Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi del 05/03/2019

E' struggente

È struggente il caso della signora napoletana di 90 anni che ha chiamato la Polizia dicendo di aver subito una rapina. In realtà desiderava solo fare una passeggiata e non aveva nessuno con cui accompagnarsi. La solitudine, questa condizione innaturale per ogni essere umano, questa capsula che ingabbia l’animo, nell’età che avanza diventa uno spettro. Un proverbio cinese sostiene che ‹‹la vita di chi basta a se stesso è dolce››: ipocrisia di molti proverbi! A parte i casi di manifesta misantropia, la comunicazione e il contatto fisico sono la cinghia di trasmissione della personalità umana.

Nei giovani il vigore, l’intraprendenza e la lievità degli anni verdi tengono lontano la minaccia dell’isolamento. Ma negli anziani… la decadenza fisica, spesso aggravata da acciacchi irreparabili, l’essere spesso e a torto ritenuti l’avanzo di un’esistenza ormai da archiviare con l’ultimo e atteso respiro, sono i prodromi di quella solitudine che troppo spesso è l’unica, cattiva compagnia degli anziani. La frenetica vita di oggi di figli super occupati e di nipoti super intenti a mille impegni e distrazioni fa sì che il tempo e le attenzioni a loro dedicati siano pressoché inesistenti quando, e non è raro, l’anziano non vive addirittura solo o affidato alla cura fredda e mercenaria di una badante.

L’anziano, proprio nel momento estremo in cui si avvicina al fine vita, prova l’anelito, quasi spasmodico, di “sentirsi nella vita”, nei suoni, nelle luci e nelle voci dell’esistenza, di sentirsi protagonista. Camus scriveva: ‹‹Non essere più ascoltati: questa è la cosa più terribile quando si diventa vecchi››. E chi lo ascolta il vecchio, tante volte considerato con disprezzo un rincitrullito? Ci si priva così della capacità di attingere al bagaglio della sua saggezza, di proseguire la vita dalla vita, con generazioni future sempre più impoverite. Un patrimonio che così si disperde per sempre. Si stima che nel 2050 ogni 100 abitanti ci saranno ben 74 ultra sessantacinquenni. Oggi ve ne sono 38. Il problema di chi non ha più tempo per essere giovani è molto più preoccupante di quanto si pensi – Edgardo C. (Lettera pubblicata da FC n. 9 del 3 marzo 2019).

 
 
 

Cara nonna

Post n°2955 pubblicato il 05 Marzo 2019 da namy0000
 

Cara nonna, oggi lasci la casa in cui hai vissuto per oltre 70 anni per essere ricoverata in una casa di riposo per anziani. È per tutti noi un momento di grande tristezza.

In questa casa hai vissuto per la maggior parte del tempo da sola, dopo la morte del tuo adorato marito. Questa piccola casa, fatta di soli due locali, ha rappresentato il tuo regno. Trascorrevi le ore guardando i passanti dalla finestra. Tutti conoscevano lo sguardo di quell’anziana signora che li scrutava. Venirti a trovare per noi nipoti e pronipoti significava staccare dalla realtà. Varcando la soglia della tua casa si entrava in un ambiente dove il tempo sembrava essersi fermato… i mobili antichi, la stufa calda, quel piccolo fornello che solo tu riuscivi a utilizzare, i ricami, le calze di lana fatte a mano… tutto era rimasto come quando nel lontano 1947 ti sei sposata e hai iniziato a vivere lì. Sul tuo divano era sempre presente Famiglia Cristiana, che non hai mai smesso di leggere nonostante i tuoi 97 anni. Il tempo trascorso con te serviva per dimenticare la vita frenetica dove tutti sono di corsa e non si è mai abbastanza al passo con i tempi. Il tuo modo di vivere semplice e abitudinario ci dimostrava che basta poco per essere felici e che spesso viviamo di eccessi e di sprechi.

Il tuo recitare quotidianamente il rosario ci ricordava l’importanza della preghiera. Ora nulla sarà più lo stesso perché entrando nella tua casa troveremo un ambiente freddo e vuoto. Porteremo nel cuore i mille ricordi dei momenti vissuti insieme. Ti auguriamo di essere accolta con calore e rispetto in questa nuova struttura. Faremo di tutto per farti sentire come a casa! Ti vogliamo bene – i tuoi nipoti e pronipoti (Lettera pubblicata da FC n. 9 del 3 marzo 2019).

 
 
 

Legge dell'Amore

Post n°2954 pubblicato il 05 Marzo 2019 da namy0000
 

‹‹Quando viene abbandonata la legge di Dio, la legge dell’Amore, finisce per affermarsi la legge del più forte sul più debole. Il peccato che abita nel cuore dell’uomo (cfr Mc 7,20-23) – e si manifesta come avidità, brama per uno smodato benessere, disinteresse per il bene degli altri e spesso anche per il proprio – porta allo sfruttamento del Creato, persone e ambiente, secondo quella cupidigia insaziabile che ritiene ogni desiderio un diritto e che prima o poi finirà per distruggere anche chi ne è dominato››. Ma il cristiano, come sottolineava don Giovanni Battista Montini nel 1929, guarda al mondo non come ad abisso di perdizione, ma come a un campo di messe. Un campo dove si semina senza la certezza di essere noi a raccogliere. Bisognosi di una mano che ci risollevi, assetati di perdono e misericordia, cioè dell’essere guardati come Gesù guardava le persone che incontrava.

Il segno della cenere sul capo ci invita a essere coscienti del nostro peccato, a non inorgoglirci, a non salire mai in cattedra, a non accusare gli altri e a farci carico della ferita del peccato e dei peccati nella Chiesa… Solo a partire da questa coscienza i cristiani possono dare testimonianza del Vangelo. Non si annuncia il Vangelo con i proclami, con la sterile e indignata denuncia, né con le strategie di marketing. Lo si annuncia incarnando ‹‹più intensamente e concretamente il mistero pasquale nella vita personale, familiare e sociale››. (papa Francesco, 2 marzo 2019)

 
 
 

Storie ordinarie

Post n°2953 pubblicato il 05 Marzo 2019 da namy0000
 

Pochi giorni fa, linea 649 di Roma, direzione Termini, primo pomeriggio. A una fermata salgono i controllori. Subito puntano due giovani immigrati. Soggetti sospetti o direttive precise? Non hanno il biglietto. Sbagliano, sicuramente. Scena già vista. Ma ecco una novità, un gesto che illumina per un attimo la scena. Una signora si fa avanti. 'Gli dò io i biglietti, eccoli'. Un piccolo gesto di generosità. Per sanare una piccola irregolarità. E poi gli immigrati sono appena saliti, proprio assieme ai controllori. Ma il bel gesto non basta. Niente da fare. 'Signora lasci perdere, non si può', è l’inflessibile reazione.

Poi la consueta e corretta richiesta dei documenti agli immigrati, come si fa per tutti, le difficili spiegazioni. I passeggeri osservano in silenzio. Nessuno accusa gli immigrati, nessuno infierisce, nessuno chiede che siano puniti. Nessuna parola razzista, nessun gesto intollerante. E anche questo è un segno di umanità. Forse solo un barlume, ma c’è. Solo un signore reagisce, si qualifica. È un uomo delle forze dell’ordine, intima agli immigrati di seguirlo. Per due biglietti non pagati? Un inutile e esagerato gesto di 'potere'. Brutto, davvero brutto. Cambia l’ora, cambia la linea e cambia la storia. È tarda sera e il 360 corre veloce verso il capolinea di piazza Zama, quartiere Appio Latino. Fermata dopo fermata l’autobus si svuota. Giunto al termine, anche io vado verso l’uscita ma l’occhio corre verso il fondo dell’autobus. C’è uno zaino a terra. Guardo meglio. Una ragazza dorme su un sedile dell’ultima fila. Non si è accorta che siamo arrivati. Scendiamo ma la 'curiosità' del giornalista non mi fa allontanare. Con discrezione osservo.

Mi aspetto una scenata dell’autista. Già vista tante volte. Invece si avvicina, sveglia dolcemente la ragazza. Poche parole. 'Parte quello davanti', dice indicando l’autobus parcheggiato. Evidentemente ha capito che la ragazza, italiana, vuole passare la notte sugli autobus. Non ha un tetto e almeno qui non fa freddo e tra capolinea e capolinea può anche dormire un po’. Non le chiede di scendere, non le chiede il biglietto. Ha capito in un attimo una storia di emarginazione. Sicuramente ne ha viste altre come del resto, da utente, anche io. Storie di vita da capolinea a capolinea, di chi non ha nulla se non uno zaino o qualche busta di stracci. La ragazza capisce che non viene cacciata, che può riprendere il suo sonno notturno sotto un tetto viaggiante. Scende in silenzio. Posa lo zaino a terra. Si nasconde tra due auto, per poi salire sull’altro autobus.

Anche questa è la vita dei senza dimora, dura e senza vergogna, che scandalizza, dà fastidio, muove a solidarietà. Una vita dove la strada è tutto, anche il bagno, e un autobus diventa l’unico ricovero possibile in una città che non sa o non vuole accogliere. (Avvenire, 4 marzo 2019)

 
 
 

Espulso da scuola

«Avevo otto anni quando il maestro mi chiamò alla cattedra. Pensavo volesse interrogarmi, ero preparato, mi piaceva la scuola. E invece, amareggiato, mi disse: "Sami Modiano, sei espulso della scuola". Mi cadde il cielo in testa. "Scusi, perché, qual è il motivo?". Il maestro mi asciugò le lacrime e mi disse: "No, tu non hai fatto nulla di male, vai a casa e te lo spiegherà papà". Sono passati 80 anni, ragazzi, ma quel giorno me lo ricordo come fosse ieri». L'ampio ingresso della sede di via Boncompagni del Liceo Augusto Righi oggi è affollato dai ragazzi del primo e secondo anno, che ascoltano in un silenzio assoluto la testimonianza, drammatica e preziosa, di uno degli ultimi sopravvissuti ad Auschwitz

Con l'espulsione dalla scuola nel 1938, anno in cui entrano in vigore le leggi razziali, comincia dunque per Sami Modiano, ebreo della comunità di Rodi, l'isola del Dodecanneso conquistata nel 1912 dall'Italia, la lenta discesa nell'infermo delle persecuzioni razziali, che culminerà con la deportazione nel lager costruito dai nazisti in Polonia dove persero la vita un milione e mezzo di ebrei.

Sami, che a 12 anni aveva perso la mamma malata di cuore, vedrà morire ad Auschwitz-Birkenau la sorella Lucia, più grande di lui di tre anni, e papà Giacobbe. «Lucia era bellissima e dopo la morte di mia madre Diana era diventata lei mia mamma. Così pure papà, che aveva raddoppiato l'affetto e la tenerezza. Un uomo di cultura che suonava il violino e amava la Tosca e la Traviata». Ad Auschwitz-Birkenau Sami, alto e robusto per i suoi 14 anni, verrà risparmiato dalle camere a gas perché giudicato adatto al lavoro da schiavi nel campo di sterminio. Sopravviverà fino all'arrivo dei soldati russi dell'Armata Rossa, la mattina del 27 gennaio 1945. Per decenni Sami rimuove quella tragedia, non ne parla, non la racconta. Ma lo tormenta il rimorso di non aver meritato la vita che è invece stata tolta ai suoi amatissimi familiari. Finché, una quindicina di anni fa, coi primi "viaggi della memoria", capisce perché lui ce l'ha fatta. E lo ripete sempre: «È come se chi è scomparso mi dicesse: "Sami, sei sopravvissuto a quell'inferno per raccontare la nostra storia"».

Ed è quello che, a 88 anni, Sami continua a fare, come oggi qui in un liceo romano, per perpetuare la memoria e contrastare i germi dell'intolleranza e del razzismo. Che in Italia cominciò con l'espulsione di tutti gli ebrei dalla vita pubblica. Anche di un bambino dalla scuola. «Espulso perché ebreo. Non lo capii a 8 anni, non lo capisco a 88. È stato così doloroso che ancora me lo porto oggi. Ma sono diverso? Ragazzi, ho sei dita? Ho due nasi? Ditemelo». E timidamente i liceali sussurrano i loro increduli «no».

La situazione per gli ebrei di Rodi precipita dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, quando l'isola italiana rimane senza ordini e i nazisti occupano l'isola perché ne intuiscono il valore strategico. «La comunità ebraica, duemila persone, viveva già con grande difficoltà la persecuzione e la guerra. Ma l'occupazione tedesca fu la cosa peggiore che ci potesse succedere. E infatti la decisione finale arriva il 18 luglio 1944 - ricorda il sopravvissuto - quando i tedeschi con l'inganno ci rinchiudono in una ex caserma italiana. "È un semplice controllo dei documenti, portatevi un fagotto con un po' di vestiti e di cibo. E tutti gli oggetti di valore. Sarà un viaggio per portarvi a lavorare". Mai avremmo potuto immaginare i campi di sterminio». (Avvenire, 4 marzo 2019)

 
 
 

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