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Creato da: lully_rossa il 14/11/2005
Comunista, atea, femminista e zapatista. Ho tutto!

 

 
« Messaggio #277Inciulto... »

A passo di gambero....

Post n°278 pubblicato il 26 Luglio 2006 da lully_rossa
 

Oggi 26 luglio la Germania ha firmato il protocollo che permetterà di aprire al pubblico l'archivio nazista di Bad Arolsen. Ciò significa avere accesso a una quantità enorme di documenti che potranno dare ulteriori importanti informazioni sul nazismo, e in particolare sull'Olocausto.
Questa è per me una bellissima notizia. Per chi è stato in Germania o per chi ha avuto occasione di trovarsi con un certo numero di tedeschi, avrà probabilmente provato la stessa sensazione che provano quasi tutti: a sentir quelle voci, quella lingua ci si accapona la pelle. Viene in mente che quelle urla, quelle voci 60 anni fa le hanno sentite i nostri nonni, le hanno patite tutti coloro che si sono opposti al nazismo. Insomma, proviamo una certa antipatia istintiva per i tedeschi.
Però chi è stato in Germania, in particolare in Baviera, ovvero nella culla del nazismo, deve necessariamente rivedere queste posizioni.
Io ci son stata. E consiglio a tutti di andarci. Il ricordo di quei fatti in Baviera è vivo. Nessuno ha dimenticato. La Germania è un paese che non ha voluto dimenticare, che non si è voluta assolvere. Dachau, il Documentationzentrum di Normberga, un enorme Centro di Studi e documentazione sul Nazismo sorto nella Liutpoldarena (l'arena delle grandi adunate naziste) dove viene ripercorso tutto il tragitto che dal Putsch di Monaco portò al Nazismo e alle sue estreme conseguenze, sono monumenti alla memoria. Senza pietà. Senza sconti.
Ai bambini tedeschi viene fatto studiare il nazismo dalle scuole elementari. Tutti sanno e tutti conoscono le pagine più nere della storia del loro paese.
Questo in Germania.
E in Italia?
«28 marzo 1936... Sono stato a visitare i campi di battaglia che si trovano nei pressi di Selaclacà... ciò che mi ha fatto maggiore impressione è stata la vista di un gruppo di abissini morti in una specie di caverna, ben nascosta, che sembrava un infido nido difficilmente scovabile. Sono in tutto nove giovani vite, e sono abbracciate, o meglio afferrate una all'altra in una stretta disperata: il loro atteggiamento, le loro posizioni, e quel loro aggrapparsi alla terra o al compagno, mostrano evidente che morirono nel momento istesso che tentavano di fuggire disperatamente alla morte certa; e caddero così... come se in quel momento un fulmine li avesse improvvisamente e per sempre fermati e fotografati...».
Queste parole sono di un soldato italiano, Manlio La Sorsa, che nel 1935 era in Etiopia per combattere la guerra scatenata dall'Italia fascista alla popolazione africana.
"3 dicembre 1936: Mi racconta Bonalumi che sovente i carabinieri incaricati di arrestare gli indigeni per sospetti reati, che magari non esistono, cominciano, secondo il costume, a caricarli di botte. Se poi si accorgono di averne date troppe e di aver prodotto cicatrici indelebili, perché gli arrestati non possano piantar grane con i loro superiori li accoppano addirittura. Poi fanno il verbale nel quale dicono che l'arrestato aveva tentato di fuggire o di ribellarsi." E ancora "21 settembre 1936: Assisto a processi presso il tribunale italiano per gli indigeni. Poiché non c'è un magistrato che sappia una parola d'indigeno e nessuno si dà neppure la pena di mettersi ad impararlo (i funzionari vengono in Etiopia non per spirito d'avventura o patriottico, ma perché il servizio in colonia conta il doppio; e così, poiché son tutti vecchi, fanno più presto ad andare in pensione), i processi si svolgono tutti a mezzo dell'interprete. Che cosa ne vien fuori Dio solo lo sa.
Non ho grande stima in genere dell'amministrazione della giustizia, ma questa è una turlupinatura troppo grossa. Spesso è un'infamia senza nome quando visibilmente colpisce degli innocenti sottoposti a una procedura per essi incomprensibile, che li porta a condanne atroci senza che vengano neppure a sapere perché sono stati condannati." Questa invece è la testimonianza di Ciro Poggiali, inviato del Corriere della Sera ad Addis Abeba nel 36-37.
In Italia abbiamo voluto dimenticare le atrocità commesse dalle camice nere dentro e fuori dal nostro paese. Seppellite, insieme alla copiosa documentazione chiusa nell'armadio della vergogna, sono state il prezzo pagato per salvarci dal pericolo bolscevico. Si è preferito anestetizzare le coscienze, consentendo a molti repubblichini di rimanere sulla scena politica italiana, scambiando questo con la promessa din un copioso contributo nell'annientamento del comunismo in Italia.
Per non parlare poi dei lager italiani in Jugoslavia. Sapete, quelli che hanno così tanto fatto incazzare Tito e i partigiani da far sfociare tutto in un bagno di sangue e nelle famose foibe.
Ma la conoscenza di questi fatti avrebbe permesso agli italiani di comprendere l'enorme gravità del regime fascista in Italia. Questa Italia che avrebbe potuto finalmente conoscere la propria storia, senza sconti, senza falsità.
Un popolo che costruisce la propria politica (interna od estera) su una coscienza mutilata, se non addirittura falsa, è destinato a commettere i medesimi errori, e a rendersi complice degli stessi crimini.
Ne abbiamo copiose dimostrazioni in questi anni: nella politica estera pensiamo alla Guerra nel Kossovo, o a Quella in Iraq. Guerre (perchè di ciò si tratta) effettuate in spregio alla nostra Carta Costituzionale.
Nella politica interna, pensiamo ai fatti di Napoli o di Genova del 2001.
Guerre e atti di inaudita violenza commessi da governi di colore differente ma accomunati dalla stessa sete di potere, e dalla stessa volontà di censurare.
In questi anni, infatti, grazie ad una incessante e aggressiva campagna di disinformazione rivolta all'opinione l'opinione pubblica, si è riusciti a manipolare definitivamente il consenso.
Un popolo senza memoria, un popolo che ancora non si è preso le proprie responsabilità facendo in conti con un passato molto scomodo, è un popolo destinato, citando un libro di Eco, a camminare a "passo di gambero".
Ribelliamoci, o sarà troppo tardi.

 
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