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Messaggi del 10/06/2020
Post n°3086 pubblicato il 10 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet La distinzione tra verbi transitivi e intransitivi non è così semplice e immediata. I primi ammettono un complemento oggetto (Es. Giovanna mangia la pasta), i secondi no (Es. Giovanna piange) e sul dizionario è possibile trovare tutte le informazioni relative al verbo, anche quelle sulla transitività. Nel corso dei secoli, l'italiano ha visto, però, la variazione di molti verbi da transitivi a intransitivi e viceversa, di cui Luca Serianni fornisce un resoconto dettagliato in "Grammatica italiana" (Utet, 2010). Proprio per questa mutevolezza, spesso dipendente dalla situazione, la transitività di ogni verbo va dedotta dal contesto. I verbi transitivi possono, ovviamente, essere utilizzati anche senza un complemento oggetto e non perdono la loro transitività. Giovanna mangia è una frase di significato compiuto, transitiva, attiva. Quando il complemento oggetto è presente, si dice che l'azione "transita", si trasferisce all'oggetto che segue. Le tre forme dei verbi transitivi sono: attiva, passiva e riflessiva. Si dice che il verbo è in forma attiva quando il soggetto compie l'azione. Quando l'azione è subita dal soggetto, abbiamo la forma passiva. Quando l'azione si riflette sul soggetto e quindi soggetto e oggetto coincidono, siamo di fronte alla forma riflessiva. Es. Giovanna mangia la pasta (forma attiva); La pasta è mangiata da Giovanna (forma passiva); Giovanna si lava (forma riflessiva). I verbi riflessivi sono preceduti o seguiti dalle particelle pronominali; nei tempi composti si formano con l'ausiliare "essere". Come abbiamo visto, presuppongono che il soggetto coincida totalmente con il complemento oggetto (Giovanna si lava = Giovanna lava se stessa). Da non confondere con i verbi pronominali (intransitivi) che del riflessivo hanno solo l'apparenza. Alcuni verbi transitivi, con un uso colloquiale, vengono utilizzati nel parlato in forma riflessiva anche quando non la richiederebbero. È il caso dei verbi riflessivi cosiddetti "d'affetto". Es. Mi faccio una doccia. Giovanna e Luigi si guardano un film. In questo caso si mette in risalto l'affettività che l'azione comporta, sia essa abitudinaria o accompagnata da sentimenti di sollievo, soddisfazione, felicità, ecc... |
Post n°3085 pubblicato il 10 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Abbiamo visto, nella pagina dedicata, la differenza tra i verbi transitivi e quelli intransitivi. I verbi intransitivi non permettono quindi il transito dell'azione sul complemento oggetto. Questo nella regola generale, perché in realtà anche un verbo intransitivo può reggere un complemento diretto: il complemento dell'oggetto interno. Siamo di fronte a un complemento dell'oggetto interno quando esso si forma dalla stessa radice del verbo. Es. Vivere una vita serena. Oppure quando la base semantica del complemento e quella del verbo coincidono. Es. Piangere lacrime amare. Es. Dormire sonni tranquilli. Questo utilizzo del complemento oggetto è riscontrabile in alcune frasi fatte o nell'uso letterario, colto. Solitamente si ricorre ad altri verbi per esprimere gli stessi significati (Es. Fare sonni tranquilli). In molti verbi intransitivi, poi, un transito avviene comunque, anche se l'azione passa sul complemento di termine e non sul complemento oggetto. Es. Somiglia a Claudia. A seconda del contesto, infine, possiamo classificare uno stesso verbo come transitivo o intransitivo. Es. Servi quel ragazzo! (transitivo); Non mi serve (intransitivo = non serve a me); Finisci il tuo piatto (transitivo); La partita finisce alle dieci (intransitivo). Anche alcuni verbi parasintetici, risultanti cioè dall'utilizzo di uno o più suffissi o prefissi, transitivamente indicano "mettere qualche persona o cosa in uno stato o in un luogo", intransitivamente "entrare in quello stato o luogo". Es. La città ingrandisce (intransitivo); Il microscopio ingrandisce i campioni (transitivo). Considerate quindi sempre il contesto, prima di decidere per la transitività o l'intransitività di un verbo. |
Post n°3084 pubblicato il 10 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Per ausiliari intendiamo quei verbi che oltre ad avere un significato autonomo, possono essere utilizzati in combinazione con altri verbi. Gli ausiliari propriamente detti sono essere e avere. Questi permettono la formazione di tutti i tempi composti. Es. Sono andato; Ho mangiato; Hanno detto. La scelta dell'ausiliare corretto per formare i tempi composti è complicata e non esistono categorizzazioni nette. In generale, possiamo dire che i verbi transitivi utilizzano come ausiliare il verbo avere. Es. Ho cantato una canzone. I verbi riflessivi e i verbi impersonali utilizzano il verbo essere. Es. Mi sono lavato. Con l'eccezione dei verbi impersonali legati alle condizioni atmosferiche, che permettono l'utilizzo di entrambi gli ausiliari. Es. È piovuto/ Ha piovuto. Per quanto riguarda i verbi intransitivi, i grammatici si rassegnano per lo più a compilare delle liste di voci verbali che richiedono il verbo essere o il verbo avere o entrambi, a seconda della transitività del verbo o del significato che si vuole esprimere. Per una trattazione più approfondita, rimandiamo al testo "Grammatica italiana" di Luca Serianni e in particolare al capitolo undicesimo, con la consapevolezza che i punti fermi per una categorizzazione sono davvero pochi. Come lo stesso Serianni fa notare, una sicurezza esiste ed è la seguente: negli ultimi anni la lingua italiana ha fatto registrare una netta prevalenza dell'ausiliare avere ai danni di essere. Tra l'ausiliare e il participio passato possono talvolta essere interposti avverbi o congiunzioni. Es. Non ho mai mangiato tanto; Sono realmente agitato. Con il verbo essere è possibile formare anche le forme passive dei verbi. Es. Sono stato interrogato ieri. Anche se è diffusa la tendenza a utilizzare anche i verbi venire e andare al posto di essere. Es. Il premio viene assegnato d'ufficio ai presenti. È andato perduto negli anni. I verbi servili si uniscono ad altri per completarne il significato. "Servono" letteralmente ad altri verbi e indicano obbligo, necessità, possibilità, desiderio o capacità. Sono anche detti modali e sono dovere, potere, volere e sapere (nel significato di "essere in grado di"). Queste le caratteristiche che, se presenti in contemporanea, li rendono a tutti gli effetti verbi servili: - reggono direttamente l'infinito; - il soggetto del verbo servile è lo stesso soggetto logico dell'infinito; - presentano una "collocazione mobile" dei pronomi atoni che funzionano indifferentemente come proclitici prima del verbo servile o come enclitici dopo l'infinito. Es. Ti devo parlare; Devo parlarti. Le frasi dell'esempio hanno lo stesso significato ma, se nella prima l'enfasi è posta sulla seconda persona singolare "tu", destinataria della comunicazione, nella seconda frase l'importanza è data maggiormente al parlante, all' "io". Il verbo dovere seguito dall'infinito può avere il valore di un futuro. Es. Devo partire (l'azione è ancora da compiere). Nella formazione dei tempi composti, i verbi servili prendono, in genere, l'ausiliare dei verbi che accompagnano. I verbi fraseologici, come possiamo capire dalla stessa denominazione, designano un particolare aspetto del verbo attraverso una sequenza di parole, una "perifrasi". Si tratta di costrutti, formati con verbi di modo indefinito (infinito e gerundio), che possono indicare l'imminenza, l'inizio, lo svolgimento, la continuità o la conclusione di un'azione. Es. Sto per mangiare una mela (imminenza); Inizio a studiare proprio ora (inizio di un'azione); Si ostina a non voler vedere la realtà (continuità); Smetti di cantare, ti prego! (conclusione). Rossella Monaco |
Post n°3083 pubblicato il 10 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportate dall'Internet I verbi impersonali non hanno una persona determinata. Essi si utilizzano nei modi indefiniti o, in terza persona, nei modi finiti. Non c'è quindi un'intera flessione, in tutte le persone, del verbo. I verbi o i costrutti verbali che indicano fenomeni atmosferici sono stabilmente impersonali. Es. Piove; Fa caldo. Solo se utilizzati metaforicamente, in senso figurato, o con personificazione degli agenti atmosferici, possono ammettere l'utilizzo della persona. Es. Il temporale tuonava nel cielo scuro; Piovono parole su questa città. Per esprimere l'impersonalità in italiano, con tutti i verbi, possiamo utilizzare il pronome si in unione a un verbo intransitivo o a un transitivo attivo (senza il complemento oggetto) o passivo. Es. Si viene a conoscenza di un misfatto; Si parla tanto di quel ragazzo. In altre lingue straniere ritroviamo la presenza di costrutti impersonali corrispondenti, come in francese e spagnolo. Es. On parle italien; Se habla italiano. Nello spagnolo possiamo ritrovare una perfetta corrispondenza con l'italiano. On in francese deriva da homme (uomo), utilizzato in passato come soggetto generico. A dire il vero, anche nell'italiano antico (in Dante, ad esempio) troviamo "uomo" nella stessa funzione, ma è questa consuetudine è andata ormai completamente in disuso. Il verbo alla terza persona plurale o singolare esprime altresì l'impersonale. Es. Parlano di un temporale mai visto prima; Conviene mangiare prima di uscire. Funziona allo stesso modo la terza persona del verbo, in diatesi passiva, specialmente con verbi che indicano opinione, divieto, affermazione o permesso. Es. È stato detto che non c'è speranza; Nel Medioevo era proibito confessare le proprie idee politiche e religiose liberamente. Anche con i pronomi indefiniti uno e qualcuno, intesi come soggetti generici, è possibile formare un costrutto impersonale. Es. Uno pensa che alla fine non ci sia speranza e invece...; Qualcuno dice che la vita non è bella. Infine si possono utilizzare delle locuzioni, costituite dal verbo essere e da un aggettivo, un avverbio o un nome. Es. È importante studiare con attenzione; Come per i nomi, alcuni verbi (la maggior parte impersonali) sono difettivi, mancano cioè di alcune voci. Alcuni di questi verbi sono arcaici e per questo motivo sono stati limitati, negli anni, a espressioni cristallizzate, e non presentano l'intera flessione. Es. Mi si addice questo vestito (addirsi); Mi prude (prudere). Per approfondire le coniugazioni dei verbi e i tempi, visitate le sezioni dedicate. Rossella Monaco |
Post n°3082 pubblicato il 10 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet L'indicativo, come abbiamo già detto, è solitamente definito come il modo dell'obiettività, serve a esprimere ciò che riteniamo certo, sicuro o molto probabile. Anche se alcuni tempi possono indicare dubbio e non realtà. Figura tra i modi finiti, insieme al congiuntivo, il condizionale e l'imperativo. È molto utilizzato nelle principali ma compare spesso anche nelle frasi subordinate: soggettive, oggettive, dichiarative, interrogative indirette, causali, ipotetiche, concessive, consecutive, temporali, restrittive, relative, incidentali, limitative, e nelle frasi introdotte da "che polivalente". L'indicativo si compone di otto tempi: quattro semplici e quattro composti: il presente, l'imperfetto, il passato remoto, il futuro semplice, il passato prossimo, il trapassato prossimo, il trapassato remoto e il futuro anteriore. Nelle pagine dedicate, esamineremo ogni tempo con funzione e valore relativi. Per approfondire l'utilizzo delle proposizioni subordinate o principali, andate alla sezione "Analisi del periodo". |
Post n°3081 pubblicato il 10 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet L'imperativo è uno dei modi finiti del verbo. Può esprimere comando, permesso, proibizione, consiglio, domanda, preghiera, invito. In base al verbo utilizzato e all'intonazione con cui la frase viene pronunciata, il valore semantico può cambiare anche molto. Possiamo trovare questo modo del verbo solo nelle proposizioni principali, volitive ed esclamative. A volte compare anche nelle incidentali che non hanno comunque nessun rapporto di subordinazione con altre proposizioni. In italiano, l'imperativo non ha la prima persona singolare e ha solo il tempo presente. Alcune grammatiche includono in questo modo anche il futuro iussivo, indicante cioè un ordine. Es. Camminerete come vi ho detto. La terza persona singolare dell'imperativo, la prima e la terza plurale sono espresse tramite il congiuntivo con valore esortativo. La seconda persona plurale è invece identica alla corrispondente dell'indicativo presente. -Mangia Mangi Mangiamo Mangiate Mangino A volte il congiuntivo può prendere il posto della seconda persona singolare e della seconda persona plurale, come per esempio con i verbi essere e avere, sapere e volere (sappi, vogliate, sii, abbiate). La seconda persona plurale del verbo credere nell'imperativo negativo può essere sostituita dal congiuntivo. Es. Non crediate che sia tutto finito. In generale nell'imperativo negativo si ricorre all'infinito per la seconda persona singolare. Es. Non cantare! La funzione classica dell'imperativo non è più riconoscibile, perché ormai cristallizzata, in espressioni che introducono un'equivalenza o nell'imperativo gerundiale, costituiti da due o più imperativi che come significato corrispondono al gerundio (vedi esempio). Es. Cammina, cammina, sono arrivato a Roma. (imperativo gerundiale = è come dire "camminando, sono arrivato a Roma" ma enfatizza il tempo e il ripetersi dell'azione); Il panettone è ormai pronto all'uso e sempre più farcito. Vedi le ultime abitudini degli italiani a tavola secondo il rapporto Istat... ("Vedi" è una formula fissa). L'imperativo non è quindi solo l'espressione di un ordine, ma ha differenti significati e usi in base al contesto. Rossella Monaco |
Post n°3080 pubblicato il 10 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Il condizionale esprime un'azione che può aver luogo solo se vengono soddisfatte determinate condizioni. Compare nel periodo ipotetico. Es. Uscirei se ci fosse il sole. Con la tua compagnia girerei il mondo. Ma la condizione può essere anche espressa da un'altra subordinata o da un complemento. A volte essa non compare nemmeno nella frase. Es. Mangerei una mela. In questo caso può esserci una condizione sottintesa (se avessi fame) oppure può semplicemente esprimere un'azione nel senso della soggettività e della relatività (mi piacerebbe mangiare una mela). Luca Serianni definisce il condizionale come il "modo della penombra e delle luci smorzate, laddove l'indicativo, negli stessi contesti, diffonderebbe una piena luce solare". Ha quindi un valore dubitativo, potenziale, in molti casi. Può servire a declinare gentilmente un invito, a dare un umile "parere personale" o chiedere qualcosa di cui non si è a conoscenza. Es. Io avrei già mangiato, grazie; Io comprerei quella grande; Non saprei cosa scegliere; Perché dovrei pagare con carta di credito? Possiamo trovare il condizionale in molte subordinate: oggettive , interrogative indirette, concessive, eccettuative, temporali, limitative, causali, avversative, consecutive, incidentali, relative e comparative. Ricorre, a volte, con valore ottativo (per esprimere desiderio). Es. Come vorrei essere più grande! Sarebbe bello poter parlare ancora. Al passato, per i desideri non realizzabili. Es. Avrei voluto essere un uccello per volare nel cielo blu. Esiste anche un condizionale di cortesia che esprime un ordine gentile o una preghiera, anche in forma interrogativa. Es. Vorrei un bicchiere d'acqua, per favore; Potresti aprire la finestra? In questo caso è come se fosse sottinteso "se tu non avessi nulla in contrario". Il condizionale di dissociazione indica invece che si vuole prendere le distanze da un'affermazione non ancora verificata È spesso utilizzato in campo giornalistico. Es. La ragazza avrebbe 15 anni e un passato da ladruncola alle spalle. Infine, il condizionale passato serve, talvolta, a esprimere la posteriorità rispetto al passato (insieme all'imperfetto di dovere e all'infinito, il futuro retrospettivo e l'imperfetto prospettivo). Es. Comprai una musicassetta al mercato del quartiere. Il giorno dopo avrei scoperto che non funzionava. |
Post n°3079 pubblicato il 10 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Il congiuntivo è il modo che esprime la volizione, il potenziale, il dubbio. Ha quattro tempi: presente, imperfetto, passato e trapassato. Lo troviamo soprattutto nelle subordinate (causali, temporali, consecutive, esclusive, concessive, restrittive, ipotetiche, relative, avversative, eccettuative, comparative, finali) e il tempo dipende largamente dal tempo del verbo della principale. Troviamo il congiuntivo anche in qualche frase semplice: nelle volitive (congiuntivo esortativo o permissivo) e nelle ottative. Talvolta esso si alterna con l'indicativo, in determinati registri linguistici. In particolare, il congiuntivo è da preferire nell'italiano scritto, senza che per forza indichi letterarietà; nell'italiano parlato, invece, si tende a utilizzare maggiormente l'indicativo, soprattutto per la seconda persona singolare. Questo avviene anche per stabilire una differenza tra le prime tre persone (che io senta, che tu senta, che egli senta) senza obbligatoriamente dover menzionare il soggetto. In italiano esistono:
Es. Desidero che voi cantiate tutti insieme.
Es. I politici dicono che in futuro ci sarà meno povertà.
Es. Ammetto che sei un ragazzo maturo; (con il senso di "riconoscere") Ammettiamo che Giovanna non esca domani, cosa fareste? (con il senso di "supporre")
Es. Non penso che debba cantare lui; Come possiamo pensare che la vita sia solo tempo e spazio? Che Giovanni cantasse in quel modo, già lo sapevo; Vorrei che tu non perdessi l'occasione.
Es. Penso che canterete divinamente. Nonostante molti grammatici parlino di "crisi" e di "morte" del congiuntivo, la situazione non sembra essere così tragica, in generale. Certo, si registra un forte aumento dell'indicativo in completive, interrogative indirette e ipotetiche, ma soprattutto nel parlato. Nel caso si dovesse trovare nei testi scritti qualche indicativo al posto del congiuntivo poi, la cosa non dovrebbe impensierire perché spesso si tratta di un'alternanza per ragioni stilistiche, per ottenere un registro più sorvegliato o perché richiesto da particolari reggenze del verbo. È lo stesso Serianni a ricordarlo. L'importante è conoscere la regola e trasgredirla con consapevolezza in base all'occasione d'uso. Rossella Monaco |
Post n°3078 pubblicato il 10 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet L'infinito è uno dei modi indefiniti del verbo e ammette due soli tempi: presente e passato. Es. Mangiare (presente); Avere mangiato (passato). Può avere uso verbale o sostantivato. Si comporta come un verbo nelle poche frasi semplici in cui compare: esclamative, volitive, ottative, imperativo negativo, interrogative dirette con valore dubitativo. Es. Che dire?; Non camminare; Tenere la sinistra. Nelle enunciative troviamo talvolta un infinito detto "narrativo", che indica la circostanza improvvisa, l'insorgenza inattesa, spesso introdotto da "ecco". Es. Mangiavo la mia mela rossa ed ecco comparire la strega cattiva. L'infinito si può trovare anche nelle frasi nominali, spesso utilizzate in ambito giornalistico e nei titoli, proprio per la sua ambiguità. Nelle subordinate troviamo l'infinito in tutti i costrutti impliciti: completive, causali, dichiarative, concessive relative, limitative, temporali, avversative, esclusive, interrogative indirette, comparative. Es. Invece di parlare, canta. (Avversativa). Infine, si usa anche in accompagnamento a verbi servili e fraseologici. Es. Devo mangiare; Sto per cadere dalla sedia. L'infinito si dice sostantivato quando a tutti gli effetti si comporta come un sostantivo, ed è quindi accompagnato da un articolo, da una preposizione articolata; più in generale, da un determinante. Es. Tra il dire e il fare... Luisa è la più brava nel cantare questa canzone. Ma in realtà la presenza del determinante non è sempre necessaria. Es. Fumare nuoce alla salute. Ricordate che davanti all'infinito, le preposizioni semplici "in" e "con" diventano obbligatoriamente articolate. L'uso della preposizione semplice è attestato solo nell'italiano antico. Es. Crederono poter rinnovarla con allargarne le facoltà (Carducci). Infine, alcuni infiniti sostantivati, in seguito a un uso ripetuto, hanno finito per diventare veri e propri nomi, si sono cioè lessicalizzati e hanno assunto tutte le caratteristiche del sostantivo: accordo del numero e del genere, determinanti, eccetera. È il caso, ad esempio, di essere, potere, dovere, mangiare, bere. Es. L'essere vivente è prezioso; Il mangiare per domani è nel frigo; I doveri del cittadino. Rossella Monaco. |
Post n°3077 pubblicato il 10 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Il participio ha natura doppia, "partecipa" cioè delle caratteristiche del nome e di quelle del verbo. Ha due tempi, come l'infinito e il gerundio: presente e passato. Il participio presente oggi è utilizzato per lo più con funzione nominale e aggettivale. Il ristretto uso verbale che si fa del participio presente è limitato al campo giuridico e burocratico e alle enumerazioni nominali. Es. Ho trovato la parte mancante del ciondolo; La badante di Luisa è austriaca; Il programma è rispondente alle esigenze delle istituzioni scolastiche; La guerra è tristezza: persone piangenti, bambini urlanti, soldati inneggianti alla battaglia. Molti participi presenti sono andati incontro, nel corso degli anni, a processi di sostantivazione e aggettivazione e hanno perso completamente la loro natura verbale (amante; cantante; dirigente...). Il participio passato, al contrario, è molto utilizzato sia con funzione verbale che con funzione nominale e aggettivale. L'uso verbale è riscontrabile in tutti i tempi composti e come costrutto implicito nelle subordinate di tipo causale, concessivo, temporale, ipotetico. Lo troviamo tuttavia anche per risolvere una subordinazione relativa e nelle completive (con ellissi dell'ausiliare). Es. Agitata per l'emozione, non sono riuscita a parlare; Preparata al peggio, non è comunque riuscita a sorridere; Ho trovato questo foglio raccolto da Giovanna in una pozzanghera; Non potate in tempo, le rose appassiscono; Dichiaro chiuso il discorso; (Dichiaro che è il discorso è chiuso). Arrivato che fu a scuola, gli diedero un quaderno nuovo; (Anteriorità = participio passato + che). Arrivati a casa, abbiamo svuotato il frigo; Avevamo fame. Detto fatto, abbiamo svuotato il frigo. (Uso cristallizzato). A volte, il participio passato può avere un soggetto logico diverso rispetto a quello della proposizione principale. È il caso del participio assoluto. Es. Contento tu, possiamo fare quello che vuoi! (aggettivale); Usciti Marco e Luisa, io e Piero siamo entrati in aula. Spesso, in narrativa, troviamo un uso particolare del participio assoluto, con valore modale-descrittivo. A volte poi, se il verbo manca, ci troviamo di fronte a un costrutto nominale assoluto. Es. Gli occhi persi all'orizzonte, Luisa se ne stava appoggiata alla porta, aspettando chissà quale notizia; Gli occhi all'orizzonte, Luisa se ne stava appoggiata alla porta aspettando chissà quale notizia. Anche il participio passato è andato incontro con il passare del tempo a fenomeni di sostantivazione e aggettivazione (trattato; significato; trattenuta...). Anche se non tutti nomi terminanti in -to e -ta sono per forza derivati da un participio passato. Alcuni sono già attestati nel latino classico come "udito", inteso come "facoltà nel sentire", che deriva dal latino auditus. Possiamo dire, in generale, che il confine tra participio con funzione verbale e participio sostantivato non è così rigida come potrebbe sembrare, anzi. Molto dipende dal contesto in cui si viene a trovare. Per approfondire, consultate il dizionario o una buona grammatica. Rossella Monaco |
Post n°3076 pubblicato il 10 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Il gerundio è uno dei modi indefiniti del verbo. Solitamente lo troviamo connesso a un altro verbo in modo finito. Essi possono costituire insieme un verbo fraseologico (sto andando) oppure rappresentare due proposizioni distinte (andò piangendo). Di norma, i due verbi condividono lo stesso soggetto. Ci sono però anche casi in cui il gerundio ha un soggetto logico diverso rispetto al soggetto del verbo finito a cui è collegato. Ciò avviene: quando il gerundio si riferisce al complemento oggetto della frase principale; nel gerundio assoluto; quando il soggetto è generico per entrambi o per uno solo dei verbi. Es. Quando tornerò a casa, la troverò ridendo con i suoi compagni; Cantando Luisa e Giulia a squarciagola, i vicini si sono lamentati; Sbagliando s'impara. Solo raramente è possibile trovare un utilizzo indipendente del gerundio, è il caso di alcuni titoli o di sostantivi derivati da verbi ed entrati ormai a far parte dell'uso. Es. Cantava in crescendo. Il laureando parlava ad alta voce esponendo la sua tesi. Il gerundio, come l'infinito e il participio, ha due soli tempi: presente e passato. Il gerundio passato è impiegato moltissimo nell'italiano moderno ed è limitato quasi esclusivamente alla lingua scritta, esso indica anteriorità rispetto alla principale. Es. Avendo già mangiato, non ho più fame. Il gerundio presente può invece indicare contemporaneità, anteriorità o posteriorità rispetto alla proposizione principale. Es. Leggendo il giornale, Claudia mi parlava della crisi economica; Leggendo il giornale, ho imparato tante cose sul mondo; Pensavo che Maria volesse uscire di casa, perdendosi nella città. Possiamo trovare il gerundio nelle subordinate modali, comparative, ipotetiche, esclusive, concessive (in combinazione con "pur"), temporali, causali; ma anche nelle coordinate. Es. Facendo attenzione, troverai la tua strada; Segui la seconda strada a sinistra raggiungendo la Senna, arriverai a casa. (Segui la seconda strada a sinistra e raggiungi la Senna...) Esiste, infine, anche un gerundio appositivo, difficile da distinguere, ad esempio, dal gerundio coordinativo appena visto. Un modo per riconoscerlo è capire che la sua funzione principale è quella di caratterizzare il soggetto della proposizione principale, come nella frase che segue. Es. Il toro fece due passi in avanti muggendo infuriato. |
Post n°3075 pubblicato il 10 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Preposizioni articolate Le preposizioni articolate sono la combinazione di preposizioni semplici e articoli determinativi. Esse seguono le stesse regole dell'articolo determinativo con cui sono formate Le preposizioni semplici di, a, da, in e su si contraggono con l'articolo determinativo a creare una sola parola.
Del si utilizza negli stessi casi in cui utilizzeremmo l'articolo determinativo il, cioè con i nomi maschili singolari che necessitano di una determinazione, e lo stesso vale per tutte le altre preposizioni. La preposizione semplice con a volte si contrae con l'articolo e a volte no. Si può scegliere, ad esempio, tra col e con il oppure tra collo o con lo. Dove la contrazione potrebbe generare ambiguità come nel caso di collo , colla, cogli, colle è sempre preferibile evitare la fusione. Le preposizioni semplici tra e fra non si legano con l'articolo determinativo ma rimangono separati (tra la, fra i...). Bisogna poi fare molta attenzione a non confondere le forme articolate della preposizione semplice di con gli articoli partitivi che indicano invece una quantità.Ho dello zucchero significa "ho un po' di zucchero" e dello in questo caso non è preposizione articolata ma articolo partitivo. Come comportarsi invece quando le preposizioni si trovano a precedere il nome di opere letterarie, ditte, pubblicazioni che iniziano con un articolo determinativo? Scriveremo nel Piacere di D'Annunzio oppure ne Il Piacere di D'Annunzio? Questa difficoltà nasce solamente con le preposizioni semplici di, a, da e in, mentre con le altre preposizioni non si creano problemi. Non esistono comunque norme precise e sono tollerate entrambe le forme, bisogna però tenere presente che la prima è di uso più comune e meno attento all'integrità del titolo. Nel caso ci trovassimo davanti a una compilazione bibliografica dovremmo assolutamente utilizzare la seconda forma, pena la fallacia dell'informazione. Se stessimo facendo invece una citazione corrente la separazione della preposizione semplice dall'articolo sembrerebbe forse troppo convenzionale. Bisogna quindi sempre tenere conto del contesto. |
Post n°3074 pubblicato il 10 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Interiezioni L'interiezione è una parte del discorso invariabile e ha la funzione di esprimere emozioni, stati d'animo e reazioni istintive condensate in una sola espressione, senza legami sintattici con il resto della frase. Per essere compresa dagli interlocutori è necessario che essi conoscano il contesto. Per questo motivo l'interiezione si può definire deittica, ciò legata a un qui e ora ben determinato. frase, in base all'intonazione. Funziona un po' come con le espressioni del viso che veicolano un messaggio chiaro all'interlocutore senza il bisogno di aggiungere altro. Nel caso ci trovassimo di fronte a un testo scritto ci sarebbe invece necessità di integrare l'interiezione con qualche parola che ne specifichi il senso, non potendo basarci sul tono con cui viene pronunciata. Negli anni, i grammatici hanno operato diverse categorizzazioni distinguendole in proprie e improprie o primarie e secondarie, ma indipendentemente dalla denominazione assegnata, è facile riconoscere due differenti gruppi di interiezioni:
C'è poi chi discerne all'interno del secondo gruppo tra interiezioni improprie e locuzioni interiettive formate da proposizioni e modi di dire (povero me!, santa pazienza!). zione all'interno della prima categoria: è facile individuare interiezioni semplici, composte, e onomatopeiche. Le interiezioni semplici si compongono di uno o due suoni vocalici e possono esprimere dolore (ahi!, ohi!), esitazione o impaccio (ehm, uhm), repulsione (ih!), dubbio (mah, boh), sorpresa (uh!) e tanti altri sentimenti e impulsi. Le interiezioni composte sono formate generalmente da un'interiezione semplice in combinazione con un pronome personale oppure da due parole (ahimè, orsù, suvvia...). Anche queste voci possiedono diverse sfumature di significato in base al contesto. Infine, le interiezioni onomatopeiche, come dice il nome stesso, derivano da suoni riconoscibili e provengono per la maggior parte dal mondo del fumetto (puah, splash, clap, toc, wow...). Potremmo obiettare che praticamente tutte le interiezioni hanno un valore onomatopeico perché si basano sull'intonazione e il suono, ed effettivamente più che prestare attenzione alle denominazioni dovremmo avere ben chiare le distinzioni e la provenienza etimologica di queste piccole istintive parti del discorso. È importante poi la giusta grafia delle interiezioni. Spesso troviamo errori molto gravi come ho! al posto di oh!. L'h va messa sempre alla fine (eh, beh, mah, toh...) tranne nel caso in cui ci siano due vocali come per esempio in ehi!, ahi! e i loro composti come ahinoi! e nel caso di ehm e uhm, dove si posiziona in mezzo. È possibile trovare O senza h quando si tratta di un vocativo (O cari fratelli!, O amica mia!). L'imperativo alla seconda persona singolare troncata di alcuni verbi funge talvolta da interiezione come nel caso di te' per "tieni", va' per "guarda ( varda)". Oppure ancora dall'apocope di alcune parole come be' per "bene". Molte di queste interiezioni hanno origine vernacolare e vengono utilizzate con frequenza maggiore o minore a seconda della provenienza geografica dell'interlocutore, ma ormai quasi tutte sono entrate a diritto nell'uso della lingua italiana. Rossella Monaco |
Post n°3073 pubblicato il 10 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Il soggetto fa parte della frase minima insieme al predicato e ne completa il significato concordando con esso in genere e in numero. Può essere soggetto un sostantivo, una frase intera (soggettiva , vedi pagina dedicata), un pronome, un avverbio, un aggettivo sostantivato e qualsiasi altra parte del discorso. Es. I cattivi vincono sempre. Il perché non te lo dico. Giocare è divertente. Dieci è un numero. Non sempre il soggetto è al primo posto nella frase, può essere in qualsiasi posizione prima o dopo il verbo. Es. Di solito mangia Luca. A volte il soggetto può anche non comparire all'interno della frase e in quel caso diremo che è un soggetto sottinteso, designabile eventualmente con un pronome personale a partire dalla voce verbale. Es. Giochiamo (noi = sottinteso). Fino ad ora abbiamo parlato del soggetto grammaticale ma esiste anche un altro tipo di soggetto: il soggetto logico. Il soggetto grammaticale e il soggetto logico a volte coincidono, come nella frase "Luca balla il liscio", ma a volte i due possono anche essere diversi come nella frase passiva "La pasta è stata cucinata da Mario". In questa frase, infatti, il soggetto grammaticale è "la pasta" mentre il soggetto logico, cioè colui che ha compiuto l'azione (l'agente) è Mario. Attenti però a non fare confusione! Nell'analisi logica bisogna sempre trovare il soggetto grammaticale quindi la funzione sintattica, e "da Mario" sarà complemento d'agente e non soggetto, anche se semanticamente (a livello di significato) lo è! Insieme al soggetto si accompagnano a volte gli attributi e le apposizioni. L'attributo è un aggettivo che si unisce a un nome per determinarlo o qualificarlo. Tutti gli aggettivi sono attributi nell'analisi logica. L'attributo può unirsi al soggetto ma anche alle altre parti del discorso (complementi, predicati, ecc.). Es. La casa gialla s'ergeva su un alto sperone di roccia scura. L'apposizione è un nome che si associa a un altro nome nell'atto di specificarlo, di meglio denominarlo. Le sue funzioni sono dunque le stesse di quelle dell'attributo. L'apposizione può essere semplice (una sola parola) o composta (più parole), preceduta talvolta dalla preposizione "da", dalla congiunzione "come" o dalla locuzione "in qualità di" e simili. Es. Il dottor Freud ha scritto riflessioni importanti. Pascoli, sommo poeta, ha scritto poesie bellissime. Pirandello, come sceneggiatore teatrale, è conosciuto più di altri. Attenzione a non confondere l'apposizione con i complementi predicativi del soggetto e dell'oggetto! Per cancellare ogni dubbio visitate la pagina dedicata. Rossella Monaco |
Post n°3072 pubblicato il 10 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Il predicato è qualcosa che si dice, si "predica" sul soggetto e, in particolare, dà informazioni su:
Ne esistono di due tipi: il predicato verbale e il predicato nominale. In questa sede ci occuperemo del predicato verbale, mentre il predicato nominale verrà trattato nella pagina che segue. Il predicato verbale è, quindi, un verbo e fin qui tutto bene. Può mettere in relazione il soggetto con un complemento, ma non sempre ciò accade. Infatti, si può trovare anche solo con il soggetto (frase minima). Es. Luisa canta. O addirittura completamente da solo (con soggetto sottinteso). Es. Canta. Da ciò possiamo intuire che il predicato verbale è la parte essenziale di una frase che abbia senso compiuto. Può essere un verbo attivo, passivo, riflessivo, sia in forma transitiva che intransitiva (per ripassare queste caratteristiche del verbo leggete la pagina dedicata). Il predicato verbale comprende anche i verbi servili (potere, dovere, ecc.) e i verbi aspettuali, causativi e fraseologici. Es. Luisa può cantare "Può cantare" è da considerare come un unico predicato verbale anche se composto dal servile "potere" e dall'infinito "cantare". Es. Luisa si trova a cantare Anche in questo caso "si trova a cantare" è da considerare come un unico predicato verbale anche se si tratta di un verbo fraseologico (trovarsi + cantare). Il verbo essere nel predicato verbale ha la funzione di ausiliare nei tempi composti. Es. Giovanni è arrivato ieri. Il verbo essere da solo generalmente è considerato predicato nominale, però bisogna fare attenzione perché può essere considerato, al contrario, predicato verbale quando esso significa:
Il verbo avere è considerato predicato verbale sia quando si trova da solo con il significato di "possedere", sia quando funziona da ausiliare nei tempi composti. Per capire fino in fondo il predicato verbale leggete la pagina dedicata al predicato nominale. Rossella Monaco |
Post n°3071 pubblicato il 10 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Come abbiamo già visto, il predicato è ciò che viene affermato sul soggetto. Il predicato nominale, in particolare, si propone di chiarire una qualità relativa al soggetto: come è e cos'è. È costituito dal verbo essere e da un aggettivo, un nome, un pronome o da un'altra parte del discorso riferita al soggetto e con esso va concordato in genere e in numero. Il verbo essere all'interno del predicato nominale è detto copula perché svolge un'azione "legante" tra il soggetto e la qualità espressa. La parte del discorso seguente al verbo essere è detta invece nome del predicato o parte nominale. Nel caso in cui sia un aggettivo, lo definiremo complemento predicativo del soggetto. Es. Giulio è un idraulico; Queste scarpe sono bellissime. La copula del predicato nominale può essere omessa nel caso in cui sia già stata espressa la prima volta e si sottintenda ripetuta. Es. Un fiore è rosso, l'altro giallo. Il nome del predicato non è mai preceduto da preposizione però può avere l'articolo, anche il partitivo. Es. Giovanni e Luca sono dei bei ragazzi. Oltre al verbo essere possono essere considerati "copula" alcuni verbi. Tra gli altri: nascere, morire, diventare, sembrare, parere, rivelarsi, restare, rimanere, stare, riuscire, vivere, risultare, le forme passive dei verbi trovare, lasciare, rendere, ridurre, confessare, scoprire, vantarsi, chiamare, stimare, creare, fare, eleggere, nominare, giudicare, riconoscere. Questi verbi hanno un proprio significato e da soli possono essere considerati predicati verbali. Se però sono accompagnati da una parte del discorso che esprime una qualità relativa al soggetto della frase, cioè da complementi predicativi, diventano verbi copulativi. Es. Luisa è rimasta contenta; Il tuo amico sembra interessante. Come abbiamo detto il soggetto e il predicato devono sempre concordare tra loro, anche quando ci troviamo di fronte a predicato verbale. Se abbiamo più soggetti con generi diversi nella concordanza del verbo prevarrà il maschile. Es. Luisa e Luca sono bravi; Maria e Giovanna sono brave; Luca e Marco sono bravi. Dopo questo approfondimento avete ancora dubbi relativi al predicato nominale? Fate ancora fatica a distinguerlo dal predicato verbale? Leggete la scheda relativa al predicato verbale e avrete le idee più chiare! Rossella Monaco |
Post n°3070 pubblicato il 10 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Nell'analisi logica i complementi hanno la funzione di arricchire e integrare le informazioni di una frase minima (soggetto + verbo). Es. Mirko scrive (frase minima) la lezione (complemento) sul foglio (complemento) I complementi dipendono sempre da qualche altra parte del discorso. Nel caso dell'esempio riportato i due complementi "la lezione" e "sul foglio" dipendono entrambi dal verbo "scrive". Abbiamo però anche dei casi in cui un complemento può dipendere da un altro complemento. Es. Mirko scrive sul foglio di Maria In questa frase il complemento "sul foglio" dipende dal verbo "scrive" mentre il complemento "di Maria" dipende dall'altro complemento "sul foglio". Fatta questa premessa bisogna dire che esistono due tipi di complemento: il complemento diretto e il complemento indiretto. Il complemento diretto dipende sempre da un verbo. Sono complementi diretti il complemento oggetto, il complemento predicativo del soggetto e il complemento predicativo dell'oggetto. Questi complementi non sono preceduti quasi mai da preposizione. Diciamo "quasi mai" perché in alcuni casi è possibile trovare delle preposizioni o delle locuzioni preposizionali (in quanto, in qualità di...) davanti ai complementi predicativi, ma esse non pregiudicano il rapporto diretto tra verbo e complemento. Alcune grammatiche non inseriscono i complementi predicativi all'interno della categoria dei complementi diretti appunto per questa loro particolarità e li presentano come categoria a parte, distinguendoli dal complemento oggetto che invece dipende sempre da un verbo transitivo attivo e non è mai preceduto da preposizione. Approfondiremo questa parte nella pagina dedicata. I complementi indiretti possono dipendere sia da un verbo sia da un altro complemento. Sono quasi sempre seguiti da una preposizione o da una locuzione preposizionale o da un avverbio usato come preposizione. Se ne possono distinguere diversi tipi, in base alla funzione che svolgono. Vedremo questi complementi in dettaglio nella pagina dedicata. Abbiate per ora ben chiara la differenza tra diretti e indiretti e l'analisi logica sarà molto più semplice. Rossella Monaco |
Post n°3069 pubblicato il 10 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Il complemento oggetto (o complemento diretto) è una parte del discorso che rappresenta l'oggetto dell'azione espressa dal predicato. Come abbiamo visto, non è mai preceduto da preposizioni e risponde logicamente alle domande "Chi?" o "Che cosa?" Es. Luisa balla (che cosa?) il tango. Marco guarda (chi?) Luisa. Il complemento oggetto può essere un sostantivo ma anche un pronome, un aggettivo se sostantivato, un verbo con valore nominale, una proposizione intera (vedremo nella pagina dedicata le proposizioni oggettive) e in generale una qualsiasi parte del discorso (pronomi, avverbi, congiunzioni, ecc...). Es. Ti ho visto. Non capisce il bello della situazione. Giulia adora cantare. Non vorrei che tu pensassi male di me. Non voglio niente. Mai dire mai. Voglio sapere il perché. Il fatto che non ci siano preposizioni non presuppone automatica- mente la presenza del complemento oggetto. Anche i soggetti e alcuni complementi indiretti possono essere privi di preposizioni. Bisogna studiare sempre attentamente la funzione logica all'interno della frase. Generalmente l'ordine della frase può aiutare. In italiano infatti si usa l'ordine: soggetto + verbo + complemento oggetto + complementi indiretti. Anche in questo modo però non sarete assolutamente certi perché in alcuni casil'ordine delle frasi può variare. Quando si tratta di dare enfasi al complemento oggetto, per esempio, esso può apparire in prima posizione. Es. Un cane e un gatto ha comprato. In questo caso il soggetto della frase è sottinteso (egli) e "Un cane e un gatto" hanno funzione di complemento oggetto. Solitamente il complemento oggetto è introdotto da verbi transitivi attivi che esprimono azioni che "passano", "transitano" sull'oggetto. Ma esistono casi in cui anche un verbo intransitivo può introdurre un complemento oggetto. È una circostanza particolare e si tratta del complemento oggetto interno. Interno perché il suo significato è già intrinseco al verbo. Es. Vivere una vita; piangere lacrime; ecc. Infine, il complemento oggetto quando preceduto dall'articolo partitivo si chiama complemento oggetto partitivo. Es. Ho comprato dei pennarelli. Rossella Monaco |
Post n°3068 pubblicato il 10 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Come abbiamo visto, i complementi indiretti dipendono sempre da qualche altra parte del discorso, sia essa il soggetto, il predicato, il complemento oggetto, un altro complemento indiretto o attributi e apposizioni. Da soli non hanno alcun senso compiuto. I complementi indiretti sono comunemente preceduti da preposizioni, semplici o articolate. Es. Ho mangiato la merenda di Carlo. Ti amerò per sempre. Oltre alle domande "Chi?" e "Che cosa?", infatti, il predicato può porre anche altri interrogativi e dotarsi di espansioni di tipo differente rispetto al semplice complemento oggetto. In base alla funzione logica che svolgono, i complementi indiretti sono stati classificati dalle grammatiche in una lunga lista. Anche se molti studiosi della lingua hanno criticato la classifica- zione che segue, è ancora molto utile per comprendere fino in fondo il significato delle frasi e i rapporti tra le parti. Per questo motivo viene studiata anche a scuola. In base al ruolo semantico (di significato) possiamo distinguere: SPECIFICAZIONE (di chi? di che cosa?) Ho guidato l'auto di Mario; Odio la pizza del supermercato ARGOMENTO (riguardo a cosa? di cosa?) Sto parlando della seconda guerra mondiale; Mi ha detto della tua storia TERMINE (a chi? a che cosa?) Ti ho dato la mano; Ho comprato la bicicletta a Mario TEMPO (quando?) Ha pianto per tutto il giorno (continuato); Ci vediamo martedì (determinato) LUOGO Vivo in città (dove? - stato in luogo); Vado a Roma (dove? - moto a luogo); Vengo da Roma (da dove? - moto da luogo); Cammino per la città (attraverso dove? - moto per luogo); Sono in paradiso (dove? - metafora - stato in luogo figurato) MEZZO (con che mezzo?) Sono andato a scuola in bicicletta MODO (come? In che modo?) Sto mangiando lentamente; Si parla con intelligenza MATERIA (di che materiale?) La matita è di legno CAUSA (per quale causa? a causa di cosa?) Non esco per il maltempo COMPAGNIA (con chi? - persone) Esco con Maria CAUSA EFFICIENTE/AGENTE (da chi? da che cosa?) Il vaso è stato rotto da Mario (agente); La porta è stata spalancata dal vento (causa efficiente) COLPA (per quale colpa? per quale reato?) È stato condannato per atti osceni in luogo pubblico CONCESSIONE (nonostante cosa?) Nonostante il maltempo è uscito FINE/SCOPO (per cosa? per quale scopo?) Studio per imparare DENOMINAZIONE (di cosa? - denominazione) Il lago di Garda PARTITIVO (tra chi?) Alcuni tra voi non credevano in me MISURA (quantità di misura) Giovanni pesa 100 chili PREZZO/STIMA (quanto? - prezzo) Questa casa costa un patrimonio; Hanno stimato l'orologio cento milioni di euro; Pensano che questo ragazzo valga una fortuna UNIONE (con che cosa? - oggetto) Vado a scuola con lo zaino VANTAGGIO/SVANTAGGIO Questa legge è a vantaggio dei lavoratori; Lottano contro l'anoressia PARAGONE (di che cosa? rispetto a chi/che cosa?) L'aereo mi fa più paura dell'automobile LIMITAZIONE (limitatamente a cosa? riguardo a cosa?) Limitatamente ai contenuti il tema era da dieci ETÀ (di che età? di quanti anni?) Giovanni è un ragazzo di 12 anni ALLONTANAMENTO/SEPARAZIONE La vita allontana le persone dal loro obiettivo ORIGINE/PROVENIENZA Luisa viene dall'Italia QUALITÀ È una donna di grande intelligenza ABBONDANZA/PRIVAZIONE (pieno di/privo di) Quest'armadio è pieno di vestiti; I ragazzi giovani sono privi di soldi PENA (con quale pena?) È stato condannato a vent'anni; Hanno multato Sabrina di dieci euro VOCAZIONE (appellativo diretto) Giulia, vieni qui! ECCETTUATIVO (tranne chi? tranne che cosa?) Mangio tutto tranne la carne; Escono tutti eccetto te SOSTITUZIONE/SCAMBIO Cambio la mia penna con la tua cartella AGGIUNZIONE (oltre a chi/che cosa?) Oltre a me ci saranno 20 persone Rossella Monaco |
Post n°3067 pubblicato il 10 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet La sintassi come abbiamo già visto concerne la relazione e lo scopo delle diverse parti del discorso. La proposizione è un'unità di significato autonoma avente significato compiuto ed è analizzabile logicamente di per se stessa. Il periodo (o frase complessa) è invece un insieme di proposizioni tra loro legate in modi differenti. Il legame tra due proposizioni all'interno di un periodo è studiato dalla cosiddetta analisi logica del periodo. Solitamente per distinguere le diverse proposizioni all'interno del periodo è possibile cercare le voci verbali, siano esse espresse direttamente o sottointese nella frase. Al numero dei verbi coinciderà il numero delle proposizioni. Due proposizioni possono essere collegate da un rapporto di coordinazione e non dipendere l'una dall'altra per quanto riguarda il livello sintattico o da un rapporto di subordinazione che prevede invece una reggente (proposizione principale) e una subordinata (o proposizione dipendente) che non può essere autonoma. Nella frase Ho preso la palla e l'ho gettata nella spazzatura le due proposizioni sono coordinate tra di loro dalla congiunzione "e". Al contrario nella frase Non uscirò di casa stasera perché ho la febbre possiamo notare un rapporto di subordinazione reso possibile dalla congiunzione "perché". La proposizione principale e quella coordinata presentano voci verbali finite mentre le subordinate possono essere di tipo implicito, e avere quindi modi indefiniti, oppure di tipo esplicito con verbi di modo finito. Es. Non ho intenzione di piangere per soffrire in questo modo Es. Non ho intenzione di piangere perché non voglio più soffrire in questo modo Le subordinate implicite aiutano a snellire il discorso e lo rendono più diretto e semplice, a volte però per disambiguare le situazioni è opportuno utilizzare subordinate esplicite. Molto dipende anche dalle scelte stilistiche di chi scrive e dai destinatari a cui il testo è rivolto. Le proposizioni subordinate all'interno di un periodo possono anche essere più di una, in questo caso le distingueremo dal grado di subordinazione. Es. Sono andata da mia sorella perché mi mancava dopo aver passato tutto quel tempo in Canada. Analizziamo questa frase. Sono andata da mia sorella è la proposizione principale, la reggente; perché mi mancava è invece la subordinata di primo grado, è collegata direttamente da un rapporto di subordinazione alla reggente; dopo aver passato tutto quel tempo in Canada, invece, è la subordinata di secondo grado perché è a sua volta collegata alla subordinata di primo grado. Nella struttura di un periodo potremmo andare avanti ad oltranza con i gradi di subordinazione. Ovviamente la frase crescerà di complessità e dovremo essere in grado di gestirla con attenzione. L'oratore latino Cicerone è noto per il suo equilibrio nel periodare. Il suo stile, pur utilizzando la subordinazione, è limpido e chiaro, ed è stato definito "geometrico" perché le diverse parti sono orchestrate con grande maestria. Non tutti però siamo "ciceroni" per cui il consiglio è di valutare le proprie possibilità ed esprimersi in modo chiaro per l'interlocutore. Oltre alle proposizioni principali e a quelle subordinate esiste anche un altro tipo di proposizione: la proposizione incidentale. Essa è solitamente racchiusa tra due virgole, all'interno di parentesi o tra due trattini. Non dipende dalla principale e a sua volta non può essere considerata una proposizione reggente. Possiamo dire che è una frase a sé, da analizzare quindi come tale. Quando siamo di fronte a un periodo determinato da rapporti di coordinazione lo definiamo composto, quando invece regna la subordinazione parliamo di periodo complesso. Se invece il periodo coincide con una sola proposizione allora allora si tratta di un periodo semplice. Rossella Monaco |
Post n°3066 pubblicato il 10 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Un periodo si dice composto quando è formato da due o più proposizioni tra loro dipendenti. Le subordinate da sole non hanno senso compiuto e sono in rapporto gerarchico con una frase principale (o reggente) dalla quale dipendono sia dal punto di vista grammaticale che a livello di significato. Es. Quando arriverà Carlo, mi preparerò. Una proposizione subordinata (o secondaria) può a sua volta funzionare da reggente per un'altra proposizione e quest'ultima può reggerne una terza. Esistono quindi diversi gradi di subordinazione, potenzialmente infiniti, nei limiti della competenza di chi scrive. Es. Giovanna aveva una zia che abitava a Parigi, una città che Giovanna conosceva bene. Le subordinate possono essere esplicite se contengono un verbo di modo finito, o implicite se sono costruite con un modo indefinito. Una proposizione esplicita riesce a veicolare maggiori informazioni di tempo e sintattiche, ed è in grado di indicare chiaramente la persona . È possibile quindi capire in che rapporto temporale si trovano principale e subordinata (contemporaneità, anteriorità e posteriorità) e capire di che tipo di subordinata si tratta. Es. Arrivato Luigi, Giovanna scappò di casa; (implicita) Quando Luigi arrivò, Giovanna scappò di casa; Poiché era arrivato Luigi, Giovanna scappò di casa. Il costrutto implicito, invece, utilizzando le parole di Serianni, "ha meno latitudine temporale". L'infinito, ad esempio, può esprimere solo contemporaneità e anteriorità, non posteriorità. Idem il gerundio. Le proposizioni implicite non sono introdotte da congiunzioni come invece avviene per le subordinate esplicite. Es. Ho chiesto a Luisa di arrivare presto; Ho chiesto a Luisa che arrivasse presto. I criteri di classificazione delle subordinate sono vari. La maggior parte delle grammatiche riconduce però il periodo complesso alla struttura della frase semplice, ritrovando nei complementi e nel soggetto dei modelli per la categorizzazione delle subordinate. Rossella Monaco |
Post n°3065 pubblicato il 10 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Un periodo composto è formato da due o più proposizioni legate mediante congiunzione coordinativa o per asindeto. Ogni proposizione è di per sé indipendente a livello grammaticale e ha senso compiuto. Il significato generale della frase però si deduce dall'insieme di tutte le proposizioni. Es. Giovanna mangia, Luca fa i compiti e Marisa canta; Oggi c'è il sole ed esco. È quindi necessaria la presenza di due o più predicati. Giovanna e Luca mangiano non è un periodo composto perché il verbo è uno solo: "mangiano", nonostante i due soggetti siano collegati da una congiunzione coordinativa. Spesso in italiano, soprattutto nel parlato, si producono frasi ambigue per la mancata ripetizione del soggetto. Nel registro colloquiale un simile uso è ammesso perché il "non detto" è deducibile dal contesto ma a livello grammaticale, nella lingua scritta, è da evitare accuratamente. Es. Maria è uscita con Anna e Marco e le ha raccontato le ultime notizie. Il soggetto di "ha raccontato", così come il referente del pronome "le" non sono intuibili con le sole informazioni che ci derivano da questa proposizione; bisognerà inserirla in un contesto ben determinato. Approfondiremo la coordinazione e l'asindeto nelle sezioni dedicate. Rossella Monaco |
Post n°3064 pubblicato il 10 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Proposizione ellittica Come abbiamo già detto, siamo di fronte a una proposizione ellittica quando il soggetto o il predicato non vengono espressi ma sono intuibili dal contesto. Es. Mangio più tardi. Io no, tu sì. Ciò non vuol dire che l'espressione dell'emittente della frase non sia completa e autonoma. Nell'esempio che abbiamo appena presentato, il soggetto è già implicito nel verbo, possiamo quindi facilmente capire la persona (1° singolare) dalla desinenza verbale. Una forma molto comune di ellissi è possibile riscontrarla nei dialoghi e in particolare nelle risposte. Spesso, infatti, alcune informazioni vengono date già per scontate perché già fornite all'inizio della comunicazione o perché deducibili dalla circostanza. Es. Chi se la sente di dar da mangiare ai gatti? Io certamente no! Luisa era bella; Marta, intelligente. Nella frase "Io certamente no" è sottinteso "non me la sento di dar da mangiare ai gatti" perché quest'informazione è già presente e chiara nella domanda e non è utile ripeterla, anzi è ridondante. Nella seconda frase, invece, assistiamo all'ellissi del verbo essere, sostituito da una virgola, per evitare la ripetizione. In certi casi, poi, l'ellissi può riguardare non solo il soggetto o solo il predicato della frase, ma entrambi. Es. Quanto vuoi restare lì dentro? Ancora cinque minuti; Nella proposizione semplice "Ancora cinque minuti" sono presupposti sia il soggetto sia il verbo perché superflui per la comprensione. La frase si regge su un semplice complemento di tempo continuato. Alcune subordinate sono in apparenza prive di reggente. Questo avviene per ellissi completa della principale come nel caso di dialoghi o per l'ellissi del verbo essere nella reggente con particolari costrutti avverbiali, aggettivali e nominali come fortuna che, menomale che, peccato che, possibile che. Es. Menomale che domani non devo lavorare; Perché non esci stasera? Perché ho da fare (sottinteso: "Non esco perché..."). Su queste presupposizioni e informazioni implicite si basano la maggior parte dei discorsi quotidiani di ognuno di noi. Rossella Monaco |
Post n°3063 pubblicato il 10 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet In italiano distinguiamo circa una ventina di tipi di subordinate. Forniamo di seguito qualche informazione relativa alle categorie più importanti, da approfondire su una buona grammatica. COMPLETIVE OGGETTIVE E SOGGETTIVE Esistono subordinate che possono avere funzione di soggetto e di oggetto e fanno parte del "nucleo" della reggente, la completano. Es. Marco pensa che Giovanna abbia già mangiato; È meglio che tu smetta di pensare. La subordinata "che Giovanna abbia già mangiato" completa il nucleo del verbo "pensare" con funzione di oggetto. La subordinata "che tu smetta di pensare" assume invece funzione di soggetto del periodo. Le completive ammettono due costrutti: implicito (con l'infinito) o esplicito (con indicativo, congiuntivo e condizionale). Le proposizioni oggettive e soggettive possono essere rette da un sostantivo, da un aggettivo o da un verbo. Es. Ci addormentammo ansiosi che la notte lasciasse il posto al giorno; Credo che tu abbia da fare; Fortuna che sei arrivato in orario! DICHIARATIVE Le proposizioni dichiarative precisano o illustrano un elemento della reggente, un sostantivo, un pronome o un aggettivo dimostrativo, un pronome o un aggettivo indefinito, un avverbio. Sono da paragonare all'apposizione nella frase semplice, per la loro funzione. Es. Disse la sua opinione: che tutti potessero avere una casa! Questo non vorrei: che tu ti perdessi in inutili digressioni; Così funzionava tra la gente del paese, che ognuno aveva le sue funzioni e nessuno poteva fare altro. È ammesso sia il costrutto esplicito (con che+ indicativo o congiuntivo) sia il costrutto implicito (infinito, preceduto oppure no dalla preposizione semplice di). Spesso la reggente e la dichiarativa sono separate anche graficamente, dai due punti. A volte la dichiarativa può essere introdotta da cioè, per meglio puntualizzare che si tratta di una precisazione di quanto in precedenza detto. INTERROGATIVE INDIRETTE Le interrogative indirette contengono un dubbio o esplicitano una domanda contenuta nella reggente. Es. Mi chiede che cosa penso di Maria; A volte le interrogative indirette sono considerate una sottospecie delle completive, come se fossero delle oggettive. In realtà la differenza esiste e consiste in differenti congiunzioni di subordinazione (se, quando, come, perché, che cosa... ) e nel fatto che le interrogative riferiscono un dubbio o una domanda mentre le oggettive contengono un'enunciazione. Esistono interrogative indirette esplicite (con indicativo, congiuntivo e condizionale) e interrogative indirette implicite (con l'infinito presente). Es. Mi chiedo dove uscire. Questo costrutto ha un accentuato significato dubitativo e necessita che il soggetto della reggente e quello della subordinata coincidano. CAUSALI Le proposizioni causali, come possiamo facilmente intuire, esprimono la causa di una determinata azione espressa nella reggente. Es. Non mangio perché non ho tanta fame. Possiamo distinguere tra causali esplicite (costruite con l'indicativo, e in alcuni casi con il congiuntivo e il condizionale) e causali implicite (con gerundio, participio passato, infinito). Il congiuntivo, in particolare, compare quando si tratta di una causa fittizia e il condizionale in causali con intento attenuativo e valore desiderativo, potenziale. Es. Non mangio non perché non abbia fame ma perché non mi piace la minestra; La chiamo perché vorrei parlarle della mia attività. Le proposizioni causali esplicite sono introdotte da: ché, perché, poiché , dal momento che, siccome, giacché, per il fatto che, in quanto, dato che, considerato che, visto che, essendo che. Le proposizioni causali implicite sono introdotte da: per/a/con/per il fatto di + infinito o sono costruite semplicemente con il participio passato o il gerundio. FINALI Indicano lo scopo, il fine. Es. Sono uscito per cercare Mario. Possono essere implicite (con l'infinito) o esplicite (con il congiuntivo presente o imperfetto). Nella costruzione esplicita sono introdotte da ché, affinché, perché. Il costrutto implicito è, ad ogni modo, il più utilizzato, soprattutto nella lingua parlata. Esso è introdotto dalle preposizioni per, di, a, da, e, meno frequentemente da onde. CONSECUTIVE Indicano la conseguenza dell'azione della reggente. Esistono due tipi di costrutti consecutivi. Quelli che presentano un antecedente nella reggente e i costrutti deboli che invece sono semplicemente introdotti da una congiunzione o una locuzione congiuntiva (tanto che, che, sicché, ecc.). Es. Era così bella da togliere il fiato; Non ho lavorato ieri, tanto che oggi mi trovo in difficoltà. Le consecutive esplicite possono essere costruite con l'indicativo, il congiuntivo o il condizionale; le consecutive implicite, con l'infinito (presente o passato) introdotto dalle preposizioni semplici di, per, da. IPOTETICHE Indicano la condizione per cui accade o potrebbe accadere l'azione espressa nella principale. La reggente (apodosi) e la subordinata ipotetica (protasi) formano insieme il periodo ipotetico. La protasi è introdotta da congiunzioni come se, qualora, nel caso che, ecc. A volte essa rimane sottintesa. Es. Vorrei uscire, se a te andasse; Sarebbe un racconto che non vorrei leggere. (sottinteso "se fosse..."). Il periodo ipotetico viene di norma distinto in: reale, quando è presente l'indicativo sia nella protasi che nell'apodosi; possibile, quando nella protasi troviamo il congiuntivo e nell'apodosi il condizionale; irreale, con congiuntivo nella protasi e condizionale nell'apodosi, quando però l'ipotesi è sicuramente irrealizzabile; misto, quando avviene una contaminazione di tempi. Luca Serianni ritiene, tuttavia, questa suddivisione insoddisfacente, soprattutto per la scarsa possibilità di determinare con sicurezza se un periodo è possibile o irreale. Quando nel periodo ipotetico reale utilizziamo il trapassato prossimo e l'imperfetto ci riferiamo quasi sempre a un'ipotesi che non si è realizzata. È un costrutto molto utilizzato in contesti colloquiali. Es. Se parlavo, mi uccidevano. Quando nella protasi introdotta da se troviamo il congiuntivo e nell'apodosi il condizionale, per esprimere contemporaneità utilizziamo: congiuntivo imperfetto-condizionale presente; congiuntivo trapassato-condizionale passato. Per esprimere anteriorità usiamo: congiuntivo trapassato- condizionale presente. Quando nella protasi introdotta da altre congiunzioni come qualora, purché, a patto che troviamo il congiuntivo e nell'apodosi il condizionale, per esprimere contemporaneità utilizziamo: congiuntivo presente/imperfetto -condizionale presente; congiuntivo trapassato-condizionale passato. Per esprimere anteriorità usiamo: congiuntivo passato/trapassato- condizionale presente. CONCESSIVE Le concessive introducono un elemento di rottura tra una causa e l'effetto supposto. Sono introdotte da benché, anche se, pure, anche, nemmeno a, sebbene, malgrado, nonostante, seppure, per quanto e da altre congiunzioni, avverbi, pronomi indefiniti o locuzioni congiuntive e avverbiali. Es. Benché sia anziano, non ha dolori di nessun tipo. Le concessive possono essere esplicite e costruirsi con l'indicativo, il congiuntivo e il condizionale o implicite e costruirsi con l'infinito, il gerundio e il participio passato. TEMPORALI Indicano la relazione di tempo sussistente tra subordinata e reggente in un rapporto di anteriorità, contemporaneità, posteriorità. Nella costruzione esplicita si possono utilizzare tutti i tempi dell'indicativo. Il congiuntivo serve invece a indicare un'eventualità, un'incertezza. Il condizionale si usa per gli stessi motivi per cui lo utilizzeremmo in una principale. Le proposizioni temporali sono introdotte da quando, come, dal momento in cui, finché, allorché, mentre, da quando, prima che, dopo che, non appena, una volta (che), ogniqualvolta; da preposizioni semplici come al, nel, col, sul + infinito; prima di/dopo di + infinito; o possono costruirsi con il semplice gerundio o il participio passato (talvolta introdotto da dopo o da una volta). Es. Dopo mangiato, sono andato a casa; Finché canterai ti starò ad ascoltare; Prima che cantassi, Luisa era già a teatro. AVVERSATIVE Indicano una circostanza "avversa" alla reggente. Sono introdotte da quando, da mentre, da laddove e da nonché. Possono essere esplicite (con indicativo e condizionale, nonché + congiuntivo) o implicite (con l'infinito talvolta introdotto da invece di, anziché, in luogo di, piuttosto che). Es. Stai guardando i miei errori, quando invece dovresti guardare i tuoi. MODALI Esprimono il modo in cui si svolge l'azione contenuta nella reggente. Sono implicite e si costruiscono con il gerundio (presente o passato) oppure con l'infinito introdotto da con. Es. Parlava scandendo le parole lentamente. Alcune grammatiche includono nelle modali i costrutti espliciti introdotti da come, nel modo in cui e secondo che. Es. Si comportava come se nulla fosse. RELATIVE Le proposizioni relative svolgono nel periodo suppergiù la stessa funzione delle apposizioni o dell'attributo nelle frasi indipendenti e dànno informazioni su un determinato elemento della reggente, detto antecedente. Nella frase relativa, l'antecedente è rappresentato da un pronome o da una congiunzione relativa. Es. Ho comprato una casa che non è né piccola né grande. In questa frase l'antecedente è "casa" ed è sostituito dalla congiunzione relativa che, nella subordinata. Il che in questo caso fa da soggetto della frase relativa, ma, in genere, può avere altre funzioni logiche. Le relative si distinguono in relative limitative e relative esplicative. Le prime sono fondamentali a definire il significato dell'antecedente e senza di esse la frase rimarrebbe sospesa; le seconde si configurano più come un'aggiunta. Es. Prendi le cose di cui hai bisogno; (limitativa) I ragazzi che hanno visto il film sanno spiegare la trama; (solo i ragazzi che l'hanno visto - limitativa) I ragazzi, che hanno visto il film, sanno spiegare la trama. (Tutti i ragazzi hanno visto il film e sanno spiegare la trama - esplicativa) Notare come l'uso della punteggiatura aiuti a distinguere i due tipi di frase. Le relative possono essere esplicite (con l'indicativo, il congiuntivo e il condizionale) o implicite (con l'infinito). Possono essere introdotte da che, il quale, cui, dove e da pronomi misti come chi. Una relativa implicita può essere costruita anche con la preposizione semplice a accompagnata dall'infinito. Es. Giovanna è stata la prima a cantare sul palco. AGGIUNTIVE Aggiungono "una circostanza accessoria" all'azione espressa nella principale. Sono implicite ed esplicite e vengono introdotte da oltre che oppure da oltre a. Es. Oltre a dormire che cosa fai nella vita? ESCLUSIVE Indicano il mancato verificarsi di un'azione, sono in genere introdotte da senza o da senza che. Es. Senza mangiare non si può vivere; Senza aver preparato la valigia, partì, in piena notte. ECCETTUATIVE Indicano una restrizione rispetto alla reggente. Possono essere esplicite e costruirsi con indicativo, congiuntivo o condizionale, o implicite e costruirsi con l'infinito. Sono introdotte da eccetto che, salvo che, tranne che, fuorché, a meno di, se non. Es. A meno che non parli, sarò costretto a punirti. LIMITATIVE Esprimono una limitazione rispetto alla reggente, un punto di vista o un ambito di validità. Es. Per quanto ne posso sapere, non ci sono ragazze more nella sua classe. Sono introdotte da: per quel che, per quanto, che e locuzioni simili. Esistono costrutti limitativi infinitivali del tipo: aggettivo+a/per/in/da+ infinito; aggettivo+da+infinito composto col si passivante; a/per +infinito. Es. Difficile a dirsi, facile a farsi; Era più semplice da concepirsi. A guardarlo, non sembrava un ragazzo. Rossella Monaco |
Post n°3062 pubblicato il 10 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet La proposizione incidente è al contrario di molte altre proposizioni slegata dal resto del discorso, sintatticamente parlando, anche se concorre a specificare il significato delle proposizioni a cui si accompagna. È detta anche proposizione parentetica perché viene spesso posta, all'interno della frase, tra due parentesi, due trattini o due virgole. Si tratta quindi di un "inciso", di una proposizione indipendente. È facilmente riconoscibile anche perché senza di essa il significato della frase è comunque compiuto. Veicola informazioni accessorie comunque utili alla comprensione. Es. Luca, chi l'avrebbe mai detto, ha passato l'esame di maturità a pieni voti; Giovanna, benché sia figlia di genitori austriaci, è italiana. La proposizione incidente è utilizzata soprattutto nel discorso diretto e nel parlato. Conferisce naturalità, colloquialità ai discorsi scritti e permette una certa confidenza con il lettore. Es. Don Abbondio (il lettore se n'è già avveduto) non era nato con un cuor di leone - A. Manzoni. Rossella Monaco |
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