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Altre notizie sul Corona virus

Post n°2911 pubblicato il 13 Maggio 2020 da blogtecaolivelli

Altri metodi di indagine sul Coronavirus.

Fonte: articolo riportato dall'Internet

IL VIRUS STUDIATO CON L'EPIGENETICA

La Natura è anche nella pandemia di Coronavirus

a cura della Prof.ssa Luciana Riccio (*)

Sono fermamente convinta che mai, come in questo momento,

abbiamo bisogno di un pensiero differente, che ci aiuti a capire

un po' di più quello che sta succedendo, la pandemia di Coronavirus

è come un meteorite che ci è caduto addosso senza darci il tempo di

avere consapevolezza del pericolo.

Non c'è bisogno neanche di presentarlo, perché è il protagonista

indiscusso degli ultimi 2-3 mesi, non si parla che di lui e si vive in sua

funzione.

Si tratta del nuovo Coronavirus, definito più correttamente SARS-CoV-2.

Sappiamo - o pensiamo di sapere - tutto di lui, bombardati come siamo

da media, televisioni, social che ce lo propongono in tutte le salse, dalla

versione politicamente corretta dei virologi, infettivologi ed epidemiologi

"ufficiali", a quella da spy story di un virus creato artificialmente in laboratorio

come arma chimica.

In realtà si è detto tutto e il contrario di tutto, ed è comprensibile cambiare

opinione in base al decorso di una pandemia fino a ora sconosciuta; ma

un'analisi va fatta, soprattutto per proteggerci da altre epidemie o disastri

ambientali da cui non saremo mai immuni.

La centralità della scienza

Non è questo il momento del politicamente corretto, perché ne va del nostro

futuro, ma è il momento di capire quale debba essere il contributo della

scienza che mai, come in questo momento, ha bisogno di essere ridefinita,

perché la scienza è tale se si mette continuamente in discussione; altrimenti

parliamo di religione o, più in generale, di dogma.

Affermare che la scienza non è democratica, vuol dire non capire la ricchezza

e la complessità del processo scientifico, così come l'attività di divulgazione

non deve essere un processo cattedratico, con atteggiamenti presuntuosi.

È opportuno ascoltare il parere di più esperti per avere un quadro più ampio

della situazione.

Il virologo prof. Giulio Tarro, per esempio, sostiene che con il caldo il virus

dovrebbe scomparire.

Su questo ho (e non solo io) dei dubbi, tenuto conto dei focolai che si stanno

manifestando in Africa e dell'epidemia di MERS-CoV (virus della stessa famiglia

di coronavirus del SARS-CoV-2) nata in Paesi caldi, anche se è plausibile che

il virus si diffonda meglio in spazi chiusi, in ambienti freddi e umidi con poca

ventilazione.

Il professore sostiene anche che usare come vaccino naturale gli anticorpi di quelli

che non si sono ammalati nonostante il virus (e i guariti), tramite infusione di plasma,

sia una buona soluzione, peraltro sperimentata anche in Italia.

Sempre secondo il prof. Tarro il virus avrebbe trovato terreno favorevole nella

pianura padana a causa dell'elevato tasso di polveri sottili (PM 10), particelle

inquinanti, la cui presenza accumuna tale zona italiana a Wuhan.

Per molti studiosi, l'alta concentrazione di particolato nell'atmosfera della Lombardia

potrebbe aver contribuito alla diffusione del Covid-19.

Potrebbe trattarsi di un virus "lombardo"?

Devo dire che potrebbe non avere tutti i torti, perché sappiamo quanto conti

l'ambiente per gli esseri viventi, virus compresi: insomma è una questione

di Epigenetica...

L'Epigenetica è la nuova frontiera della genetica che non tratta le caratteristiche

genetiche (siamo alti o bassi, abbiamo gli occhi azzurri o neri in base ai nostri

genitori), bensì studia le modificazioni del DNA (o RNA) dovute a fattori ambientali,

nutrizionali e anche comportamentali che si verificano quando delle molecole -

contenute per esempio nel cibo o in agenti inquinanti - silenziano o attivano un

particolare gene, modificando il modo in cui si esprime.

Il "nostro" virus è a RNA (una macromolecola che contiene l'informazione genetica

come fa il DNA, anche se ha una struttura meno complessa) e, forse, le primordiali

forme di vita si basavano esclusivamente sull'RNA.

Nei virus, come negli esseri umani, si possono verificare mutazioni epigenetiche,

ovvero mutazioni che non incidono sulla sequenza genica ma, nel caso specifico,

sulla struttura dell'RNA. 

Queste mutazioni possono essere indotte anche da fattori ambientali e qui si

apre un nuovo capitolo...

L'impatto che abbiamo sul Pianeta

Aggressività e pericolosità dei virus a RNA sono regolate da fattori epigenetici,

cioè dalla presenza di particolari molecole che regolano l'espressione genica,

agganciandosi ai filamenti dell'RNA.

La più importante di queste è la N6-Metiladenosina, che nell'organismo umano

prende parte a diversi processi biologici, tra cui le risposte a stress, fertilità,

ritmi circadiani e sviluppo del cancro.

Inserendo mutazioni che inattivano l'azione dell'N6-metiladenosina in pezzi

di RNA, i ricercatori hanno scoperto che viene rallentata l'infezione virale.

Lo studio è stato effettuato da un gruppo di ricercatori statunitensi sui virus

dell'epatite C e di Zika. Perché, quindi, il principio non potrebbe essere

valido anche per gli altri virus a RNA, compreso il coronavirus SARS-CoV-2?

 E poi - se vogliamo dirla tutta - i virus, anche se non hanno vita autonoma e

hanno bisogno di un organismo per replicarsi, sono "intelligenti", se non

altro perché fanno parte dell'ecosistema naturale.

Perché, allora, non dovrebbero modulare la loro moltiplicazione per mantenere

l'infezione sotto controllo, in modo da non scatenare una massiccia risposta

immunitaria che può ucciderli?

Quindi, se vogliamo essere ottimisti, dobbiamo ascoltare il Prof. Isaac Ben

Israel, che ci dice che il ciclo epidemico della SARS-CoV-2 è di 70 giorni,

ovvero il virus raggiunge il picco di contagio entro 4-6 settimane per poi

cominciare una fase discendente che si concluderebbe intorno all'ottava-nona

settimana.

Quindi, secondo il professore, il lock-down protratto a lungo potrebbe servire

a poco. Da questo punto di vista bisogna andare con i piedi di piombo,

perché, di fatto, le misure restrittive hanno contenuto il diffondersi della

pandemia e non sappiamo veramente quali siano le "intenzioni" del virus

anche se, tutto sommato, non gli "converrebbe" attivare nostro sistema

immunitario per un periodo troppo lungo.

Per concludere, una gustosa curiosità...

Nel 2000 a Gulu, un villaggio sulle rive del fiume Ivindo, nel Gabon, nel

corso di un'epidemia di Ebola, gli abitanti hanno applicato delle regole

che nulla hanno a che invidiare al nostro lock-down.

È stato imposto l'isolamento dei pazienti in una casa speciale e distante dalle

altre, i guariti dovevano curare gli ammalati (importanza dell'immunità!), gli

spostamenti tra un villaggio e l'altro erano limitati, non si dovevano avere

contatti sessuali con i contagiati, erano sospesi i funerali e le danze rituali.

Anche questi comportamenti hanno contribuito a far cessare l'epidemia.

In ogni caso, non dimentichiamo mai che il "nostro" coronavirus segue

anch'esso le leggi della Natura, perché fa parte di essa.

(*) Vive e lavora a Latina come Medico Anestesista-Rianimatore. Insegna

Fisioterapia alla Facoltà di Medicina e Farmacia dell'Università

"Sapienza" di Roma e ha un Master in Giornalismo e Comunicazione

Istituzionale della Scienza. È autrice del saggio sull'epigenetica dal titolo

"Viaggio al Centro della Vita alla ricerca della Mutazione K",

edito da Go Ware.

   I virus dallo spazio?

pubblicato il 13 Maggio 2020 da ellistar2012

Fonte: articolo riportato dall'Internet

ASTRONAUTI AMMALATII virus si propagano anche nello Spazio?

(Image: © NASA)

LUCA SERAFINI

Che cosa accadrebbe se il coronavirus si diffondesse

in una navicella della NASA? Affronta l'argomento

un interessante articolo scientifico di Chelsea Gohd,

"Getting sick in space: How would NASA handle an

astronaut disease outbreak?" (Ammalarsi nello Spazio:

come affronterebbe la NASA il caso di un astronauta

che si ammala?) pubblicato su Space.com.

Nella foto di apertura: Gli astronauti della Expedition

62 all'interno di una navicella di rifornimento SpaceX

Dragon CRS-20 in visita alla Stazione Spaziale Internazionale.

Le maschere che indossano servono a proteggere da

particelle e sostanze irritanti che potrebbero essersi

staccate all'interno del Dragon durante il volo.

(Image: © NASA)

Ammalarsi nello Spazio: le risposte della NASA

«In rare occasioni nel corso della storia dei voli spaziali

è successo che gli astronauti si siano ammalati durante

la loro permanenza nello Spazio. 

Mentre erano in orbita, alcuni di loro hanno sofferto di

infezioni delle vie respiratorie superiori o di raffreddori,

infezioni del tratto urinario e infezioni della pelle» ha

detto a Space.com Jonathan Clark, ex medico

dell'equipaggio del programma Space Shuttle della NASA

e attuale professore associato di neurologia e medicina

spaziale presso il Center for Space Medicine del Baylor

College of Medicine.

Durante la missione Apollo 7, nel 1968, l'equipaggio

prese il raffreddore e il fatto ebbe un impatto significativo

sul programma.

Molto probabilmente il comandante Wally Schirra salì a

bordo con un leggero raffreddore e lo diffuse agli altri

membri dell'equipaggio.

Gli astronauti finirono i medicinali presenti a bordo e

i fazzoletti... e hanno avuto problemi a indossare il

casco durante il rientro nell'atmosfera terrestre.

Analoghi casi di raffreddore si sono registrati tra gli

astronauti di Apollo 8 e Apollo 9.

Quarantena pre-volo

A seguito di queste esperienze, la NASA ha introdotto

nella pianificazione delle missioni una quarantena pre-volo

per gli equipaggi delle navicelle spaziali.

Inoltre, ha cominciato a studiare degli scenari più complessi.

Per esempio, potrà succedere in futuro che gli equipaggi

di missioni spaziali debbano combattere malattie ben più

gravi e in ambienti potenzialmente più difficili, per esempio

sulla base lunare del programma Artemis.

Il nostro astronauta Luca Parmitano (European Space Agency)

all'opera durante lo studio delle possibili cause di patologie

neurodegenerative, come il morbo di Alzheimer.

Parmitano sta esaminando campioni di proteine per la forma-

zione di amiloidi che differiscono dai campioni osservati sulla

Terra.

I risultati possono suggerire terapie preventive per la popolazione

sulla Terra e gli astronauti in missioni a lungo termine.

(Image: © NASA)

Per quanto riguarda le emergenze mediche, gli astronauti sono

stati finora curati a distanza all'assistenza medica a terra, grazie

alle crescenti capacità di comunicazione.

Per esempio, i medici del Centro di Controllo sono stati in grado

di trattare un astronauta che ha subito un coagulo di sangue

mentre era a bordo della stazione spaziale.

Come cambiano virus e batteri nello Spazio

I modi in cui le infezioni si diffondono e come si comportano i

virus e le malattie nel corpo cambiano quando gli esseri umani

vanno nello spazio.

A causa dello stress fisico in un ambiente confinato senza la

gravità, anche le malattie banali come il raffreddore possono

assumere un aspetto diverso per gli astronauti.

I cambiamenti nei livelli degli ormoni dello stress e altre

ripercussioni fisiche del volo spaziale causano un cambiamento

del sistema immunitario.

Mentre un astronauta potrebbe avere un buon sistema

immunitario sulla Terra, potrebbe essere più suscettibile a

malattie o addirittura a reazioni allergiche mentre è nello

Spazio.

Il dott. Clark ha spiegato che virus come l'influenza o il

COVID19 potrebbero essere trasmessi più facilmente in

un ambiente a microgravità, come sulla Stazione Spaziale

Internazionale: «L'assenza di gravità impedisce alle particelle

di depositarsi, quindi rimangono sospese nell'aria e

potrebbero essere trasmesse più facilmente.

Per evitare questo, i compartimenti sono ventilati e il

sistema di areazione è dotato di filtri HEPA che rimuovono

le particelle».

Il risveglio dei virus dormienti

Gli scienziati hanno scoperto che i virus dormienti reagiscono

alle sollecitazioni del volo spaziale.

È stato accertato che virus come l'Herpes Simplex si riattivano

durante il volo spaziale.

Inoltre, gli studi in corso hanno ipotizzato che una maggiore

virulenza batterica nello spazio possa rendere meno efficaci i

trattamenti antibiotici.

Per questo, in particolare nel caso di missioni extra-planetarie,

l'equipaggio verrebbe messo in quarantena al ritorno sulla

Terra, proprio come avveniva nelle missioni di ritorno

dalla Luna.

L'astronauta della NASA Nicole Mann in esercitazione

all'interno del modello di navicella Orion, allo Johnson

Space Center della NASA a Houston, Texas.

(NASA/Bill Ingalls)

 
 
 
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