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Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi del 16/03/2024

Padre di strada. Buona festa del papà

 

2024, Scarp de’ tenis, dicembre

Caro Babbo. Se vieni a Natale, ti porto sulla 90

Caro Babbo Natale, sono Franco. No, non il piccolo Franco, uno di quei bambini che ti aspettano per i regali davanti al caminetto di casa. Sono il Franco nato a Novara 62 anni fa, adottato a 9 mesi, cresciuto e sempre vissuto in una cittadina di provincia pedemontana, sposato, due figli, vita laboriosa da informatico con diploma da geometra e un curriculum di quattro pagine. Magari con tutte le richieste che ti arrivano per lettera e per mail hai bisogno di qualcuno che ti rimetta in ordine il pc.

Vita ordinaria fino al divorzio, caro Babbo, una dozzina di anni fa, troncando ho lasciato casa all’ex moglie, tanto a Milano avevo una compagna e riuscivo a dare una mano nella sua lavanderia, anche perché la ditta per cui lavoravo da sempre era fallita e il tentativo di provare ad aprire un negozio tutto mio non ha funzionato. Galleggiavo tra la sua casa e la lavanderia, ti dicevo, fino a che anche la nuova relazione si è interrotta. Niente più lavoro, né reddito, nessuna possibilità di pagare il nuovo affitto, inesorabile piano inclinato verso lo sfratto. Giunto puntuale a settembre, anno di disgrazia 2017. Casa amara casa.

Sono finito in strada, e non ne sapevo nulla. Non ero allenato a quel mondo nascosto che ancora oggi è il mio mondo, anche se sto provando a risalire, ma ne riparliamo prima dei saluti. Da settembre a novembre panchine, marciapiedi, androni, pernottavo senza metodo dove capitava. Cominciava a far umido e qualcuno mi disse del Rifugio Caritas di via Sammartini, nel suo genere un cinque stelle, peccato poterci rimanere solo qualche mese. Poi sono venute le notti a Ortles e siccome non mi sono mai abbattuto, di giorno mi facevo 12 chilometri a piedi ispezionando la città da misuratore di contatori d’acqua della MM, peccato che non mi abbiano rinnovato il contratto. E poi altri piccoli alloggi soprattutto durante il grande letargo da Covid, un anno e mezzo di sonni senza sogni sulla 90, sempre sia resa lode ai bus notturni, ci torno anche adesso, quando non posso di meglio.

Caro Babbo che vuoi che ti racconti della Milano di strada? Non c’è più la nebbia, l’avrai già notato slittandoci sopra negli ultimi anni, in compenso disorienta la coltre di indifferenza che ammanta i piani bassi, la gente di guarda con un altro occhio, quando sei reduce dagli scantinati della metropoli, e dico occhio al singolare perché quasi tutti voltano proprio la faccia, per evitare di guardarti. Forse ai tempi della mia esistenza benestante lo facevo anch’io con quelli che erano ruzzolati prima di me, ma adesso so che anche qui sotto, nei piani bassi, ci sono persone, siamo persone. E abbiamo fame e sete, anche di uno sguardo diverso.

Però non mi lamento, ormai conosco i posti caldi, le panchine giuste, le file turbolente alle mense generose. A Milano si può morire di gelo d’inverno o di afa d’estate, ma nessuno morrà mai di fame. Non mi lamento perché ho scoperto sulla mia pelle che parlando risolvi molte piccole questioni della tua giornata, e così mi sono fatto gli amici giusti, persone fidate che, come me, provano a darsi stimoli, a coltivare relazioni, a porsi minimi obiettivi per non mollare psicologicamente, sennò si precipita nel degrado di se stessi. Lo vedi, non ho vestiti firmati, ma riesco a tenermi in ordine.

E allora se dovessi chiederti un regalo, caro Babbo, per Milano domanderei meno microviolenza e meno macroarroganza. Sulla 90 vedi gente malandata che si accapiglia per un niente, e dall’altro sedile ti squadra il sciur perbene disprezzandoti con lo sguardo nella convinzione che tu, cioè io, sia quello che sono oggi, il reietto.

Per il mondo non ce la faccio a chiedere la pace, lo so che dovrei, sarà scritto in tutte o quasi le lettere che ti spediscono. Lo so che israeliani e palestinesi si stanno massacrando, ricevo una valanga di newsletter sul telefonino che è il mio ancoraggio al mondo e quando per due volte me l’hanno fregato mi sono sentito perso. Ma è un tema troppo lontano. Sì, mi piacerebbe che la pace fosse davvero per tutti, ma io anzitutto devo pensare a fare pace con il mio domani. E allora per me, Babbo, non voglio la luna, è troppo lontana. Mi basterebbero due cose: una casettina, ma proprio ina ina, un punto fermo dove possa dormire sicuro e caldo, e stare da solo se voglio stare da solo e invitare un amico se voglio invitare un amico. Certo, Milano ha prezzi folli, però io chiedo un angoletto. Perché la cosa che mi fa più male è quando incrocio uno per strada che si mette la mano in tasca, estrae un mazzo di chiavi, ne infila una nella toppa e apre il portone. E perché io no?

E poi, amico Babbo, avrei ancora voglia di lavorare, quindi per ora ringrazio il cielo di avere Scarp, ecco l’altra faccenda di cui volevo parlarti, che mi occupa metà della settimana, qualche volta la vendita va bene, altre meno, ma vuol dire avere un impegno e uno stimolo, e qualche gruzzolo in tasca per alcune notti in ostello o per la pizza quando, due-tre volte l’anno incontro i miei figli che non sanno di avere un padre di strada.

Avevo detto due cose, Babbo, ma ce ne sarebbe una terza. Ho sempre costruito modellini, con qualsiasi materiale, aerei,vascelli, l’ultimo una Ferrari in scala 1:8, cento fascicoli, ci ho messo due anni, è stata un’impresa avvincente, paziente, metodica. Sarebbe sì un bel regalo di Natale: ma torniamo al problema del posticino dove costruirlo e poi lasciarlo, il modellino. Alla fine, caro Babbo, permettimi una domanda irriverente. A te, che non so se è davvero così, ma ti disegnano così, con una cascata di peli bianchi lunga il quadruplo della mia, ti hanno mai detto barbone? A me in faccia no, ma sono sicuro che il sciurun della 90 dentro di lui mi apostrofa così. Magari se vieni a Milano a Natale ti fai un giro con me, sul notturno. E spargi per le strade di questa città la polverina fine, svolazzante e scintillante di un po’ di fraternità. Allora ti aspetto. Tuo Franco.

 
 
 

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