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Post n°2912 pubblicato il 13 Maggio 2020 da blogtecaolivelli

Nuove notizie sul Coronavirus

 il 13 Maggio 2020 da 

Fonte: articolo riportato dall'Internet
Coronavirus, era già tutto scritto
Armando Gariboldi

Èormai da settimane l'argomento di apertura di tutti i notiziari

e delle prime pagine dei giornali: il nuovo Coronavirus (2019-nCoV),

il letale morbo proveniente dalla Cina autore della nuova pandemia

di questo inizio di anni Venti del terzo millennio.

I coronavirus sono una grande famiglia di virus che possono causare

diverse infezioni, dal comune raffreddore a malattie più gravi come

la sindrome respiratoria del Medio Oriente (MERS) e la sindrome

respiratoria acuta grave (SARS).

Il "salto" di specie

Spesso questi ceppi virali si selezionano e vivono all'interno di varie

specie animali, senza contaminare l'uomo.

Tuttavia in alcuni casi possono comparire nuovi virus che, precedentemente

circolanti solo nel mondo animale, ad un certo momento subiscono una muta-

zione e diventano patogeni anche per la nostra specie.

È un fenomeno ben noto (chiamato spill-over o salto di specie) e si pensa

che possa essere alla base anche dell'origine di quest'ultimo coronavirus

proveniente dalla Cina.

Al momento la comunità scientifica sta ancora cercando di identificare con

sicurezza la fonte dell'infezione: si parla di pipistrelli, di serpenti ed anche

di una specie di pangolino.

Fatto sta che sembrerebbe che i primi focolai si siano sviluppati nel grande

mercato del bestiame della città di Wuhan, capoluogo e città più popolosa

della provincia di Hubei, alla confluenza del Fiume Azzurro e del fiume

Han (e quindi in un punto geograficamente già predisposto alla diffusione

ed agli scambi).

Evento previsto anni fa, seguendo i cacciatori di virus

Questo fatto che oggi sta allarmando l'opinione pubblica mondiale e che

viene dipinto come uno sfortunato evento eccezionale, in realtà era stato

ampiamente previsto, con impressionante precisione e dovizia di particolari,

sin dal 2012 dal giornalista e divulgatore scientifico David Quammen,

collaboratore del National Geographic.

Infatti nel suo libro "Spillover", ora pubblicato anche in italiano da Adelphi,

Quammen aveva previsto tutto, compreso il fatto che la "prossima pandemia"

sarebbe partita da un mercato del sud della Cina. Ma Quammen non è un

indovino: è solo un abile cronista che ha indagato con straordinaria efficacia

tra gli squilibri a cui abbiamo costretto il pianeta Terra, dedicandosi in

particolare al lavoro, spesso oscuro, dei "cacciatori di virus".

Con il fiato sospeso per capire il meccanismo di diffusione

Scrive Quammen: «Non vengono da un altro pianeta e non nascono

dal nulla.

I responsabili della prossima pandemia sono già tra noi, sono virus che

oggi colpiscono gli animali, ma che potrebbero da un momento all'altro

fare un salto di specie - uno spillover in gergo tecnico - e colpire anche

gli esseri umani...».

Il libro è unico nel suo genere e davvero attualissimo: un misto tra un

saggio sulla storia della medicina ed un reportage, è stato scritto in sei

anni di lavoro nei quali l'autore ha seguito gli scienziati al lavoro nelle

foreste congolesi, nelle fattorie australiane e nei mercati delle affollate

città cinesi.

Quammen ha intervistato centinaia di testimoni, medici e sopravvissuti,

ha investigato e raccontato con stile quasi da poliziesco la corsa alla

comprensione dei meccanismi delle malattie.

E tra le pagine più avventurose, che tengono il lettore con il fiato sospeso

come quelle di un romanzo noir, è riuscito a cogliere la preoccupante

peculiarità di queste malattie.

Ovvero la continua ricerca, da parte di organismi estremamente adattabili

e resistenti quali sono i virus, di un nuovo equilibrio per poter sopravvivere.

L'uomo come "ospite perfetto"

Un nuovo efficace equilibrio tra gli squilibri causati dall'Uomo, che

stermina direttamente o indirettamente intere popolazioni di virus e

che di fatto li obbliga a cercare freneticamente nuove possibilità di

sopravvivenza tra le alterazioni degli ecosistemi indotte dall'azione

antropogenica!

Ovvero il virus fa ciò che fa per necessità di sopravvivenza.

E la scelta della specie umana come nuovo ospite è quasi ovvia: è un

mammifero (ideale portatore), appartenente alla specie più popolosa e

diffusa del Pianeta (che tra l'altro mangia altri animali di diverse specie),

si muove molto e ovunque (e quindi facilita la diffusione del virus) ed è

a stretto contatto con molte specie animali sia domestiche sia selvatiche,

anche a causa della distruzione e trasformazione degli habitat.

Insomma gli spillover o salti di specie di patogeni ci sono sempre stati

e continueranno ad esserci.

Non tutti diventeranno per fortuna pandemie, ma ancora una volta, la loro

letalità potenziale e la loro velocità di diffusione non saranno frutto del caso.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
RIPRODUZIONE CONSENTITA CON LINK A ORIGINALE E CITAZIONE FONTE: RIVISTANATURA.COM

 

Progetto Islandese

 pubblicato il 13 Maggio 2020 

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Trasformare la CO2 in roccia per frenare il riscaldamento globale

Le rocce basaltiche islandesi.

ANDREA DI PIAZZA2 SETTIMANE FA

L'idea di trasformare la CO2 in roccia per frenare

il riscaldamento globale non è una novità, ma se

anziché riuscirci in migliaia di anni lo si fa in tempi

record ecco che la cosa si fa davvero interessante.

La notizia arriva dall'Islanda. Ecco di cosa si tratta.

Iniettare la CO2 nel sottosuolo e trasformarne il 90%

in minerali nel giro di soli due anni.

Sono questi gli eccellenti risultati raggiunti dal progetto

Carbfix in Islanda, uno dei venti finalisti candidati ad

ottenere il prestigioso Keeling Curve Prize.

Il progetto, che va avanti ormai da diversi anni, sfrutta i

basalti islandesi come volume geologico per lo stoccaggio

del gas, una scelta che si è rivelata efficace e sicura e

che apre nuove prospettive per la lotta al riscaldamento

globale.

I basalti d'Islanda

Gran parte dei progetti di cattura e stoccaggio dell'anidride

carbonica sfruttano le rocce sedimentarie come volume

serbatoio per l'immagazzinamento del gas che penetra nei

pori della roccia e può dissolversi nelle acque sotterranee o

reagire con la roccia incassante formando minerali carbonatici.

Tuttavia il processo richiede migliaia di anni, rendendo questa

soluzione sfavorevole per mineralizzare la CO2 abbastanza

velocemente da soddisfare la potenziale domanda o da evitare

che eventi geologici improvvisi come i terremoti possano

provocare fughe di gas.

Una soluzione a questo problema arriva dalle rocce magmatiche

basiche come i basalti che, oltre ad essere ampiamente diffusi

su tutto il Pianeta, contengono alte concentrazioni di calcio e

magnesio, ioni che possono reagire facilmente con la CO2 producendo

minerali di calcite, dolomite e magnesite. Con l'obiettivo dunque

di testare la capacità di immagazzinamento dell'anidride carbonica

da parte di alcuni dei basalti più famosi del mondo il sito della

centrale geotermica di Hellisheiði in Islanda è diventato il cuore

pulsante del progetto Carbfix.

Il team, guidato dal Reykjavik Energy, ha ideato il sistema che

dissolve la CO2 catturata dal processo industriale nelle acque

reflue dell'impianto, iniettando poi il tutto a centinaia di metri di

profondità nelle rocce basaltiche.

Alla fine del 2018, il sistema aveva catturato e stoccato circa

66.000 t di gas (sia CO2 che H2S), ovvero oltre il 40% delle

emissioni generate dalla centrale.

Secondo i risultati ottenuti, oltre il 90% del gas iniettato si è

trasformato in minerale nel giro di un paio d'anni. 

Un processo estremamente rapido ma con qualche punto critico,

l'acqua innanzitutto: per l'iniezione di una tonnellata di anidride

carbonica ne servono 25 di acqua.

Il metodo, inoltre, va testato anche in altri basalti del Pianeta,

piccole variazioni composizionali della roccia ospite possono

portare a ben differenti tassi di mineralizzazione.

Di certo i rapidi tempi di stoccaggio dei gas iniettati candidano

 i basalti islandesi come uno dei migliori serbatoi naturali al

mondo.

Un processo naturale

Grazie alle loro proprietà chimiche, rocce basiche e ultrabasiche

come basalti e peridotiti sono l'ambiente ideale per i processi

di carbonatazione naturale.

È stato stimato per esempio che l'alterazione dei basalti presenti

sulle terre emerse del nostro Pianeta, dovuta agli agenti atmosferici,

contribuisce per il 30% alla rimozione naturale della CO2

dall'atmosfera.

Allo stesso modo in natura la mineralizzazione della CO2 è un

processo che avviene costantemente in ambienti vulcanici.

I basalti dei sistemi vulcanici e geotermici sottomarini, per esempio,

ricevono costantemente grandi quantità di anidride carbonica dal

magma che degassa in profondità.

 È il caso delle dorsali oceaniche, dove la circolazione idrotermale

coinvolge il primo km di crosta oceanica con una conseguente

interazione CO2-acqua-basalto: soltanto in questo spazio si riescono

a mineralizzare circa 40Mt di anidride carbonica all'anno.

Proprio in Islanda, porzione emersa della dorsale medio atlantica,

è stato stimato che un basalto fresco può immagazzinare naturalmente

oltre 100 kg di CO2 per metro cubo.

Sulla base di questa stima, la capacità teorica di stoccaggio lungo

le dorsali oceaniche (ammesso che la composizione del basalto non

vari grandemente) e dell'ordine di 100.000 - 250.000 Gt di CO2,

diversi ordini di grandezza in più rispetto alla quantità di anidride

carbonica che ogni anno viene liberata a livello globale dalle attività

umane (circa 36,8 Gt nel 2019). 

Teoricamente dunque le capacità di immagazzinamento della CO2

da parte dei basalti oceanici e terrestri sono enormi e con la

tecnologia giusta, potrebbero essere una delle soluzioni determinanti

per lo stoccaggio definitivo dell'anidride carbonica e per la lotta

al riscaldamento globale.

Prossimo passo: sottrarre CO2 all'atmosfera

Ad oggi i sistemi di cattura e stoccaggio della CO2 esistenti (Carbon

Capture and Storage, CCS) riescono a processare circa 40 Mt di gas

ogni anno e sono applicati principalmente a determinati processi

industriali. 

Per rispettare l'Accordo di Parigi e contenere la crescita della

temperatura media globale a 1.5°C, bisognerebbe però catturare e

stoccare almeno 190 Gt di anidride carbonica.

Una quantità enorme che richiederebbe un aumento del numero di

impianti CCS esistenti di almeno 2.500 unità entro il 2040, ma

soprattutto la cattura della CO2 direttamente in aria.

Ciò è possibile attraverso i sistemi di cattura diretta dell'aria

(Direct Air Capture, DAC), che filtrano direttamente l'aria

attraverso un solido o un liquido capace di rimuovere selet-

tivamente l'anidride carbonica sfruttando processi di assorbi-

mento e adsorbimento. Combinando i due sistemi ed instal-

landoli nei pressi di un serbatoio basaltico, esattamente come

si sta sperimentando nel progetto Carbonfix, sarà possibile

creare siti di stoccaggio in grado di rimuovere grandi quantità

di CO2 dall'atmosfera.

Tuttavia ad oggi le tecnologie di tipo DAC sono abbastanza

poco mature (al momento la capacità di filtraggio è dell'ordine

delle migliaia di t di CO2 per anno) e anche piuttosto costose

(da 90 a 900$ per tonnellata di CO2), si tratta infatti di

tecnologie estremamente energivore. Ricercatori e aziende,

intraviste le grandi potenzialità di queste tecnologie, si stanno

impegnando per renderle più competitive ed operative in

un immediato futuro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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E CITAZIONE FONTE: RIVISTANATURA.COM

 
 
 
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