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Il Sole di Stagno - Romanzo

 

Il Sole di Stagno - Vincenzo Aiello - con-fine ed. - Bologna, 2006

C'è qualcosa che accomuna questo racconto di Aiello al grandioso romanzo di Walter Siti, Troppi paradisi. Così lontani e tra di loro diversi, entrambi si sono proposti di tematizzare il tempo, fissandolo alla svolta del secolo e del millennio. Per narrare come storia la contemporaneità e la propria stessa esperienza, senza consegnarsi all'autobiografia, bisogna scegliere una lingua e giova inoltre (secondo me) una cornice esplicita di referenti cronologici. Che annunci subito il carattere del testo, di selettiva ricostruzione. Distante dal testo soggettivo della semplice memoria. È il problema che Aiello, nella sua prova d'esordio, ha in parte eluso, affidandosi ai soli dati interni. Quanto alla lingua invece, o meglio alla voce di scrittore, ha usato felicemente, la sua, che nella nuova generazione è una delle più personali.

Lidia De Federicis (L'Indice dei Libri) 

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"Ed ora chi si prenderà cura di te? E, tu, cosa farai?"

Post n°1116 pubblicato il 24 Maggio 2013 da VincenzoAiello68
 
Foto di VincenzoAiello68

“E il mondo è invece quello dei vivi, perché soltanto lì c’è la vita: sofferenze, patimenti, piccole gioie, felicità, lacrime di nostalgia e di rabbia. E la morte (“Le lacrime degli eroi” di Matteo Nucci, Einaudi)".

 

 

C’è un senso di straniamento all’uscita di “La grande bellezza” l’ultimo film del regista napoletano Paolo Sorrentino, perché questa pellicola si metabolizza tardi e bisogna un po’ pensarci su. C’è una Roma contemporanea borghese e falsamente intellettuale fatta di commediografi falliti, scrittori falsamente di sinistra, imprenditori arrapati, cardinali dispensatori di ricette, nobili decaduti o riccastri. In questo Circo dei miracoli si staglia la figura di Pep Gambardella – interpretato dall’usuale grande Toni Servillo - uno scrittore napoletano che ha al suo attivo un solo romanzetto e che ora vive facendo il critico d’arte e giudicando gli altri artisti o pseudo tali. Le feste a base di cocaina e le serate sulle terrazze romane ritmano il tutto. Pep è furbo, cinico, distaccato, ma alla festa dei suoi 65 anni c’è un passaggio in cui sente che il resto della vita è già passato: arriva la sofferenza e non riesce a capirla. Molti – prima di vedere il film – hanno insistito su una sorta di remake del felliniano “La dolce vita”, ma lì c’era solo una grande ostentazione del vuoto. Nel film di Sorrentino ‘la grande bellezza’ è quella più piccola: è la scoperta della pietas verso i sofferenti nel viaggio di curiosità di Pep. Solo piccoli squarci di bellezza che si aprono, ma solo a chi ha occhi per vedere, nel chiacchiericcio di chi parla in terza persona, di chi va ai funerali perché sa che lì c’è il meglio dell’actors studio, nelle ex dive della Tv che escono disfatte dalle torte, di chi va a guardare il relitto della Concordia. Bella la scelta di Sorrentino di fare uscire di scena Ramona – Sabrina Ferilli – con un pudore che ci restituisce la forza della morte. Pep-Ulisse che nell’assalto di Troia aveva usato la furbizia dell’eroe, ora nel viaggio di ritorno alle radici della sua prima essenza diviene l’uomo dell’Odissea e capisce che la vera bellezza è abscondita. In definita “La grande bellezza” non è un film che mette in contrasto stridente la stratificata bellezza di Roma con il circolo felliniano dei gaudenti senza futuro. Ma è un viaggio all’interno dell’uomo liquido e globalizzato dell’oggi che urla: “Schettino cosa fa?”, mentre in silenzio le unioni felici bevono un calice di vino e vanno a letto.

Vincenzo Aiello

    

 

 

 

 

 
 
 
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