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Dopo “le quattro giornate di Napoli” … “cinquanta giorni da orsacchiotto”

Post n°112 pubblicato il 25 Settembre 2016 da mcalise
 

Anche quest’anno, il 28 settembre, saranno ricordate le “Quattro Giornate di Napoli” (27-30 settembre del 1943) che fecero meritare a Napoli la medaglia d’oro al valor militare per essere stata la prima città di Europa a essersi liberata da sola dai nazisti.

L’insurrezione fu la reazione alla violenza tedesca, alle distruzioni operate e alle umiliazioni subite. La popolazione si mobilitò per evitare la deportazione di massa degli uomini che non avevano risposto al bando di reclutamento, dando vita a una forma di disubbidienza civile.

Con un notevole contributo di vite umane, anche giovanissime, i napoletani consegnarono agli Alleati, il 1° ottobre 1943, una città libera.

Non sono pochi i momenti storici eccezionali che hanno provocato comportamenti straordinari di uomini e donne sottratti alla loro quotidianità. I napoletani diedero prova di coraggio, di dignità e della capacità di organizzarsi; insorsero in difesa della città, delle sue risorse umane e materiali. Tante persone, spinte dalla paura, dallo sdegno e dalla rabbia, presero coscienza che la circostanza li chiamava all’impegno, uniti si organizzarono e accettarono gerarchie nate sul campo.

Oggi cosa possiamo dire; quale insegnamento hanno tratto i napoletani dalle “Quattro giornate”? Sembra nessuno, fatto salvo il ricordo e il dolore dei parenti degli eroici protagonisti.

Eppure la città di Napoli, il meridione tutto, convive con “endemiche emergenze”; ne cito due: la criminalità organizzata e la questione meridionale. Sono “guerre”, spesso dimenticate, che durano da più di centocinquanta anni!

I problemi non sono stati risolti ma superati con il sacrificio di molti, con l’arte di arrangiarsi di tanti, con qualche provvidenza; è evidente che le difficoltà non sono state uguali per tutti.

Il punto non è deprecare il presente ma cercare di capire come giungere ad una “normalità”.

Potrà mai prosperare una collettività assuefatta alle sue “endemiche emergenze”? Occorrono necessariamente eventi drammatici perché si tenti il riscatto?

Per evitare giorni ancora più tristi che richiedano comportamenti eccezionali occorre un impegno civico non episodico della maggioranza dei cittadini.

Parafrasando Massimo Troisi: se per scongiurare gli attuali “cento giorni da pecora" non vogliamo essere costretti a un tragico “giorno da leone” prepariamoci a “cinquanta giorni da orsacchiotto”. Insomma a una normalità civile e laboriosa che, ovviamente, non cancellerà i problemi. Quelli vecchi saranno superati nei tempi giusti e nuovi se ne porranno, ma avranno il valore di sfide e non di avvilenti perpetue emergenze.

 
 
 
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