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Messaggi del 04/09/2018

Reale benessere

“È una sigla che ha il suono di una goccia: Pil. Significa Prodotto interno lordo e indica il risultato finale dell’attività produttiva dei residenti di un paese. Se sale, l’economia va bene. Se cala, non è un buon segno. Ma davvero il Pil basta a misurare il reale benessere di una nazione e dei suoi abitanti?

Enrico Giovannini si pone la domanda da quasi un ventennio. L’economista è stato direttore delle Statistiche all’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), presidente dell’Istat, ministro del Lavoro e delle Politiche sociali nel Governo Letta. Nel 2016 ha fondato l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, di cui è portavoce. Insegna Statistica economica all’Università di Roma Tor Vergata e Public Management alla Luiss. Il suo ultimo libro si intitola L’utopia sostenibile (Laterza). Invitato al Meeting di Rimini, riprendendo il titolo della manifestazione, dice: ‹‹Non sempre le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice: come nel caso del Pil, la crescita economica non sempre porta benessere sociale››.

‹‹Il Pil è una misura accettabile della produzione di beni e servizi, ma non ci dice nulla sulla reale situazione delle famiglie e delle persone. Nel 2017 il Pil italiano è cresciuto del 1,5%, mentre il reddito disponibile delle famiglie è aumentato dello 0,6%. La differenza è dovuta a vari fattori, come la globalizzazione: parte del Pil va ai profitti delle multinazionali e un’altra parte se ne va con le rimesse degli immigrati. Questo ci dice che tale indicazione non è una misura precisa del benessere economico di una nazione››.

Quindi il Pil è da buttare?

‹‹No, resta uno strumento utile, ma ci sono altri indicatori ai quali possiamo guardare. Oltre al reddito, bisogna tenere conto anche delle condizioni ambientali, di quelle sociali, della sicurezza. Questi indicatori possono andare in direzioni molto diverse rispetto al Pil››…

            E gli altri indicatori che cosa dicono sulla situazione dell’Italia?

‹‹Ci mostrano che il tasso di povertà è aumentato, così come è cresciuta la disuguaglianza dei redditi. Prosegue anche il degrado ambientale, l’aumento delle emissioni di CO₂ e il consumo del suolo. I dati ci avvertono che siamo chiaramente in una situazione di non sostenibilità economica, sociale e ambientale. Questo determina anche una insostenibilità istituzionale, che vediamo non soltanto in Italia, ma anche in Europa. Serve, come spiego nel mio ultimo libro, un modello diverso, una “utopia sostenibile”, nella quale i pilastri economici, sociali, ambientali e istituzionali si sostengono e interagiscono efficacemente per il bene comune. La vera utopia è pensare che l’attuale modello possa funzionare ancora››.

            La politica è attrezzata per tenere conto, nelle sue scelte, di questi parametri che vanno oltre il Pil?

‹‹I politici, che hanno interesse a essere rieletti, guardano al breve termine, ma lo fanno anche i manager industriali. L’Italia ha fatto un passo importante incorporando gli indicatori del Bes (Benessere equo e sostenibile), elaborati quando ero presidente dell’Istat, nel Documento di economia e finanza (Def). L’Italia è il primo paese Ocse che ha collegato questi parametri alla programmazione economica e di bilancio. Spero che a fine settembre il Governo inserisca nella nota di aggiornamento del Def le simulazioni dell’impatto delle politiche proposte sugli indicatori Bes››.

            Per l’Italia gli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dalle Nazioni unite per il 2030 sono a portata di mano?

‹‹Abbiamo fatto dei passi avanti in alcune aree, come l’istruzione, dove però abbiamo accumulato ritardo, tanto che adesso ci troviamo dove stava l’Europa dieci anni fa. Per quanto riguarda le energie rinnovabili siamo a buon punto, ma non abbiamo una chiara idea di come arriveremo a raggiungere gli obiettivi del 2030. La strategia energetica approvata dal vecchio governo non è detto che verrà proseguita dal nuovo, i segnali sono ancora contraddittori e molto preoccupanti››.

L’Italia avrà un autunno difficile?

‹‹Il nostro Paese è a rischio perché i creditori – anche quelli italiani, cioè i risparmiatori, quindi noi – esitano a dare ulteriore credito a uno Stato che presumibilmente avrà difficoltà a ripagare i suoi debiti. Chi ci fa credito chiederà un tasso di interesse maggiore. Lo spread non è altro che un ulteriore carico sulla spesa per interessi che toglie risorse agli investimenti, magari per le infrastrutture e per la coesione sociale››.

Il Governo come affronterà la prevedibile tempesta?

‹‹Dalle recenti dichiarazioni del ministro Tria e del primo ministro Conte mi pare che il Governo sia consapevole di questi rischi. Credo che l’Europa sarebbe molto più favorevole a concedere eventuali flessibilità se i fondi venissero destinati solo a investimenti, magari per le infrastrutture, delle quali l’Italia ha un disperato bisogno. Ma nel Governo alcuni pensano che mettendo un po’ di soldi in tasca alle persone l’economia ripartirà e tutto tornerà a posto come in un “meraviglioso mondo di Amélie”. Purtroppo non è così››” (FC n. 35 del 2 sett. 2018).

 
 
 

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