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Perché il Sud è rimasto indietro?

Post n°79 pubblicato il 06 Settembre 2015 da mcalise
 

Da tempo, come molti, cerco di comprendere quali siano le cause del crescente divario fra il nord ed il sud dell’Italia. Non è, evidentemente, una domanda oziosa giacché senza una diagnosi non si possono neppure immaginare terapie efficaci. Questa estate mi è venuto in aiuto un saggio: “Perché il Sud è rimasto indietro” di Emanuele Felice docente di Storia economica nell’Università Autonoma di Barcellona.

L’autore, in modo documentato e convincente, tenta di dare una risposta alla domanda insita nel titolo. Espone l’evoluzione del pensiero meridionalista, dall’Unità ad oggi; classifica le varie tesi in accusatorie (è colpa dei meridionali) ed assolutorie (i meridionali sono vittime).

Sottolinea come il solo dualismo Nord-Sud non spieghi compiutamente  l’evoluzione delle regioni italiane dal 1861 in poi. Infatti non solo il meridione era arretrato rispetto al “triangolo industriale” (Piemonte, Liguria, Lombardia) ma anche il Nord-Est ed il Centro (NEC). Quindi bisogna considerare tre italie: Nord-Ovest, NEC, Meridione. Documenta, significativamente, come le regioni NEC abbiano colmato il divario con il Nord-Est, mentre il meridione sia rimasto indietro.

Poi argomenta la sua tesi: le classi dirigenti, o meglio "dominanti" meridionali hanno ritardato lo sviluppo economico e civile del Sud Italia a vantaggio dei propri interessi. Il Mezzogiorno è stato soffocato dalle sue stesse classi dirigenti che ne hanno orientato le risorse verso la rendita anziché verso usi produttivi, mantenendo gran parte della popolazione in condizioni socioeconomiche che favorivano i comportamenti opportunistici e quindi il clientelismo, la scarsa partecipazione, … . Quelli del Gattopardo, per intenderci, disposti a cambiare tutto purché nulla cambi.

Felice utilizza lo schema interpretativo già utilizzato da studiosi americani per  spiegare il diverso grado di sviluppo, i ritardi, di alcune regioni con la diversa qualità delle istituzioni, politiche ed economiche. Quest’ultime possono essere inclusive, favorendo il coinvolgimento dei cittadini e quindi, con la crescita economica, anche lo sviluppo umano e civile; oppure estrattive, finalizzate cioè ad “estrarre” rendite e consenso a favore di una minoranza. Utilizza questo paradigma per spiegare come gli enti locali (Regioni, Comuni), a parità di legislazione, conseguano risultati così diversi al Centro-Nord rispetto al Sud Italia.

Un saggio di non sempre agevole lettura per la ricchezza dei dati forniti e per la complessità dell’argomento che è spesso oggetto di semplificazioni o, peggio, di strumentalizzazioni.

Una lettura indispensabile per capire “dove siamo e perché”, per chi non voglia girare la testa dall’altra parte e credere che i problemi siano sempre e comunque altrove.

 
 
 
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