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L'USB, come è oggi, è il sindacato che serve davvero?

Post n°841 pubblicato il 14 Gennaio 2013 da VoceProletaria

Contributo alla discussione che si svolgerà nei Consigli Nazionali del Pubblico Impiego e del Lavoro Privato
dell'Unione Sindacale di Base
convocati il 1 dicembre 2012 per l’avvio della fase congressuale
L’UNIONE SINDACALE DI BASE, COME E’ OGGI,
E’ IL SINDACATO CHE SERVE DAVVERO?

Dopo due anni e mezzo dalla costituzione di USB, e in occasione di una discussione così importante come quella che avvia la fase congressuale, crediamo sia necessario ragionare su come la nostra organizzazione sindacale abbia lavorato in questo periodo, su come il gruppo dirigente stia organizzando il nostro sindacato e su come (nei documenti ufficiali e nelle sedute degli organismi nazionali) venga analizzata la fase sociale ed economica che stiamo affrontando. Ma soprattutto serve capire come un’organizzazione sindacale di base e conflittuale come la nostra possa contribuire a far riprendere il conflitto sociale nel nostro paese.
Pensiamo non sia necessario ripercorrere tutte le fasi che hanno caratterizzato, negli ultimi anni, l’attacco furibondo alle condizioni di vita di lavoratrici e lavoratori, attacco portato avanti in modo “bipartisan” dalle destre e dalle sinistre che si sono succedute al governo, le quali, seppur con differenze di metodo e di riferimenti sociali all’interno della classe capitalistica “nostrana”, hanno cancellato in larga parte ciò che era stato faticosamente conquistato in anni di lotte dal movimento operaio e da lavoratrici e lavoratori. Da un anno a questa parte, poi, le contrapposte “ali” del sistema politico italiano hanno addirittura abdicato a un ruolo diretto di gestione della crisi economica e sociale cedendo il campo ai “tecnici”, e rendendo finalmente palese la sottomissione di qualsiasi gestione politica della “crisi” ai meccanismi economici e finanziari dettati da FMI, BCE e Commissione Europea. Si tratta delle politiche di “austerità” spacciate come inevitabili e “naturali”, ma che altro non
sono che gli strumenti che il capitale si sta dando per cercare di riavviare un positivo ciclo di accumulazione e di ripresa dei saggi di profitto, principalmente attraverso il peggioramento dei livelli salariali (diretti e indiretti) di lavoratrici e lavoratori.
E’ evidente che la crisi non nasce in Italia, ne’ da qui è immaginabile una possibile svolta dal punto di vista del capitale. E se questo è il quadro, le difficoltà per tutte le organizzazioni sindacali del nostro paese sono enormi. Sia per i sindacati “collaborativi” come CISL, UIL e autonomi (ma la cui collaborazione non è di fatto più richiesta dal quadro politico), sia per chi è in mezzo al guado (o meglio, riesce a “vendersi” in tale posizione) come la CGIL, sia per chi cerca almeno mediaticamente di agire il conflitto come la FIOM (non disdegnando, per necessità, incursioni nel mondo politico). Ma ancor di più per il variegato arcipelago dei sindacati di base, che il conflitto lo vorrebbero praticare come proprio oggetto statutario ma non ne hanno le forze e le capacità, sia dal punto di vista della capacità di analisi e di direzione, sia dal punto di vista del seguito di massa. Contribuiscono in maniera decisiva a questa difficoltà la patologica frammentazione organizzativa delle diverse sigle, la cronica mancanza di ricambio dei gruppi dirigenti, l’incapacità di un ragionamento e di una pratica che superi le supposte autosufficienze. Spiace constatare come ciò abbia avuto plastica dimostrazione nella giornata del 14 novembre, quando un formalistico giudizio sulla piattaforma della CES non ha fatto comprendere a molti (USB, purtroppo, inclusa, nonostante il Comitato No Debito avesse invitato al sostegno esplicito della giornata di lotta) come questo appuntamento avesse ben altro significato concreto e materiale per molti dei soggetti sociali che in piazza sono scesi, con una forza e una convinzione che meritavano ben altro appoggio e spinta da parte di chi si proclama sindacato alternativo e conflittuale.
L’Unione Sindacale di Base opera in un quadro difficilissimo per il nostro settore sociale di riferimento: non mancano episodi di lotte anche aspre e di un certo rilievo, non mancano momenti alti di conflitto, non manca a volte una visibilità seppur faticosamente conquistata.
La manifestazione del NO MONTI DAY dello scorso 27 ottobre e la stessa giornata del 14 novembre dimostrano anche che non manca del tutto la disponibilità a una risposta di livello più generale. Quello che manca è una vera saldatura tra i diversi conflitti e soprattutto la capacità e la credibilità per fare breccia nella diffusa e profonda disillusione rispetto alle reali possibilità di cambiamento e svolta della fase. Molte delle lotte e dei momenti di conflitto vedono coinvolta direttamente l’USB e si deve prendere atto che la nostra appare come una delle organizzazioni che meglio sta difendendo il proprio ruolo e una propria autonoma pratica sindacale. Ma, ancora una volta, è altrettanto evidente che questo, pur frutto di generosissimi sforzi e sacrifici anche personali, è drammaticamente insufficiente non solo per rendere credibile una svolta, ma anche per poterla solo immaginare come possibilità da parte di chi dovrebbe “seguirci”.
Di fronte a tutto ciò il gruppo dirigente di USB sostiene, ne’ più ne’ meno, che lo strumento di questa possibile svolta è un sindacato meglio organizzato nelle sue strutture centrali, periferiche e di settore, con un apparato che tutto coordina e tutto controlla (soprattutto economicamente), e con una lettura unica e “di organizzazione” della crisi e dell’analisi del conflitto di classe. Un “sindacato dall’alto” (così è stato letteralmente definito nell’ultimo coordinamento nazionale) che fornisca a una “classe” disorientata la lettura univoca di quello che sta succedendo e la ricetta indiscutibile di ciò che bisogna fare per rialzarsi. E naturalmente, a corollario, ne discende un giudizio totalmente liquidatorio (per usare un eufemismo) rispetto a tutte le altre organizzazioni del sindacalismo alternativo e un irrigidimento anche disciplinare verso chi, dall’interno, “disturba” il sindacato sotto assedio con letture divergenti, che puntano sull’autonomia dei territori e sulla sperimentazione di pratiche sindacali che non si fanno confinare all’interno del recinto dell’organizzazione di appartenenza.
Noi pensiamo che questo modo di pensare e di agire sia del tutto sbagliato e che da questo atteggiamento eminentemente politico nascano le nostre forti divergenze sul modello organizzativo ed economico del sindacato che viene in questi mesi portato avanti e che avrà inevitabilmente il suo punto d’arrivo nel Primo Congresso di USB annunciato per l’anno prossimo.
Noi non pensiamo che l’Unione Sindacale di Base sia inadeguata perché non sufficientemente organizzata e coesa, o perché non sia ancora riuscita a conquistare gli iscritti degli altri sindacati di base, o perché i lavoratori e le lavoratrici non capiscano la crisi e la funzione determinante di una organizzazione centralizzata e nazionale per rispondere agli attacchi subiti.
Noi pensiamo che la questione sia drammaticamente e storicamente più seria. Le difficoltà in cui si dibatte il c.d. “movimento” nascono da una sconfitta epocale del mondo del lavoro a livello continentale e non solo, e si deve prendere atto che la fase delle “conquiste” degli anni ’60 e ‘70 è stata definitivamente sconfitta dall’offensiva neoliberista. Contrariamente ai nostri massimi dirigenti nazionali pensiamo che la “classe” nel suo complesso sia maggiormente in grado rispetto a 40 anni fa di leggere la situazione, non fosse altro che per una scolarizzazione di massa che ormai si è generalmente affermata e per una conseguente composizione sociale delle classi subalterne ben più complessa e articolata di qualche decennio fa. Noi pensiamo che la “classe” abbia talmente compreso la sconfitta storica da non credere di poter, nel breve periodo, ribaltare la situazione. Vorremmo tanto sbagliarci, ma le tante lotte e i diffusi conflitti oggi presenti (seppur necessari e inevitabili per la difesa dei posti di lavoro e di una minima dignità sociale) ci sembrano più il residuo di una fase passata e già segnata, piuttosto che l’alba della ripresa del movimento dei lavoratori. Proprio per questo non opera quella “connessione” tanto invocata tra le diverse situazioni di conflitto, non certo per mancanza di organizzazione o per le dissidenze interne a ogni sigla sindacale di base.
Questa sconfitta ci consegna il compito storico di far ripartire sostanzialmente da zero e con strumenti nuovi un conflitto all’altezza dei tempi, senza ripercorrere strade già battute da organizzazioni autoreferenziali, interessate alla propria sopravvivenza piuttosto che a una lotta più unitaria e collettiva possibile. Ci si muove in un campo aperto, senza mappe predeterminate ne’ tanto meno dettate da uffici studi d’apparato. E’ evidente che se la “classe” è in questa situazione nessuno ha le ricette giuste, nessuno può ergersi a giudice degli altri, nessuno può far valere la propria “forza” numerica e organizzativa, per il semplice fatto che, per grande che sia (e di solito è sovrastimata), rimane del tutto residuale e marginale all’interno di un processo storico e transnazionale di ribaltamento dei rapporti di forza a favore del capitale.
Ma siamo profondamente convinti che proprio in una situazione così drammatica e difficile, che non lascia spazio a molte speranze nel breve periodo, un sindacato che si proclama “di base” e “alternativo” abbia un suo ruolo quasi obbligato: cercare incessantemente e senza pregiudizi le strade di una ripresa, stare vicino ai lavoratori, aiutarli e supportarli in ogni momento (che sia di lotta o di sconfitta), mettere a disposizione saperi e risorse all’unico scopo di unire chi lavora al di là delle appartenenze sindacali e dei settori lavorativi, senza primogeniture ne’ borie di organizzazione. E non serve girarci attorno: la vicinanza ai lavoratori è anche vicinanza ai luoghi di lavoro degli organismi decisionali e delle risorse per potersi organizzare (e quindi anche massima trasparenza e precisa individuazione delle responsabilità di spesa), è internità ai luoghi di lavoro di chi fa sindacato e si confronta con le aziende (e quindi limitazione allo stretto necessario di funzionari e distaccati), è cessione di sovranità dell’organizzazione verso gli organismi collettivi eletti direttamente dai lavoratori.
Tutto questo per sperimentare strade nuove e pratiche originali che evidentemente sono l’unica e inevitabile, anche se per ora non sufficiente, risorsa per risalire la china. USB è solo una parte (e purtroppo neanche troppo grossa) di quella “classe” che vuole organizzare. Per quanto efficiente e oliata sarà la sua macchina organizzativa non riuscirà a raccogliere la massa critica per immaginare una svolta dei rapporti di forza, non potrà azzerare e liquidare pratiche sindacali basate su teorie diverse da quelle portate avanti dal nostro gruppo dirigente. Verrebbe da dire, “meglio meno, ma meglio”: fatta salva l’irrinunciabile tensione al miglioramento, qui e ora, delle condizioni di vita e di lavoro della “classe”, occorre lasciare aperte e in dialogo tra loro le diverse appartenenze, le diverse letture e le diverse pratiche. E farlo, sperabilmente, in un’organizzazione sindacale più grande ma più democratica, più aperta, più includente e, necessariamente, guidata da nuovi gruppi dirigenti che sostituiscano quelli attualmente (e da decenni) alla guida di tutte le sigle del sindacalismo di base.
Ci si dice che questo è aziendalismo e corporativismo, è autoreferenzialità di gruppi dirigenti locali che vogliono mantenere non meglio specificate rendite di “posizione” e di “portafoglio”.
Noi pensiamo che sia invece la sola strada per riuscire a riprendere un cammino, o almeno per creare le condizioni per cui il cammino lo riprenda, un giorno, chi ne avrà forza e capacità.
Crediamo che dall’analisi che abbiamo svolto discendano necessariamente le caratteristiche di un’organizzazione sindacale che secondo noi servirebbe, qui e ora, ai lavoratori e alle lavoratrici:
• un sindacato che con la pratica democratica e la legittimità del dissenso possa coinvolgere sempre più lavoratori, i quali possano aderirvi anche collettivamente e anche se portatori di differenti pratiche sindacali e teorie sulla fase, sulla crisi e sul conflitto sociale;
• un sindacato in cui le linee e le scelte vengano discusse e adottate dagli organismi collettivi di coordinamento, e in cui gli esecutivi siano chiamati ad applicarle, e non viceversa (come spesso accade);
• un sindacato intercategoriale in cui i livelli decisionali siano pochi e chiari, basati sul territorio e non sulle categorie, e che non debbano incartarsi in un ginepraio di organi sovrapposti, di fatto mal funzionanti e nei quali il confronto e la discussione sono inevitabilmente asfittici e nelle mani degli esecutivi;
• un sindacato in cui gli incarichi dirigenziali siano in maggioranza a rotazione e che utilizzi distacchi, aspettative e funzionari solo se strettamente necessari e con modalità trasparenti, periodicamente controllabili e condivise dal corpo dell’organizzazione;
• un sindacato che si strutturi a livello nazionale con un apparato il più leggero possibile, che sia “a servizio” delle istanze locali e che renda conto periodicamente dei propri costi e dell’uso delle risorse rese comunque disponibili dal livello periferico sulla base di programmi di lavoro condivisi;
• un sindacato la cui organizzazione abbia al centro le realtà lavorative e territoriali, con ampia autonomia economica e di azione, nell’ambito di poche discriminanti discusse e condivise collettivamente;
• un sindacato che, dove è presente, faccia sempre votare tutti i lavoratori e le lavoratrici (iscritti/e e non) su piattaforme, vertenze e ipotesi di accordi, e che dia risorse e strumenti in via prioritaria a chi viene eletto da tutti i lavoratori (iscritti/e e non);
• un sindacato che non segua la pratica della firma in cambio del riconoscimento della controparte: una pratica che se facilita l’accesso ai luoghi di lavoro, finisce inevitabilmente con il legare le mani nel conflitto e nella lotta, con il creare disillusione tra i lavoratori e, il più delle volte, con il perdere per esaurimento d’entusiasmo gli spazi conquistati;
• un sindacato aperto alle figure sociali diverse dal lavoro dipendente e che sia impegnato nella socialità dei territori sulle lotte di cittadinanza;
• un sindacato che a livello internazionale ricerchi accordi e alleanze con altre organizzazioni sulla base delle lotte e dei contenuti e non su appartenenze ideologico-politiche non certo al passo con i tempi (tanto per capirci, tipo FSM).
Crediamo che le proposte e i contenuti che avanziamo con questo documento debbano poter essere discussi e giudicati dagli iscritti dell'Unione Sindacale di Base in un Congresso Nazionale il più possibile aperto e democratico, pertanto chiediamo che i Regolamenti Congressuali della Confederazione, del Pubblico Impiego e del Lavoro Privato prevedano:
• che al Congresso partecipano tutte le strutture, le realtà sindacali e le realtà aziendali che hanno partecipato al Congresso fondativo di USB, indipendentemente dall'applicazione del Regolamento Economico, che da Statuto, "sino allo svolgimento del Primo Congresso", era da applicarsi (contrariamente a quanto avvenuto) "gradualmente, contemperando le esigenze di carattere nazionale con quelle territoriali e delle organizzazioni sindacali aderenti".
• la possibilità di presentare documenti congressuali alternativi con il solo limite di una soglia di sottoscrizioni da parte di 5 componenti appartenenti a uno o più dei coordinamenti nazionali (confederale, pubblico, privato) o di 400 iscritti;
• la possibilità di far partecipare i sottoscrittori dei documenti ai congressi aziendali e locali, con rimborsi spese (se necessari) a carico della confederazione nazionale;
• la previsione di un'area di discussione via web moderata a cura dei proponenti i diversi documenti.

Tivoli, 1 dicembre 2012

Adelio Andreassi (Consiglio Nazionale PI)
Luigi Borrelli (Consiglio Nazionale LP)
Fiorenzo Campagnolo (Consiglio Nazionale LP)
Mario Carleschi (Consiglio Nazionale Confederale)
Riccardo Dobrilla (Consiglio Nazionale Confederale e LP)
Carmelo Fotia (Consiglio Nazionale LP)
Marco Galli (Consiglio Nazionale Confederale)
Franco Lovascio (Consiglio Nazionale Confederale e LP)
Francesco Mainardi (Consiglio Nazionale LP)
Angelo Pedrini (Consiglio Nazionale LP)
Michele Salvi (Consiglio Nazionale Confederale e PI)
Giacomo Saponara (Consiglio Nazionale LP)
Tonino Vetrano (Consiglio Nazionale Confederale)
Renzo Zambelli (Consiglio Nazionale LP)

 
 
 
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