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Messaggi del 19/01/2021

"Il Suo regno"

Post n°3511 pubblicato il 19 Gennaio 2021 da namy0000
 

Il suo regno

È una parola rilevante.

Che regno sarà “il suo”? nei vangeli di parla spesso del regno dei cieli o del regno di Dio, come pure del Regno del Padre e del Regno del Figlio. Essendo il Padre e il Figlio una cosa sola, come dice Gesù stesso nel Vangelo secondo Giovanni, non ci sono due regni, ma il Regno è unico.

Perché Gesù ha usato questa parola?

Noi abbiamo esperienza di regni che sono la disperazione, la fonte di sofferenze e di ingiustizie, perché in essi c’è chi comanda con violenza, usando costrizione, facendo leva sulla paura: te la procurano appositamente. Noi speriamo sempre in un regno migliore, quindi nell’arrivo di un re diverso, che abbia un po’ di cuore, ma il più delle volte questa speranza finisce in gravi delusioni. I regni, nella storia recente, sono stati sostituiti dai governi cosiddetti repubblicani e democratici, sperando che le cose andassero meglio. Ma gli uomini, chiamali re o chiamali presidente, sono sempre uomini influenzati dal peccato, cioè dall’egoismo o dagli egoismi.

Che differenza c’è tra i regni umani e il regno dei cieli?

Il “regno dei cieli” prevede come capo non un uomo, ma Dio-Amore stesso, o colui che Dio-Amore manda per formare una convivenza dove noi possiamo stare insieme in modo che risplenda il Suo Amore, la Sua Misericordia, la Sua Fedeltà, e la Sua Giustizia, sana e santa. In questo regno, ovviamente, non sono previste né violenza né inganno,, nemmeno discordie o avidità, né soprusi di qualsiasi genere; in esso non ci sono fabbriche di armi e nemmeno veleni. Nel regno dei cieli tutti intendono vivere come fratelli, dove uno gode del bene dell’altro più del proprio. Dato che di questo regno fanno parte quelli che ubbidiscono a Gesù, il re che testimonia l’Amore del Padre di tutti, questo regno non ha confini, non ha soldati, non ha funzionari che comandano. In esso ci sarò anch’io, e ci sarai tu, come srvi che fanno a gara a servire, come nella casa di cui parla la parabola del padrone senza dire quando tornerà (don Vigilio)

 
 
 

Il problema non sono i chilometri

Post n°3510 pubblicato il 19 Gennaio 2021 da namy0000
 

2021, Avvenire 17 gennaio.

Migranti. Soufi, l'attivista sulla Rotta Balcanica con i suoi compagni di viaggio

Catanese di origine marocchina, testimonia abusi e porta aiuti. Questa volta è partita dalla frontiera tra Grecia e Albania per raccontare quello che accade, "mettendo in gioco il proprio corpo"

Prima di mettere piede nell’inferno della Bosnia, se ne attraversano altri, con gli animi e i corpi già fiaccati da lunghi mesi nei campi greci, passati a ripetersi che non è possibile che quella sia davvero l’Europa.

Più o meno tutti i viaggi lungo la Rotta balcanica iniziano dalla città greca di Salonicco. Da lì si punta alla frontiera con la Macedonia o a quella con l’Albania. Proprio verso quest’ultima si è diretta, il 29 dicembre, Nawal Soufi, attivista indipendente catanese di origine marocchina, da anni sui fronti più caldi delle rotte migratorie, facendo quello che può, testimoniando abusi e dando una mano con aiuti concreti, cibo, vestiti, corse in ospedale.

Raccontare quello che accade 'mettendo in gioco il proprio corpo' è stata l’idea con cui ha iniziato il suo viaggio lungo la Rotta Balcanica, decisa a percorrerla insieme a chi avrebbe incontrato sul cammino, famiglie o ragazzi soli di diverse nazionalità. La notte di Capodanno l’ha trascorsa in una stazione di polizia, braccata alla prima frontiera, insieme ai compagni di viaggio. «Quando la polizia albanese ci ha raggiunto sul confine, alcuni del gruppo hanno cercato di scappare, così sono partiti diversi colpi di arma da fuoco – racconta – Ho visto un poliziotto puntare la pistola dritto contro di noi, non in aria. L’ha puntata a noi, poi l’ha sollevata in alto e ha sparato». Una volta di là, senza più i compagni rimandati indietro, ha proseguito con altri migranti già incontrati a Lesbo. Il nuovo gruppo è stato avvicinato dai trafficanti: «Si fanno avanti e spremono denaro in cambio di passaggi in auto. Noi abbiamo continuato a piedi».

 

Quando si è in prossimità delle frontiere le notti si trascorrono sempre all’aperto. «È quando arriva il freddo vero. Di notte non si dorme, si cerca di trovare qualche ora di riposo di giorno, perché addormentarsi al gelo è pericoloso, si rischia di non svegliarsi più. Per questo si dorme di giorno, vicino a chiese o moschee e nei cimiteri, perché lì c’è sempre acqua, si può bere e lavarsi un po’».

Una volta raggiunti i centri urbani maggiori è più facile trovare un ostello o una casa, «magari utilizzando siti web di prenotazione, dove si paga per un appartamento per più persone e viene richiesto il documento di uno solo, se almeno un documento c’è».

La seconda frontiera è stata quella tra Albania e Kosovo: altri trafficanti si sono fatti avanti. «Da un’auto sono scesi sei ragazzi. Insistevano per il passaggio, e al nostro rifiuto hanno iniziato a chiederci tutti i soldi che avevamo. C’è stata una colluttazione. Poi un faro puntato chissà da dove ci ha investiti. Così loro si sono dileguati».

Ci sono giorni in cui si cammina 12 ore, ma, prosegue l’attivista, «il problema non sono i chilometri. Ogni volta che si avvista una luce ci si deve fermare, nascondersi nella boscaglia, al freddo. Le luci sono le nemiche di chi viaggia in questo modo. Si deve fare attenzione ad accendere una sigaretta, o al bagliore del telefono quando si usa il Gps».

 

Superato il Kosovo, Nawal Soufi è entrata in Serbia. Da Belgrado ora progetta l’ingresso in Bosnia, dove ha deciso che si fermerà. Le chiediamo che cosa ci si racconta, tra compagni di viaggio, condividendo giornate e lunghe notti. «Ci si scambiano storie. Ma chi è in viaggio non pensa sempre al proprio dolore, i ragazzi scherzano molto su quello che stanno vivendo, persino sulla morte».

Lo scherzo, però, finisce quando la conversazione cade sul ricordo di chi è rimasto indietro o non c’è più: «Ci è capitato di ascoltare il racconto di due ragazzi che viaggiavano in senso opposto al nostro, tornavano indietro dopo un anno e mezzo in Bosnia. In un fiume un loro compagno era morto. Per i migranti che erano con me è stato penoso ascoltarli. In quel momento le due facce della stessa storia si sono incontrate, la speranza di chi era appena partito e la disperazione di chi già tornava».

 
 
 

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