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Post n°1907 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze
21 dicembre 2018

Un algoritmo per stabilire lo stato di coscienza

Un algoritmo per stabilire lo stato di coscienza

Stabilire se un paziente con una lesione

cerebrale è consapevole di se stesso o

dell'ambiente è un compito complesso,

anche a causa delle incertezze sulla reale

natura della coscienza. Un algoritmo di

apprendimento automatico usa i tracciati

dell'EEG per calcolare le probabilità che

un paziente in coma si risvegli, ma il suo

utilizzo solleva diversi interrogatividi Sam Rose

/ Scientific AmericanLa coscienza è un'idea

particolare, anche misteriosa. Da un chilo e

mezzo di carne emerge la consapevolezza

del corpo che la ospita e del mondo che la

circonda.Tutti noi riconosciamo la coscienza

quando la vediamo, ma che cos'è veramente?

E dove va quando non c'è più?Le neuroscienze

non hanno gli strumenti per rispondere a

queste domande - se pure è possibile farlo -

ma in un ospedale i medici devono essere in

grado di stabilirne la presenza. Devono sapere

se un paziente con una lesione cerebrale è

consapevole di se stesso o dell'ambiente circostante.

Questa diagnosi per lo più è ancora fatta

con un semplice esame al capezzale.

Il paziente esegue i comandi? Sta gesticolando

o verbalizzando intenzionalmente, eccetera?


Un algoritmo per stabilire lo stato di coscienza

© BSIP / AGFPer i pazienti sul limitare della coscienza,

non lucidi ma non comatosi, definire lo stato di

coscienza è difficile. Movimenti e suoni casuali

possono somigliare molto a quelli intenzionali.

La consapevolezza va e viene.

In molti casi, la posta in gioco con la diagnosi è

molto alta. Il paziente si trova in uno stato di

minima coscienza, dove c'è una certa probabilità di

guarigione, o il paziente è colpito da sindrome di

veglia aresponsiva, in cui le azioni sono ritenute

casuali e prive di intenzionalità e in cui c'è ben

poca speranza di recupero? Purtroppo, in ben il

40 per cento dei casi la diagnosi è problematica.

Considerata la posta in gioco, un studio da poco 

pubblicato sulla rivista "Brain"  cerca di dare ai

medici un piccolo aiuto.

L'articolo descrive in dettaglio un algoritmo di

apprendimento automatico che distingue la

sindrome di veglia aresponsiva dallo stato di

minima coscienza usando le registrazioni 

elettroencefalografiche (EEG).

Se fosse adottato, l'algoritmo ridurrebbe la

necessità di affidarsi a congetture per formulare

la diagnosi e probabilmente funzionerebbe meglio

della maggior parte dei medici umani.

Ma diagnosticare lo stato mentale con un

algoritmo solleva preoccupazioni etiche.

Fino a che punto ci sentiamo tranquilli ad

affidare una diagnosi di vita o morte a una

macchina, soprattutto pensando alla ben

scarsa chiarezza su cosa sia la coscienza?

L'idea di scrutare il cervello alla ricerca di

tracce di coscienza non è nuova.

Per decenni, i ricercatori hanno vagliato

la possibilità di usare tecniche di scansione

del cervello come la PET e la fMRI per studiare

il limite della coscienza.

In un importante studio del 2014, le scansioni

PET hanno dimostrato che in alcuni pazienti a

cui era stata diagnosticata (sbagliando) la sindrome

di veglia aresponsiva il cervello poteva rispondere

alle indicazioni. Inoltre, i pazienti con una PET attiva

avevano maggiori probabilità di ottenere un

recupero significativo.

Un algoritmo per stabilire lo stato di coscienza

© Science Photo Library / AGFQuesto risultato indica che

in caso di dubbi sullo stato di coscienza di un paziente

si dovrebbe ricorrere alle scansioni PET.

Queste scansioni, però, non sono disponibili in tutti

gli ospedali, e sono costose, soggette ad artefatti e

difficili da interpretare.

Un'alternativa più accessibile è l'elettroencefalografia,

in cui sensori elettrici sono collocati sul cuoio capelluto

del paziente per rilevare l'attività cerebrale attraverso

il cranio. L'EEG registra l'attività cerebrale sotto forma

di onde quando un numero sufficiente di neuroni si

attiva all'unisono. In una persona sana, queste onde

hanno frequenze prevedibili. Dopo una lesione

cerebrale, il loro schema è meno prevedibile.

Nel nuovo studio, un gruppo dell'ospedale Pitié-

Salpêtrière di Parigi ha effettuato registrazioni EEG

su 268 pazienti ai quali era stata diagnosticata la

sindrome di veglia aresponsiva o uno stato di

minima coscienza.

Gli EEG sono stati registrati prima e durante un

compito di ascolto progettato per rilevare l'elaborazione

cosciente dei suoni. Decine di aspetti dei dati sono

stati inseriti in un algoritmo di apprendimento

automatico chiamato DOC-Forest.

In questo complesso compito DOC-Forest si è

comportato piuttosto bene. Circa 3 casi su 4

sono stati diagnosticati correttamente.

(Nota: per valutare le prestazioni invece della

classica accuratezza, gli autori hanno usato una

metrica più sofisticata chiamata AUC. La AUC

tiene conto del tasso di falsi positivi, che in questo

caso ha conseguenze significative.)

Gli autori hanno  testato DOC-Forest anche in

scenari realistici, introducendo nei dati del rumore

casuale in modo da simulare l'effetto di possibili

differenze nelle procedure di raccolta dei dati.

Hanno considerato la diversa disposizione dei

sensori sul cranio, e hanno anche usato l'algoritmo

su un secondo gruppo di pazienti. DOC-Forest ha

dato sempre buoni risultati, fornendo valori di

prestazione simili.

Sotto un certo profilo, questo algoritmo di

apprendimento automatico rappresenta un

progresso significativo. I dati EEG sono complessi

e hanno molte dimensioni - tempo, frequenza,

condizioni di prova, posizione dei sensori, e via

discorrendo - che si sviluppano sul monitor

schermata dopo schermata.

In genere, i ricercatori si concentrano su una

manciata di caratteristiche di facile interpretazione,

per esempio la comparsa di una specifica onda

cerebrale durante l'attività di ascolto.

Questa focalizzazione sull'interpretazione

esclude però aspetti potenzialmente importanti

dei dati. L'apprendimento automatico non ha

questo pregiudizio umano a favore

dell'interpretabilità e della comunicabilità.

Si concentra solo sulla classificazione corretta

dei dati, che è tutto ciò che serve in

questo caso.

Un algoritmo per stabilire lo stato di coscienza

L'algoritmo messso a punto è in grado di

individuare negli EEG segnali difficilmente

identificabili da un essere umano

(© Science Photo Library / AGF)Se usato

nella pratica clinica, DOC-Forest potrebbe

essere uno strumento utile per un neurologo

alle prime armi, scandagliando le sinuose

tracce elettroencefalografiche e fornendo

le probabilità che il paziente abbia un certo

livello di coscienza, sfuggito al medico

inesperto durante i test al capezzale.

Qui però c'è un circolo vizioso.

L'algoritmo è addestrato su casi che i

neurologi umani hanno diagnosticato

proprio con test al capezzale.

Mentre il gruppo di Pitié-Salpêtrière ha

potuto seguire i pazienti per un certo

tempo così da ridurre al minimo gli errori

diagnostici, l'algoritmo associa comunque

solo i segnali EEG a quelle diagnosi al

capezzale, sia pure fatte da esperti.

Che cosa ci può però dire di una qualche

forma di coscienza che non sia rivelata

da nessuno di questi test, EEG o altro?

Teniamo a mente che in realtà non sappiamo

dove e come emerga la coscienza.

Al di fuori di quelle che sperimentiamo su noi

stessi, non abbiamo un'idea delle forme che

può assumere l'esperienza cosciente.

Si potrebbe sostenere che la nostra ridottissima

comprensione del problema significa che non

dovremmo ancora coinvolgere le macchine.

D'altra parte, non è chiaro se avremo mai

risposte soddisfacenti a queste domande.

Quindi, perché non lasciare che uno

strumento attentamente progettato,

come DOC-Forest, aiuti a prendere

decisioni nel quadro della nostra attuale

comprensione della coscienza? Non c'è

una risposta facile, ma la questione

probabilmente dovrebbe essere discussa

perché l'ora dell'uso quotidiano di questi strumenti si avvicina.

--------------------------
(L'originale di questo articolo è stato

 pubblicato su "Scientific American" il 18 dicembre 2018.

Traduzione ed editing a cura di Le Scienze.

Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

 
 
 
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