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Messaggi del 26/08/2022

Incontro di umanità

Post n°3762 pubblicato il 26 Agosto 2022 da namy0000
 

2021, Scarp de’ tenis, Dicembre

Chicca: «In carcere un incontro di umanità»

Da dieci anni, quasi ogni giorno, Chicca entra nel carcere di San Vittore per incontrare ed ascoltare le storie di chi, lì dentro, vive, lavora e sconta una pena

Da dieci anni, per tre, quattro, a volte anche cinque giorni alla settimana, Chicca cammina per chilometri per raggiungere il carcere di San Vittore. Poi, quando esce, riprende a camminare e camminare.

«Ho consumato un sacco di scarpe in questi anni. Ogni volta, prima di entrare, ho bisogno di camminare per prepararmi. Non entro mai volentieri a San Vittore, perché l’impressione è sempre quella di immergersi nella sofferenza. Ma poi, varcate le porte del carcere, questo peso scompare: ci sono persone che sono lì ad aspettarmi, che mi fanno sentire accolta, che vogliono parlare, consegnarmi le loro sofferenze ma anche le cose belle che vedono e che sono germogli di speranza. E all’uscita cammino di nuovo, penso alle persone che ho incontrato e le affido al Signore».

Chicca, 56 anni, monzese di origine, è un’ausiliaria diocesana: in pratica, una suora il cui incarico principale è stare all’interno delle parrocchie e accompagnare la vita pastorale dei ragazzi negli oratori, delle giovani coppie, delle famiglie. Anche dei bambini: Chicca insegna in una scuola dell’infanzia. Quando finisce l’orario di lezione, percorre a piedi i quattro chilometri fino a piazza Filangieri. Il carcere sembra c’entrare poco con questa missione e con la vita quotidiana delle parrocchie.

«In realtà c’entra tantissimo. La nostra presenza in carcere, mia e degli altri religiosi della Cappellania, racconta la cura che la Chiesa di Milano ha per le persone che sono recluse, dice che anche loro fanno parte della nostra comunità. Noi entriamo per accompagnare i cammini di fede. ma la mia esperienza di questi dieci anni dice che soprattutto è un incontro di umanità. Io ascolto: le loro storie, le loro domande che a volte sono di fede ma non sempre. Faccio anch’io delle domande, riflettiamo su quello che è successo loro. E in questa relazione umana a volte qualcuno chiede un accompagnamento spirituale, o di riprendere la preparazione ai sacramenti, o semplicemente di conoscere un po’ di più la Bibbia».

Chicca incontra soprattutto le donne della sezione femminile, che al San Vittore sono un’ottantina, ma non soltanto. Parla anche con gli uomini, con gli agenti e con gli altri operatori. Lei è lì per tutti. Ci sono cattolici che aspettano i colloqui, ma anche cristiani di altre chiese protestanti e musulmani. Alcuni si definiscono atei ma chiedono di partecipare ai gruppi. Gli stranieri si illuminano quando consegna loro il Vangelo scritto nella loro lingua, è come essere un po’ a casa. «Sono davvero pochissime le persone che rifiutano un contatto con noi».

E pensare che Chicca non ha scelto di fare servizio qui, non ci aveva mai pensato. Lei, prima di prendere i voti a trent’anni, ha insegnato come maestra d’asilo, ignorando a lungo la domanda dentro di sé sulla propria vocazione religiosa.

«Ho perso il papà molto giovane e in quegli anni il mio stipendio era importante per la famiglia, quindi mentre decidevo sul mio futuro facevo anche due conti molto concreti. Poi le cose si sono sistemate e non ho più avuto scuse», sorride. Ma la scelta andava verso quello che conosceva bene: il mondo delle parrocchie.

A dirla tutta, non ha nemmeno accettato esplicitamente di andarci in carcere, quando i suoi superiori gliel’hanno proposto. Ha semplicemente detto “Ci provo”, ed è ancora qui, dieci anni dopo, a provarci quotidianamente.

«È per me una scuola di umanità e di fede. Leggere il Vangelo con gli occhi di persone che hanno una storia segnata pesantemente, mette in luce cose che non avevo mai visto. Ricordo Giulia, che ho conosciuto, era una donna giovane ma molto in crisi. Suo marito fuori si stava rifacendo una vita e lei ha passato un lungo periodo lasciandosi andare, anche nell’aspetto fisico. Poi, un giorno di una Settimana Santa, sono entrata e l’ho trovata che stava facendo il suo lavoro, curata, truccata e ben vestita. Davanti al mio stupore, mi ha spiegato: è il tempo della Resurrezione, e voglio risorgere anche io». Giulia oggi è fuori, ha finito un percorso di studio e ha un lavoro. «Quel giorno ho visto un germoglio di speranza. È difficile trovarla in carcere, la speranza, ma c’è: i semi sono nelle persone, bisogna curare ognuno di questi germogli. Non la si possiede mai in modo definitivo, ci sono momenti in cui sembra essere scomparsa e va rivitalizzata. La vedo quando incontro persone che, nonostante siano recluse, non si lasciano andare, non stanno sulla branda tutto il giorno, ma cercano di vivere la giornata al meglio, si danno una mano e incoraggiano gli altri a tenere alto lo sguardo, a credere in un futuro buono che, da qualche parte, c’è per tutti».

 
 
 

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