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VIII

Post n°156 pubblicato il 06 Luglio 2009 da camilloiuy

continuando a percorrere le campagne.
Invece adesso, mentre il sole si nascondeva, si trovava in un altro paese, straniero in una terra straniera, di cui non riusciva neppure a capire la lingua. Non era più un pastore, e non avevanient'altro nella vita, neppure i soldi per tornare indietro e ricominciare tutto da capo.
E tutto fra l'alba e il tramonto di uno stesso sole, pensò il ragazzo. Ed ebbe pena di se stesso, perché talvolta nella vita le cose cambiano nel tempo di un sospiro, ancor prima che riusciamo ad abituarcene.
Si vergognava di piangere. Davanti alle pecore non lo aveva mai fatto. Ma il mercato era vuoto, e lui era lontano da casa.
E il ragazzo pianse. Pianse perché Dio era ingiusto e ripagava in questa maniera quelli che credevano nei propri sogni. Quando stavo con le pecore ero felice, e diffondevo sempre felicità intorno a me. Quando la gente mi vedeva arrivare, mi accoglieva sempre bene.
Ma adesso sono triste e infelice. Che cosa farò? Sarò più amaro e non mifiderò più di nessuno, perché qualcuno mi ha tradito. Odierò tutti coloro che hanno trovato un tesoro nascosto, perché io non ho trovato il mio. E cercherò sempre di custodire quel poco che possiedo, perché sono troppo piccolo per abbracciare il mondo.
Aprì la bisaccia per vedere che cosa vi fosse dentro: forse era rimasto un pezzetto del panino che aveva mangiato sulla nave. Ma trovò soltanto il grosso libro, la giacca e le due pietre che gli aveva dato il vecchio.
Vedendo le pietre, provò un enorme senso di sollievo. Aveva scambiato sei pecore per due pietre preziose, tolte da un pettorale d'oro. Poteva vendere le pietre e comperarsi il biglietto di ritorno.
Adesso sarò più furbo, pensò il ragazzo togliendo le pietre dalla bisaccia per nasconderle in tasca.
Quello era un porto, ed era questa l'unica cosa vera che quell'uomo gli aveva detto: un porto èsempre pieno di ladri.
Adesso comprendeva bene anche la disperazione del padrone di quel bar: stava tentando di avvertirlo di non fidarsi di quel ragazzo. Io sono come tutti gli altri: vedo il mondo come vorrei cheandasse, e non come va veramente.
Rimase lì a guardare le pietre. Una dopo l'altra le tastò con cura, sentendone il calore e la superficie liscia. Erano quelle pietre il suo tesoro. Il semplice toccarle lo fece sentire più tranquillo. Gli ricordavano il vecchio.
Quando vuoi una cosa, tutto l'universo trama affinché tu riesca a ottenerla, gli aveva detto lui.
Adesso voleva capire come potesse essere vero. Si trovava lì, in quel mercato vuoto, senza una moneta in tasca, e senza pecore da governare quella sera. Ma le pietre erano la prova che aveva incontrato un re, un re che conosceva la sua storia, che sapeva dell'arma di suo padre e della sua prima esperienza sessuale.
Le pietre servono per predire il futuro. Si chiamano Urim e Tumim. Il ragazzo le rimise nel sacco edecise di provare. Il vecchio gli aveva raccomandato di fare domande chiare, perché le pietre sono utili soltanto a chi sa ciò che vuole.
Il ragazzo domandò allora se la benedizione del vecchio lo accompagnasse ancora. Estrasse una delle piet re: era sì.
Troverò il mio tesoro? domandò poi.
Infilò la mano nella bisaccia e stava per afferrare una delle pietre quando scivolarono tutte e due fuori da un buco nella stoffa. Il ragazzo non si era mai accorto che la bisaccia fosse strappata. Si chinò per raccogliere Urim e Tumim e rimetterle nel sacco. Vedendole per terra, tuttavia, gli venne in mente un'altra frase.
Impara a rispettare i segnali e a seguirli, aveva detto il vecchio.
Un segnale. Il ragazzo rise fra se e se. Poi raccolse le due pietre da terra e le ripose nella bisaccia.
Non pensava di ricucire il buco: le pietre sarebbero potute sfuggire comunque, purché‚ lo avessero desiderato. Lui aveva capito che certe cose non bisognava domandarle: per non sfuggire al proprio destino. Ho promesso di prendere da solo le mie decisioni, si disse.
Ma le pietre avevano detto che il vecchio era ancora con lui, e questo gli diede un po' più di fiducia.
Guardò di nuovo il mercato vuoto, ma non provò la disperazione di prima. Non era più un mondo estraneo: era un mondo nuovo.
E, in fondo, tutto ciò che voleva lui era proprio questo: conoscere mondi nuovi. Anche se non fosse mai arrivato alle Piramidi, si era già spinto molto più in là di qualunque altro pastore a lui noto. Ah, se sapessero che a sole due ore di nave esistono cose tanto diverse!
Il mondo nuovo era li davanti a lui sotto forma di un mercato vuoto, ma lui lo aveva già visto pieno di vita e non lo avrebbe mai più dimenticato. Si rammentò della spada: aveva pagato a caro prezzo il fatto di essersi soffermato a guardarla, ma comunque non aveva mai visto prima niente di simile. Sentì all'improvviso che avrebbe potuto guardare il mondo come la povera vittima di un ladro, oppure come un avventuriero in cerca di un tesoro.
Sono un avventuriero in cerca di un tesoro, pensò deciso, prima di sprofondare esausto nel sonno.
Si svegliò nel momento in cui qualcuno lo scuoteva. Si era addormentato in mezzo al mercato e, ora, la vita della piazza stava per ricominciare di nuovo.
Si guardò intorno, cercando le pecore, e si rese conto di trovarsi in un altro mondo. Invece di sentirsi triste, provò una grande felicità. Non aveva che da procurarsi un po' d'acqua e un po' di cibo, poteva andare in cerca del tesoro. Non aveva denaro in tasca, ma tanta fiducia nella vita.
Aveva scelto, la sera prima, di essere un avventuriero come i personaggi dei libri che soleva leggere.
Cominciò a camminare senza fretta per la piazza. I mercanti avevano rimesso in piedi le lorobaracche: aiutò un venditore di dolciumi a montare la propria. Un sorriso diverso illuminava il viso di quell'uomo: che era allegro, attento alla vita, pronto a cominciare una buona giornata di lavoro.
Era un sorriso che ricordava in parte quello del vecchio, di quel vecchio e misterioso re che aveva conosciuto. Quest'uomo fa i suoi dolci non perché vuole viaggiare, o perché vuole sposare la figliadi un commerciante. Li fa perché gli piace, pensò il ragazzo, accorgendosi di riuscire a fare quelloche faceva il vecchio: riconoscere se una persona è vicina o lontana dalla propria LeggendaPersonale. Soltanto guardandola. E’ facile, eppure non me n'ero mai accorto.
Quando ebbero montato la baracca, l'uomo gli offrì il primo dolce che aveva fatto. Il ragazzo lomangiò con gusto, ringraziò e riprese la sua strada. Quando ormai si era allontanato, gli sovvenne che la baracca era stata montata da due persone, l'una che parlava arabo e l'altra spagnolo.
Eppure si erano capiti alla perfezione.
Esiste un linguaggio che va al di là delle parole, pensò. L'ho già sperimentato con le pecore, e adesso lo sto sperimentando con gli uomini.
Stava imparando tante cose nuove: cose che aveva già provato, ma che tuttavia gli suonavano nuove, perché prima gli erano passate accanto senza che lui se ne accorgesse. E non se n'era accorto perché vi era abituato. Se imparerò a decifrare questo linguaggio senza parole, riuscirò a decifrare il mondo.
E’ un tutt'uno, aveva detto il vecchio.
Decise di incamminarsi senza fretta e senza angoscia per le stradine di Tangeri: solo così sarebberiuscito a cogliere i segnali. Ci voleva molta pazienza, ma questa è la prima virtù che un pastore impara. Una volta ancora si rese conto che stava applicando a quel mondo estraneo proprio gli insegnamenti che gli avevano dato le pecore.
Tutto è una sola cosa, aveva detto il vecchio.
Il Mercante di Cristalli vide nascere il giorno e sentì la stessa angoscia che provava tutte le mattine.
Era da quasi trent'anni sempre in quello stesso posto, una bottega in cima a una salita, dove raramente passava qualche acquirente. Adesso era tardi per cambiare: tutto quello che aveva imparato nella vita era vendere e comperare cristalli. Un tempo tanta gente conosceva il suo negozio: mercanti arabi, geologi francesi e inglesi, soldati tedeschi con le tasche sempre piene disoldi. A quell'epoca era una grande avventura vendere cristalli, e lui pensava a quanto sarebbe stato ricco, a quante belle donne avrebbe avuto in vecchiaia.
Poi il tempo era passato ed era cambiata anche la città. Ceuta si era ingrandita più di Tangeri e il commercio aveva cambiato rotta. I vicini si erano trasferiti e in quella stradina era rimasto soltanto qualche negozio.
Per tutta la mattina non fece che guardare lo scarso movimento nella strada. Lo faceva da anni, e ormai conosceva gli orari di ogni persona. Quando mancavano pochi minuti al pranzo, un ragazzo straniero si fermò davanti alla vetrina. Era vestito normalmente, ma gli occhi esperti del Mercante di Cristalli conclusero che non aveva soldi.
Decise comunque di rientrare e di aspettare qualche istante, finché il ragazzo non se ne fosse andato. C'era un biglietto sulla porta ad avvertire che lì si parlavano varie lingue.
Il ragazzo vide un uomo comparire dietro il bancone.
Potrei pulire questi vasi, se volete, disse il ragazzo. Così come sono, non li comprerà nessuno. L'uomo lo guardò senza dire niente.
In cambio, mi pagherete qualcosa da mangiare.
L'uomo continuò a tacere e il ragazzo sentì che doveva prendere una decisione.
Nella bisaccia aveva la giacca, che nel deserto non gli sarebbe più servita.
La tirò fuori e cominciò a pulire i vasi. In mezz'ora lustrò tutti quelli della vetrina: in quel frattempo entrarono due clienti, che acquistarono due oggetti di cristallo.
Quando ebbe finito di pulire tutto, chiese al Mercante qualcosa da mangiare.
Andiamo insieme, gli disse il Mercante di Cristalli.
Mise un cartello sulla porta e andarono in un minuscolo bar in cima alla salita. Appena si furono seduti all'unico tavolo esistente, il mercante di cristalli sorrise:
Non c'era bisogno che pulissi niente, disse. La legge del Corano ci obbliga a dare da mangiare a chi ha fame.
Allora perché me lo avete lasciato fare? domandò il ragazzo.
Perché i cristalli erano sporchi. E sia tu che io avevamo bisogno di ripulirci la mente dai brutti pensieri.
Quando ebbero finito di mangiare, il Mercante si rivolse ancora al ragazzo:
Vorrei che lavorassi nel mio negozio. Oggi, mentre pulivi i vasi, sono entrati due clienti. Un buon segno.
Le persone non fanno che parlare di segnali, pensò il ragazzo. Ma non capiscono quello che dicono.
Proprio come me, che non capivo come da tanti anni parlassi con le mie pecore un linguaggio senza
parole.
Vuoi lavorare per me? insistette il Mercante.
Posso lavorare per il resto della giornata, rispose il ragazzo. Puliròfino a notte fonda tutti i cristallidel negozio. In cambio, mi servono i soldi per raggiungere domani l'Egitto. Il vecchio rise di nuovo.
Anche se pulissi i miei cristalli per un anno intero, anche se guadagnassi una buona percentuale per la vendita di ogni pezzo, dovresti ancora cercare del denaro in prestito per raggiungere l'Egitto. Ci sono migliaia di chilometri di deserto fra Tangeri e le Piramidi.
Vi fu un attimo di silenzio così grande che anche la città sembrava essersi addormentata. Non c'erano più i bazar, le discussioni dei mercanti, gli uomini che salivano sui minareti e cantavano, le splendide spade dalle impugnature tempestate di pietre. Non esistevano più la speranza e l'avventura, n‚ vecchi re n‚ Leggende Personali, n‚ tesoro n‚ Piramidi. Era come se tutto il mondo simantenesse in silenzio, perché l'animo del ragazzo era silenzioso. Lui non provava dolore, ne
sofferenza, ne‚ delusione: aveva solo uno sguardo vuoto che oltrepassava la porta del bar e un desiderio immenso di morire, che tutto finisse per sempre in quel momento.
Il Mercante guardò sorpreso il ragazzo. Era come se tutta l'allegria che gli aveva visto quel mattino fosse improvvisamente scomparsa.
Posso darti i soldi per tornare al tuo paese, ragazzo mio, soggiunse il Mercante di Cristalli. Il ragazzo era sempre silenzioso. Poi si alzò, radunò le proprie cose e prese la bisaccia. Lavorerò per voi, disse. E dopo un altro lungo silenzio, concluse: Ho bisogno di soldi per comperare un po' dipecore.

 
 
 
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