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Benedetta, il nostro faro

Post n°3832 pubblicato il 12 Febbraio 2023 da namy0000
 

 

2023, FC n. 6 del 5 febbraio

Benedetta è stato il nostro faro

Guai a chiamarli santi o angeli, non lo accettano. Elena e Andrea, da bravi friulani, pochi abbracci e cuore d’oro, sono semplicemente mamma e papà. Di tre figli naturali e tre accolti, oltre a una serie di bimbi in affido a cui hanno aperto le porte di casa.

Tutto ha inizio trent’anni fa, quando, sedicenni e già fidanzati, frequentando i salesiani, partecipano alla testimonianza di una famiglia affidataria. Quell’esperienza Elena la chiuderà nella sua scatola delle cose importanti per condividerla un domani con Andrea. Don Giovanni Bosco ha segnato la nostra vita. Diceva.

Quando si sono sposati, nel 2000, volevano essere una coppia aperta proprio a quei ragazzi. “Dopo un mese aspettavamo Sara, la nostra prima figlia. La sua gravidanza non semplice ha cambiato i progetti. Ci siamo messi al servizio di quello che il Signore ci chiedeva di essere, una famiglia”. Pur mantenendo il desiderio di accogliere, “con Sara di 3 mesi abbiamo iniziato il percorso con i servizi sociali per l’affido. La seconda gravidanza, però, ci ha costretti a un nuovo stop. Il primo anno di vita di Marco è stato duro; soffriva di asma e abbiamo dovuto imparare a gestire l’ansia. Ma ci risuonava nella mente un passaggio dell’omelia delle nostre nozze: Ricordate di essere una casa sempre aperta anche ai piccoli e agli ultimi; anche quando sarete stanchi e vorrete stare da soli. Solo dopo anni abbiamo capito quale fosse la profezia, rivedendo quel filo che tuttora ci indica la strada”.

Con Marco di 2 anni e Sara di 4 arriva la prima bimba in casa Pitaccolo. “Un’esperienza limitata al periodo estivo. Da lì abbiamo sempre avuto qualcuno in giro per casa. i nostri 3 figli, nel frattempo nasce anche Chiara, vivono l’esperienza con noi. Se gli pesa? Dipende da come tu genitore la porti, da come la vivi. Di certo li ha modificati nella sensibilità. Se penso ai primi affidi e ai pianti di quei bambini… il pianto ti mangia dentro, crea confusione, devi spiegarlo. Ai figli dicevamo: Pensa se tu non potessi stare con la mamma. Dobbiamo aiutarli a stare bene. E così gli insegni a mettersi cuore a cuore. Da piccoli è più semplice, sono complici del gioco. Ma anche quando gli affidi sono diventati stabili e prolungati e loro sono cresciuti, il segreto è stato lasciarli liberi di coinvolgersi fino a dove volevano, senza mai forzare. La scelta e la responsabilità, gli abbiamo sempre detto, sono solo nostre, mie e di papà”.

Perché per Elena e Andrea accogliere è una vocazione?

“Dopo la nascita di Chiara sentiamo un tormento dentro a cui non riusciamo a dare un nome. Chiediamo aiuto a un salesiano che ci suggerisce di rivolgerci alla Papa Giovanni XXIII. Prendiamo del tempo per riflettere, iniziamo il percorso di verifica vocazionale e scegliamo la comunità”.

Nel 2012 l’incontro che cambia la vita. “Con Benedetta, il nostro faro. Veniamo a sapere di una bimba di due anni ricoverata al Gemelli a Roma. Diciamo il nostro sì dopo aver letto la cartella clinica: idrocefalia complessa con anencefalia parziale. Nessuna aspettativa di vita. L’unica cosa che può fermarci è la paura, ma come dice don Oreste Benzi: il coraggio non sta nel non avere paura, ma nel vincere la paura per un amore più grande”.

Partono per Roma.

“Benedetta non vede, non parla, non cammina, non mangia”. “Non”, punto. Ma a modo suo c’è. Quando entriamo in reparto, il primario ci elenca tutti i problemi. Lo interrompo: “Se cerca un’infermiera non siamo noi”, gli dico. “Se cerca una famiglia, siamo qui”.

“Quando entro in stanza, lei è bella, è lì. La caposala si stupisce che chieda di prenderla in braccio, invece di uscire impressionata. Ma io… “ho partorito” lungo il corridoio, è quello che il Signore ha voluto per me”.

Benedetta torna a casa con loro: “Era già terminale, l’obiettivo era che non stesse male. Vive per 4 lunghi anni. Il Signore gentilmente ci ha modellato per starle accanto. Lei aveva la grazia di scegliere: i tempi per stare bene o male; le persone a cui far vedere come stava. Poi c’erano i giovani della comunità, ecco spiegate le parole di don Bosco, tornati nelle nostre vite. Il Signore ci accarezzava così. Venivano a casa a trovarla, la toccavano, la baciavano… senza paura né remore. Ecco perché è stata un faro, un dono. L’abbiamo accolta, senza aspettative, accogliendo la vita così com’era. È arrivata a casa nostra, come doveva vivere ha vissuto e noi con lei. In questo vivere ci ha insegnato che se anche non parli o non mangi, va bene; ma se hai voglia di stare, stai”.

Il 16 gennaio 2016 è il suo sesto compleanno. “Era peggiorata, stava male, io non volevo fare nulla. Ma i figli mi hanno detto: Finché Benedetta c’è facciamo festa con lei. Quel giorno abbiamo avuto la casa piena da mattina a sera di giovani e musica. Poi è arrivato il momento di congedarsi dalla vita. Ha aspettato fino a sera per salutare tutti i fratelli, dopo che è rientrata Sara si è addormentata per sempre tra le mie braccia. Era il 7 febbraio, la giornata per la vita. Nella sua stanza i ragazzi della parrocchia cantavano per lei che aveva vinto sulla morte. Davanti al suo corpicino esanime, infatti, non c'er’ terrore. Sara stessa entrando in camera mi ha detto: “qui si sta bene”. Ecco il faro di Benedetta: insegnarci ad accettare la vita e la morte rimettendole in lui. Che no ti toglie la fatica o la sofferenza, anzi. Io ancora Benedetta la sento in braccio, ma forse è il suo modo di starmi vicino. Quell’abbraccio era il mio compito, era il mio posto”.

Dopo un anno di discernimento e in cui occuparsi dei figli hanno detto di nuovo dei sì. Oggi con loro vivono Lorenzo, 10 anni; e Cristina, 6, affetta da una malattia degenerativa. E poi c’è Francesco, che quando è arrivato era piccino, “sembrava si avviasse alla fine e, invece, ha compiuto 5 anni. Standogli vicino questi bambini rifioriscono”. Ma ci tengono a precisare, “il nostro è un mettersi a fianco delle famiglie biologiche, non è sostituirsi; è esserci assieme, ognuno con il proprio compito. Quello delle loro famiglie è un enorme atto d’amore. Il Signore, tramite questi piccoli, ci chiede di voler bene anche alle loro mamme e ai loro papà”.

 

 
 
 

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