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Il Caporale Remo Godioli

Post n°3335 pubblicato il 03 Maggio 2020 da namy0000
 

Remo Godioli partì per il servizio militare il 4 febbraio del 1940. Infarcito di retorica fascista, nel suo animo si mescolavano sentimenti contrastanti: la pena di lasciare i suoi cari e la sua città era mitigata dall’orgoglio di servire la Patria.

Il Duce lo aveva detto: c’erano otto milioni di baionette pronte a combattere. L’Italia dominava i mari con le sue modernissime corazzate la “Vittorio Veneto” e la “Littorio” e deteneva l’80% dei primati aerei internazionali.

Il motto era uno solo: Credere! Obbedire! Combattere! Sarebbe stato reltivamente facile riportare Roma a comandare un impero. Fu così che il 13 febbraio del 1940 Remo si imbarcò a Napoli sulla motonave “Sardegna” alla volta di Tripoli. Era destinato al III Reparto Distrettuale – XXI Corpo d’Armata.

Tripoli era una città bellissima, ammaliava con le sue architetture moresche, le larghe strade, i giardini e le aiuole ricche di esotica vegetazione. Le donne erano bellissime, madonne nere coperte da candidi pepli affollavano il centro della città e i negozi sotto i portici di Via Nazionale e di Via Sicilia. Sul cielo di madreperla le palme e i minareti disegnavano arabeschi straordinari, dal mare giungeva una brezza fresca e profumata.

Remo rimase a Tripoli sei mesi.

Poi il 10 giugno 1940 Mussolini dichiarò guerra a Francia ed Inghilterra e si schierò a fianco dell’alleato germanico. Il 22 giugno del 1940 la Francia si arrese; i soldati italiani che si trovavano in Tunisia vennero trasferiti verso il fronte egiziano e passarono quasi tutti da Tripoli.

Remo li vide marciare nel caldo soffocante africano. Le divise erano ancora di pesante panno grigioverde, le fasce alle gambe dovevano essere una tortura con quel clima. Erano uomini emaciati ed avviliti armati ancora con dei vecchi moschetti 91.

Si fece coraggio e, con tutto il rispetto e la cautela possibili, chiese a un ufficiale dove fossero le invincibili armi che avrebbero permesso la vittoria.

Si sentì rispondere che presto sarebbero arrivate truppe fresche, carri armati e cannoni, il trionfo sarebbe stato assoluto. Guardò ancora quei fanti malandati, e dentro di sé incominciò a dubitare, la sua fiducia nel Duce e nel Fascismo si squagliava al sole africano.

Dopo pochi giorni il suo reparto fu trasferito al villaggio Giordani al limitare del deserto tripolino. Lasciata la confortevole città, i militari ebbero a disposizione scarse razioni di viveri, un litro d’acqua a testa, ed una misera tenda per ripararsi dai raggi violenti del sole. In compenso ebbero la compagnia delle pulci della sabbia che causarono a molti la tungiasi, una forma di parassitosi cutanea particolarmente dolorosa. La lotta agli scorpioni li aiutò a passare il tempo nelle lunghe giornate assolate. Dopo tre mesi di questa vita, inspiegabilmente, il reparto fu ricondotto a Tripoli dove il XXI Corpo d’Armata fu imbarcato per essere trasferito a Bengasi. Una sorte diversa fu riservata alle truppe posizionate sul fronte tunisino.

Il comandante della divisione “Sirte”, Generale Babini, in ottemperanza alle disposizioni sul risparmio di carburante, fece sapere al Duce che i suoi uomini sarebbero andati in Cirenaica a piedi. Fu un calvario di mille chilometri nel deserto sirtico.

Il povero Remo capì allora quanto fosse improvvisata la conduzione delle operazioni belliche e quanto fossero assurde le decisioni degli ufficiali superiori.

Il comando del XXI Corpo d‘Armata si ricostituì sulle verdi colline del Gebel cirenaico e il nostro soldatino si godette ancora un po’ di tranquillità. Intanto le truppe italiane avanzavano senza incontrare resistenza fino a Marsa Madruh in territorio egiziano.

All’alba del 9 dicembre 1940 si sparse la voce che era iniziato un attacco su tutto il fronte contro le truppe inglesi. L’attacco era sì iniziato, ma erano le truppe alleate a sfondare facilmente le linee di difesa italiane. il XXI Corpo d’Armata che stava avanzando verso l’Egitto, ripiegò verso Tobruck e si attestò nella piazza-forte della città. I bombardamenti si susseguirono fino all’alba del 21 gennaio 1941. Quello per Remo fu il giorno più terribile, come se la cavò in quell’inferno non seppe spiegarselo. Infine il Generale Pitassi Mannella si arrese e il nostro fu fatto prigioniero con tutti i suoi commilitoni.

L’area intorno a Tobruck era circondata da campi minati, gli inglesi non erano riusciti ad avere notizie sulla loro precisa localizzazione ed allora si avvalse della “collaborazione” dei soldati italiani. Quello che avvenne sconvolse il cuore e la mente di Remo. Lui e i suoi compagni, sotto la minaccia delle armi, furono fatti procedere a raggiera percorrendo a piedi tutta la fascia esterna che circondava la città. Ogni passo poteva essere l’ultimo, i più fortunati uscirono dalla zona minata completamente imbrattati dal sangue degli sciagurati che erano saltati sulle mine. Remo arrivò alla fine stremato, insanguinato, atterrito, ma vivo e tutt’intero. Pensò di essere stato miracolato, si inginocchiò nella sabbia e, non avendo più nemmeno la forza di pregare, pianse.

Il Caporale Godioli Remo rimase prigioniero in Egitto fino al 26 dicembre del 1941, quindi fu trasferito in India ove rimase fino all’8 febbraio del 1944, finì la sua prigionia in Australia il 21 gennaio del 1947. Fu rimpatriato a bordo di un transatlantico inglese, non ricordò mai più se fosse la Queen Mary o la Elisabeth. Sbarcò a Napoli e Via Caracciolo gli parve la strada più bella del mondo.

Remo era mio suocero e tutto questo mi raccontò, ma molto altro avrebbe potuto dire. Tacque. Per una sorta di pudore, non mi disse altro. (Corrado De Paoli, Che vi do!, periodico n. 93, Luglio 2019).

 
 
 

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