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« Oggi in Grecia, domani...I morti di Atene »

Se Atene piange, Roma non ride...

Post n°6 pubblicato il 06 Maggio 2010 da VoceProletaria
Foto di VoceProletaria


Se Atene piange, Roma non ride…

Facciamo come il KKE e il PAME:

CHE LA CRISI LA PAGHINO I PADRONI!


Immaginiamo cosa potrebbe accadere se anche in Italia - come è certamente possibile - la crisi strutturale dell’economia capitalistica globale si manifestasse nei prossimi mesi con caratteristiche particolarmente virulente. Se, in altre parole, si verificasse uno scenario simile a quello della Grecia.


La crisi è presente da anni nel settore produttivo ed è stata utilizzata dal grande capitale finanziario - dalle banche e da un’imprenditoria non meno stracciona, criminale e sfruttatrice di quella italiana - per spremere fino all’osso le risorse pubbliche e il lavoro salariato. Ora che la fragile economia greca è arrivata al collasso, il governo socialdemocratico del Pasok ha proposto una manovra lacrime e sangue che colpisce ancora al cuore i lavoratori e tenta di far passare tutte le controriforme che in questi anni, i padroni e la destra non erano riusciti ad imporre per la dura resistenza del movimento operaio greco.


Il pacchetto di misure annunciate comprende l’abolizione delle tredicesime e quattordicesime sia nel settore pubblico che privato; il congelamento di già miseri stipendi e pensioni per altri tre anni; l’aumento dell’età pensionabile; l’aumento della soglia degli esuberi dal 2% al 4%. Inoltre, si impone l’aumento dell'IVA sui beni di largo consumo dal 21% (risultato dell’aumento di due mesi fa) al 23%, l’abolizione dei contratti collettivi di lavoro, tagli drastici delle prestazioni e indennità di licenziamento, licenziamenti di massa nel settore pubblico e nelle amministrazioni locali. E come se non bastasse questa manovra assicura l’aumento dei profitti capitalistici con la totale destrutturazione e precarizzazione dei rapporti di lavoro a vantaggio delle imprese private. In questo modo il governo Papandreu farà pagare gli enormi costi del debito pubblico non a chi lo aveva accumulato e ne aveva tratto enormi profitti (l’ampia evasione fiscale è in Grecia comparabile a quella italiana), ma ai lavoratori che erano già stati spremuti fino all’osso. L’Europa di Maastricht, la BCE e il Fondo Monetario Internazionale approvano queste misure e si apprestano a chiedere altre controriforme strutturali in cambio di prestiti e sostegno all’economia greca. Questo a dimostrazione della natura antidemocratica e antipopolare delle principali istituzioni internazionali.


La reazione della classe operaia greca e di tutto il lavoro dipendente di fronte a questa offensiva senza precedenti della grande borghesia è stata pronta, radicale e inflessibile. Atene è in rivolta e per la prima volta dopo decenni di fantasmagorie mediatiche e di manipolazione dell’opinione pubblica la cruda materialità delle cose si riprende la scena: il conflitto politico-sociale e la lotta di classe tornano sul suolo dell’Europa a fare tremare di paura i padroni.

Totale deve essere la solidarietà internazionalista dei comunisti di ogni paese nei confronti dei compagni greci che fronteggiano la violenza delle forze di sicurezza e che difendono il proprio futuro e quello delle loro famiglie. Per questo è forte la nostra ammirazione nei confronti del Partito principale che guida e sostiene la protesta, il KKE (il Partito Comunista della Grecia) da sempre, nonostante il suo indiscutibile radicamento, denigrato sui mezzi di informazione come un reperto del passato perché intransigente e indisponibile a svendere la propria identità comunista  e antimperialista.

Il forte radicamento dei comunisti in queste lotte dei lavoratori e degli strati colpiti dalla crisi è testimoniato dal ruolo guida negli scioperi del loro fronte sindacale, il PAME, che mai ha svenduto i diritti dei lavoratori di fronte alla concertazione delle principali sigle di categoria e mai, nemmeno di fronte a governi di centrosinistra, ha rinunciato alla centralità del conflitto in nome di un malinteso senso di responsabilità per “battere le destre”.


Per questi motivi una domanda s’impone con forza: se in Italia la crisi precipitasse, una risposta popolare potente, consapevole e organizzata come quella greca, troverà delle difficoltà, perché le forze comuniste sono frammentate, delegittimate e prive di identità, che non ci sarebbe praticamente nessuna possibilità, per loro, di farsi riconoscere dai lavoratori, di porsi alla loro testa e di dare un senso politico alle lotte.


In Italia si aprirebbe uno scenario di mero ribellismo diffuso. Oppure, ancora peggio, uno scenario nel quale il legittimo malcontento popolare non si incanalerebbe sui binari di una lotta di classe capace di mettere in discussione gli assetti della proprietà e della ricchezza nazionale, ma sarebbe cavalcato dalle forze eversive della destra, da quelle forze che si ispirano all'egoismo sociale più bieco e al secessionismo.

Così come anche a prescindere da un’eventuale escalation della crisi economica, incombono ulteriori progetti di disgregazione politica e sociale nel paese, fortemente perseguiti da una forza solo in apparenza “imborghesita”: la Lega Nord. Una forza che è pronta a conquistare attraverso la partecipazione al governo quelle posizioni chiave che le consentiranno di operare una secessione di fatto (federalismo fiscale) per poi minacciare una separazione politica vera e propria, imponendo gabbie salariali, tagliando risorse al Meridione e realizzando un regime di apartheid nei confronti della forza-lavoro immigrata a basso costo. Mai come oggi la questione “nazionale” è in realtà una questione sociale di classe.

Tutto cambia vertiginosamente in superficie ma la sostanza del conflitto di classe permane immutata: il problema non è solo Berlusconi, contro il quale continueremo a lottare finché non sarà uscito di scena attraverso la mobilitazione di piazza e non certo grazie a inciuci di governo.

Ma non dobbiamo dimenticare che l’obiettivo finale dei comunisti resta l’uscita di scena definitiva del capitalismo intero dalla storia.


Mentre ribadiamo la nostra solidarietà verso i lavoratori ed i compagni greci, invitiamo le forze comuniste italiane a fare altrettanto e a prendere esempio da questi e dalla loro coerenza. Le invitiamo anche a non perdere tempo con soluzioni organizzative sentimentalmente distanti dalla maggioranza dei lavoratori salariati, ripiegamenti incomprensibili verso soggetti politici genericamente di Sinistra e a non cedere alle sirene di chi, come Vendola, è pronto a mettere nuovamente la sinistra di classe al servizio del Partito Democratico e dei suoi progetti liberisti non dissimili da quelli del Pasok in Grecia.

Riproponiamo invece con forza la questione comunista in Italia, prendendo atto che una fase è ormai definitivamente chiusa e che è necessario un atto di discontinuità e rottura. Anche ai comunisti che nel PdCI  e in alcune componenti del PRC hanno mantenuto un impianto marxista e antimperialista, chiediamo con forza di aprirsi e di rinnovarsi, mettendosi a disposizione di un processo di ricostruzione sulla linea dell'autonomia e del conflitto che unisca tutti i comunisti oggi dispersi in mille rivoli in Italia.


Sin dall’aprile 2008 e con il rilancio e l’attualizzazione dell’appello di gennaio 2010, Comunisti Uniti invoca con forza l'apertura di questo processo di unità e autonomia ed ha continuato sino ad oggi a diffonderne l'esigenza sia dentro i partiti che tra quei compagni che da molto tempo non si riconoscono in essi.

Nel momento in cui un tale processo dovesse partire, noi saremo pronti a fare la nostra parte.
Il tempo, tuttavia, rischia di scadere e lo scenario greco incombe: comunisti e comuniste uniamoci e organizziamo la resistenza e la lotta, prima che sia troppo tardi!


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