le cure. Come il dialogo che avvicina le parti e disarma le mani e i cuori. Come il vento che muove le nuvole e domani, vedrete, pioverà. |
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