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VII

Post n°155 pubblicato il 05 Luglio 2009 da camilloiuy

Nella parte alta della cittadina di Tarifa esiste un vecchio forte costruito dai Mori. Stando seduti sulle sue mura si riescono a distinguere una piazza, un venditore di fiocchi di mais e un pezzo d'Africa. Melchisedek, il Re di Salem, quel pomeriggio si sedette sulla murata del forte e sentì sul viso il vento di Levante. Le pecore sgambettavano accanto a lui, impaurite dal nuovo padrone ed eccitate da tanti cambiamenti. Loro non chiedevano altro se non cibo e acqua.
Melchisedek guardò la piccola imbarcazione che stava salpando dal porto. Non avrebbe mai più rivisto il ragazzo, proprio come non aveva mai più rivisto Abramo, dopo aver avuto da lui la decimaparte dei suoi averi. Era questo, infatti, il suo compito.
Gli dei non devono avere desideri perché non hanno una Leggenda Personale. Eppure il Re di Salem si augurò intimamente che il ragazzo avesse successo.
Peccato che dimenticherà ben presto il mio nome, pensò. Avrei dovuto ripeterglielo più di una volta. Così, se mai un giorno parlerà di me, dirà che sono Melchisedek, il Re di Salem.
Poi, quasi pentito, guardò il cielo: So che è la vanità delle vanità, come hai detto Tu, Signore. Ma un vecchio re, alle volte, deve pur sentirsi orgoglioso di se stesso.
Com'è strana l'Africa, pensò il ragazzo.
Era seduto in una specie di bar uguale a tanti altri che aveva incontrato per le stradine di Tangeri.
Alcuni fumavano una grossa pipa, che veniva passata di bocca in bocca. In poche ore aveva visto uomini che si tenevano per mano, donne con il viso coperto e sacerdoti che salivano su alte torri ecominciavano a cantare, mentre tutti, all'intorno, si inginocchiavano e battevano il capo per terra.
Cose da infedeli, disse fra se e s‚. Da bambino, guardava sempre nella chiesa del suo paese un'immagine di san Giacomo l'Ammazzamori sul suo cavallo bianco, con la spada sguainata, e figure simili a quelle chine ai suoi piedi. Il ragazzo si sentiva male, oltre che terribilmente solo. Gli infedeli avevano uno sguardo sinistro.
figure simili a quelle chine ai suoi piedi. Il ragazzo si sentiva male, oltre che terribilmente solo. Gli infedeli avevano uno sguardo sinistro.
Si avvicinò il padrone del bar e il ragazzo gli indicò una bibita che era stata servita a un altro tavolo.
Era un tè amaro. Lui avrebbe preferito un po' di vino.
Ma adesso non doveva preoccuparsene. Doveva pensare soltanto al tesoro, a come raggiungerlo. Lavendita delle pecore gli aveva fruttato un bel po'di denaro e il ragazzo sapeva che il denaro era magico: con il denaro non si è mai soli. Di lì a poco, magari fra qualche giorno, avrebbe raggiunto le Piramidi. Un vecchio con tutto quell'oro sul petto non aveva certo bisogno di mentire perprocurarsi sei pecore.
Il vecchio gli aveva parlato di segnali. Mentre attraversava il mare, il ragazzo ci aveva ripensato. Sì, sapeva quello che intendeva il vecchio: nel periodo che aveva trascorso nelle campagnedell'Andalusia, si era abituato a leggere nella terra e nel cielo le condizioni del cammino che avrebbe dovuto seguire. Aveva imparato che un certo uccello segnalava un serpente nelle vicinanze, e che un determinato arbusto era indizio di acqua entro alcuni chilometri. Glielo avevano insegnato le pecore.
Se Dio guida le pecore così bene, saprà guidare anche l'uomo, rifletteva. E si tranquillizzò. Il tè sembrava meno amaro.
Chi sei? udì una voce chiedergli in spagnolo.
Il ragazzo ne fu immensamente sollevato. Stava pensando ai segnali, ed ecco che ne era comparso uno.
Come mai parli spagnolo? domandò all'interlocutore. Questi era un ragazzo vestito alla maniera degli occidentali, ma il colore della sua pelle indicava che doveva essere della città. Era della sua statura e aveva più o meno la sua stessa età.
Quasi tutti parlano spagnolo, qui. Siamo a due ore appena dalla Spagna.
Siediti e ordina qualcosa per me, disse il ragazzo. Chiedimi un po' di vino, detesto questo tè.
Non c'è vino in questo paese, rispose il nuovo arrivato. La religione non lo consente.
Il ragazzo lo informò che doveva raggiungere le Piramidi. E stava quasi per parlargli anche del tesoro, ma decise di tacere. Altrimenti poteva darsi che l'arabo gliene chiedesse una parte per condurlo fin là. Gli sovvenne quanto gli aveva detto il vecchio sull'offrire qualcosa che ancora non Si possiede.
Vorrei che mi portassi fino alle Piramidi, se puoi. Potrei pagarti come guida. Hai idea di come raggiungerle?
Il ragazzo notò che il padrone del bar si era avvicinato e ascoltava attentamente la conversazione. Si sentiva infastidito da quella presenza, ma aveva trovato una guida e non si sarebbe lasciato sfuggire questa occasione.
Devi attraversare tutto il deserto del Sahara, rispose il ragazzo arabo. E per questo ci servono soldi. Voglio sapere se ne hai abbastanza.
. Trasse di tasca il denaro e glielo mostrò. Si avvicinò a guardare anche il padrone del bar. I due scambiarono qualche parola in arabo. Il padrone del bar sembrava irritato.
Andiamocene via, disse infine il ragazzo arabo. Non vuole che ci tratteniamo oltre.
Il ragazzo si sentì sollevato. Si alzò per pagare il conto, ma il padrone del bar lo afferrò e cominciò a parlargli senza fermarsi. Il ragazzo era forte, ma si trovava in un paese straniero. Fu il suo nuovo amico che spinse da parte l'uomo e trascinò via il ragazzo.
Voleva i tuoi soldi, gli spiegò. Tangeri non è come il resto dell'Africa. Siamo in un porto e nei porti ci sono sempre un mucchio di ladri.
Poteva fidarsi del nuovo amico. Lo aveva aiutato in una situazione critica. Trasse di tasca i soldi e li contò.
Potremmo arrivare alle Piramidi domani, disse l'altro intascando i soldi. Ma ho bisogno di comperare due cammelli.
Si allontanarono per le stradine di Tangeri. Ovunque c'erano baracche che vendevano di tutto.
Finalmente arrivarono al centro di una grande piazza, dove si trovava il mercato. C'erano migliaia dipersone che discutevano, vendevano, comperavano, verdure in mezzo a daghe, tappeti accanto apipe di ogni sorta. Ma il ragazzo non perdeva d'occhio il nuovo amico, che aveva ancora in mano
tutti i suoi soldi. Pensò di richiederglieli, ma trovò che sarebbe stato indelicato. Non conosceva le abitudini di quella strana terra a cui era approdato.
Basterà sorvegliarlo, disse fra se e se. Lui era più forte.
All'improvviso, in mezzo a tutta quella confusione, i suoi occhi scorsero la più bella spada che avessero mai visto. Il fodero era argentato e l'impugnatura nera, incastonata di pietre preziose. Il ragazzo promise a se stesso che, quando fosse tornato dall'Egitto, avrebbe comperato quella spada.
Chiedi al padrone della baracca quanto costa, disse all'amico. Ma si rese conto di essersi distratto due secondi guardando la spada. Il cuore gli si fece piccolo, come se il petto gli si fosse repentinamente contratto. Temeva di guardare accanto a se, perché sapeva che cosa avrebbe trovato.
Gli occhi continuarono a fissare la splendida spada per qualche secondo ancora, finché il ragazzo prese coraggio e si voltò.
Intorno a lui il mercato, gente che andava e veniva, che urlava e comperava, i tappeti in mezzo alle nocciole, le lattughe accanto ai vassoi di rame, uomini che si tenevano per mano nelle strade, donnecon il velo, il profumo di un cibo strano, ma da nessuna parte la faccia del suo compagno.
Il ragazzo volle pensare ancora che loro due si fossero perduti casualmente. Decise quindi difermarsi lì ad aspettare che l'altro tornasse. Poco dopo, qualcuno salì su una di quelle torri e cominciò a cantare: tutti si inginocchiarono e, picchiando il capo per terra, cominciarono anch'essi a cantare. Poi, come formiche laboriose, smontarono le baracche e se ne andarono via.
Anche il sole cominciò ad allontanarsi. Il ragazzo lo fissò a lungo, finché si nascose dietro le case bianche che circondavano la piazza. Gli venne in mente che, quando lo stesso sole era sorto quel mattino, lui si trovava in un altro continente, era un pastore, aveva sessanta pecore e un appuntamento con una ragazza. Al mattino sapeva ancora tutto quello che sarebbe successo

 
 
 
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