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Messaggi del 19/12/2022

Accanto agli indios

Post n°3811 pubblicato il 19 Dicembre 2022 da namy0000
 

2022, FC n. 51 del 18 dicembre

La vita di don Gabriele accanto agli indios

A volte mi chiedo: fino a dove vale la pena di credere nella vita?

Tante volte mi sono incontrato con la fragilità delle persone concrete, quelle che vivono tutti i giorni per guadagnarsi il pane quotidiano.

Sono padre Gabriele C., della Diocesi di Reggio Emilia, ormai da 20 anni missionario diocesano in Brasile, prima nella Bahia e ora nel cuore della foresta amazzonica. Spesso mi fermo lungo il grande fiume, nelle piccole Comunità Ecclesiali di Base, e mi capita di battezzare alcuni dei tanti bambini. Chiedo: «Ci siamo tutti?». La gente viene in canoa e spesso ci sono dei contrattempi. «Io ho quattro bimbi, padre», «che bello!» rispondo alla mamma, «dov’è il papà, sta arrivando?». «Vede, padre, mio marito non poteva venire…»; così dopo alcune battute le dico: «Figlio del Boto, eh?». Il Boto è un grande pesce, un delfino di fiume di colore rosa, ritenuto responsabile, nella mitologia locale, della gravidanza di tante mamme, spesso giovanissime, che non hanno marito. Lo sguardo un po’ imbarazzato, poi un grande sorriso, come a dire: «Mi hai scoperto!». E chi si ferma qui non conosce la realtà. Un bambino prima accolto nel grembo di una madre, come Maria, poi cresciuto da un padre, come Giuseppe, è la gioia e il futuro di tante famiglie, anzi della Comunità più grande fatta da molte donne e zie, molte sorelle e fratelli che si prendono cura della vita che, comunque, è sbocciata. Mi sono commosso più volte quando, preparando il matrimonio di coppie giovani, il marito con tutta naturalezza mi risponde: «Sì, padre, accolgo lei, Maria, come mia sposa, e il suo bambino come mio figlio, poi speriamo che il Signore ci conceda altri bambini!». È il valore di una famiglia allargata, dove la fragilità della vita ai suoi albori è sempre accolta e custodita da molti cuori e molte mani, la bellezza di un amore includente che si prende cura dell’altro, del neonato come dell’anziano, la speranza di vedere una comunità capace di farsi carico anche delle debolezze familiari. I popoli indigeni ci accolgono e ci insegnano un respiro comunitario, essenziale, credo, per vincere l’individualismo così cieco che produce solitudine. Non è forse questo che ci ha insegnato il Vangelo? Speriamo che il prossimo governo di Lula riprenda a difendere la vita dei Popoli che abitano la grande foresta, la madre di tanti figli, capace di rigenerare l’aria che respiriano e l’acqua che ci dà vita. Anche questo non è scontato: ho visto bambini ammalarsi e pesci morire a causa del mercurio che i cercatori d’oro gettano nel fiume; l’abbandono delle autorità civili è la normalità per chi vive lontano dalle città; una politica che compra il voto dei deboli e dei poveri, che minaccia e violenta i perdenti; e, ancora peggio, l’invisibilità di tanti popoli che non contano nulla sulla bilancia economica. Ho sentito la paura quando mi hanno minacciato perché abbiamo dato voce ai senza voce, alla rabbia di assistere alla complicità della polizia, delle autorità civili, della politica con chi, fuorilegge, sfrutta le risorse di legno e minerali e distrugge la foresta per allevare il bestiame. Così il Creato è sacrificato al dio-denaro, al capitale! Ma ho avuto anche la consolazione di sentirmi dire: «Padre, tu sei la nostra voce, grazie per le casse per raccogliere l’acqua piovana che ci hai portato, ma non tacere, continua a denunciare e difendere il nostro diritto a vivere». E di fronte alle parole di minaccia, ho udito dalla bocca di Moises, un indio caixana che mi accompagna nei viaggi, pescatore e ministro della Parola e dell’Eucaristia: «Padre, non preoccuparti, io sono disposto a dare la mia vita per difenderti, andiamo avanti con fiducia». Proprio come Pietro nel Vangelo. Quanti indigeni, fratelli e sorelle, custodi del Creato, continuano a “dare la vita” per difendere la madre Terra, il sangue dei fiumi, perché i loro figli, e anche i nostri, possano ricevere in dono quello che il Creatore ci ha lasciato! Così abbiamo distribuito casse da 500 litri perché ogni famiglia possa raccogliere acqua potabile. E abbiamo distribuito la Bibbi, Parola di Dio, nelle nostre Comunità, per tutti coloro che sanno leggere o vogliono imparare. «Padre, io non so leggere, ma vorrei anch’io una Bibbia…». «Ma cosa te ne fai?», gli chiesi. «Vedi, padre, mio nonno era ammalato e mio papà ha messo un piccolo Vangelo sotto il suo cuscino, e il nonno è migliorato. Davvero la Parola di Dio è fonte di vita e di salvezza!». Così mi sono arreso, neanche in Vaticano avevo visto una fede così grande. «Tieni, fanne buon uso, la tua fede ti ha salvato», ricordando le parole dell’unico Maestro ho sentito vicina la sua presenza. Allora, davvero, non smettiamo mai di credere nella vita; di riconoscere la presenza del Signore Gesù, crocifisso nei poveri del mondo, ma risorto e attuante nella loro vita, e anche nella nostra. Grazie a tutti voi perché, nonostante l’ingiustizia, l’indifferenza e le fabbriche di guerra, continuate a credere! – don Gabriele C.

 
 
 

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