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Messaggi di Gennaio 2023

I "suoi giornali"

Post n°3822 pubblicato il 15 Gennaio 2023 da namy0000
 

2023, Avvenire 14 gennaio

A 90 anni in Sudafrica. Frans del deserto che fa e vende e fa vivere giornali

A Dio piacendo, anche questo giovedì Frans Hugo, 90 anni, salirà nel cuore della notte sulla sua Fiat Doblò arancione e andrà nel deserto sudafricano a consegnare i giornali. I “suoi giornali”. Ad accompagnarlo avrà un thermos col caffè, qualche uovo sodo e un asciugamano per riparare le gambe nude dal sole cocente.

Per età, passione e importanza di ciò che fa, Frans Hugo sembra l’emblema del buon vecchio giornalismo. Anche il fatto che porti notizie nel deserto rimanda alla mente il mestiere che facciamo, in bilico tra vecchio e nuovo, tra responsabilità e business sempre più faticoso, tra intelligenze artificiali che scrivono articoli in pochi secondi e lettori che sempre più spesso vanno di corsa e si accontentano (per fortuna, non tutti e non certo quelli di “Avvenire”) di notizie veloci e/o superficiali.

Frans Hugo è un giornalista. Un giornalista editore. La sua storia è stata raccontata da AFP e da Voice of America (VOA), la più grande emittente internazionale statunitense. Hugo ha lavorato per quasi 30 anni come giornalista a Cape Town e poi in Namibia prima di ritirarsi a Calvinia, un paesino di 2.850 anime, perché era stufo della vita frenetica. Mentre scrivo queste righe guardo fuori dalla finestra della redazione e vedo una fetta di Milano. Più calma della media della città, ma che farebbe impallidire per il caos il nostro Frans. Il distretto di Calvinia, dove abita lui, ha una densità abitativa di 22 persone per chilometro quadrato contro quasi 8 mila di Milano.

Un altro mondo. Un altro continente. Un’altra vita, per certi versi. Eppure, quando, qualche anno fa, l’editore di tre giornali locali è andato da lui, chiedendogli di rilevare la sua attività perché si sentiva vecchio e stanco, il già ultraottantenne Frans Hugo (che avrebbe voluto godersi solo la pensione) ha detto subito di sì. E da allora, ogni giovedì, parte di notte per portare lui stesso le 1.300 copie che stampa o nei piccoli negozi sparsi nel deserto che fanno anche da punti vendita per i suoi giornali o nelle case di alcuni collaboratori, i quali poi le venderanno.

Milletrecento copie sarebbero già poche per fare sopravvivere una testata. Ma la tiratura di Hugo vale come totale di ben tre testate storiche, da lui rilevate: The Messenger, Die Noordwester e Die Oewernuus. La prima è stata fondata nel 1875, le altre due nel 1900. Tutte e tre sono scritte quasi interamente in afrikaans, la lingua dei discendenti dei coloni olandesi. Milletrecento copie, viste da qui, sembrano un’inezia. Tanto più che vengono vendute a otto rand (circa 50 centesimi di dollaro Usa). Per un incasso settimanale di seicentocinquanta euro molti di noi non uscirebbero nemmeno di casa. Figurarsi fare centinaia di chilometri nel deserto dalle 1.30 del mattino a tarda sera per portare notizie soprattutto agli agricoltori che vivono in zone sperdute. Ci giustificheremmo dicendo: ormai c’è internet. Proprio come hanno fatto la figlia e il genero di Hugo, che lui aveva coinvolto nell’avventura ma che hanno lasciato perché era troppo faticosa. Oggi al suo fianco ci sono la moglie e tre collaboratori. Quando gli chiedono come vede il futuro del giornalismo di carta, Hugo risponde: «Non ho idea di cosa accadrà, ma non sono preoccupato. Quello che so è che, fino a quando avrò la forza, porterò le notizie nel deserto a persone che altrimenti saprebbero molto poco della loro comunità». In fondo, una delle cose più nobili del giornalismo è proprio questa: curarsi a ogni costo della comunità dei lettori. Sapendo che la rete Internet è potentissima, sapendo che i giornali di carta un giorno potrebbero anche sparire, ma combattendo lo stesso con tenacia e passione una disarmata ma motivatissima battaglia. Anche a 90 anni. Anche nel deserto.

 
 
 

In morte di fratel Biagio

Post n°3821 pubblicato il 14 Gennaio 2023 da namy0000
 

2023, don Maurizio Praticiello, Avvenire, 13 gennaio

In morte di fratel Biagio Conte, un francescano d'Assisi siciliano

Fratel Biagio è morto? No, questa è una menzogna. Fratel Biagio è vivo, più vivo che mai, adesso che è volato via da questo mondo. Lo incontrai, ci incontrammo. Insieme ci calammo nelle acque pure del Vangelo e della preghiera per tentare di dissetare l’arsura che ci portiamo dentro. Quel giorno, come sempre, avevo pregato: «Manda, Signore, un angelo sul mio cammino». E l’angelo, ancora una volta, arrivò. Aveva un volto pulito, incorniciato da una barba incolta che gli dava l’aspetto di un antico patriarca; un sorriso largo, sereno, leggero. E degli occhi stupendamente verdi. «Come sono belli gli angeli», pensai. E mi misi alla tua scuola. L’angelo non va ostacolato, ma ascoltato, seguito. Quante volte ero stato ad Assisi? Quante volte avevo desiderato di poter essere stato contemporaneo di Francesco? Quante volte avevo sostato e sognato davanti al suo saio, ormai quasi ridotto in polvere? Un giorno lo incontrai sul mio cammino, Francesco. Si chiamava Riccardo. Chiedeva la carità di un passaggio in auto. Incuriosito, mi fermai. Mi riportò alla fede. Poi, come un’aquila alla quale va stretto il nido, volò verso un Paese da cui tanti fratelli scappano. A servire un popolo che tanti potenti affliggono. A farsi povero per loro e con loro. Oggi lo vedo poco. La Tanzania è lontana. Rimane l’affetto, la riconoscenza, la collaborazione, la nostalgia. Il desiderio e il bisogno di essere scandalizzato ancora dalla radicalità dei coraggiosi.

E arrivasti tu, Biagio. A ricordare a me, alla Chiesa, al mondo, che l’Amore vero non conosce le mezze misure; che gli innamorati sanno osare, rischiare, mettersi in gioco, sfidare il destino. Sempre eccessivi, sempre presenti. Sei stato un ingordo, frate. Hai affollato quella schiera di uomini e donne che non si accontenta mai. Che guarda continuamente oltre l’orizzonte. Che non ha paura di niente, nemmeno del peccato. Che non si ferma nemmeno davanti all’evidenza. Milioni di persone muoiono di fame. Avresti voluto sfamarle tutte, ma non ti era possibile. Non ti sei arreso. Hai dato da mangiare ai poveri di Palermo. Confidando in Dio. Fidandoti della Provvidenza. Ai poveri di pane si aggiunsero i poveri di cuore, i poveri di spirito, i poveri di vita. Non ti sei scagliato con rabbia contro i rapinatori dei forni altrui, li hai cercati, li hai trovati, li hai aiutati a non perdere la speranza, la dignità, la fede. Sei stato, Biagio, un calcio negli stinchi per tanti tiepidi come me.

Il Francesco di Assisi siciliano del nostro tempo. Com’è bella la nostra santa madre Chiesa, frate. Questa grande famiglia dove c’è posto per tutti, santi e peccatori e peccatori trasformati in santi. Così simili, così diversi, così normali, così strani, così originali. Sei volato via a pochi giorni di distanza da papa Benedetto. Le differenze tra te e lui, tra la tua vita e la sua, saltano agli occhi. Eppure quanto vi somigliate. Con strumenti diversi e diverse voci, insieme avete cantato la serenata a chi vi aveva rapito il cuore. Che state facendo, adesso? Quale inenarrabile Mistero stanno contemplando i vostri occhi? Biagio, Benedetto, fratelli di tutti, pregate per noi.

Alla Sicilia, cui la mafia stupida e assassina, ha fatto tanto male, ha strappato tante vite, il Signore ha voluto regalare un uomo buono, semplice, spoglio, indifeso, ricco della sua sola povertà. Un uomo con le braccia larghe, lo sguardo lungo, il cuore senza confini. Non hai disprezzato niente dei doni che Dio ha dato agli uomini. Hai voluto condividerli con i poveri. In fondo – permettimi – sei stato lo scaltro del vangelo. Hai capito che la gioia non viene dal possesso e dal potere, ma dal servizio che si rende alle persone, soprattutto quelle che sanno gioire per le piccole cose. Quanto pane hai spezzato agli affamati? «Entra, benedetto dal Padre». A quanti ignudi hai offerto un mantello e un tetto perché non morissero di freddo e di vergogna? «Entra, benedetto dal Padre» Fratel Biagio, Pino Puglisi, Rosario Livatino, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino. Doni immensi della Sicilia del nostro tempo alla Chiesa e al mondo. Prega per noi, frate. Continua ad essere l’angelo che ognuno desidera incontrare. Grazie per averci ricordato che «alla sera della vita ciò che conta è avere amato». Ottienici il dono della perseveranza, perché, come te, non ci stanchiamo di fare sempre e solamente il bene.

 
 
 

Addio fratel Biagio

2023, Avvenire 12 gennaio

La scomparsa. Addio a fratel Biagio Conte, anima buona di Palermo

Il missionario laico, malato da tempo, ha speso la vita per gli ultimi e per il Vangelo. L'omaggio della sua città nelle ultime settimane.

Biagio Conte ha chiuso gli occhi in pace, stamattina, accompagnato dalle preghiere nella Missione ‘Speranza e carità' a Palermo, cullato da tutto l’amore che ha seminato, in favore degli ultimi, nella sua vita terrena, che adesso ritorna in forma di benedizione.

Il missionario laico che lottava da tempo contro una gravissima forma di tumore si è spento a 59 anni nella stanza-infermeria della Cittadella del povero e della speranza in via Decollati, una delle zone più difficili della città. Con lui c’erano i compagni di viaggio più fedeli e quelli che lui chiamava ‘i miei fratelli ultimi’, di cui scelse di occuparsi, dismettendo i panni del rampollo di una famiglia benestante e decidendo di sposarne la causa, condividendo ogni loro affanno. Don Pino Vitrano, il sacerdote che l’ha sempre accompagnato, celebrando una Messa che ha visto la presenza dello stesso fratel Biagio, nonostante la gravità delle sue condizioni di salute, qualche giorno fa, ricordava: «Dopo il primo pellegrinaggio ad Assisi, sulle orme di San Francesco, si dedicò ai poveri di Palermo. Una sera passò dalla stazione, vide persone che dormivano all’addiaccio. Tornò a casa, prese un thermos, un Vangelo, un sacco a pelo e li raggiunse. Ai suoi genitori disse semplicemente: “Ora so quello che il Signore vuole da me”. Poi fondò la Missione di via Archirafi».

Fu il primo passo di una esistenza spesa per il prossimo, erano gli anni Novanta. Dopo sarebbero arrivate la Missione femminile e la Cittadella di via Decollati che possono accogliere, con via Archirafi, circa mille persone, sottratte al bisogno e alla strada. “Ogni comunità – si legge sulla pagina Facebook - è dotata di una cucina e di una mensa dove vengono distribuiti tre pasti al giorno (complessivamente circa 2.400 pasti al giorno); è inoltre garantita un’assistenza medica e farmaceutica per tutti i fratelli accolti e dei servizi docce e vestiario”.

Biagio Conte ha dedicato tutto se stesso al suo progetto di solidarietà senza compromessi. Non ha mai risparmiato il suo fisico, con proteste estreme e digiuni, per pungolare l’indifferenza di troppi davanti alla povertà. Nell’agosto del 2021 aveva lanciato un messaggio durissimo e limpido: «Siamo diventati responsabili e fautori nel produrre nuove povertà, nuove emarginazioni, disagi mentali, depressioni, suicidi e nuovi senza tetto e profughi lasciati alla deriva. È chiaro che chi parla con questi toni non sempre è gradito, per questo toglierò il disturbo, cercando di non essere più assillante e invadente, come pensa una parte di questa malata società; ma un giorno la verità verrà a galla. E così ho sentito di ritirarmi in montagna e nel silenzio (dal giorno 9 luglio, sono ad oggi 40 giorni), finendo e portando a termine gli ultimi giorni che il buon Dio mi ha concesso in questa travagliata vita terrena».

Dopo, era rimasto nella sua trincea del bene, con i pellegrinaggi, i viaggi sterminati a piedi, il cammino con la croce, per essere, insieme, un segno di contraddizione e di speranza.

La notizia della sua morte è stata accolta da grande commozione. Messaggi sono arrivati dal presidente Mattarella, dal presidente della Regione Sicilia Schifani, dal sindaco di Palermo Lagalla.

L'arcivescovo del capoluogo siciliano, monsignor Corrado Lorefice, che aveva fatto visita a fratel Biagio nei giorni scorsi, ha chiesto a tutti di "raccogliere il testimone di un esempio così fulgido. La sua vita, segno per l'intera città degli uomini, manifesta la fede in Dio alimentata dal Vangelo, la speranza vissuta nella radicale povertà e la carità senza limiti che contribuisce alla trasfigurazione della convivenza umana a partire dai più poveri".

I funerali saranno celebrati in Cattedrale martedì prossimo, alle 10.30, da monsignor Lorefice. La camera sarà aperta nel pomeriggio proprio nei locali della Cittadella dei poveri in via Decollati. Il sindaco Roberto Lagalla ha proclamato il lutto cittadino da oggi sino al giorno dei funerali. Bandiere a mezz'asta nelle sedi istituzionali e nelle scuole di ogni ordine e grado.

 
 
 

Quanti miracoli intorno al presepe

Post n°3819 pubblicato il 09 Gennaio 2023 da namy0000
 

2022, Scarp de’ tenis, dicembre

Quanti miracoli intorno al presepe!

Non so se l’avessero chiamato Marzio perché era nato di martedì oppure perché la nonna abitava in via Anco Marzio. Certo il papà e la mamma non ne sapevano niente del tremendo Marte, mitologico dio della guerra. Non che papà e mamma fossero gente pacifica, anzi, le discussioni in casa erano sempre piuttosto aspre. Papà era fissato con le arti marziali. La mamma era un po’ distratta, sembrava una marziana che aveva sbagliato indirizzo.

Il piccolo Marzio era cresciuto in quella confusione.

Tra i suoi compagni era il più alto, il più grosso, il più forte. Si era reso conto presto che, come suo padre gli aveva detto più volte, «prima cosa: farsi rispettare, con le buone o con le cattive». Diciamo che Marzio si era specializzato con le cattive. Era un bullo. Non solo si faceva rispettare, faceva anche paura. Pretendeva. Aveva addirittura un certo strano gusto per far piangere i più piccoli, minacciandoli: «Adesso ti do un pugno, ma se lo dici a qualcuno te ne do dieci! Attento…».

I professori avevano notato le prepotenze di Marzio e della piccola banda di monelli che gli stava sempre intorno, ma non davano loro tanta importanza. Ragazzate… Soliti bisticci di classe. Nessuno si lamenta, del resto…

Giacomo, in classe, quasi non si notava. Non lo si notava neppure in cortile: aveva gli occhiali spessi e non poteva fare granché. Era intelligente, si diceva addirittura che scrivesse poesie! Da non crederci: poesie, in prima media?! Giacomo non si notava. Però lui, a quanto pare, osservava tutto.

Certo soffriva di non essere notato, né dalle ragazze né dai compagni.

Non si sapeva dove avesse trovato il coraggio, ma un giorno, mentre tornava da scuola, si affiancò a Marzio e gli fece un discorso tremendo.

«Non so perché, caro Marzio, tu non voglia farti amare da nessuno. Hai forse l’impressione di essere sbagliato? A dire la verità, anch’io mi sento un po’ sbagliato, ma mi piace avere degli amici. Se tu non fossi così scemo, vorrei essere tuo amico. Tu non hai amici veri: quelli che stanno con te lo fanno per interesse o per paura. Gli altri stanno alla larga il più possibile».

Marzio restò interdetto. Sì, era figlio di una marziana e di un esperto di arti marziali, ma di certo non era stupido.

Naturalmente fu di martedì che Marzio si presentò a casa di Giacomo: «Mi hai detto che vuoi fare il presepe. Con i tuoi occhi rovinati non puoi occuparti di fili elettrici e di impianti per far correre l’acqua nel torrente del presepe. Tu pensa alle poesie. Io penserò all’impianto».

Divennero amici. E persino Marzio divenne amabile, anche se cambiò scuola.

Quanti miracoli avvengono intorno al presepe!

 
 
 

In cammino con Maria

2023, Avvenire, 1 gennaio

Io, in cammino con Maria fin da bambino

Gad Elmaleh, attore comico francese e regista, ha girato il film Reste un peu, uscito nelle sale il 16 novembre scorso. Il suo cammino spirituale verso la fede cristiana e la sua ammirazione per la Chiesa cattolica, pur essendo di fede ebraica. Nel film ripercorre la sua storia d’amore con la Vergine Maria, iniziata con un misterioso incontro con lei da piccolo, a Casablanca, in Marocco, suo Paese natale.

Era bambino e passava davanti a una chiesa in cui la sua famiglia gli aveva proibito di entrare perché si diceva portasse sfortuna. Quando vide quella statua di una donna che gli sorrideva dalla porta aperta del tempio, pianse di gioia e poi non stava nella pelle per rivederla ogni giorno. Era il simulacro di Nostra Signora di Lourdes, nell’anonima chiesa a Casablanca, ma se ne sarebbe accorto solo in seguito, portando sempre quell’immagine nella sua memoria.

Questo amore segreto, custodito nel cuore per molti anni, ha assunto un nuovo significato nell’agosto 2019, quando è stato invitato a vedere il musical Bernadette a Lourdes, diretto dall’amico Roberto Ciurleo nei pressi del santuario mariano sui Pirenei. Da allora, una piccola statua di Nostra Signora di Lourdes lo accompagna ovunque, e questa presenza materna lo ha portato a scoprire Cristo e il suo corpo, la Chiesa.

«Dopo le proiezioni si accendono discussioni. Avviene una vera discussione, un dibattito, in particolare con spettatori ebrei o musulmani. È diverso per chi ha solo sentito parlare e commenta e giudica toppo in fretta, come per esempio alcuni membri della comunità ebraica che hanno avuto reazioni dure perché hanno ritenuto che questa storia rappresentasse un abbandono da parte mia nei loro confronti, ma non è così. Ciò che il mio cammino con la Vergine Maria proone è un’esperienza generosa e aperta di dialogo fraterno e interreligioso. Recentemente ho incontrato dei giovani ebrei di un’associazione di scout e lo scambio è stato luminoso perché ognuno, grazie al film, ha potuto riflettere sul proprio percorso personale con Dio, una sorta di cuore a cuore con il Creatore che va oltre l’appartenenza religiosa». «Penso che in Francia siamo troppo tesi sulle questioni religiose. Soffriamo di una mancanza di conoscenza reciproca e i grandi incontri virtuosi “ecumenici” non bastano. I cattolici non conoscono a fondo i loro fratelli e sorelle ebrei o musulmani, e viceversa. Ritengo che dovremmo conoscerci meglio, senza lasciarci impressionare dai discorsi intolleranti di un certo laicismo nei confronti della religione. Il messaggio del mio film è: figli di Abramo, ebrei, cristiani e musulmani, conosciamoci meglio! Voglio poter andare in una chiesa e che i cattolici entrino in una sinagoga, in modo da poter costruire un dialogo di fratelli in umanità, vissuto, non qualcosa di accademico o teorico, un dialogo di vita, nello spirito di Charles de Foucauld, il fratello universale. Ero presente alla sua canonizzazione a Roma ed è lui che mi ispira».

«In Reste un peu mi sono basato su fatti reali, i miei genitori fanno la loro parte nel film, così come mia sorella e i miei amici… D’altra parte, non ho fatto un catecumenato verso il battesimo, è stato sceneggiato per rappresentare ciò che vivo internamente, questa attrazione per il cattolicesimo che il mio incontro con la Vergine Maria ha suscitato. Il battesimo non è fine a se stesso, è il rinnovamento quotidiano della fede che conta, la conversione quotidiana… “Sono in cammino”, come dice Mehdi-Emmanuel Djaadi, un attore musulmano che si è convertito al cattolicesimo: anche lui recita nel mio film».

«È vero, nel film menziono il cardinale Lustiger, dico persino che il nome cristiano che vorrei prendere è il suo, Jean-Marie, come una sorta di omaggio. Il film si conclude con una sua citazione in cui spiega che è stato abbracciando il cristianesimo che ha ritrovato le sue radici ebraiche. Per me questo messaggio è fondamentale e non ha nulla a che vedere con il famoso “vivere insieme” dei politici… A Lourdes ho incontrato un ebreo che mi ha riconosciuto e mi ha chiesto cosa ci facessi lì, io gli ho risposto facendogli la stessa domanda… E ci siamo sorrisi a vicenda. In preda all’angoscia, spingeva il figlio malato su una sedia a rotelle e con la moglie, arrivando a Lourdes, volevano fare ogni tentativo per salvarlo. Tutti abbiamo diritto alle grazie di Dio che la Vergine Maria vuole spargere: musulmani, ebrei, poveri, ricchi, stupidi, pazzi, carcerati, comici… tutti!».

«Ho letto un libro sulla conversione di grandi intellettuali ebrei del XX secolo, come Henri Bergson, Simone Weil, Edith Stein… E ciò che mi ha colpito sono state le reazioni nel loro ambiente, veri e propri terremoti! Edith Stein racconta, per esempio, che sua madre, che aveva vissuto i momenti peggiori della persecuzione contro gli ebrei, pianse davanti a lei solo una volta, quando vide sua figlia entrare in convento per diventare la sposa di Cristo. Quello che racconto nel mio film è la realtà del disaccordo dei miei genitori, la vera storia di come ho rinunciato al battesimo per amore loro, una storia che non è finita. Il mio film inizia con una porta che si apre, penso che nella mia vita si aprirà un’altra porta. Il seguito del film, il “due”, si svolgerà forse a Gerusalemme, chi lo sa?».

«La gente è perplessa perché parlo poco di Gesù, ma in realtà dove c’è la Vergine Maria c’è anche lui. Lo porta in grembo e gli dà la vita, continua a dargli la vita spiritualmente perché tutti diventiamo fratelli, figli di Dio. Non parlo molto di Gesù perché non capisco ancora il mistero della Trinità, ma bisogna capire per credere? Nella Torah, il Pentateuco, i primi cinque libri della Bibbia, è scritto in sostanza che è quando si agisce che si comprende, quindi facciamo e andiamo avanti nella fede! Sto leggendo una biografia su Gesù, scritta da Jean-Christian Petitfils, e Cristo mi viene incontro come un amico. Come persona che ha studiato i commentari della Torah nelle scuole talmudiche, riconosco in Gesù non solo un rabbino, ma un ebreo completo. Dio è così paziente con noi, ha l’iniziativa, quindi lascia che agisca lui. Rispettiamo le tappe che lui stabilisce».

«Credo che si debba rinascere in questa vita e, senza capire bene, sento per intuizione che si deve rinascere da Maria e diventare un fratello universale. Lei è venuta a cercare un ragazzino ebreo in un Paese arabo, non è andata a cercare qualcuno in una chiesa, è venuta da me e mi ama di un amore folle, senza forzarmi in nulla. I miei amici dicono che è l’immagine materna, dicano quello che vogliono e in fondo hanno ragione, ma in realtà Maria è arrivata sul mio cammino, è così, l’ho vista quando ero bambino a Casablanca e mi ha accompagnato da allora. Lei rappresenta la gratuità dell’Amore di Dio, la forza della bontà di Dio, il valore infinito del nostro cuore unito a quello di Dio. Quando sono andato dai monaci per un ritiro, ho cercato il loro segreto e ho scoperto che è nel cuore, un cuore che ama concretamente, nelle azioni che si compiono. Vedete, alla fine, come cerco di mostrare nel film e come la Vergine Maria ha rivelato a Bernadette a Lourdes, la vera spiritualità è riconoscere Cristo nei poveri, in coloro che soffrono, a partire da noi stessi, anche nei nostri limiti».

«Ho scoperto il deserto, questa dimensione della fede, che diventa servizio d’Amore, a Lourdes, con i malati o i disabili. Nel mio film racconto l’incontro con Raymond – che in realtà si chiama Guy – un anziano malato e non credente, che visito e a cui lavo i piedi. Quest’uomo, che interpreta se stesso, è passato all’altra vita, e il mio film è dedicato a lui. Il dono totale di sé, il dono del proprio cuore e del proprio tempo, del proprio denaro: questa è la vera fede incarnata che voglio portare alla luce! Fare donazioni va bene, io lo faccio ovviamente, ma è da se stessi che bisogna dare. Quando ho visto l’immagine di papa Francesco che lavava i piedi ai carcerati il Giovedì santo, ho desiderato fare come lui, cioè servire. Non so nulla del Papa, che non ho ancora avuto la gioia di incontrare, ma il suo esempio di cristiano che mette in pratica la sua fede illumina i miei passi sul cammino. È questa cultura del dono che vorrei trasmettere ai miei figli».

Cosa direi a un figlio di una coppia mista? «Credo che entrambe le tradizioni debbano essere trasmesse in modo che il bambino possa crescere liberamente e scegliere al momento giusto. È un errore dire che il bambino sceglierà più tardi senza avergli trasmesso nulla. Se quel bambino fosse mio figlio, la sera gli racconterei la storia di Charles de Foucauld, mostrandogli come il modo di pregare dei musulmani lo abbia aiutato a diventare un vero cristiano, un orante, un uomo di Dio capace di sentirsi fratello di tutti. È il nostro rapporto personale con Dio che è importante, nello spirito di nostro padre Abramo».

«Vorrei dire a Papa Francesco, umilmente, che continuiamo a pregare per lui. Ebrei, musulmani, cristiani, tutti devono pregare per lui, perché è l’uomo che cerca con Amore di unirci e di condurci sulla via della fratellanza. Solo questo percorso può ancora dare speranza all’Umanità».

 
 
 

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