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Messaggi di Febbraio 2020
Post n°2526 pubblicato il 18 Febbraio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet La guerriera "vichinga" che veniva dalla Polonia I resti di una donna vissuta un migliaio di anni fa e identificata come scandinava in scavi prece- denti, appartengono in realtà a una migrante slava. È stata la sua ascia a rivelarne la provenienza: un'arma che forse non veniva usata in guerra. Una ricostruzione della tomba di Langeland.| Nella tomba che si pensava appartenere a una guerriera vichinga riposerebbe invece, da oltre mille anni, una donna di origine slava, nata in un'area corrispondente all'odierna Polonia e poi emigrata in Danimarca. Lo ha scoperto Leszek Gardeła, archeologo del Dipartimento di Lingue Scandinave dell'Università di Bonn (Germania) analizzando uno scheletro femminile sepolto accanto a un'ascia in un cimitero vichingo sull'isola danese di Langeland, e ritrovato qualche anno fa. Corredo e posizione avevano subito fatto pensare a una vichinga in armi, incarnazione del mito delle Valchirie (le semidee che volano sui cambi di battaglia nella mitologia norrena, e scelgono i guerrieri più valorosi da condurre ad Odino). Nessuno però aveva ancora osservato l'ascia della guerriera, che a un'analisi più attenta si è rivelata proveniente dal Baltico meridionale, in una regione coincidente con la Polonia attuale. Di origine slava è anche la tumulazione scelta, una camera sepolcrale con all'interno un'ulteriore bara. Una moneta araba del decimo secolo inumata con la donna è servita a datare la tomba.
L'analisi dell'ascia sepolta insieme alla donna. | MIRA FRICKE MELTING POT. La scoperta conferma che le popolazioni slave e vichinghe furono a lungo strettamente collegate da combattimenti, scambi migratori e relazioni commerciali, e che la presenza di guerrieri slavi in Danimarca fu - soprattutto in epoca medievale - molto significativa. Ma è anche un'ulteriore prova di quanto lo studio delle donne guerriere in Scandinavia sia un campo complesso e pieno di insidie. STRUMENTO O ACCESSORIO? Non si può dire con certezza se le donne partecipas- sero in modo attivo ai combattimenti, o se la sepoltura con l'ascia non facesse invece parte di rituali funebri condivisi. Di rado le tombe femminili includono lance o frecce, e le asce al loro interno sono spesso immacolate, come se non fossero state usate in battaglia. Allo stesso modo, è sempre possibile che nuovi armi venissero forgiate apposta per i funerali, o che le lame fossero semplicemente ben affilate.
QUESTIONI DI GENERE. Inoltre, molto spesso le ossa sono mal conservate, e l'attribuzione di una tomba a una donna avviene soltanto osservando il suo corredo. Lo stato precario di conservazione dei corpi rende anche difficile capire se i guerrieri al loro interno fossero morti in battaglia. Non è il caso della donna slava, che sulle ossa ben conservate non mostra ferite letali. TRA MITO E REALTÀ. Oltre a tutto questo, l'influenza culturale dei miti può portare a errate interpretazioni: libri e serie TV hanno reso popolare la figura delle Amazzoni nordiche, e questo mito delle vichinghe guerriere non ha necessariamente riscontri archeologici. Con una notevole eccezione - quella di un misterioso combattente sepolto in Svezia accanto a due cavalli sacrificati, uno scudo, una spada, punte di freccia e altre armi: nel 2017, l'analisi del DNA ha rivelato che si trattava di una donna. |
Post n°2525 pubblicato il 18 Febbraio 2020 da blogtecaolivelli
I primi insediamenti in quota della preistoria africana Panorama delle Montagne di Bale, in Etiopia (agefotostock/AGF) I nostri antenati si adattarono a vivere a 4000 metri di altitudine già 45.000 anni fa, nel pieno dell'ultima glaciazione. Lo rivela l'analisi dei sedimenti del sito di Fincha Abera, in Etiopia, indicando notevoli capacità di adattamento all'ambiente I nostri antenati africani si erano stabiliti sulle montagne già nel periodo Paleolitico, circa 45.000 anni fa, nel pieno dell'ultima glaciazione. Lo hanno scoperto Bruno Glaser, della Martin Luther University Halle-Wittenberg di Halle, in Germania, e colleghi di un'ampia collaborazione internazionale, studiando i resti preistorici delle Montagne di Bale, in Etiopia. nuove informazioni sull'inizio degli insediamenti preistorici in quota, in contrasto con le valuta zioni fatte finora, che ritenevano più probabile che gli insediamenti paleolitici fossero concentrati a basse quote. I dati indicano perciò una notevole capacità di adattamento fisico e culturale alle condizioni ambientali avverse. Quella studiata è infatti una regione nel sud dell'Etiopia piuttosto inospitale. Posta a circa 4000 metri di quota, oggi è caratteriz- zata da un'aria molto rarefatta, quindi povera di ossigeno, da precipitazioni frequenti e da un'elevata escursione termica tra giorno e notte. E 45.000 anni fa erano lande fredde e con molti ghiacciai. finora si ipotizzava che gli esseri umani si fossero stabiliti in questa regione afro-alpina solo in un'epoca molto posteriore e per un periodo di tempo limitato", ha spiegato Glaser. diverso. Da anni Glaser e colleghi studiano alcuni affiora- menti rocciosi nel sito di Fincha Habera, sulle Montagne di Bale, da cui hanno estratto diversi reperti archeologici, come manufatti in pietra, frammenti di argilla, e perline di vetro. Analisi più approfondite dei sedimenti con metodi geochimici e glaciologici hanno fornito ora una caratterizzazione completa di resti di materiale biologico e di nutrienti presenti nei suoli, nonché delle possibili condizioni di temperatura, umidità e livello di precipitazioni della zona durante il Paleolitico. Insieme alla datazione al radiocarbonio i dati così raccolti hanno permesso di stimare da quante persone era occupato il sito e per quanto tempo. Ne emerge un modello assai articolato della vita di questi nostri antichi antenati. Il sito di Fincha Habera è stato occupato in un'epoca non ben definita tra 47.000 e 31.000 anni fa. Si trovava al limite di un ghiacciaio: ciò garantiva agli abitanti abbondanza d'acqua, mentre probabil- mente le condizioni a basse quote erano troppo secche per la sopravvivenza. Per quanto riguarda il cibo, sembra invece che il nutrimento principale fosse il ratto-talpa gigante, un roditore di grandi dimensioni molto diffuso nella zona. Semplice da catturare, grazie anche alla facilità di reperire ossidiana per fabbricare utensili e armi in pietra, l'animale forniva il nutrimento necessario in una regione così difficile. infine un secondo insediamento umano iniziato 10.000 anni a.C.: i campioni di suolo contengono per la prima volta escrementi di animali da pascolo, il che indica probabilmente l'avvento di nuovi metodi di sostentamento e sfruttamento del territorio. (red) |
Post n°2524 pubblicato il 18 Febbraio 2020 da blogtecaolivelli
30 luglio 2019Comunicato stampa Fiori tra il cemento: come sono cambiate le piante che crescono nel centro di Bologna Fonte: Università di Bologna Eliotropio purpureo - Heliotropium amplexicaule centovent'anni le specie verdi che vivono dentro la cerchia delle mura sono quasi triplicate, ma sono aumentate soprattutto quelle aliene a discapito di quelle originarie del territorio. A rivelarlo è il confronto tra un catalogo botanico di fine Ottocento e una nuova mappatura fatta da ricercatori dell'Alma Mater Nel 1894 al botanico bolognese Lucio Gabelli venne un'idea: creare un catalogo delle piante che crescono in città. Così iniziò ad attraversare in lungo e in largo il centro storico di Bologna - all'epoca ancora cinto dalle mura medievali - registrando le specie vegetali che incontrava sulla sua strada: quelle che animavano i giardini, quelle che crescevano ai bordi delle carreggiate, quelle che spuntavano tra le crepe dei muri. Ad un certo punto trovò persino un eliotropio purpureo (Heliotropium amplexicaule): un fiore originario del Perù che in qualche modo era riuscito ad arrivare fino al cuore dell'Emilia. dell'Università di Bologna ha deciso di ripetere lo stesso esperimento per capire quanto e come sono cambiate le piante urbane. Ripercorrendo i passi di Gabelli, gli studiosi hanno catalogato tutte le specie che crescono oggi nel centro storico bolognese, tra parchi, viali, marciapiedi, colonne e palazzi. E lungo il loro percorso hanno ritrovato anche l'eliotropio purpureo: da oltre un secolo il fiore peruviano continua a sbocciare, anno dopo anno, nello stesso punto. tra i due cataloghi - quello ottocentesco di Lucio Gabelli e quello contemporaneo dei ricercatori bolognesi - mostra che negli ultimi centovent'anni la flora urbana di Bologna è cambiata radicalmente. "Il riscaldamento del clima, i cambiamenti dell'architettura cittadina e il progressivo intervento dell'uomo sull'ambiente urbano hanno modificato in maniera profonda la biodiversità floristica bolognese", conferma Annalisa Tassoni, docente dell'Università di Bologna che ha coordinato lo studio. "Un cambiamento che ha visto il moltiplicarsi di specie aliene, introdotte soprattutto come piante ornamentali, a scapito di quelle native della zona, che si sono ridotte in modo significativo". Reports, rivista del gruppo Nature - emerge infatti che le specie che abitano il centro storico bolognese sono quasi triplicate, passando dalle 176 di fine Ottocento alle 477 di oggi; allo stesso tempo è però più che raddoppiato il numero di quelle aliene, passando dal 12% al 30% del totale. "Questi vasti cambiamenti sono legati probabilmente alla profonda trasformazione del centro storico di Bologna nell'ultimo secolo: la scomparsa delle aree coltivate e delle mura medievali, la cementifica- zione, le ampie ricostruzioni del secondo dopoguerra", dice ancora la professoressa Tassoni. "Tutti questi eventi hanno portato alla scomparsa delle specie legate all'economia agraria di un tempo, come i cereali e gli alberi da frutto. In compenso l'introduzione su larga scala delle piante ornamentali, nei giardini e sui balconi, ha permesso a moltissime specie non originarie del territorio di diffondersi e radicarsi". "tipicità" per la flora bolognese. L'aumento delle specie aliene non è però necessaria- mente negativo. "Nei centri storici cittadini l'ambiente naturale è spesso quasi del tutto assente", spiega Mirko Salinitro, ricercatore dell'Università di Bologna e primo autore dello studio. "In questi contesti le specie aliene sono a volte le uniche in grado di colonizzare spazi che altrimenti resterebbero vuoti, creando così habitat che possono favorire ad esempio i preziosi insetti impollinatori". A resistere sono insomma le piante - locali o aliene - capaci di sopravvivere in ambienti che, complice anche l'aumento delle temperature, diventano sempre più ostili. Bologna ci si può imbattere in una felce (Dryopteris filix-mas) che spunta dalla colonna di un portico, in macchie di Euphorbia prostrata che si allargano tra le crepe dei marciapiedi, in famiglie di ciombolino comune (Cymbalaria muralis) che si arrampicano sulle pareti dei palazzi o in cespugli di bocca di leone (Anthirrinum majus) che fioriscono tra i mattoni rossi delle mura medievali. E se invece si cerca il luogo che ancora custodisce il più alto livello di biodiversità tra i confini della città storica? La risposta è semplice, confermano i ricercatori: l'Orto botanico dell'Università di Bologna. rivista del gruppo Nature, con il titolo "Impact of climate change and urban development on the flora of a southern European city: analysis of biodiversity change over a 120-year period". Tassoni e Mirko Salinitro del Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali e Alessandro Zappi del Dipartimento di Chimica "Giacomo Ciamician", a cui si aggiunge Alessandro Alessandrini dell'Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna |
Post n°2523 pubblicato il 18 Febbraio 2020 da blogtecaolivelli
07 agosto 2019Comunicato stampa In Italia negli ultimi 40 anni l'aria è più pulita Fonte: Cnr/Univ.Studi Milano ©Veronica Manara L'Università degli Studi di Milano e il Consiglio nazionale delle ricerche hanno analizzato per la prima volta la visibilità orizzontale dell'atmosfera, scoprendo che, nelle zone più inquinate del Paese, la frequenza dei giorni con visibilità sopra i 10 o i 20 km è più che raddoppiata negli ultimi 40 anni, grazie soprattutto alle norme emanate per ridurre l'inquinamento. La pubblicazione su "Atmospheric Environment" Negli ultimi quarant'anni l'atmosfera in Italia è diventata più limpida, e l'aria può considerarsi "più pulita": queste le conclusioni a cui sono giunti un gruppo di ricercatori del Dipartimento di scienze e politiche ambientali dell'Università degli Studi di Milano e dell'Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac), pubblicate di recente su Atmospheric Environment. utilizzato i dati di una variabile meteorologica che non era mai stata studiata in modo esaustivo in Italia, cioè la visibilità orizzontale in atmosfera, molto condizionata dal livello di inquinamento atmosferico. La visibilità orizzontale è importante in diversi ambiti tra cui quello del traffico aereo, tanto da venire monitorata continuamente da molti decenni in tutte le stazioni del Servizio Meteorologico dell'Aeronautica Militare, dove un operatore addestrato valuta, mediante una serie di riferimenti, quale è la massima distanza alla quale un oggetto risulta visibile. frequenza delle giornate con "atmosfera limpida" (ovvero con visibilità superiore a 10 e a 20 km) in varie aree del territorio italiano nel periodo 1951-2017. Questa frequenza è cambiata fortemente in tutte le aree considerate e i cambiamenti più grandi si sono avuti nelle aree più inquinate del Paese tanto che, in zone come il bacino padano, la frequenza dei giorni con visibilità sopra i 10 o i 20 km è più che raddoppiata negli ultimi 40 anni. pati, le emissioni di sostanze inquinanti sono fortemente cambiate negli ultimi decenni e, a una rapida crescita delle emissioni negli anni '60 e '70, dovuta al tumultuoso sviluppo economico di questo periodo, ha infatti fatto seguito un'altrettanta rapida decrescita dovuta ad una serie di norme emanate per ridurre l 'inquinamento atmosferico nelle nostre città. evidenza in modo molto efficace il grande successo che si è avuto in Italia sul fronte della lotta all'inquinamento atmosferico -, commenta Maurizio Maugeri, docente di Fisica dell'atmosfera all'Università di Milano - Tuttavia, non dobbiamo scordare che si può e si deve fare ancora di più per completare il percorso di risanamento che i dati di visibilità in atmosfera documentano in modo così efficace". è che esse mettono in evidenza in modo molto efficace il legame tra i livelli del particolato atmosferico e la trasparenza dell'atmosfera. "Le emissioni degli inquinanti che concorrono al particolato atmosferico, oltre a danneggiare la nostra salute, vanno infatti ad interagire con la radiazione solare riflettendola verso lo spazio causando un raffreddamento della superficie terrestre provocando, quindi, un effetto opposto a quello dei gas climalteranti, come l'anidride carbonica", aggiunge Veronica Manara del Cnr-Isac. registrato fino agli inizi degli anni '80 ha quindi parzialmente nascosto l'aumento di temperatura causato delle sempre più alte concentrazioni di anidride carbonica. Negli ultimi decenni, invece, grazie alle politiche di contenimento delle emissioni, la progressiva riduzione degli aerosol ha determinato un aumento della radiazione solare che giunge a terra "smascherando" il vero effetto dei gas serra. Infatti, mentre tra gli anni '50 e la fine degli anni '70 la temperatura nel nostro Paese è rimasta pressoché costante, dagli anni '80 ad oggi è cresciuta di quasi mezzo grado ogni decennio. |
Post n°2522 pubblicato il 18 Febbraio 2020 da blogtecaolivelli
24 luglio 2019COMUNICATO STAMPA Le proprietà magnetiche delle foglie e dei licheni per il monitoraggio della qualità dell'aria Le proprietà magnetiche di foglie e licheni forniscono indicazioni sull'accumulo e sulla composizione delle polveri sottili atmosferi- che inquinanti. Con uno studio multidisciplinare, si è eviden- ziata la relazione tra le proprietà magnetiche dei licheni e la concentrazione di metalli pesanti campionati in una zona fortemente antropizzata della periferia est romana Un team di ricercatori dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e dell'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Regione Lazio (ARPA Lazio) ha analizzato i licheni campionati a Roma nel 2017 in via di Salone, una zona caratterizzata da molteplici sorgenti di inquinamento atmosferico, tra cui frequenti combustioni abusive all'aperto. La ricerca, pubblicata sulla rivista "Science of the Total Environment" del gruppo Elsevier, ha evidenziato le proprietà dei licheni in qualità di recettori e accumulatori di polveri sottili. Aldo Winkler, "sono costituite da sostanze micrometriche sospese in aria, presenti in atmosfera per cause naturali o antropiche. Di solito, quando si parla di particolato sottile, ci si riferisce al cosiddetto PM10, costituito da particelle dal diametro uguale o inferiore a 10 millesimi di millimetro. Oggi si presta attenzione a polveri di dimensioni ancora minori, il PM2.5, e persino nanometriche, le più pericolose. In questo studio sono stati analizzati licheni autoctoni e trapiantati nella zona studiata interpretandoli - appunto - come recettori e accumulatori di PM". sulla salute e sul benessere della popolazione, negli ultimi anni si sono diffuse metodologie innovative di ricerca e analisi sul PM, tra cui quelle utilizzate in questo studio, che sono complementari all'utilizzo delle centraline. derivante da processi di combustione - per esempio nel caso di emissioni industriali e veicolari - e di abrasione, come per i freni e le rotaie", prosegue l'esperto. "Il biomonitoraggio con metodi magnetici consiste nel considerare foglie e licheni come collettori di particolato atmosferico che ne modifica sensibilmente le proprietà magnetiche, fornendo così una rapida indicazione dell'inquinamento atmosferico da polveri sottili e consentendo la differenziazione tra PM derivante da sorgenti naturali da quello derivante da sorgenti antropiche. Il confronto tra proprietà magnetiche, analisi chimiche e osservazioni al microscopio elettronico" prosegue Aldo Winkler, "ha permesso di delineare, nei licheni campionati, l'importante accumulo di particolati magnetici micrometrici, a livello compositivo simili alla magnetite, legati alla presenza di metalli pesanti quali rame, zinco, nichel, cromo e piombo. Questi risultati ribadiscono l'elevato grado di antropiz- zazione della zona studiata, caratterizzata da molteplici sorgenti di inquinamento", conclude l'esperto. effettuate presso il Laboratorio di Paleomagnetismo dell'INGV, sono rapide e a costi contenuti; in ambito urbano, focalizzando l'interesse sul traffico, le ricerche proseguono in collaborazione con il Dipartimento di Biologia Ambientale dell'Università degli Studi di Roma Sapienza, relazionando le misurazioni magnetiche ai tratti funzionali delle foglie di leccio campionate in aree urbane soggette a intenso traffico veicolare. |
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