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Messaggi del 16/04/2019
Post n°2121 pubblicato il 16 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
fonte: Le Scienze Spazio: scoperti tre "gemelli" di Nettuno 22 23 Febbraio 2019HD 23472 B, C e GJ 143 b sono i tre pianeti, molto simili a Nettuno, scoperto grazie a TESS. Tre pianeti con una massa simile a Nettuno sono stati scoperto dal telescopio spaziale TESS, il nuovo strumento lanciato di recente dalla NASA. Si tratta di GJ 143 b, pianeta di dimensioni doppie rispetto a Nettuno ed orbitante intorno ad unastella di categoria K, di colore arancione collocata a 53 anni luce dal Sole. Altri due pianeti hanno preso il nome di HD 23472 b e c, due oggetti molto simili e vicini, orbitanti ad una distanza di 127 anni luce dalla nostra posizione. Quelli appena scoperti risultano solo gli ultimi ritrovamenti effettuati grazie al nuovo TESS, il Transiting Exoplanet Survey Satellite, lanciato nell'aprile 2018, ed in grado di individuare nuovi lontani corpi celesti, attraverso il transito di questi oggetti di fronte alla loro stella. La scoperta dei tre pianeti è stata, poi, confermata da una serie di telescopi da Terra. I tre pianeti "gemelli di Nettuno" si aggiungono ad un altro interessante pianeta appena scoperto, questa volta orbitante a 4.200 anni luce dalla Terra. Si tratta di HATS-70 b, oggetto con una massa pari a 13 volte quella di Giove, un vero e proprio gigante, probabilmente una stella fallita che in origine non possedeva una massa sufficiente per innescare le reazioni nucleari delle stelle. |
Post n°2120 pubblicato il 16 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
fonte: Le Scienze Terra: nelle profondità c'è più vita di quanto credevamo La biosfera scoperta nelle profondità del nostro pianeta è incredibilmente varia e abbondante. I dati della scoperta. La Terra è molto più viva di quanto si pensasse in precedenza. A dimostrarlo è una ricerca dell'Osservatorio Deep Carbon, realizzata da un team di esperti specializzati. Dati alla mano, spiegano gli studiosi, la biosfera che "vive" sotto ai nostri piedi si compone di 23 tonnellate di microrganismi. Tutto ciò nonostante il caldo estremo, la luce, la scarsa possibilità di nutrizione e l'intensa pressione. Si tratta di un ambiente ancora in gran parte incontaminato visto che l'esplorazione umana deve ancora sondare gran parte del sottosuolo. Secondo l'Università del Tennessee a Knoxville quella appena scoperta è nuova riserva di vita, così diffusa da superare quella presente in superficie. Terra: nelle profondità c'è più vita di quanto credevamo I dati saranno mostrati nel corso dell'annuale della American Geophysical Union e si basano sui campioni prelevati da pozzi trivellati ad oltre cinque chilometri di profondità. Ma di cosa si compone questa vita sotterranea? I risultati suggeriscono che il 70% dei batteri e archaea terrestri esistono nel sottosuolo, inclusi gli Altiarchaeal spinosi che vivono nelle sorgenti sulfuree e il Geogemma barossii, un organismo unicellulare trovato poco lontano dalle fonti idrotermali sul fondo del mare. "La cosa più strana - dichiarano gli esperti - è che alcuni organismi possono esistere per millenni. Sono metabolicamente attivi ma in stasi, con meno energia di quanto pensassimo possibile sostenere la vita. " |
Post n°2119 pubblicato il 16 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
fonte: Le Scienze Sono davvero tanti gli aspetti da tene conto per le missioni su Marte. Dalla traiettoria da tenere alle caratteristiche del terreno fino alle condizioni meteo, le missioni sul pianeta rosso devono analizzare di un'infinità di elementi. Marte, infatti, nasconde una miriade di insidie che possono mettere a repentaglio anche le più attrezzate missioni. Per questo motivo un team di studiosi ha realizzato uno studio approfondito sulle caratteristiche della superficie in modo da rendere più efficiente ed agevole la ricerca della vita. Il bacino di Argyre è, ad esempio, uno dei più adatti per ospitare esseri viventi. Sono davvero tanti gli elementi che fanno pensare alla presenza degli ingredienti base per lo sviluppo di microrganismi in questa particolare area. La presenza di depositi idrotermali, i pingo (depositi di ghiaccio ricoperti dal terreno) tutti a distanza ravvicinata, permetterebbe alla sonda di esaminarli in poco tempo. La forma del bacino, inoltre, consentirebbe una discesa agevole del veicolo. Il bacino di Argyre, chiamato anche Argyre Planitia, è un ampio cratere presente sulla superficie di Marte. Circondato da una serie di alte catene montuose, ha una profondità di 5,2 chilometri e deve la sua formazione ad un antichissimo impatto meteorico. |
Post n°2118 pubblicato il 16 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
fonte: Le Scienze Torna a farsi sentire il Sole con un nuovo gigantesco buco coronale. Un enorme canyon di circa 700mila chilometri si è aperto sulla corona solare generando unosciame di particelle diretto anche verso il nostro pianeta. Particelle cariche sono in viaggio ad una velocità di 600 chilometri al secondo verso la ionosfera terrestre con il 45% delle possibilità che si generino tempeste magnetiche ai poli di classe G1, la più bassa nella giornata di domani, martedì 24 ottobre. Le possibilità salgono all'80% il prossimo 25 ottobre, giorno in cui la classe dovrebbe salire a G2. Possibili interruzioni delle comunicazioni, al segnale Gps oltre alla fornitura elettrica potrebbero registrarsi nelle regioni polari. La formazione gigantesca appare comunque di dimensioni notevolmente minori rispetto albuco coronale che negli ultimi giorni di settembre provocò aurore polari fino in centro Europa. Un buco coronale si genera quando una zona dell'atmosfera solare registra una diminuzione del campo magnetico permettendo ai gas di liberarsi nello spazio. Il fenomeno appare dagli strumenti terrestri come una sorta macchia scura sulla superficie del Sole. |
Post n°2117 pubblicato il 16 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
fonte: Le Scienze Una coda magnetica è stata scoperta generarsi da Marte. Si tratta di una formazione che a contatto con il vento solare si attorciglia. La scoperta è il frutto di una serie di ricerche della sonda Maven della Nasa e conferma come anche ilpianeta più s tudiato del Sistema Solare possa nascondere ancora delle sorprese. La "Mars Atmosphere and Volatile Evolution Mission" è stata lanciata nel novembre del 2013 con lo scopo di analizzare i dati e le caratteristiche di Marte, in particolare dell'atmosfera e di come si sia dispersa nel corso del tempo, insieme all'acqua , rendendo il pianeta rosso un luogo inospitale. La coda magneticaconsente, inoltre, all'atmosfera, già molto debole, di sfuggire dal pianeta verso lo spazio. Si tratta di un fenomeno unico nel Sistema Solare, come spiegato dagli esperti del Goddard Space Flight Center di Greenbelt nel corso della conferenza organizzata dall'American Astronomical Society's Division for Planetary Sciences. Il pratica è come se Marte producesse una significativa quantità di energia magnetica lasciandola dietro di sé mentre il vento solare ne influenza la forma. Quando si trova all'opposto rispetto alla direzione del campo magnetico marziano, il vento solare si unisce al campo magnetico del pianeta attraverso la generando la strana coda del pianeta. |
Post n°2116 pubblicato il 16 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
fonte:Le Scienze Cratere di Darvasa: drone riprende le profondità della 'Porta dell'Inferno'. Il videoDrone si tuffa all'interno del Cratere di Darvasa, in Turkmenistan. Ecco la "Porta dell'Inferno" ripresa da vicino in un video di Alessandro Belgiojoso. E' un video davvero spettacolare quello realizzato dal fotografo italiano Alessandro Belgiojoso che ha ripreso, grazie ad un drone, il cratere Darvasa, la cavità perennemente incendiata e nota anche come anche come la "Porta dell'Inferno". Temperature fino a 1.000 gradi vengono registrate all'interno della formazione, definita dai tanti turisti che l'hanno visitata come una delle aree più suggestive al mondo. Il cratere di Darvasa si trova nel deserto del Karakum, in Turkmenistan ed è il frutto dell'attività estrattiva sovietica degli anni Settanta. Cratere di Darvasa: drone riprende le profondità della 'Porta dell'Inferno'. Il video Durante i lavori di scavo per l'estrazione di petrolio, in pratica, la grotta si riempì improvvisamente di gas naturale proveniente dal sottosuolo, con il rischio di avvelenare l'area circostante. I geologi decisero, quindi, di incendiare il gas pensando che le fiamme si sarebbero estinte in pochi giorni. La sotanza, però, non ha mai smesso di fuoriuscire dalle profondità della terra producendo un incendio attivo perennemente da oltre quaranta anni. Da allora la "Porta dell'inferno" è una meta turistica. |
Post n°2115 pubblicato il 16 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
fonte: Le Scienze Una tomba del quattordicesimo secolo avanti Cristo è stata scoperta a Prosilio, inGrecia. Si tratta di una struttura davvero imponente con una superficie totale di 42 metri quadrati, la nona più grande in assoluto. Alla tomba si accedeva attraverso un lungo corridoio scavato nella roccia per ben venti metri di lunghezza. La scoperta è davvero importante per le condizioni in cui la struttura è giunta ai giorni nostri. La sepoltura, infatti, è una delle poche a non essere stata oggetto di furti nel corso dei tanti secoli dall'edificazione e conteneva, ancora oggi, i doni dati al defunto, posti accanto al corpo. Si tratta di una condizione eccezionale perché permette agli esperti di ricostruire lemodalità di sepoltura dei micenei e delle condizioni sociali dell'uomo, senza dubbio un personaggio ricco. Nell'antichissima tomba micenea sono stati scoperti diversi recipienti in argilla, alcune frecce, dei pettini e dei gioielli. L'uomo aveva un'età compresa tra i quaranta ed i cinquanta anni ed aveva costruito egli stesso la tomba per l'intera famiglia. Il crollo del tetto ha impedito agli altri componenti del nucleo familiare di essere seppelliti all'interno della tomba, ma ha protetto gli oggetti contenuti. |
Post n°2114 pubblicato il 16 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
fonte: Le Scienze
Composto in gran parte di ferro e nichel, orbita a distanza molto ravvicinata - più di quanto si ritenesse possibile - attorno a ciò che resta della stella originaria. Si trova a 410 anni luce da noi, e alla sua scoperta, descritta oggi su Science, hanno preso parte anche due ricercatrici e un ricercatore dell'Istituto Nazionale di Astrofisica Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) È un frammento di pianeta sopravvissuto alla morte della sua stella e contiene elevate quantità di ferro e nichel. Lo ha scoperto - in un disco di detriti formato dai pianeti distrutti durante le ultime fasi di vita della loro stella - un team internazionale di astronomi, guidato dall'Università di Warwick (Regno Unito), del quale fanno parte due ricercatrici e un ricercatore dell'INAF di Napoli, Palermo e Torino. rocciosi, in questo caso il residuo di un pianeta più grande - è in parte sopravvissuto alla catastrofe provocata dalla "morte" della sua stella. La stella in questione è oggi una nana bianca, chiamata SDSS J122859.93 + 104032.9, a 410 anni luce da noi. Stando agli indizi raccolti, il pianeta orbitava in una regione esterna del suo sistema planetario. È probabile che la distruzione del pianeta abbia coinciso con le fasi iniziali del processo di raffreddamento della nana bianca. A rendere ancor più sorprendente la sua già improbabile sopravvivenza è la sua orbita: è più stretta di quanto si ritenesse possibile, così vicina alla nana bianca da compiere una rivoluzione ogni due ore. Gli astronomi calcolano che il diametro del planetesimo debba essere di almeno un chilometro, ma potrebbe anche raggiungere alcune centinaia di chilometri, rendendolo dunque paragonabile ai più grandi fra gli asteroidi presenti nel nostro Sistema solare. come il nostro Sole una volta che hanno esaurito tutto il loro combustibile e disperso i loro strati esterni», spiega Melania Del Santo dell'INAF IASF di Palermo. «Man mano che invecchiano, le stelle di questo tipo diventano giganti rosse, e crescendo spazzano via buona parte del loro sistema planetario, lasciandosi ùalle spalle soltanto un nucleo denso: una nana bianca, appunto. Anche il Sole, in futuro, si espanderà fino a raggiungere l'orbita della Terra, inglobando Mercurio, Venere e probabilmente la stessa Terra. Marte, invece, sopravvivrà, finendo però per essere spostato verso l'esterno, insieme a tutto ciò che gli sta oltre». massa pari a circa due volte quella del nostro Sole», aggiunge il primo autore dello studio, Christopher Manser, dell'Università di Warwick, «ma ora la massa della nana bianca si è ridotta ad appena il 70 per cento di quella solare. Al tempo stesso, è anche molto piccola - grosso modo ha le dimensioni della Terra - e questo la rende estremamente densa, come del resto tutte le nane bianche. La gravità di una nana bianca è così forte - circa centomila volte quella della Terra - che un normale asteroide, se dovesse passarle troppo vicino, verrebbe squarciato dalle potenti forze mareali». nelle profondità della buca di potenziale gravitazionale della nana bianca, vicinissimo alla stella, molto al di là del limite oltre il quale ci attendevamo che non ci fosse più alcunché. L'unica spiegazione è che debba trattarsi di un oggetto molto denso, oppure che ci sia una forza interna che lo tiene insieme. La nostra ipotesi è che sia composto in gran parte di ferro e nichel», dice uno dei coautori dello studio, Boris Gaensicke dell'Università di Warwick. planetesimo potrebbe sopravvivere dove si trova ora, così come potrebbe riuscirci anche se fosse solo molto ricco di ferro, purché una forza interna contribuisca a tenerlo insieme - una possibilità, questa, compatibile con l'ipotesi che il planetesimo sia il frammento piuttosto massiccio del nucleo di un pianeta denudato di crosta e mantello per effetto delle forze mareali esercitate dalla nana bianca. «Se l'ipotesi è corretta», aggiunge Gaensicke, «il pianeta originario dovrebbe avere un diametro di almeno qualche centinaia di chilometri e il pianeta originario essere molto massiccio. Infatti, solo questo tipo di pianeti si differenziano, un po' come l'olio nell'acqua, con gli elementi più pesanti che affondano fino a formare un nucleo metallico. grazie a una tecnica di analisi spettroscopica: gli scienziati hanno identificato la scia di gas lasciata dal pianeta osservando lievi variazioni presenti nella luce emessa dal sistema. Mai prima d'ora un corpo solido in orbita attorno a una nana bianca era stato scoperto in questo modo. Usando il Gran Telescopio Canarias di La Palma, alle Canarie, gli scienziati stavano osservando il disco di detriti in orbita attorno alla nana bianca, prodotto dalla frantumazione di corpi rocciosi composti da elementi come il ferro, il magnesio, il silicio e l'ossigeno: i quattro "mattoncini" fondamentali della Terra e della maggior parte dei corpi rocciosi. Ma all'interno del disco hanno notato la presenza di un anello di gas che fluiva da un corpo solido, come la coda di una cometa. Un gas che potrebbe essere generato dal corpo stesso, o da polvere che evapora, man mano che si scontra con detriti di piccole dimensioni presenti nel disco. studio delle variazioni di alcune righe di emissione del calcio ionizzato nella regione rossa dello spettro», spiega Domitilla de Martino dell'INAF - Osservatorio Astronomico di Capodimonte. «È necessaria alta risoluzione spettrale e temporale per questo scopo. Infatti le variazioni osservate in intensità e in velocità dei profili mostravano una periodicità di appena 123 minuti, indice di un'orbita molto stretta. Questa nuova tecnica è quindi molto promettente per aumentare in modo significativo il numero di sistemi di nane bianche con planetesimi. Le conseguenze di questa scoperta possono essere estremamente importanti per conoscere le fasi finali dell'evoluzione dei sistemi planetari». avrà una nana bianca al posto del Sole, e in orbita attorno a essa ci saranno Marte, Giove, Saturno, i pianeti più esterni, asteroidi e comete. Simili sistemi planetari sono soggetti a forti squilibri dinamici in cui le interazioni gravitazionali, con i pianeti più grandi possono spingere i corpi più piccoli su un'orbita che li avvicina alla nana bianca, dove finiscono per venire distrutti dalla sua enorme gravità», aggiunge Manser. planetesimo solido mai trovato in orbita stretta attorno a una nana bianca», conclude Roberto Silvotti dell'INAF - Osservatorio Astrofisico di Torino. «Quello precedente era stato individuato dal telescopio spaziale Kepler (nella seconda parte della sua missione, nota come K2) con il "metodo dei transiti", un metodo ampiamente usato per scoprire pianeti attorno a stelle simili al Sole. Per vedere i transiti, però, occorre una configurazione geometrica ben precisa: un allineamento perfetto fra stella, oggetto in transito e noi osservatori. E in effetti, in quel caso, i detriti che bloccavano parte della luce stellare passavano proprio fra noi osservatori e la stella. La tecnica spettroscopica utilizzata nella nostra ricerca è invece in grado di rilevare planetesimi i n orbita stretta senza la necessità di un allineamento specifico. Già conosciamo molti altri sistemi con dischi di detriti assai simili a SDSS J122859.93 + 104032.9. Studiandoli con la stessa tecnica, sicuramente scopriremo altri planetesimi in orbita attorno a nane bianche, che ci permetteranno di conoscere sempre meglio le loro proprietà. Conoscere le masse degli asteroidi o dei frammenti planetari che si avvicinano a una nana bianca ci offre indizi anche sui pianeti che orbitano più lontano ma che, al momento, non abbiamo modo di rilevare». |
Post n°2113 pubblicato il 16 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 22 febbraio 2018 Una "valanga" di DNA antico chiarisce il popolamento dell'Europa Il più grande studio sul DNA antico finora realizzato, condotto su 625 genomi, getta nuova luce sulla storia del popolamento dell'Europa e testimonia gli enormi progressi di questa branca della genetica, che in appena otto anni è passata da un solo genoma sequenziato a un totale di oltre 1300 archeologiagneticaantropologia Due grandi migrazioni attraverso l'Europa e un significativo rimescolamento fra le popolazioni autoctone di cacciatori -raccoglitori e i primi gruppi di agricoltori giunti sul continente sono state confermate da due studi archeologia genetica appena pubblicati su "Nature". passi in avanti fatti negli ultimissimi anni nel campo dell'analisi del DNA antico. In appena otto anni, infatti, si è passati da un unico genoma antico sequenziato a oltre 1300, 625 dei quali proprio in occasione degli studi ora pubblicati, che hanno visto impegnati più di cento archeologi e genetisti cooordinati da David Reich, della Harvard Medical School. culture di cacciatori-raccoglitori che vivevano in Europa furono sostituite in molti luoghi da pastori nomadi, soprannominati Yamnaya, arrivati dalle steppe dell'Asia centrale, a nord del Mar Nero e del Caspio, e che riuscirono a espandersi rapidamente sfruttando i cavalli e la nuova invenzione del carrello. Yamnaya si erano poi diffuse in Europa, ma l'analisi del DNA antico ha dimostrato che che non fu solo un contagio culturale, ma il frutto di una vera migrazione. sud-orientale rivelando un'ulteriore migrazione, avvenuta in due fasi. "L'evidenza archeologica mostra che quando i contadini si sono diffusi per la prima volta nell' Europa settentrionale, si sono fermati a una latitudine dove i loro raccolti non crescevano bene", ha detto Reich. "Di conseguenza, la separazione tra agricoltori e cacciatori-raccoglitori resistette per circa duemila anni". di potere le donne dei cacciatori-raccoglitori iniziarono a essere integrate nelle comunità degli agricoltori. In seguito, la tendenza si invertì e le donne contadine tendevano ad essere integrate in comunità di cacciatori-raccoglitori. dei paleoantropologi che fin dalla più remota antichità le popolazioni umane si muovono e si mescolano in continuazione. |
Post n°2112 pubblicato il 16 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
fonte: Le Scienze Confrontando la forma dei crani dei Neanderthal e quella degli umani moderni, una complessa ricerca interdisciplinare è riuscita a risalire a differenze genetiche che influiscono su due strutture cerebrali che controllano in primo luogo il movimento ma che potrebbero aver avuto un riflesso anche sull'evoluzione del linguaggio(red) Partendo dalla differenza di forma del cranio dei Neanderthal e degli uomini moderni, un gruppo di ricercatori è riuscito, grazie a una complessa ricerca interdisciplinare, a risalire ad alcune possibili differenze nello sviluppo cerebrale nelle due specie. La ricerca, diretta dal paleoantropologo Philipp Gunz del Max Planck Institut per l'antropologia evoluzionistica a Lipsia, e dai genetisti Simon Fisher e Amanda Tilot del Max Planck Institut per la psicolinguistica a Nijmegen, nei Paesi Bassi, èpubblicata su "Current Biology". Cranio fossile di Neandertal (a sinistra) e di un umano moderno (a destra). (Philipp Gunz, CC BY-NC-ND 4.0 ) La forma del cranio degli umani moderni si caratterizza per una particolare globosità, che si distingue non solo da quella di tutti gli altri primati, ma anche di tutti gli altri ominidi, Neanderthal compresi, la cui struttura del cranio è più allungata. I ricercatori sospettano che questa differenza rispecchi cambiamenti evolutivi nelle dimensioni del cervello e nelle connessioni cerebrali. computerizzata crani fossili di Neanderthal e crani di esseri umani moderni, rilevando anche le impronte endocraniche del cervello, per poi ricavare un indice che rispecchiava la globosità del cranio nelle due specie. umani moderni cercando di identificare i frammenti di DNA di origine neanderthaliana che sono presenti in varia misura in tutte le persone di ascendenza non africana. Grazie alla quantità dei dati raccolti Gunz e colleghi sono riusciti a mettere in relazione alcuni di questi frammenti, localizzati sui cromosomi 1 e 18, proprio con la globosità del cranio. con la tipica impronta endocranica allungata (in rosso) e di un umano moderno (a destra) dalla caratteristica forma endocranica globulare (blu). (Philipp Gunz, CC BY-NC-ND 4.0 ) L'analisi dei segmenti di DNA identificati ha permesso di scoprire che due di questi influiscono sull'attività di altrettanti geni a essi vicini, i geniUBR4 e PHLPP1, già noti per avere un ruolo in importanti aspetti dello sviluppo cerebrale. (la generazione dei neuroni) e alla mielinizzazione dei neuroni, cioè della guaina isolante che protegge gli assoni di alcuni neuroni. del segmento che influisce su UBR4 fa sì che questo sia leggermente meno espresso nel putamen, mentre la versione neanderthaliana attiva suPHLPP1 fa sì che sia leggermente sovraespresso nel cervelletto. un input diretto dalla corteccia motoria e sono coinvolte nella preparazione, nell'apprendimento e nella coordinazione senso- motoria dei movimenti." Ma il putamen fa anche parte di una rete di strutture cerebrali dette gangli della base che, ha proseguito Gunz, "contribuiscono anche a diverse funzioni cognitive, come la memoria, l'attenzione, la pianificazione, l'apprendimento delle abilità e, potenzialmente, l'evoluzione del linguaggio e il linguaggio stesso". ipotesi sulle differenze neuronali, e potenzialmente cognitive, fra umani moderni e Neanderthal, ipotesi che potrebbero essere testate sperimentalmente, ricorrendo per esempio a campioni di tessuto neuronale umano coltivabile in laboratorio. |
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