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La minaccia dello spillover inverso.
Post n°3108 pubblicato il 17 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet MICROBIOLOGIA COVID-19 ANIMALI La minaccia dello spillover inversodi Stacey McKenna/Scientific American © Monty Rakusen/AGF Il passaggio dei virus dagli esseri umani agli animali è un fenomeno poco noto, ma che sta avvenendo sempre più spesso, soprattutto negli allevamenti di bestiame, e in particolare di maiali, e rappresenta un ulteriore fattore di rischio di epidemie. La soluzione, secondo gli esperti, è un approccio che consideri la salute umana nel contesto più ampio del benessere degli animali e dell'ambiente. Quando il nuovo coronavirus è passato agli esseri umani alla fine del 2019, adattandosi così bene alla nuova specie ospite da causare una pandemia, stava sfidando ogni calcolo delle probabilità. Anche se gli scienziati stimano che circa il 60 per cento degli agenti patogeni umani conosciuti e fino al 75 per cento di quelli associati alle malattie emergenti hanno origine negli animali, il successo dello spillover rimane estremamente raro. Secondo gli studiosi, in natura esistono da 260.000 a più di 1,6 milioni di virus animali. Eppure, con poco più di 200 virus di cui è documentato che colpiscono l'uomo, molto meno dello 0,1 per cento di quelli di altre specie hanno "mai causato un'infezione umana", sottolinea un articolo di "PLOS Biology" del 2019. Affinché un virus salti dagli animali all'uomo e poi sopravviva, si riproduca e si diffonda in modo efficiente tra i suoi nuovi ospiti, è necessario che siano compresenti diversi fattori, incluse le caratteristiche ecologiche e virali. Negli ultimi decenni, la crescita della popolazione, le perturbazioni ambientali e l'aumento dell'agricoltura industriale hanno alterato la cosiddetta interfaccia uomo-animale. Questo cambiamento ha portato alla comparsa di diverse malattie zoonotiche, dall'Ebola alle influenze aviarie e suine e a diversi coronavirus. I microbi, però, non fanno il salto di specie in una sola direzione. Sono stati segnalati diversi casi di pazienti COVID-19 che hanno infettato cani e gatti da compagnia. E all'inizio di aprile è stata confermata la presenza del virus in una tigre allo zoo del Bronx (sette degli altri grandi felini sono risultati positivi al test). Le analisi genetiche evolutive indicano che durante l'epidemia di SARS del 2002-2003, la trasmissione tra l'uomo e i piccoli carnivori è avvenuta in entrambi i sensi. Inoltre, durante la pandemia di influenza A H1N1 del 2009, 21 Paesi hanno riferito di infezioni tra gli animali, la maggior parte delle quali si è manifestata in seguito all'epidemia umana. Infatti, a partire dagli anni Ottanta, i ricercatori hanno documentato casi di esseri umani che hanno infettato la fauna selvatica, gli animali da compagnia e il bestiame con una vasta gamma di agenti patogeni, tra cui virus, funghi e batteri. Mentre questa "zoonosi inversa" ha a volte conseguenze gravi, anche mortali, per gli animali, gli esperti dicono che può anche avere importanti implicazioni per la probabilità di future epidemie tra esseri umani. Un nuovo virus emerge tipicamente in seguito a una mutazione o a uno scambio di materiale genetico tra due o più virus quando infettano un ospite allo stesso tempo. Anche se entrambi i fattori giocano un ruolo nell'evoluzione virale e nel potenziale pandemico, è quest'ultimo processo - noto come riassortimento nei virus segmentati (agenti patogeni il cui genoma è diviso in più parti) come i virus dell'influenza e la ricombinazione in quelli non segmentati come i coronavirus - che rende la zoonosi da uomo a animale così rischiosa. "Ogni volta che i virus hanno il potenziale di mescolarsi con gli altri, possono causare seri problemi, soprattutto quando possono spostarsi tra animali e persone in entrambe le direzioni", dice Casey Barton Behravesh, direttore dell'One Health Office presso il National Center for Emerging and Zoonotic Infectious Diseases dei Centers for Disease Control and Prevention degli Stati Uniti. Si dà il caso che i maiali siano ottimi serbatoi di miscelazione. Il virus dell'influenza H1N1 del 2009, che ha ucciso 151.700-575.400 persone in tutto il mondo nel suo primo anno di circolazione, è partito dagli animali. Ma quel virus conteneva singoli segmenti genetici provenienti da quattro fonti distinte: gli esseri umani, gli uccelli, i maiali nordamericani e quelli eurasiatici. In effetti, molti dei virus ospitano maiali provenienti dall'uomo. Negli ultimi anni, i ricercatori hanno identificato decine di casi sporadici in tutto il mondo in cui virus dell'influenza pandemica e stagionale sono saltati dall'uomo per circolare tra le popolazioni suine. "Abbiamo avuto due salti di virus aviari che sono finiti nei maiali. E rispetto a questo, probabilmente abbiamo avuto decine, se non centinaia, di virus umani". Quindi la [diversità genetica dell'influenza nei suini] è prevalentemente di origine umana", dice Martha Nelson, ricercatrice del Fogarty International Center dei National Institutes of Health. Dal 2011 i virus dell'influenza suina contenenti geni di origine umana sono stati associati a più di 450 infezioni zoonotiche, per lo più nelle fiere agricole in tutti gli Stati Uniti. Anche se questi particolari ceppi hanno mostrato solo una blanda capacità di trasmissione interumana, quanto più elevata è la diversità genetica dei virus trovati in un ospite che fa da reservoir, tanto più è probabile che emerga una variante in grado di diffondersi in modo efficiente tra gli esseri umani. "È un po' come giocare alla roulette russa", dice Nelson. "Sappiamo che questi [virus possono far salto tra specie per infettare le persone. Ma è solo questione di tempo prima che uno di essi sia in grado di diffondersi da uomo a uomo". La trasmissione dell'influenza da uomo a maiale è diventata un fattore di rischio maggiore nell'era moderna perché presenta costanti opportunità di spillover in entrambe le direzioni. Nell'agricoltura industriale, i suini si spostano all'interno delle regioni e tra i continenti, incontrando sia i virus suini che quelli umani provenienti da tutto il mondo. Spesso vivono a stretto contatto sia con gli esseri umani che con altri maiali. Queste condizioni offrono ai virus numerose possibilità di trovare la "giusta" mutazione o una nuova combinazione di geni non solo per saltare tra le specie, ma anche per circolare attivamente. I virus e i loro componenti rimbalzano tra esseri umani e suini commerciali statunitensi e maiali da esposizione, dice Nelson, fino a quando alla fine non emergono come qualcosa di nuovo nelle persone che passano la loro vita a prendersi cura degli animali: i lavoratori di fattorie e allevamenti e coloro che si occupano di esposizioni di bestiame. Il grado in cui la zoonosi inversa aumenta i rischi di pandemie o di grandi epidemie in senso lato rimane meno chiaro. Anche se la maggior parte delle malattie zoonotiche emergenti ha avuto origine nella fauna selvatica, non nel bestiame o negli animali domestici, Barton Behravesh osserva che le interazioni tra gli esseri umani e le altre specie sono incredibilmente complesse. "C'è ogni sorta di caratteristiche che possono portare a quella tempesta perfetta in grado di causare il passaggio di una malattia tra animali e persone", dice. "Sappiamo che il contatto molto stretto con gli animali e il loro ambiente offre maggiori possibilità di trasmissione delle malattie tra animali ed esseri umani". Finora la zoonosi inversa non sembra aver influito sulla traiettoria della pandemia COVID-19. Come i virus dell'influenza, i coronavirus sono noti per saltare da una specie all'altra con relativa facilità. SARS-CoV-2 - il virus che causa COVID-19 - ha dimostrato la sua capacità di saltare dagli esseri umani ad altri animali, specialmente i gatti. I casi sono stati comunque rari. E prove limitate suggeriscono che i gatti potrebbero essere in grado di trasmettersi il virus l'un l'altro a distanza ravvicinata, ma attualmente non ci sono prove che i gatti possano infettare gli esseri umani, secondo Gregg Dean, professore e capo del dipartimento di microbiologia, immunologia e patologia della Colorado State University. Anche se le persone sono comprensibilmente preoccupate per la salute dei loro animali domestici, Dean dice che è improbabile che gli animali da compagnia diventino vettori principali di trasmissione. Anche se il SARS-CoV-2 fosse in grado di saltare dai gatti alle persone, le particolari circostanze delle interazioni felino-felino e umano-felino riducono notevolmente la probabilità che queste trasmissioni diventino un problema. Al di fuori delle colonie o dei rifugi di felini, la maggior parte dei gatti domestici si trova raramente in ambienti ad alta densità che comportano la dispersione di cluster di casi nella comunità. E i gatti sono più facili da testare e da mettere in quarantena rispetto agli esseri umani. "I nostri gatti domestici sono probabilmente più a rischio di prendere il COVID-19 da noi di quanto lo saremo noi a prenderlo da loro", dice Dean. Tuttavia, riesaminare le nostre ipotesi sul modo in cui le malattie fluiscono sarà la chiave per prevenire future pandemie. E di conseguenza, molti esperti stanno spingendo per un approccio One Health che consideri la salute umana nel contesto più ampio del benessere degli animali e dell'ambiente. "Pensiamo ancora agli esseri umani come a una specie pulita e di livello superiore, mentre gli animali sono quelli con tutti gli agenti patogeni", dice Nelson. "Ma se si pensa alla società umana e alle nostre densità e alle nostre strutture di contatto, siamo noi gli incubatori di agenti patogeni". (L'originale di questo articolo è stato pubblicato su "Scientific American" il 20 maggio 2020. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.) |
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