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Messaggi del 15/07/2020
Post n°3185 pubblicato il 15 Luglio 2020 da blogtecaolivelli
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Post n°3184 pubblicato il 15 Luglio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet 14 luglio 2020 L'antico pesce fossile che rivela l'origine dei denti Illustrazione del possibile aspetto del pesce fossile appartenente al gruppo degli acanthothoraci (©Jan Sovak) L'origine di alcuni tratti caratteristici della dentizione di molti degli attuali vertebrati, come l'ancoraggio dei denti alle ossa, risale a circa 400 milioni di anni fa: lo rivela un'analisi a raggi X dei resti fossili di un pesce primordiale. C'è voluta la più potente sorgente di raggi X del mondo ma alla fine l'analisi dei resti di un pesce vissuto circa 400 milioni di anni fa ha rivelato le caratteristiche sorprendentemente moderne della sua dentizione, alcune delle quali sono condivise da decine di migliaia di specie attuali di vertebrati dotati di mandibola, tra pesci ossei, pesci cartilaginei, rettili e mammiferi. La ricerca, pubblicata sulla rivista "Science" da Per Ahlberg, dell'Università di Uppsala e colleghi di una collaborazione internazionale, permette di ricostruire particolari importanti dell'origine e dell'evoluzione della dentizione, un quadro abbastanza definito nei suoi contorni ma che manca ancora di particolari importanti. prima volta tra 430 e 360 milioni di anni fa nei pesci placodermi dell'ordine estinto degli artrodiri, dotati di potenti mascelle e massicce placche ossee a protezione della testa e della parte anteriore del tronco. Negli artrodiri, l'anatomia e i meccanismi di formazione dei denti erano differenti da quelle degli attuali vertebrati. hanno concentrato la loro attenzione su un piccolo gruppo di placodermi, gli acanthothoraci, probabilmente più primitivi degli artrodiri, e strettamente imparentati con i pesci ossei attuali. L'occasione di un'analisi approfondita della loro dentizione è stata offerta dai resti fossili di uno di questi pesci scoperto circa un secolo fa nei pressi di Praga, e dalla potenza del sicrotrone europeo ESRF, i cui raggi X possono essere utilizzati per ricavare immagini tridimensionali ad alta definizione delle parti interne dei campioni senza distruggerli. come quelli degli artrodiri, erano ancorati alle ossa, il che indica che i pesci ossei e gli animali terrestri che derivano da essi conservano un tratto evolutivamente molto antico. di Peter S. Ungar gli squali, che sono ancorati al derma e non alla cartilagine della mascella, sono un tratto più recente, e non ancestrale come ritenuto finora. Un'altra caratteristica invece segna la differenza degli acanthothoraci rispetto agli artrodiri: i denti nuovi sostituiscono quelli vecchi partendo dall'interno della bocca e andando verso l'esterno, così come avviene nei pesci cartilaginei e in quelli ossei. dell'origine dei denti: anche se gli acanthothoraci sono tra i più primitivi di tutti i vertebrati mandibolari, i loro denti per certi versi sono molto più simili a quelli moderni che a quelli degli artrodiri", ha spiegato Ahlberg. "Le loro ossa mascellari assomigliano a quelle dei pesci ossei e sembrano essere direttamente ancestrali alle nostre. Quando al mattino si sorride allo specchio del bagno, i denti di quel sorriso possono far risalire le loro origini ai primi vertebrati dotati di mandibola". (red) |
Post n°3183 pubblicato il 15 Luglio 2020 da blogtecaolivelli
Le riflessioni di Blogteca..... Buongiorno, nel post di seguito pubblicato c'è una notizia meritevole di essere annunciata ai quattro venti: i cani ed i gatti sono sempre stati presenti nella vita privata e nella sfera affettiva dell'uomo dalla notte dei tempi, delle presenze continue e per sempre, anche nell'aldilà, come celebravano gli antichi egizi nelle onoranze funebri e con molta barbarie: non è giusto uccidere gli animali vivi per seppellirli con i padroni morti. Una usanza barbara che, a quanto pare, si vorrebbe rimettere in auge in molte regioni italiane nel secondo secolo dopo Cristo, per lo stesso motivo degli antichi egiziani, ap- parentemente ma, si sospetta, per un aberrante motivo economico: tagliare le spese dei canili e dei gattili, che poi sono anche peggio, se vogliamo, per i poveri 4 zampe. |
Post n°3182 pubblicato il 15 Luglio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet 10 luglio 2020 In compagnia dei gatti sulla Via della Seta di mille anni fa
©Maike Glöckner/MLU L'analisi dei resti di un gatto scoperti in Kazakhstan e datati tra il 775 e il 940 d.C. rivela che era stato un animale di compagnia, nutrito e curato con affetto dai suoi proprietari, che facevano parte degli Oghuz, una tribù di pastori nomadi che vivevano nella zona. La scoperta testimonia un cambiamento culturale notevole, che si riteneva avvenuto in Asia centrale molto più di tardi Mille anni fa, sulla Via della Seta, i gatti facevano compagnia ai pastori, che già all'epoca dedicavano loro cure e affetto. È quanto ha concluso un gruppo internazionale di ricercatori della Martin Luther University Halle-Wittenberg (MLU), della Korkyt-Ata Kyzylorda State University in Kazakhstan, dell'Università di Tubinga e della Scuola di studi economici superiori in Russia, che presenta su "Scientific Reports" una dettagliata ricostruzione del rapporto tra esseri umani e gatti sulla base degli scavi condotti a Dzhankent, un insediamento altomedievale nel sud dell'attuale Kazakhstan. l'Asia centrale e orientale con i paesi del Mediterraneo, l'insediamento è considerato la capitale degli Oghuz, una tribù di pastori nomadi. Nel sito, gli autori hanno scoperto lo scheletro di un gatto molto ben conservato, datato tra il 775 e il 940 d.C. una sepoltura vera e propria, cosa non frequente nella documentazione archeologica relativamente ai gatti (a differenza dei cani). Di conseguenza, l'intero cranio, compresa la mascella inferiore, parti della parte superiore del corpo, le gambe e quattro vertebre si sono conservate molto bene, e hanno potuto essere esaminate approfondita- mente, permettendo di trarre conclusioni sistematiche sulla vita dell'animale. ossa, per poi procedere a un'analisi degli isotopi dei diversi elementi contenuti, raccogliendo indicazioni importanti sulla dieta. "Aveva subìto molte fratture nel corso della vita" ha spiegato Ashleigh Haruda, della MLU, e tuttavia è sopravvissuto oltre il primo anno, segno che qualcuno si era preso cura di lui. Gli isotopi hanno mostrato inoltre che aveva avuto un'alimentazione molto ricca di proteine rispetto ad altri gatti dell'epoca e ai cani ritrovati nello scavo. "Deve essere stato nutrito dagli esseri umani perché nella parte finale della sua esistenza aveva perso tutti i denti", ha aggiunto Haruda. il DNA dell'animale ha dimostrato che si trattava di un gatto domestico della specie Felis catus L. e non di un gatto selvatico della steppa, una specie strettamente imparentata. fossero gatti da compagnia, un fatto indicativo di un profondo mutamento sociale. "Gli Oghuz tenevano gli animali con sé solo quando erano essenziali per la loro vita: cani, per esempio, possono vegliare sul gregge, ma per i gatti è difficile immaginare un ruolo pratico a quell'epoca", ha concluso Haruda. "Il fatto che all'epoca le persone tenessero e curassero animali così 'esotici' indica un cambiamento culturale che si pensava fosse avvenuto molto più tardi in Asia centrale", una regione ritenuta più lenta rispetto all'introduzione di innovazioni nell'agricoltura e nell'allevamento del bestiame. (red) |
Post n°3181 pubblicato il 15 Luglio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet 09 luglio 2020 Nei supergeni il segreto dell'adattabilità Alcune specie di girasoli selvatici si sono adattate a vivere sulle dune di sabbia (© Nolan C. Kane/University of Colorado Boulder) Il ruolo dei grandi gruppi di geni che vengono ereditati insieme è molto più importante di quanto ritenuto finora, soprattutto per la capacità delle specie di adattarsi ai diversi habitat. Lo rivela un nuovo studio sui girasoli selvatici in cui i tratti più vantaggiosi si devono a ben 37 di questi supergeniDimensione dei semi, tempi di fioritura, capacità di resistere agli stress come la siccità o la limitata disponibilità di nutrienti: per le piante questi sono tratti fondamentali per adattarsi all'ambiente che possono associati ad alcuni massicci gruppi di geni, chiamati supergeni, che vengono trasmessi insieme. E nei girasoli selvatici ce ne sono ben 37, secondo un nuovo studio pubblicato sulla rivista "Nature" da Marco Todesco genetista dell'Università della British Columbia (UBC) e colleghi di una collaborazione internazionale. adattarsi anche ad habitat inospitali, i girasoli selvatici sono diventati un sistema modello per gli studi evolutivi. Todesco e colleghi hanno sequenziato i genomi di oltre 1500 piante di tre specie diverse: Helianthus annuus (il girasole comune), Helianthus petiolaris e Helianthus argophyllus (detto anche girasole a foglie d'argento, diffuso in Nord America). Hanno poi esaminato le possibili associazioni delle varianti genetiche riscontrate nei genomi con più di 80 tratti manifestati dalle piante durante la crescita, con le caratteristiche del suolo e con il clima delle loro popolazioni di origine. ottenuta finora del fatto che i riarrangiamenti della struttura cromosomica che sono in gran parte responsabili della creazione dei supergeni hanno un ruolo fondamentale nell'adattamento all'ambiente e nella nascita di nuove specie. supergeni controllavano i tratti adattativi erano già stati segnalati in precedenza, ma non era chiaro se questa fosse la regola o riguardasse solo un piccolo numero di bizzarre eccezioni", ha spiegato Todesco. "Abbiamo scoperto che i supergeni hanno un ruolo pervasivo nell'adattamento, e possono essere veramente massicci". A stupire sono anche le dimensioni dei supergeni: il più grande tra quelli identificati nello studio è infatti più grande di molti cromosomi umani: è composto da 1819 geni e da più di 100 milioni di coppie di basi (le lettere che compongono l'alfabeto dell'ereditarietà genetica). è quello avvenuto nella zona costiera del Texas tra i diversi habitat della pianura, delle dune di sabbia e delle isole antistanti: un supergene di 30 milioni di coppie di base controlla una differenza nel tempo di fioritura di oltre due mesi e mezzo tra i girasoli delle isole e quelli della pianura. donatrice del supergene potrebbe essere estinta. "Ipotizziamo che una specie arrivata in un nuovo habitat possa 'rubare' i supergeni adattativi da una specie locale affine, per poi sostituirla", dice Todesco. "Potremmo chiamare 'supergene fantasma', questo contributo persistente di una specie che non esiste più". (red) |
Post n°3180 pubblicato il 15 Luglio 2020 da blogtecaolivelli
Le riflessioni di Blogteca.... Buongiorno, per gli studenti ci sono buone nuove in arrivo: finalmente, dopo millenni, la formula matematica di Archimede va in soffitta. Nel post di seguito la lieta novella, ovviamente, la cosa darà un grande dispiacere ai docenti di matematica che, conservatori come sono, vivranno la cosa come un affronto ad un grande del passato e della Grecia classica ed alla loro materia, in aggiunta. Si sa che i secoli ed i millenni passano e gli avveni- menti mandano in soffitta anche le cariatidi dei templi famosi ed Archimede è ed è rimasto, per secoli, una cariatide del sacro tempio della matematica e delle scienze. Per fortuna, nel secondo millennio D.C., il nostro sta facendo le valigie per sbaraccare dalla vetusta scuola italiana, ma ci vorrà ancora qualche secoletto prima che al Miur prendano atto dell'avvenuta partenza e decidano di comportarsi di conseguenza, visto che nella formazione del governo c'è anche il Ministro della semplificazione e l'auspicato provvedimento sarebbe assai gradito agli amati studenti del Ministro Azzolina che li ha veramente presi a cuore. Una scoperta ed un provvedimento meritevoli di essere annunciati in tutto il mondo. Speriamo in bene, che la cosa avvenga presto...... |
Post n°3179 pubblicato il 15 Luglio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Home » Scienza Il liceale di Monfalcone che ha creato una formula matematica in grado di superare Archimede Di Giovanni Macchi InstagramFrancesco Bulli è un liceale di Monfalcone che è riuscito a scoprire una formula matematica che permette di risolvere determinati problemi in maniera più veloce rispetto al teorema di Archimede. Il sedicenne ha spiegato al Corriere della Sera la sua intuizione: "Archimede dice che l'area di un segmento di parabola equivale ai 4/3 dell'area del triangolo iscritto a esso, cioè ai 2/3 dell'area del parallelogramma circoscritto, ma per trovarla il procedimento era lunghissimo. Così sono partito dall'unico dato noto che avevo, i coefficienti della parabola e della retta, e ho ottenuto il risultato con una formula algebrica applicabile direttamente a tutti i problemi dello stesso tipo". Il liceale, che gioca a calcio nelle giovanili della Triestina e suona il violino con ottimi risultati, ha scoperto una formula matematica sconosciuta e capace di competere con Archimede. La sua professoressa, Caterina Vicentini, l'ha infatti segnalata a due delle più importanti riviste del settore. Al Corriere Michel Roelens, editore di Uitwiskeling - una delle due riviste - ha spiegato: "Per gli allievi più grandi l'area del segmento parabolico è un problema da risolvere con l'uso degli integrali ma Francesco, in terza, ancora non li conosce. La sua è una formula originale. È eccezionale che a scoprirla sia stato un ragazzo così giovane e in maniera spontanea. Al Corriere parla anche l'insegnante che spiega come Francesco domini la materia in modo intuitivo e spiega come all'interno del compito: "Di errori non ce n'erano. Ho verificato io stessa. Dava sempre il risultato corretto. Il primo brivido per la schiena l'ho avuto allora". |
Post n°3178 pubblicato il 15 Luglio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo ripportato dall'Internet Le borracce di acciaio e alluminio rilasciano metalli pericolosi nell'acqua: lo studio Di Giulia AngelettiPubblicato il 6 Giu. 2020 Uno studio condotto dal Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive dell'Università La Sapienza di Roma, promosso da Fondazione Acqua, dimostra che le borracce di acciaio e alluminio rilasciano quantità di metalli ai limiti di legge nell'acqua. La ricerca, condotta su 20 tipologie di borracce comuni di diversi materiali che sono state riempite e svuotate di acqua per quattro settimane, ha infatti rilevato che su 40 elementi metallici, semimetallici e non metallici "tutte le borracce analizzate ne hanno rilasciati un po' ma con risultati molto variabili da borraccia a borraccia e spesso caratterizzati da cessioni multielemento anche di alluminio, cromo, piombo, nichel, manganese, rame, cobalto". A spiegare i risultati del nuovo studio, che arriva in un momento storico in cui l'utilizzo di questo tipo di borracce ha visto un grande incremento per via delle battaglie condotte per ridurre e disincentivare l'utilizzo della plastica, il professor Matteo Vitali al Corriere. Le sostanze sarebbero rilasciate "in maggior quantità da borracce metalliche e in maniera molto più ridotta da quelle di plastica". "Per quest'ultime - spiega Vitali - abbiamo anche cercato gli ftalati e il bifenolo A, composti chimici usati come eccipienti dei materiali plastici normalmente ricercati perché hanno un profilo di tossicità. Dalla nostra ricerca, che ha permesso di ottenere più di 24.000 risultati analitici, non ne abbiamo trovato traccia". L'acqua utilizzata ai fini della ricerca è stata opportunamente demineralizzata, in modo tale da permettere agli studiosi di intercettare il rilascio di sostanze; la quantità di metalli rilasciati, comunque, non andrebbe a superare "i parametri imposti per legge". Il problema, però, è che "queste cessioni si sommano ai metalli spesso presenti nell'acqua potabile di rubinetto con il rischio, per chi usa abitualmente le borracce, di oltrepassare facilmente le soglie considerate sicure per la salute". La quantità di elementi chimici rilasciati, secondo lo studio, è comunque "da attribuire sia alla qualità del materiale di fabbricazione che alle modalità di lavorazione". Se acquistiamo una borraccia di acciaio o alluminio, dunque, dobbiamo fare attenzione nel controllare se questa "è identificata con il marchio Ce o il simbolo per uso alimentare", oltre che verificarne la rintracciabilità "e quindi vedere se ha il numero di lotto che consente di risalire a chi l'ha prodotta". "L'interno di una borraccia - spiega sempre il professore - dovrebbe essere liscio e il più possibile privo di saldature. Io consiglio anche di annusarle, alcune hanno un odore terribile. Vietatissimo, poi, l'uso di acqua gassata e di bibite". |
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