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La minaccia dello spillover inverso.

Post n°3108 pubblicato il 17 Giugno 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

 MICROBIOLOGIA COVID-19 ANIMALI 
25 maggio 2020

La minaccia dello spillover inversodi

Stacey McKenna/Scientific American

© Monty Rakusen/AGF Il passaggio dei virus dagli esseri

umani agli animali è un fenomeno poco noto, ma che sta

avvenendo sempre più spesso, soprattutto negli allevamenti

di bestiame, e in particolare di maiali, e rappresenta un

ulteriore fattore di rischio di epidemie.

La soluzione, secondo gli esperti, è un approccio che consideri

la salute umana nel contesto più ampio del benessere degli animali e

dell'ambiente.

Quando il nuovo coronavirus è passato agli esseri umani alla fine

del 2019, adattandosi così bene alla nuova specie ospite da causare

una pandemia, stava sfidando ogni calcolo delle probabilità.

Anche se gli scienziati stimano che circa il 60 per cento degli agenti

patogeni umani conosciuti e fino al 75 per cento di quelli associati

alle malattie emergenti hanno origine negli animali, il successo dello

spillover rimane estremamente raro.

Secondo gli studiosi, in natura esistono da 260.000 a più di 1,6

milioni di virus animali. Eppure, con poco più di 200 virus di cui

è documentato che colpiscono l'uomo, molto meno dello 0,1 per

cento di quelli di altre specie hanno "mai causato un'infezione

umana", sottolinea un articolo di "PLOS Biology" del 2019.

Affinché un virus salti dagli animali all'uomo e poi sopravviva, si

riproduca e si diffonda in modo efficiente tra i suoi nuovi ospiti, è

necessario che siano compresenti diversi fattori, incluse le

caratteristiche ecologiche e virali.

Negli ultimi decenni, la crescita della popolazione, le perturbazioni

ambientali e l'aumento dell'agricoltura industriale hanno alterato

la cosiddetta interfaccia uomo-animale.

Questo cambiamento ha portato alla comparsa di diverse malattie

zoonotiche, dall'Ebola alle influenze aviarie e suine e a diversi coronavirus.

I microbi, però, non fanno il salto di specie in una sola direzione.

Sono stati segnalati diversi casi di pazienti COVID-19 che hanno

infettato cani e gatti da compagnia.

E all'inizio di aprile è stata confermata la presenza del virus in una

tigre allo zoo del Bronx (sette degli altri grandi felini sono risultati

positivi al test).

Le analisi genetiche evolutive indicano che durante l'epidemia di SARS

del 2002-2003, la trasmissione tra l'uomo e i piccoli carnivori è

avvenuta in entrambi i sensi.

Inoltre, durante la pandemia di influenza A H1N1 del 2009, 21 Paesi

hanno riferito di infezioni tra gli animali, la maggior parte delle quali

si è manifestata in seguito all'epidemia umana.

Infatti, a partire dagli anni Ottanta, i ricercatori hanno documentato

casi di esseri umani che hanno infettato la fauna selvatica, gli animali

da compagnia e il bestiame con una vasta gamma di agenti patogeni,

tra cui virus, funghi e batteri.

Mentre questa "zoonosi inversa" ha a volte conseguenze gravi, anche

mortali, per gli animali, gli esperti dicono che può anche avere

importanti implicazioni per la probabilità di future epidemie tra esseri

umani.

Un nuovo virus emerge tipicamente in seguito a una mutazione o a

uno scambio di materiale genetico tra due o più virus quando infettano

un ospite allo stesso tempo.

Anche se entrambi i fattori giocano un ruolo nell'evoluzione virale e

nel potenziale pandemico, è quest'ultimo processo - noto come

riassortimento nei virus segmentati (agenti patogeni il cui genoma è

diviso in più parti) come i virus dell'influenza e la ricombinazione in

quelli non segmentati come i coronavirus - che rende la zoonosi da

uomo a animale così rischiosa.

"Ogni volta che i virus hanno il potenziale di mescolarsi con gli altri,

possono causare seri problemi, soprattutto quando possono spostarsi

tra animali e persone in entrambe le direzioni", dice Casey Barton

Behravesh, direttore dell'One Health Office presso il National

Center for Emerging and Zoonotic Infectious Diseases dei

Centers for Disease Control and Prevention degli Stati Uniti.

Si dà il caso che i maiali siano ottimi serbatoi di miscelazione.

Il virus dell'influenza H1N1 del 2009, che ha ucciso 151.700-575.400

persone in tutto il mondo nel suo primo anno di circolazione, è partito

dagli animali.

Ma quel virus conteneva singoli segmenti genetici provenienti da

quattro fonti distinte: gli esseri umani, gli uccelli, i maiali nordamericani

e quelli eurasiatici. In effetti, molti dei virus ospitano maiali provenienti

dall'uomo.

Negli ultimi anni, i ricercatori hanno identificato decine di casi sporadici

in tutto il mondo in cui virus dell'influenza pandemica e stagionale sono

saltati dall'uomo per circolare tra le popolazioni suine.

"Abbiamo avuto due salti di virus aviari che sono finiti nei maiali.

E rispetto a questo, probabilmente abbiamo avuto decine, se non

centinaia, di virus umani".

Quindi la [diversità genetica dell'influenza nei suini] è prevalentemente

di origine umana", dice Martha Nelson, ricercatrice del Fogarty

International Center dei National Institutes of Health.

Dal 2011 i virus dell'influenza suina contenenti geni di origine

umana sono stati associati a più di 450 infezioni zoonotiche, per

lo più nelle fiere agricole in tutti gli Stati Uniti.

Anche se questi particolari ceppi hanno mostrato solo una blanda

capacità di trasmissione interumana, quanto più elevata è la diversità

genetica dei virus trovati in un ospite che fa da reservoir, tanto più è

probabile che emerga una variante in grado di diffondersi in modo

efficiente tra gli esseri umani.

"È un po' come giocare alla roulette russa", dice Nelson.

"Sappiamo che questi [virus possono far salto tra specie per infettare

le persone.

Ma è solo questione di tempo prima che uno di essi sia in grado di

diffondersi da uomo a uomo".

La trasmissione dell'influenza da uomo a maiale è diventata un

fattore di rischio maggiore nell'era moderna perché presenta costanti

opportunità di spillover in entrambe le direzioni.

Nell'agricoltura industriale, i suini si spostano all'interno delle regioni e

tra i continenti, incontrando sia i virus suini che quelli umani provenienti

da tutto il mondo.

Spesso vivono a stretto contatto sia con gli esseri umani che con altri

maiali.

Queste condizioni offrono ai virus numerose possibilità di trovare la

"giusta" mutazione o una nuova combinazione di geni non solo per

saltare tra le specie, ma anche per circolare attivamente.

I virus e i loro componenti rimbalzano tra esseri umani e suini commerciali

statunitensi e maiali da esposizione, dice Nelson, fino a quando alla

fine non emergono come qualcosa di nuovo nelle persone che passano

la loro vita a prendersi cura degli animali: i lavoratori di fattorie e

allevamenti e coloro che si occupano di esposizioni di bestiame.

Da noi a loro: l'altra faccia del contagio fra speciedi Enrico Nicosia

Il grado in cui la zoonosi inversa aumenta i rischi di pandemie o di

grandi epidemie in senso lato rimane meno chiaro.

Anche se la maggior parte delle malattie zoonotiche emergenti ha avuto

origine nella fauna selvatica, non nel bestiame o negli animali domestici,

Barton Behravesh osserva che le interazioni tra gli esseri umani e le

altre specie sono incredibilmente complesse.

"C'è ogni sorta di caratteristiche che possono portare a quella tempesta

perfetta in grado di causare il passaggio di una malattia tra animali e

persone", dice.

"Sappiamo che il contatto molto stretto con gli animali e il loro ambiente

offre maggiori possibilità di trasmissione delle malattie tra animali ed

esseri umani".

Finora la zoonosi inversa non sembra aver influito sulla traiettoria della

pandemia COVID-19.

Come i virus dell'influenza, i coronavirus sono noti per saltare da una

specie all'altra con relativa facilità. SARS-CoV-2 - il virus che causa

COVID-19 - ha dimostrato la sua capacità di saltare dagli esseri umani

ad altri animali, specialmente i gatti.

I casi sono stati comunque rari. E prove limitate suggeriscono che i

gatti potrebbero essere in grado di trasmettersi il virus l'un l'altro a

distanza ravvicinata, ma attualmente non ci sono prove che i gatti

possano infettare gli esseri umani, secondo Gregg Dean, professore

e capo del dipartimento di microbiologia, immunologia e patologia

della Colorado State University.

Anche se le persone sono comprensibilmente preoccupate per la salute

dei loro animali domestici, Dean dice che è improbabile che gli animali da

compagnia diventino vettori principali di trasmissione.

Anche se il SARS-CoV-2 fosse in grado di saltare dai gatti alle persone,

le particolari circostanze delle interazioni felino-felino e umano-felino

riducono notevolmente la probabilità che queste trasmissioni diventino

un problema.

Al di fuori delle colonie o dei rifugi di felini, la maggior parte dei gatti

domestici si trova raramente in ambienti ad alta densità che comportano

la dispersione di cluster di casi nella comunità.

E i gatti sono più facili da testare e da mettere in quarantena rispetto agli

esseri umani. "I nostri gatti domestici sono probabilmente più a rischio

di prendere il COVID-19 da noi di quanto lo saremo noi a prenderlo da

loro", dice Dean.

Tuttavia, riesaminare le nostre ipotesi sul modo in cui le malattie

fluiscono sarà la chiave per prevenire future pandemie.

E di conseguenza, molti esperti stanno spingendo per un approccio

One Health che consideri la salute umana nel contesto più ampio del

benessere degli animali e dell'ambiente.

"Pensiamo ancora agli esseri umani come a una specie pulita e di livello

superiore, mentre gli animali sono quelli con tutti gli agenti patogeni",

dice Nelson.

"Ma se si pensa alla società umana e alle nostre densità e alle nostre

strutture di contatto, siamo noi gli incubatori di agenti patogeni".

(L'originale di questo articolo è stato pubblicato

su "Scientific American" il 20 maggio 2020.

Traduzione ed editing a cura di Le Scienze.

Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.) 

 
 
 
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