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Messaggi del 07/05/2021

Dalla preistoria keniota..

Post n°3397 pubblicato il 07 Maggio 2021 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze.

Mtoto, il bambino addormentatodi

Anna Meldolesi

Il piccolo sapiens vissuto 78.000 anni fa

nel sito di Panga ya Saidi in Kenya

rappresenta la più antica sepoltura mai

documentata in Africa.

La scoperta è un tassello prezioso per la

comprensione dell'evoluzione culturale

dei nostri antenati e dei loro riti funerari

ANTROPOLOGIA PALEONTOLOGIA

È stato soprannominato Mtoto, che in

swahili significa bambino, e doveva avere 

tre anni di vita.

Lo hanno sepolto adagiato su un fianco,

in posizione flessa, con il capo appoggiato

su una sorta di cuscino e il corpo protetto

da un sudario.

Non è stato deposto in una cavità naturale,

ma in una fossa appositamente scavata

nello stesso luogo in cui, probabilmente,

aveva vissuto insieme alla sua comunità di

Homo sapiens (o uomini moderni, per usare

la definizione preferita da molti ricercatori).

A Panga ya Saidi, in Kenya.

Situato a 50 chilometri a nord di Mombasa,

non lontano dalla costa orientale dell'Africa,

questo sito archeologico si sta rivelando

fondamentale per decifrare l'epoca che va da

300.000 a 40.000 anni fa (Middle Stone Age).

Il paesaggio è suggestivo, come si può vedere

in un video che documenta il lavoro svolto

dalla componente francese del gruppo,

guidata da Francesco d'Errico. Immerso nella

vegetazione tropicale si trova un complesso

carsico che non sfigurerebbe in un film

di Indiana Jones ed è considerato tuttora

un santuario dalle popolazioni locali, che vi si r

ecano per cerimonie tradizionali e preghiere.

Panga ya Saidi merita un posto speciale nelle

mappe archeologiche per diversi motivi: è

stato abitato ininterrottamente per circa

80.000 anni, fino a 500 anni fa, e ci ha regalato

un ricchissimo tesoro di artefatti che documentano

le innovazioni culturali avvenute nel corso di

decine di migliaia di anni.

Strumenti in pietra o in osso, conchiglie e gusci

lavorati a scopo ornamentale, frammenti di

ocra rossa.

 Il sito della grotta di Panga ya Saidi.

In basso a destra si nota lo scavo della trincea

dove è stata portata alla luce la sepoltura

(© Mohammad Javad Shoaee)Ora, con la

pubblicazione firmata su "Nature" da 36 ricercatori

appartenenti a 28 laboratori europei, americani

e australiani, si aggiudica anche il primato della

più antica sepoltura nel continente.

"Le Scienze" ne ha parlato con d'Errico, direttore

di ricerca del CNRS francese all'Università di

Bordeaux, professore all'Università di Berger,

in Norvegia, e secondo autore dell'articolo.

La datazione con diversi metodi della sequenza

archeologica e del sedimento all'interno del

cranio del bambino indica la bella cifra di

78.000 anni. Più dei 68.000 anni della sepoltura

di Taramsa in Egitto e dei 74.000 anni di Border

Cave in Sudafrica (due casi che presentano

qualche incertezza di interpretazione o datazione).

Ma comunque meno rispetto alla venerabile età

delle sepolture trovate nel Vicino Oriente e in

Europa.

"Il Neanderthal di Tabun C1 è stato datato a

120.000 anni fa, anche se la stima è dibattuta.

Più o meno contemporaneo è Skhul 9, un uomo

moderno con caratteri arcaici", spiega l'archeologo

di origini italiane.

Israele è uno dei luoghi simbolo per lo studio

delle pratiche funerarie, perché ospita sia Skhul

che Qafzeh, dove sono state trovate rispettiva-

mente 15 e 10 sepolture, in alcuni casi con tanto

di offerte come la mandibola di un enorme

cinghiale e palchi di cervo.
 Vista esterna del lato sinistro del cranio e della

mandibola di Mtoto (© Martinón-Torres, et al., 2021)

Perché, in confronto, le sepolture africane in fosse

appositamente scavate e poi ricoperte sono più

rare e recenti? In fondo si tratta della culla

dell'umanità, non sarà che abbiamo trovato meno

perché abbiamo ancora molto da scavare?

"È possibile, ma ci sono anche aree che sono state

indagate approfonditamente.

Se in Africa ci fossero siti come Skhul, Qafzeh,

Kebara, La Ferrassie, probabilmente le sepolture

sarebbero venute alla luce", commenta d'Errico.

Un'altra spiegazione, dunque, è che potrebbero

essere esistite pratiche funerarie diverse, che

non implicavano la sepoltura del defunto.

Una diversità culturale di questo tipo sarebbe

più che plausibile: anche le sepolture

neanderthaliane, per esempio, sono concentrate in

alcune aree e non in altre.

"Ciò fa pensare all'esistenza di una geografia delle

pratiche mortuarie, con zone in cui i corpi erano

trattati diversamente.

Inoltre queste pratiche si sono certamente volute

nel tempo".

Tra i sapiens africani potrebbe essere avvenuto

qualcosa di simile.

"Nel sito sudafricano di Klasies River i corpi

sono consumati.

Tutte le sepolture primarie che conosciamo si

trovano in Egitto, Kenya e sulla costa orientale

del Sudafrica. Vale la pena notare che in Kenya e

Sudafrica si tratta di bambini", ricorda d'Errico.

Insomma, bisogna abituarsi a pensare a popolazioni

africane della Middle Stone Age a vari gradi

di evoluzione morfologica e culturale, che praticavano

rituali diversi.

Far coincidere le sepolture formali con l'inizio del

pensiero religioso vorrebbe dire peccare di

eurocentrismo.

"Consumare il cadavere, gettarlo in un lago, bruciarlo,

lasciarlo in una grotta, esporlo all'azione di carnivori

e altri agenti naturali sono pratiche funerarie

altrettanto, se non più complesse e, secondo le

tradizioni culturali in cui si sono sviluppate,

altrettanto simboliche", sostiene lo studioso.

Anche il luogo in cui si seppellisce un cadavere

è significativo: "Farsi inumare nella propria terra

lega un lignaggio a un territorio. Essere sepolti in

terra non consacrata indica l'esclusione da una

comunità.

Usare una fossa comune, dopo un massacro,

ha un significato ancora diverso".

La nascita delle culture umanedi Francesco

d'Errico e Lounès ChikhiL'alba del pensiero

religioso, probabilmente, coincide con le prime

manifestazioni del pensiero simbolico.

"A partire da 40.000 anni fa in Europa, e prima

ancora in Indonesia, ci sono prove evidenti di

comportamenti religiosi, ma non si è trattato

di salti improvvisi.

Questi processi hanno radici più profonde.

Le prime tracce archeologiche sono quasi certamente

legate all'uso dei pigmenti, a partire da almeno

300.000 anni fa in Europa e in Africa, e a pratiche

funerarie che si diversificano, diventando più

complesse, a partire dalla stessa epoca."

 Vista esterna del blocco principale di Panga

ya Saidi con lo scheletro parziale articolato

(© Martinón-Torres, et al., 2021)Tornando a Mtoto,

il bambino di Panga ya Saidi, vale la pena notare

che, pur appartenendo alla nostra specie, conserva

nella morfologia dei denti alcuni caratteri arcaici.

Questo rafforza l'ipotesi, già piuttosto convincente,

che i sapiens abbiano un'origine africana remota,

con ramificazioni regionali.

Insieme alle sue ossa non sono state trovate

offerte rituali.

Lo studio dei granuli rossi presenti nella fossa ha

mostrato che sono naturalmente presenti nel

sedimento.

 
 
 

Dalla preistoria keniota

Post n°3396 pubblicato il 07 Maggio 2021 da blogtecaolivelli

(parte 2)

I frammenti di conchiglie, inoltre, sono resti di

grandi gasteropodi terrestri, mangiati dagli

abitanti del sito, e non avevano una funzione

ornamentale.

Ma l'analisi geochimica e sedimentologica degli

strati archeologici mostra che il corpo è stato

deposto in una fossa intenzionalmente scavata

e poi ricoperta.

In base a quali elementi si ipotizza che la

sepoltura sia stata accompagnata da un rituale

complesso?"

La protezione del corpo con un materiale

deperibile, pelle o tessuto vegetale, è l'unica ipotesi

che permetta di spiegare l'eccezionale stato di

conservazione delle connessioni anatomiche e in

particolare della cassa toracica, che avrebbe

dovuto essere schiacciata dal peso del sedimento

se il corpo non fosse stato protetto",

spiega d'Errico.

L'unica connessione che non ha tenuto è quella

che lega la base della testa alle vertebre cervicali.

"Il distacco e il ribaltamento del cranio ci ha

fatto pensare che questo in origine doveva

riposare su una specie di cuscino deperibile,

la cui scomparsa ha lasciato spazio per il movimento

del cranio.

Sfortunatamente la campagna di scavo del 2020

è stata interrotta dopo una settimana a causa

della pandemia e non si sa quando potrà riprendere.

Al momento il complesso carsico è ben vigilato,

è al sicuro? "Il sito è rispettato dalle comunità locali,

che vi si recano per la deposizione di offerte

e altri riti. In Africa questa è la miglior protezione.

Nessuno può arrivare senza essere notato e non

ci si può introdurre senza il permesso e la

collaborazione dei locali", ci rassicura l'archeologo,

sottolineando ancora una volta l'importanza del sito.

"Si tratta di un luogo chiave per comprendere

l'origine della nostra specie.

Il fatto che certe innovazioni culturali si trovino solo

qui, mentre altre sono condivise con siti dell'Africa

meridionale come Border Cave o Sibudu,

evoca l'esistenza di traiettorie regionali distinte e la

creazione di scambi culturali su lunga distanza.

Da questa evoluzione biologica e culturale a mosaico

emergerà la nostra specie e i tratti cognitivi che

la contraddistinguono."  

 
 
 

Segnali da Radio Quasar.

Post n°3395 pubblicato il 07 Maggio 2021 da blogtecaolivelli

Fonte: risorse libere della rete.

09 marzo 2021Comunicato stampa

Segnali da Radio Quasar, la più lontana del cosmo

Fonte: Inaf

Rappresentazione artistica di P172+18 con i suoi getti radio.

Crediti: Eso/M. Kornmesser Si chiama P172 + 18 ed è l'emittente

radio più distante mai scoperta.

Un quasar le cui "trasmissioni" hanno impiegato 13 miliardi di anni

per giungere fino alle antenne e ai telescopi qui sulla Terra.

A individuarlo e caratterizzarlo, un team guidato da Eduardo Bañados

del Max Planck e Chiara Mazzucchelli dell'Eso - team del quale fa

parte anche Roberto Decarli dell'Inaf di BolognaI quasar sono nuclei

di galassie che ospitano al centro buchi neri supermassicci talmente

attivi da risultare luminosissimi anche a distanze abissali.

Non a caso, man mano che la tecnologia avanza e l'esperienza aumenta,

gli astronomi ne individuano di sempre più lontani.

Un record dopo l'altro, il più recente risale a meno di due mesi fa.

Ed è di oggi la notizia di un nuovo primato di distanza: la scoperta

del quasar radio-loud - ovvero, forte emettitore di onde radio -

più lontano conosciuto.

Nel linguaggio degli astronomi, ha un redshift pari a 6.82: ovvero

le sue onde radio ricevute qui sulla Terra oggi, emesse quando

l'universo aveva appena 780 milioni di anni, hanno impiegato circa

13 miliardi di anni per raggiungerci.

Detto altrimenti, è la "stazione radio" più remota che sia mai stata

captata.

A firmarne la scoperta, pubblicata su "The Astrophysical Journal",

è un team di astronomi guidato da Eduardo Bañados del Max-Planck-

Institut für Astronomie, in Germania, e da Chiara Mazzucchelli,

astronoma italiana oggi borsista dell'Eso in Cile.

Team del quale fa parte anche Roberto Decarli dell'Inaf di Bologna.

Il più lontano quasar fra quelli che emettono onde radio, dicevamo.

Già, perché nonostante il nome - quasar sta per quasi-stellar

radio source, vale a dire radiosorgente quasi stellare - i quasar

radio-loud sono la minoranza: appena il dieci per cento di quelli

noti, mentre tutti i restanti sono radio-quiet.

Per riuscire a coprire l'enorme distanza che ci separa, l'emittente

di P172 + 18 (questo il nome del quasar) deve avere una potenza

inimmaginabile.

E in effetti così è: si tratta di un buco nero circa 300 milioni di volte

più massiccio del Sole che sta consumando gas a una velocità

sbalorditiva. «Il buco nero sta divorando la materia molto rapidamente,

crescendo in massa a uno dei tassi più alti mai osservati»,

spiega Mazzucchelli.

Ma potrebbe essere vero anche il processo contrario: se il buco

nero riesce a "mangiare materia" così voracemente, sospettano

gli astronomi, è proprio grazie al potente getto di onde radio,

che interagendo con l'ambiente circostante favorisce la caduta

del gas verso il buco nero.

A questo proposito val la pena ricordare che anche l'ambiente

attorno al quasar è oggetto di studio.

Non solo: i ricercatori del team hanno individuato una seconda

sorgente radio nelle vicinanze di P172 + 18.

Ancora però non ne hanno calcolato il redshift - e dunque la distanza.

«Non sappiamo ancora in che tipo di ambiente questo quasar si

sia formato», dice Decarli riferendosi a P172 + 18.

«Si tratta di un oggetto piuttosto isolato, oppure risiede in una

eccezionale sovradensità come altri quasar studiati in queste

epoche cosmiche?».

Certo è che per individuare e caratterizzare P172 + 18 sono scesi

in campo i più grandi telescopi e radiotelescopi al mondo.

La prima identificazione come candidato quasar risale al 2015,

grazie alla survey Pan-Starrs, utilizzando un telescopio ottico

alle Hawaii. I dati del Very Large Array hanno poi mostrato la

presenza, nella stessa posizione, di un oggetto che emetteva

onde radio.

La conferma che si trattasse proprio di un lontano quasar è

arrivata grazie alle osservazioni condotte con il telescopio

Magellano dell'Osservatorio Las Campanas, in Cile, da Bañados

e Mazzucchelli.

«Non appena abbiamo ottenuto i dati», ricorda Bañados,

«ci è bastata un'occhiata per capire subito di aver scoperto il

quasar radio-loud più distante conosciuto finora».

È poi seguita una serie d'osservazioni con altri strumenti, incluso

lo spettrografo X-shooter sul Vlt dell'Eso, che ha permesso

agli scienziati del team di determinare proprietà fondamentali

del quasar, quali la massa del buco nero e la velocità con cui

sta mangiando materia da ciò che lo circonda.

L'importanza della scoperta di un quasar radio-loud così

distante non sta ovviamente nel record in sé - anche perché

tutto fa pensare che non sia destinato a resistere a lungo -

quanto nelle informazioni che offre sia riguardo all'universo

primordiale sia agli oggetti e agli ambienti a noi più vicini,

quelli percorsi dall'emissione radio.

Emissioni che, analizzate con gli spettroscopi, rivelano attraverso

le righe di assorbimento la composizione chimica del gas attraversato.

«Quasar come questo», conclude infatti Bañados, «servono anche

come fari per studiare la materia che si trova fra loro e la Terra».

(La redazione di Le Scienze non è responsabile del testo di questo

comunicato stampa, che è stato pubblicato integralmente e

senza variazioni)

 
 
 

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