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EMOZIONI TRA LE RIGHE

Post n°150 pubblicato il 05 Marzo 2008 da c.rendina

 

"Sono diventato la persona che sono oggi all'età di dodici anni, in una gelida giornata invernale del 1975. Ricordo il momento preciso: ero accovacciato dietro un muro di argilla mezzo diroccato e sbirciavo di nascosto nel vicolo lungo il torrente ghiacciato. È stato tanto tempo fa. Ma non è vero, come dicono molti, che si può seppellire il passato. Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente. Sono ventisei anni che sbircio di nascosto in quel vicolo deserto. Oggi me ne rendo conto.  "  

Così comincia “Il cacciatore di aquiloni” (titolo originale “The Kite Runner”),  il primo romanzo dello scrittore americano di origine afgana Khaled Hosseini; ero un po’ scettica se leggerlo o meno, ma era un po’ che mi incuriosiva e finalmente eccomi qui a recensirvelo dopo una lettura tutta d’un fiato. Mi sono ritrovata tra le mani un romanzo commovente, che tra le tante righe intrise di avvenimenti tristi e dolorosi per ciascuno dei protagonisti, si conclude con un messaggio di speranza, e cioè che c’è sempre un’opportunità per riscattarsi, se non per redimersi dagli errori passati.

Chi parla è il protagonista, Amir adulto che vive da ormai vent’anni in America, dove si è rifugiato da ragazzo con il padre, e dove è riuscito a costruirsi una famiglia, una carriera. Quando riceve una telefonata inaspettata da parte di un caro amico del padre a San Francisco, comprende che è giunto il momento di partire e tornare a casa, un momento che rimandava da anni. Il viaggio di ritorno diventa sinonimo ed incarnazione di un viaggio dentro di sé, un viaggio di espiazione e di riscatto. Finalmente Amir trova il coraggio di guardarsi realmente e di accettarsi per l’uomo che è diventato, imparando a convivere ma soprattutto ad affrontare i ricordi assordanti e prorompenti provenienti dal passato, sensazioni sopite dentro di lui ma mai dimenticate. Ad attenderlo non ci sono però solo i rimorsi e i fantasmi della sua coscienza; quella che una volta era la sua casa e patria è ora una landa desolata, terra di relitti umani e di donne invisibili, dopo gli indiscriminati stermini dei talebani; incrociare il loro sguardo, il più delle volte, significava torture ingiustificate e, non raramente, persino la morte.

E’ allora che Amir ritorna con la memoria a trent’anni prima, quando Kabul era una città in cui volavano gli aquiloni e in cui i bambini davano loro la caccia. Amir e Hassan hanno trascorso lì la loro infanzia felice. Niente al mondo può però cambiare la loro posizione sociale agli occhi della gente: l’uno pashtun, l’altro hazara; l’uno sunnita, l’altro sciita; ma soprattutto l’uno padrone, l’altro servo. e se Hassan, con il suo viso da bambola cinese, mostra completa dedizione nei confronti di Amir, quest’ultimo dimostra invece la propria vigliaccheria non intervenendo nel momento del bisogno per trarre in salvo l’amico, anzi, il fratellastro, come gli verrà svelato solamente molti anni dopo. E’ una storia di padri e figli (Amir a dir poco venerava il padre, e avrebbe fatto qualsiasi cosa per renderlo orgoglioso di lui) di amicizia e tradimento, di rimorso e redenzione, di fughe e ritorni sullo sfondo di un Afghanistan schiacciato dalla morsa sovietica prima e dai talebani poi. Una storia di amicizia attraverso trent’anni di storia afghana, dalla fine della monarchia all’invasione russa, dal regime dei talebani fino ai giorni nostri, questo è ciò che rende speciale e pieno d’atmosfera questo romanzo. 

  

“ c’è sempre un modo per tornare ad essere buoni”

 
 
 
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Sono in una clinica. Seduto su una sedia scomoda in una sala d'aspetto che guarda sul cortiletto interno. Tutto è tranquillo. Silenzioso e pulito.
Francesca è a pochi metri da me in un'altra stanza. Sta per partorire nostra figlia. Alice. Sono emozionato. Sono preoccupato. Penso a loro e penso a me. Francesca è la donna che amo. È un arcipelago. Un insieme di meravigliose isole che io, navigando nelle loro acque, visito in tutte le loro delicate forme. Di lei conosco ogni piccola sfumatura, ogni minuscolo dettaglio. Conosco i suoi silenzi, la sua gioia. I suoi mille profumi, l'ombra dei suoi baci, la carezza del suo sguardo. Amo la rotondità della sua calligrafia. La luminosità delle sue spalle nude e il suo collo a cui ho sussurrato i miei più intimi segreti. Sono incantato dalla capacità che hanno le sue mani di creare attimi di eternità dentro di me. Adoro i territori dove mi conduce quando mi abbraccia. Territori che conosco pur non essendoci mai stato. E nonostante tutta questa conoscenza riesco ancora a emozionarmi e a regalarmi istanti di stupore. Lo so: sono sdolcinato, stucchevole e patetico, ma non posso farci niente. Credo sia la conseguenza naturale di quando si incontra finalmente il piede che calza alla perfezione la scarpetta che tengo in mano da anni.

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