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Un mondo nuovo

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Messaggi del 30/11/2023

Mancanza di Rispetto

2023, 29 novembre

Solo il rispetto delle differenze disinnesca la violenza di genere

Stiamo offrendo ai nostri ragazzi modelli relazionali tossici. Quando l’amore diventa perdita, vulnerabilità e sofferenza, il maschio reagisce nell’unico modo previsto dal patriarcato: la violenza

Ho passato le ultime due settimane a discutere di violenza di genere a scuola. Ho deciso di far saltare così un complesso sistema organizzativo di programmazioni, perché il messaggio che volevo dare è che in questo mondo affannato a rincorrere la performance, non ci diamo più il tempo per prenderci una pausa e riflettere per capire dove stiamo andando. Ho chiesto ai ragazzi quale fosse secondo loro il motivo del fenomeno per cui in Italia ogni tre giorni viene uccisa una donna. In molte classi è sceso il silenzio; ho scoperto poi che sono quelle in cui si sono vissute esperienze di violenza in prima persona. In altre si è acceso un forte dibattito: spesso in classi dove i maschi si sono sentiti messi in discussione, - dice Selene Z.

 

La fuga dei quarantenni

Quello che ho notato è che più sono grandi, più i maschi di fronte a questo argomento sentono un invincibile bisogno di schermarsi, difendersi, tirarsi fuori come fosse qualcosa che non li riguarda. Un collega mi confessa di essere preoccupato che i maschi vengano troppo colpevolizzati. I più giovani hanno una modalità di fuga dal discorso di vario tipo. I più si rifiutano di riconoscere che la violenza inizia da forme invisibili e nascoste, come il linguaggio e le battute sessiste. Altri si proteggono dietro l’ironia, la battuta come meccanismo per superare il disagio o per sminuire il valore del discorso. Un ragazzo mi ha detto: non abbiamo modelli. E mi ha fatto pensare: in effetti che modelli offriamo come società?

I modelli che offriamo

L’Italia è stata teatrino negli ultimi vent’anni di modelli di genere politici e sociali che hanno usato le donne, sfruttandone l’emancipazione sessuale, in modo subordinato e funzionale ricacciandole nel ruolo strumentale di soddisfazione di bisogni sessuali del maschio. Abbiamo una premier che ci tiene a farsi chiamare al maschile nelle sue funzioni di governo. A livello internazionale lo scenario che offriamo in quanto adulti è quello di un sostegno alla cultura della guerra: massacri da parte di nazioni che si dicono democratiche vengono perpetrati ogni giorno sotto gli occhi dei nostri ragazzi senza che il diritto internazionale riesca a fermare carnefi-cine che gridano vendetta al cospetto di Dio. La Chiesa da parte sua è l’ultima cittadella fortificata in cui il nodo potere-maschilità appare difficile da mettere in discussione, con rigurgiti recenti nel tentare di mantenere e giustificare “teologicamente” privilegi maschili ed esclusioni femminili. Le famiglie con i loro carichi di complessità di tempi, ritmi, relazioni, non sono più purtroppo luoghi di dialogo tra generazioni; le famiglie sono per lo più tenute insieme dai salti mortali di donne sovraccariche del lavoro domestico, di cura e professionale. Una società consumistica dopo averci tolto ideali e valori, si è scordata di dare un senso alle nostre vite. Ci comprime in strutture efficientistiche dove siamo costretti a produrre “valore” nel senso prettamente economico, dove siamo valutati per successo, performance, organizzazione, programmazione e soprattutto per la nostra Ral, che per le donne è sempre minore.

 Gli esiti

I ragazzi crescono con l’angoscia che se non vai al passo sei perduto e potresti andare a finire negli scarti relazionali, ciò che non a caso, la nostra epoca produce in grande quantità. Gli uomini maschi che il patriarcato vorrebbe “per natura” aggressivi, determinati, forti, e il consumismo di successo, ricchi, affermati, rischiano di diventare cinici rispetto alla loro carriera e alle loro relazioni. In realtà questi uomini sanno di camminare sul crinale di un abisso che potrebbe farli precipitare nella follia, nei disturbi mentali, in preda a un mondo che li costringe in un ruolo di genere dal carico impossibile da sopportare, ma di fronte al quale non imparato le parole per chiedere aiuto. A volte penso che pur di non sopportare un sovraccarico di genere di questo tipo, in quel precipizio alcuni preferirebbero gettarvisi. Si producono allora sì anche malattie psichiche che sono una pandemia, perché prodotto delstorie la malattia della società stessa: personalità narcisistiche, relazioni ossessive, amore che diventa tossico perché la struttura del consumismo ha trasformato l’amato in oggetto di possesso e l’amore in incasso. Quando la relazione d’amore diventa (e lo diventa prima o dopo) perdita, vulnerabilità e sofferenza, il maschio reagisce con l’unico codice emotivo che il patriarcato gli ha insegnato e concesso: la violenza.

Come l’acqua per i pesci

Quello che mi colpisce delle di violenza è l’incapacità di vedere i segnali o il sottovalutarli. È questa la patologia sociale. Non li si vede dall’esterno, non li si vede quando li si subisce e nemmeno quando li si agisce. Il patriarcato agisce come l’acqua per i pesci. Per i maschi è ancora più difficile perché quel mondo è costruito semplicemente attorno a loro. Fanno più fatica a vederlo, perché vederlo significherebbe scorgerne le tossicità e accettare di cambiare comportamenti per poterlo scardinare. Ma come chi non è mai uscito dalla propria casa la considera “normale”, così molti uomini considerano la propria struttura mentale anche giusta, semplicemente perché è quella che ha una lunga storia culturale. Si veda il successo di Vannacci. Ho ascoltato tanti interventi in queste settimane, di opinionisti, politici e personaggi pubblici. Sono davvero pochissimi i maschi il cui linguaggio e le cui argomentazioni non facciano la spia di una struttura patriarcale di cui sono preda e che perpetrano anche quando vogliono dire di essere contro la violenza sulle donne. Ha dell’imbarazzante. Fa un po’ effetto terrapiattisti. Non riuscendo a vedere, si sentono colpevolizzati inutilmente. Ma c’è un grande abisso culturale, di percezione, di mentalità tra i maschi e le donne che abitano da sempre un mondo che invece hanno dovuto imparare a tradurre, adattare, modificare e/o tenere a bada.

Come uscirne

I più giovani sono più sensibili a certe riflessioni, forse perché gli stereotipi hanno ancora strutturato in mondo poco rigido il loro cervello più plastico o forse perché sono semplicemente stati educati alla parità di genere. Un alunno di terza Liceo ha detto: « Le donne sanno cosa vogliono perché vengono da un lento cammino di riflessione su sé stesse. Forse adesso tocca a noi uomini fare il nostro pezzo di cammino». Un altro ha detto: «Prof, noi come singoli lo sappiamo che quello che ci dice è giusto. Solo che come gruppo poi non riusciamo. È importante che lei dica queste cose a tutta la classe così possiamo iniziare ad agire assieme». Un altro ha riconosciuto nelle stesse parole di genitori che «cercano di dare tutto ai figli», un errore di educazione. «Dovrebbero metterci di fronte a più no. I no ci aiutano a crescere». Questi cuccioli di ragazzi hanno capito una cosa fondamentale: vogliono essere educati al desiderio, alla consapevolezza della “struttura di peccato” che in quanto maschi si portano addosso, e soprattutto hanno capito che ci vuole una presa di responsabilità collettiva in quanto maschi nel riconoscimento e nello scardinamento della violenza. E le ragazze? Non c’è ragazza a scuola che non abbia subito violenze, molestie o aggressioni. A volte ne parlano, altre no. Non sanno cosa fare, come reagire, a chi rivolgersi, come evitare. Ma evidentemente ci va bene così se, negli ultimi 20 anni abbiamo assistito nelle parrocchie, nella scuola e in Parlamento ad una sistematica colpevolizzazione, caricaturizzazione e contrasto alla diffusione degli studi di genere, che invece insegnano il rispetto delle differenze e aiutano a riconoscere e disinnescare i dispositivi di violenza che attuati dagli stereotipi di genere. Quante donne devono ancora morire per convincerci che tossica è l’ideologia dei generi che identifica per “natura” le donne in posizioni e caratteristiche psicologiche di cura, maternità, dolcezza, accoglienza, funzionalità e gli uomini in posizione e caratteristiche di dominio, violenza e potere? Si chiama patriarcato.

 
 
 

Pippa Bacca

Post n°3941 pubblicato il 30 Novembre 2023 da namy0000
 

Pippa Bacca, pseudonimo di Giuseppina Pasqualino di Marineo

 

Nacque a Milano nel 1974

Morta in Turchia l'8 marzo 2008, il giorno della Festa della donna. (33 anni)

 

 

nipote di Piero Manzoni, uno dei più grandi artisti moderni italiani, e fin dal 1997 seguì le orme dello zio, intraprendendo la strada dell'arte performativa. Il suo obiettivo era trasformare oggetti in altri oggetti, solitamente servendosi con l'aiuto delle forbici. Una delle sue opere più rappresentative si chiama Surgical mutations, ovvero "Mutazioni chirurgiche", ed è costituita da foglie raccolte in un bosco e ritagliate in modo da trasformarsi in foglie di altre specie vegetali. Fu però la sua passione per i viaggi e per le performance itineranti a segnare la sua fine.

Dopo essere diventata protagonista del progetto Brides on tour, che voleva essere un simbolo di pace e fratellanza, ha perso tragicamente la vita in Turchia a soli 33 anni.

L'artista provò ad attraversare in autostop con indosso un abito bianco da matrimonio 11 paesi in cui erano in corso dei conflitti armati. L'obiettivo? Promuovere la pace e la fiducia nel prossimo. A quanto pare, però, il progetto si è rivelato fallimentare. La meta finale sarebbe dovuta essere Gerusalemme ma, dopo aver attraversato Slovenia, Croazia, Bosnia e Bulgaria, in Turchia la sua corsa è stata drammaticamente arrestata. Il 20 marzo di quell'anno, dopo essersi separata temporaneamente dalla compagna di viaggio a Istanbul, fu violentata e uccisa a Gebze da un uomo che le aveva dato un passaggio. Il corpo martoriato fu ritrovato solo il successivo 11 aprile, quando fu confermata la notizia della morte. L'uomo responsabile dell'assassinio si chiama Murat Karataş, all'epoca aveva 38 anni, e oggi è rinchiuso in carcere dopo essere stato condannato in via definitiva a 30 anni di reclusione dalla Corte di Cassazione turca.

 

Pippa Bacca, la storia dell’artista morta in abito da sposa: voleva girare il mondo in autostop

Si chiamava Pippa Bacca ed era l’artista che fu assassinata nel 2008 durante il progetto itinerante “Brides on tour”. Sognava di girare il mondo in autostop con indosso un vestito bianco da sposa per promuovere la pace e la fratellanza ma il suo viaggio è stato drammaticamente interrotto dopo che un uomo l’ha violentata e uccisa in Turchia.

Giuseppina Pasqualino di Marineo, in arte Pippa Bacca, è stata una delle artiste performative più talentuose del nostro paese, era la nipote di Piero Manzoni. Purtroppo, però, è morta a soli 33 anni dopo aver tentato di diventare portavoce di pace e fratellanza. Sognava di portare a termine un progetto che le avrebbe permesso di girare il mondo in autostop con indosso l'abito da sposa ma in Turchia il suo viaggio è stato drammaticamente interrotto da un uomo che l'ha stuprata e uccisa. Oggi la sua storia sconvolge ancora l'opinione pubblica e riporta l'attenzione su un tema più attuale che mai, quello della violenza sulle donne.

 

 

Pippa non è stata dimenticata: è diventata protagonista di un documentario diretto da Simone Manetti e intitolato "Sono innamorato di Pippa Bacca". La vicenda sconvolge ancora l'opinione pubblica ed è la dimostrazione materiale del fatto che gli abusi, le violenze e gli stupri non sono legati al modo di comportarsi o di vestirsi di una donna. Pippa non se l'era "andata a cercare", eppure si è ritrovata a pagare un prezzo altissimo. Qual è stata la sua "colpa"? Essere stata troppo ingenua e fiduciosa verso il prossimo. La violenza e la brutalità che ha ricevuto in cambio del suo buon cuore sono stati davvero eccessivi. La drammatica storia di Pippa riporta di nuovo alla ribalta il delicatissimo tema della violenza sulle donne, ancora oggi più attuale che mai e spesso sottovalutato.

 
 
 

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