Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi del 19/09/2018

Intervista

Stiamo semplicemente assistendo a un gioco delle parti. ‹‹Un gioco che serve a influire sulle aspettative. Se si fa pensare che il deficit possa sfiorare il 3% e poi ci si ferma al 2%, tutto questo viene preso come una buona notizia. E così i mercati reagiscono positivamente come una vittoria di Tria e della responsabilità del Governo. Alla fine il premier Conte non prenderà una posizione antagonista nei confronti dei mercati e dell’Unione››.

Troppo pericoloso?

‹‹Direi proprio di sì. Lo spread, il differenziale tra i titoli di Stato tedeschi e quelli italiani, che misura la solidità del debito pubblico, è sceso anche per questo, dopo essere salito nelle settimane precedenti. A Palazzo Chigi sanno benissimo che uno spread che sfondi i 300 punti comincia a essere molto pericoloso››.

Rischiamo di finire in una tempesta come quella del 2011, con il nostro Paese oggetto di attacchi speculativi capaci di portare l’Italia in bancarotta?

‹‹Il nostro Paese è strutturalmente solido. Ma mantenere la differenza tra deficit e Pil più o meno invariata non riesce a ridurre il rapporto tra debito e Pil. E dunque rimaniamo vulnerabili a possibili shock che andrebbero a colpire l’economia italiana, facendo traboccare il vaso: un aumento del prezzo del petrolio, una crisi proveniente dai mercati di qualche parte del mondo, una recessione fisiologica, come quelle tipiche dei cicli economici. Se l’Italia va in recessione la crisi di sfiducia riparte e a quel punto non la ferma più nessuno››.

Insomma, rmaniamo esposti a una nuova bufera finanziaria. Che si dovrebbe fare secondo lei?

‹‹Quel che si dovrebbe fare richiede tempo: rafforzare la crescita economica e poi, con il gettito fiscale derivante dalla crescita, far scendere il debito grazie al risparmio ottenuto. E poi condurre una lotta serrata alla burocrazia: le piccole-medie imprese spendono 31.000.000.000 di euro l’anno per compilare moduli››.

Ci crede nella flat tax, la riduzione a due aliquote delle imposte sui contribuenti?

‹‹Così com’è no. È una redistribuzione del reddito che sembra fatta da Robin Hood al contrario. Del resto non credo che si farà mai. Costa 50.000.000.000 di euro e di quei 50.000.000.000 , 35 vanno al 20% più ricco dei contribuenti e 1.000.000.000 al 20% più povero. Così come non si farà mai il reddito di cittadinanza come previsto dai Cinque Stelle, che costa 17.000.000.000 di euro: 800 euro al mese per chi non ha un lavoro sarebbero l’assegno di mantenimento più generoso d’Europa, con effetti tali da scoraggiare chi è in cerca di lavoro. Credo che alla fine potenzieranno il reddito di inclusione per le famiglie in difficoltà e lo chiameranno reddito di cittadinanza››.

Proviamo a fare un gioco, professor Cottarelli. Domani a quest’ora decidiamo di uscire dall’euro. Che succede?

‹‹Succede che l’uscita ci costerebbe sotto diversi punti di vista. Innanzitutto abbandonando l’euro dovremmo creare una nuova lira che si svauterebbe immadiatamente››.

La svalutazione ci renderebbe più competitivi nelle esportazioni…

‹‹Tutto questo avverrebbe solo se stipendi e salari non aumentassero. Ma se la lira si svaluta, il potere d’acquisto, soprattutto di chi lavora e dei pensionati, che sono a reddito fisso, si riduce. Chi è indebitato, per esempio chi ha un mutuo in euro, vede aumentare il peso del suo debito. Anche lo Stato avrebbe lo steso problema››.

Lo Stato non potrebbe imporre la conversione del debito da euro in lire per legge? A quel punto il debito diminuirebbe…

‹‹Sì, è quello che fanno tutti i Governi dopo una lunga recessione o dopo una guerra: svalutano il debito pubblico. Ma ci rimetterebbe chi ha acquistato titoli di Stato. È un problema che conosco bene perché mia nonna prima della guerra vendette tutte le sue proprietà terriere, nel Cremonese, a suo fratello e investì i proventi della vendita in titoli di Stato. Dopo la guerra lo Stato svalutò il debito, inflazionando i titoli: mia nonna si ritrovò in mano carta straccia e divenne povera. Fallirebbero anche gli istituti di credito, possessori di grandi quantità di titoli. Ma possono fallire le banche? No. Allora bisogna far pagare qualcun altro››.

Chi dovrebbe pagare l’uscita dall’euro?

‹‹Un momento, c’è un terzo aspetto che rende difficile, quasi impossibile, l’uscita dall’euro: il sistema dei pagamenti. Quando facciamo un bonifico per spostare dei soldi da un conto all’altro abbiamo a che fare con una rete di interazioni tra banche commerciali e banche centrali. Creare un nuovo sistema che funzioni richiede almeno un anno di tempo. Non possiamo uscire dall’euro in un weekend. Un anno di tempo creerebbe delle aspettative e renderebbe la nostra uscita molto confusa››.

E una volta usciti?

‹‹L’inflazione della lira non può andare avanti all’infinito, come nella Repubblica di Weimar. Bisogna fermarla. Per fare questo bisogna convincere chi viene pagato in nuove lire che sia felice di tenersele in tasca e che resista alla tentazione di cambiarle in euro per stare tranquillo. Per fermare l’inflazione bisognerebbe stampare meno lire. Questo vorrebbe dire politiche monetarie più restrittive di quelle attuali, che sono abbastanza espansive››.

Chiudere i rubinetti, insomma. E il nostro debito pubblico ipertrofico che fine farebbe?

‹‹Diminuirebbe. Ma tassando gli italiani. L’inflazione è come una tassa››.

La tassa dei poveri si dice, chi ha un reddito da fame viene colpito immediatamente facendo la spesa.

‹‹È vero, l’inflazione è una tassa regressiva. I ricchi riescono sempre a proteggere i loro risparmi in un modo o nell’altro, ma chi ha reddito fisso, subisce il costo dell’inflazione››.

Alla fine ci rimetterebbe la povera gente? La stessa che vuole che usciamo dall’Europa?

‹‹In un modo o nell’altro sì››.

Chi ci guadagna?

‹‹Chi si è indebitato, ma nel breve periodo. Anche gli esportatori dovrebbero guadagnarci. A patto che i salari dei propri dipendenti non aumentino. Se tutto questo manda il Paese in uno stato di confusione, allora non ci guadagnano nemmeno loro. Ci perdiamo tutti, insomma››” (da un’intervista a Carlo Cottarelli, I sette peccati capitali dell’economia italiana, FC n. 37 del 16 sett. 2018)

 
 
 

La fede delle origini

Post n°2792 pubblicato il 19 Settembre 2018 da namy0000
 

Frère Roger Schutz, svizzero, giovane protestante, nell’agosto 1940 decise di prendere dimora nel piccolo villaggio di Taizé, in Francia, per fondarvi una comunità dedita alla riconciliazione tra le diverse confessioni cristiane. “Si passa qui come si passa accanto a una fonte. Il viaggiatore si ferma, si disseta e continua il cammino”, sono le parole del papa Giovanni Paolo II durante la sua visita alla comunità del 1986. A quella fonte hanno bevuto migliaia di giovani. Negli anni 1960 iniziarono ad arrivare, tra quelle colline della Borgogna, i ragazzi di mezz’Europa, affascinati dalla singolare comunità di monaci vestiti di bianco dove vivevano e pregavano insieme protestanti, cattolici e ortodossi. Pochi anni dopo, i pellegrini erano già migliaia. Alla caduta del Muro di Berlino, una fiumana di ragazzi polacchi, ungheresi, cechi, rumeni, e slovacchi, assetati di spiritualità comunitaria, segnava record di presenza mai più battuti. Ancora oggi continua a richiamare migliaia di persone. In estate vengono ospitate fino a 5.000 persone. Tre volte al giorno ci si siede a terra per pregare. Dopo la morte violenta di Frère Roger Schutz, accoltellato nel 2005 per mano di una squilibrata, la comunità è condotta da Frère John, statunitense con origini italiane. Lo accoltellò durante la preghiera della sera. Gli arrivi dei visitatori si sono stabilizzati a partire dall’inizio del nuovo millennio. La priorità all’ospitalità è sempre per i giovani, ma sono aumentati gli adulti e arrivano anche famiglie. ‹‹Rispetto al passato, i giovani sono meno preparati nella fede, fanno più fatica a percepire la vita come un cammino organico, vivono le esperienze come fossero le app di un telefonino: si passa da una all’altra senza un legame, con direzioni contraddittorie. Eppure qui fanno la stessa esperienza di sempre. Noi diciamo un’esperienza di chiesa, di comunione: cos’è altrimenti stare insieme, pregare, leggere la Bibbia, commentarla››, chiarisce il monaco. ‹‹Sono arrivata con una fede ridotta a un lumicino. Ma qui ho percepito che c’è Dio: in chiesa, ma anche nella distribuzione dei pasti, nelle persone, durante lo svago del tempo libero››, dice Giulia B., 19 anni, arrivata dalla provincia di Milano. ‹‹I fratelli ti insegnano a leggere il Vangelo secondo la tua vita: non dicendo “è così e basta!”. Stare qui pone prospettive nuove alle proprie domande esistenziali››, conferma Pietro G., 23 anni, piemontese. ‹‹A Taizé tutti si salutano anche se non si conoscono. C’è disponibilità a un incontro profondo e spirito di fraternità››, assicura Mei Mei Tse, 25 anni, cristiana anglicana di Hong Kong. I frère sono rappresentati 30 paesi di tutti i continenti. Frère Alois Löser tra pochi giorni compirà 10 anni alla guida della comunità di Taizè: ‹‹Oggi continuiamo sulle tracce di frère Roger, specialmente su due cose: la vita comunitaria e l’accoglienza dei giovani››. Frère Alois, 61 anni, nato a Stoccarda in una famiglia cattolica. ‹‹La vita in comune è per noi l’essenziale››, prosegue, ‹‹siamo una comunità monastica con fratelli di diverse confessioni e nazionalità; quest’incontro di culture differenti nella stessa comunità è un segno di comunione. Noi vogliamo vivere “l’interculturalità” come una piccola “parabola di comunione”, espressione che usava frère Roger››. ‹‹I giovani a Taizè cercano tante cose! Eppure qualche volta non sanno nemmeno di essere in ricerca. Ma nel corso di una settimana qui le domande emergono. Alla fine del soggiorno mi dicono che il silenzio e la preghiera sono state le esperienze più importanti. Poi cercano amicizia, vogliono aprirsi verso gli altri. A noi frère domandano ascolto, cercano una persone cui affidare una domanda, una gioia, una sofferenza, la tristezza per la divisione delle loro famiglie... Ma portano anche domande sulla fede. Chiedono: “Cos’è la Trinità?”. E io rispondo: “Perché questa domanda?”. E ti dicono che amici musulmani pongono simili interrogativi e loro non sanno rispondere. Vogliono comprendere la loro fede: il catechismo dell’infanzia non è più sufficiente se non è cresciuto con loro. Il periodo non è facile. Abbiamo l’impressione che il dialogo teologico abbia dato già molti frutti che però non ricadono nella concretezza. L’identità che abbiamo ricevuto nel Battesimo già ci rende tutti un solo corpo. Il problema è che questa dimensione di unità non la dimostriamo in modo visibile: piuttosto mostriamo il volto diviso delle diverse confessioni. Qui noi fratelli e anche i giovani che accogliamo ci raduniamo tre volte al giorno per pregare insieme: cattolici, ortodossi e protestanti. E forse questa è una via percorribile anche da altri: mettiamoci insieme sotto lo stesso tetto per rivolgerci a Cristo insieme››. Dieci anni fa, frère Roger Schutz ricevette l’Eucaristia cattolica dal cardinale Ratzinger durante i funerali di Giovanni Paolo II. La cosa fece scalpore. ‹‹Per l’esperienza di frère Roger e per il percorso della nostra comunità si può parlare di “comunione” con la Chiesa cattolica. Egli non ha mai tenuto segreti i due punti di progressivo avvicinamento con la Chiesa cattolica: ricevere l’Eucaristia e riconoscere il vescovo di Roma come ministro dell’unità. Egli diceva che aveva riconciliato in sé la fede delle origini con il mistero della fede cattolica (e ortodossa) senza rompere la comunione con nessuno››” (FC n. 32 dell’8 agosto 2015).

 
 
 

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