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Messaggi di Novembre 2019

I danni dell'inquinamento

Post n°2419 pubblicato il 22 Novembre 2019 da blogtecaolivelli

14 novembre 2019Comunicato stampa

Studio su popolazione esposta a

inquinamento atmosferico e rumore

Fonte: Cnr

Al via una nuova ricerca dell'Istituto

di fisiologia clinica del Cnr, dopo la

pubblicazione sulla rivista International

journal of environmental research and

public health dei primi risultati sulla

salute dei residenti nel comune di Pisa,

finalizzato a valutare in particolare

l'impatto dell'inceneritore urbano

Ha preso avvio il secondo studio sullo

stato di salute a Pisa dopo quello effet-

tuato sui residenti esposti all'inquinamento

atmosferico: l'Istituto di fisiologia clinica

del Consiglio nazionale delle ricerche

(Cnr-Ifc), è stato infatti incaricato dalla

Direzione ambiente-Assessorato alla

salute del Comune di Pisa di effettuare

un approfondimento sull'impatto congiunto

sulla salute del rumore e dell'inquinamento

atmosferico.

La prima ricerca effettuata dagli epidemiologi

ambientali del Cnr-Ifc è stata pubblicata di

recente sull'International journal of

environmental research and public health,

per valutare la salute dei 132.293 residenti

del comune di Pisa tra il 2001 e il 2014.

Il legame con l'inquinamento atmosferico è

stato studiato suddividendo la popolazione

residente in quattro classi, secondo

l'intensità di esposizione individuale

all'inquinamento da ossidi di azoto emessi

dal locale inceneritore e dalle altre fonti di

inquinamento (traffico e industrie).

Il confronto della mortalità e dei ricoveri dei

residenti nelle aree a diverso livello di 

inquinamento ha tenuto conto anche

dell'età e dello stato socio-economico.

"Per i residenti nell'area con più alta

concentrazione di ossidi di azoto, rispetto

a quelli residenti nell'area meno impattata,

è emerso un eccesso del 10% di mortalità

per tutte le cause e del 21% per malattie

cardiovascolari tra gli uomini e un eccesso

di mortalità per malattie respiratorie acute

(+152%) tra le donne, mentre i decessi

per leucemie e linfomi sono risultati in

eccesso in entrambi i sessi.

Inoltre, l'analisi dei ricoveri in ospedale

ha fornito segnali critici sui tumori ematologici

nei maschi", spiega Fabrizio Bianchi,

ricercatore del Cnr-Ifc. "I risultati ottenuti

sono coerenti con precedenti evidenze

maturate in studi sulla salute di popolazioni

residenti intorno a inceneritori e più in

generale esposte a inquinamento dell'aria.

A causa dell'età avanzata dell'inceneritore

e di valutazioni strategiche riguardanti il

piano regionale dei rifiuti è stato deciso di

chiudere l'impianto, ed è stata confermata

l'utilità degli studi epidemiologici di coorte

residenziale nelle decisioni istituzionali di

questo tipo".

 
 
 

Sulla sinapsi

Post n°2418 pubblicato il 22 Novembre 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze
07 novembre 2019

Scoperto un nuovo meccanismo di

regolazione della nascita delle sinapsi

Fonte: Cnr 

È legato al ruolo della proteina tetra-

spannina 5 (TSPAN5) che fornisce

una piattaforma per la connessione

fra neuroni. Lo studio dei ricercatori

dell'Istituto di neuroscienze del Cnr

è pubblicato su Cell Reports

Le sinapsi sono il punto di collega-

mento fra i neuroni nel cervello umano

e rappresentano la componente fonda-

mentale per la creazione delle memorie

e per le funzioni cognitive complesse.

La loro formazione è un processo estrema-

mente articolato e che può essere intac-

cato da numerose patologie neurologiche,

quali l'Alzheimer e la disabilità intellettiva.

La comprensione dei meccanismi alla

base della loro nascita rappresenta

quindi uno degli obiettivi dei laboratori

in tutto il mondo.

Uno studio condotto da Edoardo Moretto,

ora al Uk Dementia Research Institute di

Londra, supervisionato da Maria Passafaro

dell'Istituto di neuroscienze del Consiglio

nazionale delle ricerche (Cnr-In) di Milano,

ha dimostrato come TSPAN5, appartenente

ad una famiglia di proteine chiamate tetra-

spannine, sia in grado di formare delle

piattaforme sulla superficie dei neuroni

durante lo sviluppo delle sinapsi.

Lo studio è stato pubblicato su Cell Reports.

"Abbiamo osservato, tramite tecniche di

video-microscopia a super risoluzione,

che tali piattaforme di tetraspannine

sono in grado di ridurre la velocità di movi-

mento di altre proteine, come Neuroligin-1,

che hanno un ruolo cruciale nella forma-

zione delle sinapsi", spiega Moretto.

"Questo rallentamento permette a

Neuroligin-1 di accumularsi in specifiche

posizioni e favorisce quindi il suo legame

con la controparte del neurone confinante,

Neurexin, facendo sì che due neuroni

vicini si ritrovino fisicamente connessi e

permettendo quindi la realizzazione di

una sinapsi".

"Questo studio suggerisce che l'esistenza

di piattaforme di tetraspannine, finora carat-

terizzate solo per il loro ruolo nel sistema

immunitario, abbia un'importante funzione

anche nel sistema nervoso, in particolare

per le sue funzioni più complesse come la

formazione della memoria", conclude Pas-

safaro.
Lo studio è stato finanziato dalla Fonda-

zione Telethon e dal Uk Dementia Research

Institute - University College London, Londra.

Vi hanno collaborato diversi gruppi italiani

ed europei: il Dipartimento Biometra

dell'Università degli Studi e l'Istituto scientifico

dell'Ospedale San Raffaele di Milano (Vania

Broccoli), l'Interdisciplinary Institute for Neuro

Science (Iins) di Bordeaux (Dr Olivier Thoumine

e Dr Daniel Choquet), il Cnrs francese e l'Ucl

(Giampietro Schiavo).

 
 
 

Ancora sugli improbabili alieni

Post n°2417 pubblicato il 19 Novembre 2019 da blogtecaolivelli

31 ottobre 2019

Alieni

A richiesta con «Le Scienze» di

novembre il libro di Jim Al-Khalili
La nostra galassia, la Via Lattea,

ospita centinaia di miliardi di stelle.

Molte di queste stelle hanno propri

sistemi planetari.

Non ci sarebbe dunque motivo di credere

che la vita sulla Terra sia qualcosa di unico.

In altre parole, non ci sarebbe motivo

di credere che siamo soli nell'universo.

Eppure ancora non abbiamo ricevuto o

rilevato alcun segno di vita intelligente

da altri pianeti. E non certo per colpa nostra.

Da quando abbiamo radio, televisione

e telecomunicazioni via satellite,

inondiamo lo spazio con le nostre trasmissioni.

Ma nessun extraterrestre sembra interessato.

Inoltre, da anni ormai progetti portati avanti

in tutto il mondo cercano di catturare

segnali extraterrestri.

Ma per ora questa ricerca è stata vana.

Dove sono, dunque, tutti quanti?

Agli extraterrestri e alla ricerca di forme di

vita su altri mondi è dedicato Alieni, un

libro a cura di Jim Al-Khalili, fisico teorico

britannico e noto divulgatore, allegato a

richiesta con «Le Scienze» di novembre.

Per l'occasione, Al-Khalili ha messo in

piedi un «Team Alieni», come lui stesso

lo definisce, cioè un gruppo di scienziati

e studiosi, leader mondiali nei rispettivi

settori, che copriranno tutti gli aspetti

dell'esistenza e della ricerca degli alieni.

 I vari capitoli del libro hanno dunque

declinazioni diverse.

Dal nostro posto nell'universo, con una

breve panoramica delle idee formulate

sul tema nel corso della storia, alle

prospettive future di un'eventuale nostra

colonizzazione della galassia, dalle motiva-

zioni che potrebbero avere gli extra-

terrestri a contattarci e visitarci

(e lo farebbero in modo pacifico?) alla

nostra ossessione per gli alieni e gli

avvistamenti di UFO, il libro curato da

Al-Khalili dà un quadro unico del nostro

rapporto con ET.

Per esempio, indagando pure su come

l'intelligenza aliena potrebbe essere

differente dalla nostra, e sulle teorie

della cospirazione secondo cui gli alieni

sono già entrati in contatto con noi.

Senza tralasciare però questioni di base

come la nascita della vita sulla Terra e

una sua possibile replica su altri pianeti,

e le tecniche con cui gli astronomi

identificano e studiano mondi in orbita

attorno a stelle lontane.

La caccia continua. Il premio è la fine

della nostra solitudine cosmica.

 
 
 

Dalla preistoria africana

Post n°2416 pubblicato il 19 Novembre 2019 da blogtecaolivelli

 

12 agosto 2019

I primi insediamenti in quota della preistoria africana

Panorama delle Montagne di Bale, in

Etiopia (agefotostock/AGF) I nostri

antenati si adattarono a vivere a 4000

metri di altitudine già 45.000 anni fa,

nel pieno dell'ultima glaciazione.

Lo rivela l'analisi dei sedimenti del sito

di Fincha Abera, in Etiopia, indicando

notevoli capacità di adattamento all'ambiente

I nostri antenati africani si erano stabiliti

sulle montagne già nel periodo Paleolitico,

circa 45.000 anni fa, nel pieno dell'ultima

glaciazione.

Lo hanno scoperto Bruno Glaser, della

Martin Luther University Halle-Wittenberg

di Halle, in Germania, e colleghi di un'ampia

collaborazione internazionale, studiando i

resti preistorici delle Montagne di Bale, in

Etiopia.

Lo studio, descritto su "Science", fornisce

nuove informazioni sull'inizio degli insedia-

menti preistorici in quota, in contrasto con

le valutazioni fatte finora, che ritenevano

più probabile che gli insediamenti paleolitici

fossero concentrati a basse quote.

I dati indicano perciò una notevole capacità

di adattamento fisico e culturale alle

condizioni ambientali avverse.

Quella studiata è infatti una regione nel

sud dell'Etiopia piuttosto inospitale.

Posta a circa 4000 metri di quota, oggi è

caratterizzata da un'aria molto rarefatta,

quindi povera di ossigeno, da precipitazioni

frequenti e da un'elevata escursione termica

tra giorno e notte.

E 45.000 anni fa erano lande fredde e con

molti ghiacciai.

"A causa di queste condizioni di vita avverse,

finora si ipotizzava che gli esseri umani si

fossero stabiliti in questa regione afro-alpina

solo in un'epoca molto posteriore e per un

periodo di tempo limitato", ha spiegato Glaser.

Invece il quadro che emerge dalle analisi è

diverso.

Da anni Glaser e colleghi studiano alcuni

affioramenti rocciosi nel sito di Fincha Habera,

sulle Montagne di Bale, da cui hanno estratto

diversi reperti archeologici, come manufatti

in pietra, frammenti di argilla, e perline di vetro.

Analisi più approfondite dei sedimenti con

metodi geochimici e glaciologici hanno fornito

ora una caratterizzazione completa di resti di

materiale biologico e di nutrienti presenti nei

suoli, nonché delle possibili condizioni di

temperatura, umidità e livello di precipitazioni

della zona durante il Paleolitico.

Insieme alla datazione al radiocarbonio i dati

così raccolti hanno permesso di stimare da

quante persone era occupato il sito e per

quanto tempo.
I

l sito di FIncha Habera (Credit: Götz Ossendorf)
Ne emerge un modello assai articolato

della vita di questi nostri antichi antenati.

Il sito di Fincha Habera è stato occupato in

un'epoca non ben definita tra 47.000 e

31.000 anni fa.

Si trovava al limite di un ghiacciaio: ciò garantiva

agli abitanti abbondanza d'acqua, mentre

probabilmente le condizioni a basse quote

erano troppo secche per la sopravvivenza.

Per quanto riguarda il cibo, sembra invece

che il nutrimento principale fosse il ratto-

talpa gigante, un roditore di grandi dimensioni

molto diffuso nella zona.

Semplice da catturare, grazie anche alla

facilità di reperire ossidiana per fabbricare

utensili e armi in pietra, l'animale forniva il

nutrimento necessario in una regione così

difficile.

I dati raccolti con le analisi del suolo hanno

rivelato infine un secondo insediamento

umano iniziato 10.000 anni a.C.: i campioni

di suolo contengono per la prima volta

escrementi di animali da pascolo, il che indica

probabilmente l'avvento di nuovi metodi di

sostentamento e sfruttamento del territorio.

 (red)

 
 
 

Dalla notte dei tempi.

Post n°2415 pubblicato il 19 Novembre 2019 da blogtecaolivelli

 

11 novembre 2019

Comunicato stampa

I diamanti rivelano nuovi

indizi sull'origine della vita

Fonte: Università Milano Bicocca

© iStock-iSergey I minerali rinvenuti nelle

rocce delle Alpi custodiscono informazioni

sul legame tra il mondo inorganico e organico.

Lo studio dell'Università di Milano-Bicocca

è stato recentemente pubblicato su "Nature

Communications"

Oltre 100 chilometri di profondità e una

temperatura di 600 gradi centigradi.

In queste condizioni estreme, nei fluidi

all'interno della Terra, esistono specie di carbonio

organico, scoperte sulla superficie di diamanti

contenuti nelle rocce delle Alpi.

A rivelarlo lo studio "Diamond growth from

organic compounds in hydrous fluids deep

within the Earth", pubblicato sulla rivista

Nature Communications e condotto da Maria

Luce Frezzotti, geologa del dipartimento di

Scienze dell'ambiente e della Terra

dell'Università di Milano-Bicocca, recentemente

premiata con la Medaglia per le Scienze Fisiche

e Naturali, assegnata dall'Accademia Nazionale

delle Scienze detta dei XL.

La ricerca dimostra che esistono molecole di

carbonio organico nei fluidi rilasciati in profondità

all'interno della Terra che possono innescare la

formazione di diamanti e forse diventare elementi

costitutivi per la vita.

La formazione di questi minerali è generalmente

attribuita a reazioni chimiche a partire da

composti inorganici, come l'anidride carbonica

o il metano.

Analizzando i diamanti, invece, i ricercatori si

sono accorti che questi preservavano delle

specie organiche, in particolare gli acidi carbossilici.

I diamanti svolgono anche un ruolo rilevante

per lo studio dei cambiamenti climatici.

Questi minerali, infatti, sono testimoni dei

processi che regolano il trasporto di carbonio in

profondità e il suo successivo rilascio in atmosfera,

caratteristica che li rende in grado di fornire

importanti indicazioni sulle quantità di CO2 che

sono riciclate dalla Terra.

«È una scoperta affascinante - spiega Maria

Luce Frezzotti, geologa dell'Università di Milano

-Bicocca -  che specie di carbonio organico siano

presenti all'interno della Terra, dove per definizione,

a causa delle condizioni estreme di temperatura

e pressione, non sono previste.

È uno studio, dunque, che apre nuove prospettive

anche per le ricerche sull'origine della vita sulla

Terra: l'aver rivelato questa sintesi di molecole

organiche in condizioni molto profonde è una

novità assoluta, in quanto, generalmente, si

tratta di un processo studiato e valutato a

livello di superficie del Pianeta o di impatto

da parte di corpi extraterrestri».

La ricerca è finanziata nell'ambito del progetto

MIUR Dipartimenti di Eccellenza 2018-2022 del

dipartimento di Scienze dell'ambiente e della Terra.

 
 
 

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