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Harold e Maude

Post n°45 pubblicato il 16 Aprile 2008 da lapassante0
 

In una città degli Stati Uniti vive Harold, un teenager nevrotico che coltiva tendenze lugubri (funerali, visite al cimitero). Fallito ogni tentativo di recuperarlo, un giorno Harold, al cimitero, incontra la folle vecchietta Maude, innamorata della vita nonostante gli 80 anni. Fallito un ennesimo tentativo di matrimonio orchestrato dalla madre, Harold annuncia che sposerà Maude. Ma il matrimonio non si celebra: allo scoccare dell'ottantesimo compleanno, come aveva preannunciato, Maude muore. Ma Harold vivrà, avendo ritrovato l'amore per la vita.

Harold e Maude di Hal Ashby con Ruth Gordon, Bud Cort (1971)

Lo spunto alla base di Harold e Maude è il ribaltamento ironico delle situazioni divulgate attraverso l'accattivante Lolita. Qui, invece di un maturo signore innamorato di una ragazzina, abbiamo un ragazzo innamorato di una vecchia. Il rapporto è però diverso, più costruttivo. Maude ha un carattere positivo e fornisce a Harold lo stimolo per la sua crescita morale, trasmettendogli l'impulso di un vitalismo e di un buon senso che il ragazzo, crisalide in attesa di aprirsi, non possiede. Ci si poteva aspettare un tono greve, insistito, pieno di effetti di cattivo gusto. Ashby evita il pericolo, non si addentra nelle situazioni «morbose», non affronta mai esplicitamente l'aspetto sessuale della relazione, limitandosi a suggerirlo in modo elegante. Con una leggerezza di tocco che sta diventando il suo segno distintivo, riesce a ricavare il meglio da una favola moderna raccontata come la storia della formazione di un essere umano. In principio Harold ha diversi tratti in comune con Elgar, il protagonista di Il padrone di casa: anche lui non è in grado di dare un senso alla propria esistenza, anche lui ha una madre possessiva, ma tutto sommato indifferente ai suoi problemi, anche lui ha bisogno di uno stimolo esterno per cambiare. Trovato lo stimolo in Maude, il ragazzo crede di amarla perché rappresenta tutto ciò che gli sembra degno d'essere vissuto. Secondo una simbologia semplice ed efficace, Harold ama Maude perché ama la vita anche se non l'ha mai capito.
Ashby situa ancora la vicenda in una grande città e si serve di un impianto narrativo brillante per tratteggiare sarcasticamente la solitudine e l'isolamento della vita nella società moderna. Maude è poco più che una barbona, vive di espedienti: così la società tratta le persone come lei (l'impianto favolistico non impedisce al regista di sottolineare l'ingiustizia di fondo). Si procede per contrasti, mettendo a confronto l'esistenza di Maude e quella di Harold (e della sua famiglia). Maude è ottimista, gentile ed altruista. Per questo si è ridotta in povertà o, almeno, non ha saputo evitarla. La madre di Harold al contrario, è priva di sensibilità e di umorismo, ha un cuore arido, ma è ricca e benestante. Lo stesso Harold, una specie di zombie clownesco che non sa dove andare, è in balia della madre e dello psichiatra. Coltiva solo una sotterranea e quasi incomprensibile ribellione che lo induce a inscenare di continuo finti suicidi. È il contrasto classico tra l'avere e l'essere. Harold preferisce essere qualcuno piuttosto che avere qualcosa. L'incontro con Maude gli consente di fuggire dal bianco e nero d'una vita lugubre e ossessiva e di porre in primo piano la fantasia. È una tematica allineata con le esigenze diffuse negli anni a cavallo tra i '60 e i '70. Ma è anche una tematica che potenzialmente inclina verso l'edulcorato ottimismo di certi film disneyani. Ad efficace correttivo Ashby introduce una vena di umorismo nero. L'ossessione cimiteriale coltivata da Harold e da Maude serve da contraltare ironico per le elegiache pagine sulla riscoperta della vita da parte del ragazzo. Anche i numerosi tentativi di suicidio agiscono in questo senso. Felicemente definito il «serafino della sovversione» (…), Harold finge di impiccarsi, di annegarsi, di tagliarsi i polsi e inscena persino un vero e proprio hara-kiri. Ashby cerca di trarre da questi sublimi sforzi inutili il massimo divertimento, senza diluirne però gli umori acri e sarcastici.
È un bizzarro e originale mescolarsi di elementi umoristici, macabri, ottimistici e malinconici. Ne deriva quel sapore unico che non annulla i difetti della storia ma li giustifica e, magari, paradossalmente, li esalta. Ciò che soprattutto vale è la capacità di passare efficacemente da un registro comico a uno drammatico, come osserva Danny Peary nel suo «Cult Movie» (Delta, 1981). «Mentre le scene di Harold con sua madre» scrive Peary «sono recitate quasi interamente per far ridere, troviamo scene tra lui e Maude che ti prendono alla sprovvista per la loro serietà e riescono anche a toccare le corde della commozione. È durante queste tenere, intime, felici scene che Maude piange pensando al marito morto ormai da lungo tempo; che noi scopriamo un numero di campo di concentramento sul polso della donna e immaginiamo cos'è successo a suo marito e anche comprendiamo per la prima volta la natura eroica di Maude. Che Maude sia così esageratamente ottimista per la maggior parte del tempo rende queste parentesi tristi particolarmente efficaci, perché sappiamo che il passato di Maude dev'essere stato così orribilmente penoso per aver potuto influire su una donna di spirito così indomito. Ashby tratta queste scene in modo splendido, senza intromettersi nella privacy di Maude e senza sfruttare il suo dolore».
Il regista, di fatto, lavora molto sui personaggi e ottiene interpretazioni fuori dall'ordinario. Riesce a far coesistere due tipi opposti di recitazione: Ruth Gordon tutta come al solito sopra le righe, mentre Bud Cort è tanto sotto le righe da sembrare quasi catatonico. La discrepanza li favorisce, il contrasto offre ad ognuno splendide occasioni. Ruth Gordon adatta senza fatica il personaggio alla propria personalità, infondendogli i giusti toni di tristezza e di vitalità, e riuscendo a dipingere il ritratto di una vecchia che tanto ha vissuto e tanto ha sofferto senza mai lasciarsi piegare dalla malasorte. Bud Cort ha naturalmente l'espressione lunare, il volto attonito, l'aspetto di un bambino cresciuto in fretta. Sarebbe stato impossibile trovare di meglio.
Ashby abilmente introduce nella vicenda scene comiche spesso irresistibili, peccando forse talvolta nel forzare i toni della storia. In questo senso sembrano eccessive certe caratterizzazioni dei membri della famiglia di Harold, ma bisogna dire che l'effetto comico è raggiunto. Inoltre, come già nel Padrone di casa, i personaggi dell'alta borghesia servono al regista essenzialmente per far risaltare l'umanità dei born loser, cui va tutta la sua comprensione e stima. Piuttosto è da osservare che in questo secondo film lo stile rivela ogni tanto qualche squilibrio e qualche incertezza, come in talune sequenze forzatamente didattiche in cui Maude insegna ad Harold le cose buone della vita. Qui Ashby non riesce a riscattarsi da una certa banalità di fondo, indugiando su inquadrature idilliache di passeggiate nel parco, o del salvataggio di un albero, come se dovesse svolgere un compito che gli è stato imposto, ansioso di tornare a quello che più gli interessa: i personaggi e il loro divertito interagire.
Abile nel gestire la svolta finale del film, il regista indugia sulla preparazione del suicidio e sulle successive immediate conseguenze (l'ambulanza che trasporta Maude) ma non mostra mai l'anziana donna morta. Il suicidio di Maude diventa così un atto simbolico, un'uscita di scena, più che una morte. Di più. La delicatezza di Ashby nasconde una sottile ambiguità che, contro ogni evidenza, potrebbe far pensare che Maude non sia davvero morta. Potrebbe trattarsi di un finto suicidio, come quelli inscenati da Harold per tutto il film. Di questa opinione, forse per l'affetto portato al personaggio, è la stessa Ruth Gordon (in una dichiarazione riportata da Aljean Harmetz sul «New York Times» del 26/5/74). Sarebbe bello, la storia diverrebbe proprio una fiaba, ma non è un'ipotesi concreta. Va detto comunque che Asbhy tornerà su una simile delicata ambiguità in occasione del suicidio del capitano Hyde in Tornando a casa: anche là si potrà intuire la decisione, ma si lascerà aperta, almeno in minima parte, la conclusione. È tipico di Ashby il desiderio di non chiudere la storia, di lasciarla aperta come aperta è la vita dove tutto fluisce e niente finisce veramente.
La fotografia brillante di John Alonzo, lontana da quella realistica di Willis, risulta funzionale al tono di favola urbana che il regista ha voluto dare al film. Anche qui si indulge nei contrasti di colore e di esposizione per rendere visivamente il sapore del racconto. Per la musica Ashby pensa di nuovo a un personaggio del rock e, rifuggendo dalle sottolineature pesanti delle consuete partiture cinematografiche, Ashby si rivolge a Cat Stevens, allora all'apice di una carriera che lo porterà ad essere uno dei cantautori più popolari della scena pop-rock (prima della subitanea conversione all'islamismo e del conseguente ritiro dalle scene). Stevens scrive una canzone e dovrebbe curare l'intera colonna sonora, ma gliene manca il tempo. Asbhy gli chiede allora il permesso di utilizzare brani già editi, e, ottenuto l'assenso del musicista, li sceglie personalmente. Il risultato è molto gradevole e soprattutto molto adatto alla storia. In quell'unica canzone composta per l'occasione (If You Want to Sing) Stevens ha racchiuso in poche frasi la filosofia ottimistica del film («If you want io sing out, sing out... if you want io be free, be free... if you want io be you, be you...»). La canzone piacerà ai giovani e favorirà il successo del film nell'ambito studentesco.

Rudy Salvagnini

 
 
 
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La ragione l'è dei bischeri

Il fiorentino ama la rissa (verbale) , il dissenso aperto, la battuta pronta e diffida di chi gli dà facilmente ragione, perché ci tiene ad averla, ma quando si sente dire "L'ha ragione, l'ha ragione..." sospetta che lo si prenda in giro (per bischero) e che uno gli dia ragione per poter continuare a fare quello che gli pare.

In passato era ben vivo il gusto per le allusioni, la battuta con o senza doppio senso da cogliere al volo o dimenticare per sempre. Perché una battuta spiegata è un disastro. (Caterina)

Io con Caterina, la mia sorellina di cuore...

I Fiorentini sono dei passionali trattenuti e la fiorentinità è loro scudo. Prendono in giro gli altri soprattutto quando fanno cose che farebbero anche loro, in un festival perverso di autoironia. Questo scudo li rende spesso un po' chiusi, un po' orsi, tanto sono diffidenti, sospettosi, sempre pronti a pensare che gli altri li vogliano fregare. Ma è anche la loro salvezza: Firenze difficilmente si plasma, difficilmente si piega. Il loro terreno non è fertile per chi vuole piazzare le tende delle limitazioni alla libertà, e di questo i Fiorentini ne saranno sempre tremendamente orgogliosi e fieri! (Sandro)

I miei amici con i quali condivido la mia passione viola... Sandro, Caterina, Cristian, Simone e Salvatore, intelligenza e cuore: persone splendide.

 

E LA FIORENTINA

E’ tutto peggiorato nel mondo, non solo nel calcio, e allora bisogna partire da se stessi: in Italia si amano i riti, anche quelli falsi, evidenti, ridicoli… il calcio è un po’ tutto questo. Non so se siamo tifosi idioti, ma so che siamo veramente innamorati e che allo stadio andremo ancora. E sia chiaro:  non vogliamo regali, anche perché sappiamo che così è più bello vincere e non ce ne frega niente se siamo gli unici a farlo (o forse qui mi illudo?). Siamo rimasti solo noi? E allora diamo il meglio di noi stessi, non ci pentiremo, ma soprattutto teniamoci ben stretta la nostra diversità.

... penso all’urlo collettivo di Firenze, a quel modo di gridare al mondo la propria voglia di esserci.
Non esistono tifoserie capaci di esplodere d’amore infinito come i fiorentini. Una parte dell’Italia se ne è accorta, ma sinceramente non ci interessa… in fondo quelli che ora ci fanno i complimenti, sono gli stessi che hanno cercato di distruggerci… ipocriti…
Ci guardiamo in faccia e ci accorgiamo di avere negli occhi una luce nuova, intensa, brillante…quella luce è la Fiorentina. Hanno provato a portarcela via, non ci sono riusciti. E sapete perché? Immaginate di chiudere gli occhi, di riaprirli e accorgersi di vivere un sogno vero. Un sogno chiamato Fiorentina. Squilla il telefono, è un’amica, non tifosa, ma evidentemente contagiata…”Chiara, sono strafelice per te…un amore sincero non muore mai”.

 

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Mettici la pancia: www.nontoccarla.it Un movimento di uomini e donne che vogliono esprimere una volontà semplice: 194, non toccarla. 

 

Essenso figlia privilegiata di due ex sessantottini il mio cuore è inevitabilmente ROSSO... Posso vantarmi di essere sempre rimasta fedele alle mie idee, anche se i tempi cambiano e la politica di oggi non è granchè. VORREI PIUTTOSTO AVERE LA STESSA DIGNITA' E FORZA MORALE DI QUESTI GRANDI UOMINI E DONNE, ALCUNI DI LORO VERI MARTIRI... SALVADOR ALLENDE, ERNESTO CHE GUEVARA, FIDEL CASTRO, JOSE' ZAPATERO, ENZO BIAGI, NILDE IOTTI, ENRICO BERLINGUER, PALMIRO TOGLIATTI, ALDO MORO. NELL'ATTUALITA', OLTRE A WALTER VELTRONI E ZAPATERO, ABBIAMO ROBERTO SAVIANO, UN RAGAZZO ECCEZIONALE E SONO ORGOGLIOSA CHE CI SIA UN ITALIANO, COETANEO CAPACE DI RIMANERE COSI' INTEGRO, LUCIDO, INTELLIGENTE E FORTE... LA SUA TRAGICITA' MI RICORDA PER CERTI VERSI QUELLA DI PASOLINI, LA SUA COERENZA INTELLETTUALE E' LA STESSA DI ENZO BIAGI, LA SUA PASSIONE PARI A QUELLA DI INDRO MONTANELLI... FINCHE' SCRIVERANNO PERSONE COME LUI, POTREMO ANCORA AVERE SPERANZA IN QUESTO MONDO.

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