CORE NAPULITANO
il blog Napoletano per i Napoletani (tutte le informazioni sono prese dal web)
Post n°42 pubblicato il 11 Gennaio 2009 da corenapulitano
Il Castello sorge sull'isolotto tufaceo dell'antica Megaride (su cui la leggenda vuole che fosse approdata, sfinita, la sirena Partenope, che avrebbe dato il nome alla città antica), poi collegato alla terraferma, sul quale il patrizio romano Lucullo fece erigere per sé una fastosa ed enorme villa (il Castrum Lucullanum). Intorno alla fine del V secolo, l'area divenne sede di un monastero di monaci basiliani, di cui rimane l'antica chiesa. Poi, in periodo ducale, vi fu costruito un fortilizio, e nel XII secolo vi si stabilirono i Normanni, che fecero ampliare e rinforzare la fortificazione. Un ulteriore rafforzamento fu realizzato dagli Svevi. Nel XIV secolo, si diffuse l'attuale denominazione, per la quale vi sono due teorie: l'una la riferisce alla pianta particolare del castello, l'altra, più accreditata, fa risalire il nome al poeta Virgilio, che vi avrebbe nascosto un uovo, alla sopravvivenza del quale sarebbe stata legata la sopravvivenza del bastione. L'aspetto attuale del Castel dell'Ovo è quello determinato dalla ristrutturazione operata nell'epoca vicereale, dopo i danni subiti nell'assedio del 1503. Alla fine del 1800, al di fuori della cinta muraria, venne realizzato un piccolo borgo di pescatori, l'attuale Borgo Marinari. Il castello è attualmente visitabile tutti i giorni (nei festivi solo di mattina): la passeggiata all'interno é molto suggestiva, con scorci panoramici sul lungomare inquadrati da elementi architettonici molto interessanti; da visitare è la sala delle colonne, forse refettorio nell'antico monastero, ed il museo di etnopreistoria del Club Alpino Italiano. Ascendendo alla terrazza superiore, si può godere di un panorama mozzafiato, della città e dei dintorni, da una prospettiva molto particolare. |
Post n°41 pubblicato il 04 Gennaio 2009 da corenapulitano
La chiesa di San Domenico Maggiore è una chiesa basilicale di Napoli, tra le più interessanti dal punto di vista storico ed artistico. Voluta da Carlo II d'Angiò ed eretta, inizialmente in stile gotico, tra il 1283 e il 1324, divenne la casa madre dei domenicani nel regno di Napoli. Fa parte di un complesso conventuale che si trova nel centro antico della città, nella piazza omonima. La chiesa Storia Nel 1231 i Domenicani, con a capo Tommaso Agni da Lentini, giunsero a Napoli, e non disponendo di una sede propria, si stabilirono nell'antico monastero della chiesa di San Michele Arcangelo a Morfisa, gestita dai padri benedettini, prendendone possesso. La consacrazione della chiesa a San Domenico avvenne nel 1255 per volere di papa Alessandro IV, come attestato da una lapide posta alla destra dell'ingresso principale. La costruzione della chiesa fu voluta da Re Carlo, per un voto fatto alla Maddalena durante la prigionia patita nel periodo dei vespri siciliani, e la prima pietra fu posta il 6 gennaio del 1283, con i lavori che si protrassero sino al 1324, seguiti nella fase definitiva dagli architetti francesi Pierre de Chaul e Pierre d'Angicourt. Carlo V soggiornò in San Domenico Maggiore nel 1536 La chiesa, fu eretta secondo i classici canoni del gotico, con tre navate, cappelle laterali, ampio transetto e abside poligonale, e fu realizzata in senso opposto alla chiesa preesistente, vale a dire con l'abside rivolta verso la piazza, alle cui spalle fu aperto, in periodo aragonese, un ingresso secondario. Numerosi interventi succedutisi nei secoli ne hanno alterato la struttura e le originarie forme gotiche: nel periodo rinascimentale terremoti e incendi avviarono i primi rifacimenti (malgrado ciò nel 1536 Carlo V fu accolto nel tempio), mentre ancora più incisivi furono i rifacimenti barocchi del Seicento, tra i quali spiccano la sostituzione del pavimento (poi completato nel XVIII secolo) con quello progettato da Domenico Antonio Vaccaro. Con l'avvento a Napoli di Gioacchino Murat, il complesso fu destinato ad opera pubblica (1806-1815) e ciò provocò danni alla biblioteca e al patrimonio artistico, mentre un tentativo di ripristino fu messo in atto con i restauri ottocenteschi di Federico Travaglini, che tuttavia portarono ad un complessivo snaturamento dell'originale spazialità della chiesa. Facciata principale nel cortile Ulteriori danni furono subiti dal complesso durante il periodo della soppressione degli ordini religiosi, quando i padri Domenicani dovettero nuovamente abbandonare il convento (1865-1885), a causa di alcuni adattamenti discutibili che si intese dare alle strutture (palestre, istituti scolastici, ricovero per mendicanti e sede tribunalizia). I restauri del 1953 eliminarono i segni dei bombardamenti del 1943, ripristinando il soffitto a cassettoni, i tetti, le balaustre delle cappelle, la pavimentazione e l'organo settecentesco e riportando alla luce anche gli affreschi del Cavallini, mentre interventi piu recenti (1991) vi sono stati sulla scala in piperno che conduce all'abside e sulla porta marmorea. L'ingresso L'ingresso principale è rivolto a nord e vi si accede, attraverso un ampio cortile, dal vicolo San Domenico, mediante un portale con numerosi elementi gotici; sulla parte alta esterna dell'arcata vi è un affresco raffigurante La Vergine che offre lo scapolare domenicano al beato Reginaldo della scuola di Pompeo Landulfo (pittore vissuto nella seconda metà del XV secolo). Il lato interno del portale presenta una iscrizione che testimonia la munificenza di Carlo II d'Angiò nei confronti dei frati; lo stesso sovrano è raffigurato in una statuetta di marmo posta in una nicchia. L'ingresso della basilica è attraverso il pronao settecentesco, mentre tra il portale marmoreo gotico (ad arco acuto) e la porta lignea.continua...... |
Post n°40 pubblicato il 16 Luglio 2008 da corenapulitano
Questi 6 figli di Napoli, della Napoli vera, di quella perbene, di quella allegra, di quella che non ci sta con il fatto che siamo diventati, oltre al popolo di cammorristi, anche il popolo della monezza, ebbene questi sei grandi artisti per una sera hanno fatto sognare i 50.000 paganti in piazza (tra cui io), quelli fuori dalla piazza perche sprovisti di biglietto ed i milioni che li hanno seguiti attraverso la tv, per una serra abbiamo sognato che a Npoli si potesse risolvere il problema rifiuti, grazie all'iniziativa Napoli non è una carta sporca, per una sera siamo tornati al 1981, abbiamo rivisto Napoli attraverso i pezzi storici di Pino, la ritmica di Tulio e Tony, la suadende melodia di Joe, e il magico sax di James, per poi passare agli ospiti tra i più graditi un altro figlio di Napoli, Nino D'angelo due realta completamente diverse ma dalle stesse origine per unattimo di lunghissime emozioni insieme,e poi gli Avion Travel, Giorgia, Irene Grandi. Grazie wagliù |
Post n°39 pubblicato il 09 Giugno 2008 da corenapulitano
I PRIMATI DEL SUD PRIMA DELL'INVASIONE PIEMONTESE La ricchezza degli antichi Stati italiani nel 1860 era di 668 milioni cosi ripartiti: |
Post n°38 pubblicato il 06 Giugno 2008 da corenapulitano
Il San Carlo è il più antico teatro operante in Europa. Costruito nel 1737, non ha mai sospeso le sue stagioni eccetto nel periodo compreso tra il maggio 1874 e il dicembre 1876 allorché, a causa della grave crisi economica di quegli anni, vennero meno le abituali sovvenzioni. Fu il Re, infatti, nell'ambito del rinnovamento urbanistico volto a dare a Napoli un aspetto più consono al suo recente ruolo di capitale di un regno autonomo, ritenne opportuno che un nuovo teatro svolgesse la funzione di rappresentanza del potere regio, prendendo così il posto del piccolo e vetusto (era stato eretto nel 1621) San Bartolomeo Il 4 marzo 1737 fu firmato il contratto con l'architetto Giovanni Antonio Medrano, Colonnello del Reale Esercito, e con l'appaltatore Angelo Carasale, già direttore del S. Bartolomeo e quindi uomo di fiducia del sovrano. Medrano progettò una sala lunga mt. 28,60 e larga mt. 22,50; conteneva 184 palchi, compresi quelli di proscenio, disposti in sei ordini, più un ampio palco reale, capace di ospitare dieci persone, per un totale di 1379 posti. Il San Carlo fu inaugurato con l'opera Achille in Sciro di Metastasio, con musica di Domenico Sarro che diresse l'orchestra e tre balli creati da Gaetano Grossatesta. Le scene furono di Pietro Righini. La parte di Achille fu sostenuta, come era usanza dell'epoca, da una donna, Vittoria Tesi, detta «la Moretta», con accanto la prima donna soprano Anna Peruzzi, detta «la Parrucchierina», e il tenore Angelo Amorevoli. fonte www.sancarlo.it |
Post n°37 pubblicato il 23 Maggio 2008 da corenapulitano
in questi giorni sulla mia amata terra si è detto di tutto di più siamo passati dal ormai solito cammorristi, a popolo di monezza, popolo incivile, fino ad arrivare a intoleranti e razzisti, lo scopo di questo blog e di mostrare la faccia di Napoli che tutti nascondono, cioè quella bella, quella onesta, quella stanca di essere offessa ed insultata solo perche chi gestisce questa città e sporco e corrotto, quindi a mesi di offese e provocazioni i rispondo con questo video trovato nel web. |
Post n°35 pubblicato il 21 Settembre 2007 da corenapulitano
loro che difesero per circa dieci anni la loro terra, i che guevara del sud, quelli che si battetero contro gli eserciti regolari piemontesi, loro che quando scarsegiavano le armi lottavano con bastoni e pietre contro le armi degfli italiani, quelli che lo stato sabaudo Piemontese chiamo Briganti erano dei grandi eroi. questo post e dedicato al mio eroe Ninco Nanco. |
Post n°34 pubblicato il 29 Agosto 2007 da corenapulitano
girando su youtube in cerca di video carini su Napoli mi sono imbattuto in questo documento stupendo del grande regista e Mauro Caianoe della giornalista Marina Salvadore (tre le altre cose amici da tempo), e ho pensato visto che ora riparto per ritornare nel profondo Nord, e quindi saro assente per un po di tempo da queste paggine, penso che non ci sia niente di meglio di questo documento per riempiere i giorni di vuoto di questo blog, arrivederci a presto. pure a 800km di distanza NAPOLI NEL CUORE E ORGOGLIOSO DI ESSERE NAPOLETANO CIà WAGLIù |
Post n°33 pubblicato il 18 Agosto 2007 da corenapulitano
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Post n°31 pubblicato il 13 Agosto 2007 da corenapulitano
Posillipo La collina di Posillipo è sicuramente una delle zone più incantevoli e prestigiose della città. |
Post n°30 pubblicato il 13 Agosto 2007 da corenapulitano
Carissimi comincio con il chiedere scusa per la lunga assenza nel aggiornare il blog, ma come troppi Napoletani, ahime, anche sono dovuto emigrare. e qesto spiega anche il perche di questo messaggio, non appena messo piede a Napoli non ho potuto fare a meno di farmi un giro per i posti più significativi della mia città, il giro lo concluso la nel tempio della pizza, a via tribunali. Marinara: pomodoro, aglio, origano, basilico. Margherita: mozzarella, pomodoro, formaggio, basilico. Margherita al prosciutto: mozzarella, pomodoro, prosciutto cotto, formaggio basilico. Margherita alla cocca: mozzarella, pomodoro, uovo, formaggio, basilico. Margherita alla romana: mozzarella, pomodoro, acciughe, formaggio, basilico. Margherita con funghi: mozzarella, pomodoro, funghi, formaggio, grana, basilico. Margherita bianca 1: mozzarella, prosciutto crudo, formaggio, rucola. Margherita bianca 2: mozzarella, formaggio, rucola. Margherita con melenzane: mozzarella, pomodoro, melenzane, formaggio, basilico. Margherita con peperoni: mozzarella, pomodoro, peperoni, olive,salame, formaggio, basilico. Panna bianca: mozzarella, panna, prosciutto cotto, formaggio, basilico. Panna bianca con funghi: mozzarella, formaggio, prosciutto, funghi, panna, basilico. Marinara al tonno: pomodoro, tonno, olive, aglio, origano, basilico. Margherita al tonno: mozzarella, pomodoro, tonno, formaggio, basilico. Margherita al filetto: mozzarella, pomodorini freschi, formaggio, basilico. Margherita con wurstel: mozzarella, pomodoro, wurstel, formaggio, basilico. Capricciosa: mozzarella, pomodoro, prosciutto cotto, funghi, formaggio, olive, carciofi. Quattrogusti: mozzarella, prosciutto cotto, funghi, carciofi, melenzane, formaggio, basilico. Tarantina: pomodoro, olive, acciughe, capperi, aglio, origano, basilico. Lasagna: mozzarella, pomodoro, prosciutto cotto, ricotta, formaggio, basilico. Ripieno al forno: mozzarella, pomodoro, prosciutto cotto, ricotta, formaggio, basilico. Ripieno al forno con funghi: mozzarella, pomodoro, prosciutto cotto, funghi, ricotta, formaggio, basilico. Carrettiere: mozzarella, friarielli, salsicce, formaggio. Boscaiola: mozzarella, panna, piselli, carne, funghi, formaggio, basilico. Biancha ai quattro formaggi: formaggi misti. Fritta: da riempire a piacere.
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Post n°29 pubblicato il 21 Febbraio 2007 da corenapulitano
Le ragioni per cui questa strada simbolo della città di Napoli (il cui vero nome è "San Biagio dei Librai" nel segmento più rappresentativo) è da sempre chiamata Spaccanapoli appaiono ampiamente evidenti osservando questa foto, scattata dal piazzale di San Martino, sommità della collina del Vomero. Spaccanapoli taglia infatti in due buona parte della città, partendo dal rione della Pignasecca (ai piedi del Vomero), attraversando tutto il centro storico (tra cui via Roma, piazza del Gesù, piazza San Domenico, San Gregorio Armeno e via Duomo) e giungendo alle spalle di Castel Capuano, nei pressi della Stazione Centrale. Lungo il suo percorso, la strada assume -secondo la toponomastica ufficiale- sette nomi diversi, e vede succedersi chiese, palazzi e piazze tra i più interessanti della città: tra questi, i complessi di Santa Chiara e del Gesù Nuovo, i palazzi Filomarino, Carafa e Marigliano, le chiese di S.Angelo a Nilo, S.Domenico Maggiore, S.Nicola a Nilo, la cappella del Monte di Pietà, l'Ospedale delle Bambole, l'Archivio di Stato. Spaccanapoli rappresenta indubbiamente uno dei luoghi più tipici della città, in cui si coniugano tradizione, arte e cultura napoletana. Negozi di artigianato locale, ricchissime pasticcerie, le celebri botteghe d'arte presepiale (nell'adiacente via S.Gregorio Armeno), i bar e locali notturni la rendono una tappa obbligata per i turisti e uno dei luoghi più vivaci e animati della città. |
Post n°28 pubblicato il 12 Febbraio 2007 da corenapulitano
Nel centro del territorio chiamato "campi flegrei", dal greco phlegraios=ardente, terra affascinante per il paesaggio dolce e vario e per la miriade di crateri spenti, alle cui assopite attività vulcaniche sono connessi i fenomeni di bradisismo e termalismo; terra fertilissima e soleggiata, sottoposta a un clima mite, con facili e naturali approdi, fu sede di primitive e mitiche popolazioni. Emporio della potente Cuma, soltanto con l'arrivo di fuggiaschi di Samo (530 a.C.), che dettero alla località il nome augurale di Dicearchia (giusto governo), fu incrementata la crescita economica e urbanistica della città. Nel 421 a.C., l'intera zona flegrea cadde sotto il dominio delle popolazioni campane e, nel 338, sotto quello di Roma, che capì l'importanza commerciale e militare del golfo flegreo solo dopo il tentativo di conquista di Annibale (215 a.C.). Puteoli (piccoli pozzi) divenne l'approdo più importante del Mediterraneo, tanto da essere appellata Delus minor e litora mundi hospita. Le arti del vetro, della ceramica, dei profumi, dei tessuti, dei colori e del ferro trovarono larga diffusione, per la presenza di maestranze locali educate a tradizioni fenicie, ellenistiche e egiziane. Attraverso il suo porto, Puteoli assimilò anche i segni di altre civiltà e religioni. Infatti è storicamente accertata la sosta di sette giorni di San Paolo che, nel 61, vi trovò già una comunità di cristiani. La città prosperò fino a quando il porto rispose alle esigenze del commercio romano, ma subì un duro colpo con l'apertura di quello di Ostia. Con l'accentuazione del bradisismo discendente, che sommerse le opere portuali, e con la caduta di Roma, Puteoli divenne un piccolo centro di pescatori e, nel Medio Evo, i Campi Flegrei furono solamente meta di brevi soggiorni termali.Soltanto dopo l'eruzione del Monte Nuovo (1558), Pozzuoli iniziò una lenta ripresa socio-economica e urbanistica, per opera del vicerè spagnolo don Pedro Alvarez de Toledo.
Solfatara- Il vulcano Solfatara, dal cratere ellittico ( m.770, m.580), risale a circa 4000 anni fa ed è l'unico dei Campi Flegrei ancora attivo con impressionanti manifestazioni fumaroliche. L'ultima eruzione, peraltro storicamente non acertata, risalirebbe al 1198.
Anfiteatro Neroniano-Flavio- Iniziato sotto Nerone, fu completato da Vespasiano; misura m. 149x116 (arena m. 75x42) e poteva contenere circa 20.000 spettatori. Ben conservati i sotterranei, dove è stato possibile studiare il complesso sistema di sollevamento delle gabbie con le belve. Nel 305, sotto la persecuzione di Diocleziano, furono esposti nell'arena sette martiri cristiani: i beneventani Gennaro, Festo e Desiderio, il misenate Sosso, e i puteolani Procolo, Eutiche e Acunzio, poi decapitati nei pressi della Solfatara.
Macellum- Tempio di Serapide- Durante lo scavo (1750) fu rinvenuta una statua del dio egiziano Serapis e, pertanto, fu ritenuto un "tempio". E' il macellum
Rione Terra- Primo insediamento urbano, acropoli, rocca, castrum e centro religioso, il rione Terra conserva vistose tracce dell'impianto viario del 194 a.C. Per effetto del bradisismo, è stato evacuato il 2 marzo 1970 e, da qualche anno, dopo un lungo periodo di abbandono e di spoliazione, sono stati avviati i lavori di recupero e valorizzazione.
Lago d'Averno- E' la località flegrea che maggiormente evoca Omero, Virgilio e il culto dell'oltretomba, perché fu ritenuto l'ingresso all' Ade. E' un lago di origine vulcanica, profondo al centro m. 34 circa. Nel 37 a.C., su ideazione di Marco Vipsanio Agrippa, fu collegato al mare mediante il Lago Lucrino, con un ampio canale, per realizzarvi un colossale arsenale (Portus Julius).
Lago d'Averno- "Tempio di Apollo"- Lungo la sponda orientale del Lago d'Averno, si ammira la grandiosa sala termale, nota come "tempio di Apollo", di età adrianea, coperta da una cupola con un diametro di circa 38 metri, di poco inferiore a quella del Pantheon a Roma.
Tempio di Augusto- Riportato alla luce dopo l'incendio della cattedrale (16-17 maggio 1964), il cosiddetto "Tempio di Augusto" è il Capitolium della città di età repubblicana. Per volere del ricco mercante puteolano Lucio Calpurnio, fu rifatto dall'architetto Lucio Cocceio Aucto in età augustea in belle forme corinzie; fu adattato a chiesa cristiana tra il V e il VI secolo e barocchizzato sotto l'episcopato di Martino de Leòn y Càrdenas (1631-1650).
Tempio di Nettuno - la costruzione di questo monumento risale all'epoca di Adriano (II sec d.C.). E' un vasto complesso archeologico ed uno dei più imponenti stabilimenti termali dell'antica Puteoli.
Monte Nuovo - E' il monte più giovane d'Europa (m.140), formatosi dall'eruzione del 29-30 settembre 1538 che, preceduta da numerosi terremoti, seppellì il villaggio termale di Tripergole e causò lo spopolamento di Pozzuoli.
Strutture sommerse del Portus Julius - Nel 37 a.C., durante la guerra civile tra Ottaviano e Sesto Pompeo, lo stratega Marco Vipsanio Agrippa realizzò una grandiosa struttura portuale, PortusJulius, adibita ad arsenale della flotta di Miseno, collegando con un canale navigabile il Lago d'Averno, il Lago Lucrino e il mare. Per effetto del bradisismo discendente, buona parte del Porto Giulio è oggi sommersa; infatti, tra Baia e Pozzuoli si snodano imponenti tracce delle strutture portuali e di alcuni vici suburbani.
Arco Felice - la grandiosa costruzione è un viadotto e un'opera di protezione del taglio della collina del Monte Grillo, per permettere un agevole passaggio della via Domitiana (95 d.C.), con un fornice alto m. 20 e largo m. 6. |
Post n°27 pubblicato il 12 Febbraio 2007 da corenapulitano
Nel 1329 Roberto d'Angiò ordinò la costruzione di un complesso militare sulla collina di S. Erasmo (attuale S. Martino) con lo scopo, da un lato , di controllare le strade che conducevano in città da parte delle alture che la circondavano e, dall'altro, di tenere sott'occhio l'agglomerato urbano sottostante. Nel suo disegno strategico il re angioino fu certamente preceduto dai Normanni, i quali, nel 1170, fecero erigere sulla stessa collina una torre d'osservazione che, nel tempo dovette assumere dimensioni molto più ampie. Di questa costruzione si sa poco solo che si chiamava Belforte ed era circondato da una rigogliosa vegetazione. |
Post n°26 pubblicato il 12 Febbraio 2007 da corenapulitano
Sorta nel nucleo di origine romana alla fine del duecento su una precedente basilica paleocristiana, la Cattedrale di Napoli è ubicata tra il Decumano Centrale, il Decumano Superiore e due cardini del tracciato greco-romano. Nella zona vi era stato un tempio dedicato ad Apollo, ed essa era stata poi utilizzata per il culto cristiano con le Basiliche di Santa Restituta del IV secolo, il Battistero di San Giovanni, la Basilica di Santa Stefania del IV secolo e il Battistero Vincenziano. statua di San Gennaro sita nel Duomo momento in cui avviene il miracolo di San Gennaro (19 settembre) per visionare le altre chiese di Napoli vi consiglio questo link: |
Post n°25 pubblicato il 12 Febbraio 2007 da corenapulitano
Domina la zona che fu teatro della rivoluzione di Masaniello (1647). |
Post n°24 pubblicato il 26 Gennaio 2007 da corenapulitano
Pulcinella ha ispirato tante opere, canzoni, filastrocche, commedie, poesie.
SALVATORE PETITO CONSEGNA LA MASCHERA DI PULCINELLA AD ANTONIO PETITO SE FATTO VIECCHIO ST’OMMO CULURATOQUASE UTTANT’ ANNE STU CAMMESO ‘A SUDATE,NA SOLA SCURA, NA MASCHERA VIVENTESULO PE ISSO NU CERCAVE NIENTEOGNI MUMENTO E’ CHILLO CA SE PENZADIMANE O AIERE: ARRIVA E NUN SE SCANZA!MA CHELLA SERA O PUBBLICO NU RIREE PE PETITO SO MUORZE NUN CAPITEPULLECENELLE E’ STANCO, VIECCHIO , STRUTTOSE MOVE APPENA LE TREMMENO E DENOCCHIE…DINT’ O SILENZIO CHIAGNE ‘O SAN CARLINODON SALVATORE CHIAMMA ‘ O FIGLIO SUOIE VICINO: PUBLICO AMATO PER VUIE PULLECENELLASE CUNSUMATO COMME ‘ A CARBUNELLA,MO SE NE PARTE E RESTA SULO L’ OMMOE LASCIA A VUIE PE MASCHERA : TOTONNO. DA CHELLA SERA PULLECENELLA TENETTE ‘O STESSO NOMME:NATU PETITO FUIE ‘E L’ALBERO NA FRONNA Antimo Ceparano |
Post n°23 pubblicato il 22 Gennaio 2007 da corenapulitano
MAESTRO CARMINE COPPOLA erede attuale della maschera di pulcinella Ebbene Pulcinella è una maschera nata a Napoli, durante la seconda metà del Cinquecento, quando ci fu l’avvento della Commedia dell’Arte, e fu inventata dall’attore Silvio Fiorillo, ma va comunque precisato che essa presenta origini molto lontane; ossia secondo studi approfonditi la maschera risale ai secoli remoti dell’epoca latina. Difatti il nostro Pulcinella ci richiama alla memoria i personaggi delle fabulae atellanae, specie la maschera di Macco (dal latino Maccus che significa Sciocco e indica una persona “stupida”, o meglio un “servo ottuso e deforme”) e Dosseno (dal latino Dossennus che significa Gobbo e indica una persona “astuta”, “furba”, un “vecchio avaro”). I napoletani amano denominare affettuosamente la loro maschera “Pulicinella”, e questo appellativo ci rimanda ancora una volta ad una voce volgare latina “pullicinellus”, che fa pensare ad un “personaggio fisso” latino, proposto da Orazio nella sua opera le Satire; stiamo parlando di Cicirrus, il quale significa “Galletto”. Dai suoi antenati latini, la nostra maschera partenopea, ha ereditato proprio la caratteristica della gobba, il naso appuntito e l’atteggiamento goffo, popolano e grossolano. Quindi si può ben dire che Pulcinella è di origine campana e atellana, e le suddette maschere atellane prendono il nome dalla città campana di Atella, la quale in antichità era situata in una zona territoriale che oggi corrisponde, grosso modo, alle attuali province di Napoli e Caserta, per cui un tempo Atella si trovava in prossimità di Capua. Comunque non bisogna soffermarsi solo sulle origini di Pulcinella, ma anche sul significato del suo nome. Secondo alcuni studiosi di linguistica il nome Pulcinella lo si deve associare a “pulcinello” cioè piccolo pulcino con naso adunco, mentre secondo altri la maschera fu così chiamata dai napoletani perché prese il nome da un teatrante buffone seicentesco di Acerra, “Puccio d’Aniello”, che faceva parte di una Compagnia teatrale di guitti, ovvero di una compagnia di giro. Ad ogni modo Pulcinella indossa un camicione bianco con larghi pantaloni bianchi, ha un cinturone nero in vita, il ventre sporgente, scarpette nere, un cappuccio bianco in testa e una grossa maschera al viso che lascia scoperta sola la bocca; ha un naso ricurvo, le rughe sulla fronte e un espressione al quanto inquietante. Egli è un servo furbo e pigro, ha una tonalità di voce stridula e acuta, cammina in maniera goffa, gesticola in modo eccessivo, tanto che quando deve mostrare la sua gioia, lo fa in maniera plateale e senza risparmiare le sue energie vitali comincia a saltellare, danzare, cantare, gridare, ecc. Ama vivere alla giornata sfruttando la sua astuzia, difatti è pronto a girovagare tutto il giorno per i vicoli e i quartieri di Napoli e ad adeguarsi a qualsiasi situazione che l’occasione richiede: ora è un abile impostore ora un ladro, ora un ciarlatano oppure un povero affamato o un ricco prepotente, ecc. È spontaneo, semplice, simpatico, divertente, chiacchierone, dispettoso, avventuriero, generoso, malinconico, credulone, combattivo e inaffidabile. Pulcinella ha un significato non solo storico, artistico e culturale, ma soprattutto sociale, o meglio di denuncia sociale. Metaforicamente quindi la maschera simboleggia la plebe napoletana che stanca degli abusi e delle umiliazioni ricevute dalla cinica classe alto–media borghese, si ribella a questi disumani potenti, che hanno fatto di tutto per rendere nel corso dei secoli una vita dura e avversa al popolo partenopeo. Quindi Pulcinella essendo l’anima del popolo minuto rispecchia la voglia di rivincita di quest’ultimo. Con la sua ironia e con la sua forza si burla del potere sottolineando la sua volontà di vivere e superare gli ostacoli. Pulcinella non conosce confini, è una maschera conosciuta anche oltre oceano, visto che durante il corso dei secoli molti teatranti italiani essendo stati costretti ad espatriare per cercare fortuna altrove, hanno diffuso questo “personaggio fisso” in varie nazioni; ecco che in Francia nasce Polichinelle, in Germania Kaspar, in Inghilterra Punch, e così via. Pulcinella è anche un personaggio che prova forti sentimenti, è stregato dalla sua eterna fidanzata Teresina, ma è sempre nei guai e grazie alla sua scaltrezza riesce ad uscire dalle spiacevoli situazioni in cui si è cacciato. Secondo studi approfonditi ci sono circa una sessantina di attori che hanno interpretato dal 1500 al 1954 la maschera napoletana, e tra i più noti attori pulcinelleschi della storia del teatro partenopeo ricordiamo il grande Antonio Petito (1822-1876). Ad ogni modo va precisato che, ai giorni nostri, nella commedia napoletana contemporanea, Pulcinella è stato rinterpretato dal guarattellaro Nunzio Zampella, e in un secondo tempo dal suo allievo, l’attore e burattinaio Bruno Leone, che nel 1979 ereditando dal suo maestro la maschera di Pulcinella ha deciso per l’appunto di riportare alla ribalta la tradizione pulcinellesca e di recuperare il Teatro delle guarattelle. |
Post n°22 pubblicato il 12 Gennaio 2007 da corenapulitano
La maschera di Pulcinella, con la morte dell'attore e poeta Filippo Cammarano, passò nel 1823 nelle mani di Salvatore Petito. Don Salvatore divenne un gran Pulcinella, amato da tutto il pubblico del San Carlino, che per il suo carattere ed il suo garbo, lo soprannominò "Il Pulcinella delle dame". Che cos'è stato il pulcinella di Totonno 'o pazzo, cosa ha rappresentato per il popolo napoletano ? Bastano poche parole, ma che spieghino esplicitamente il messaggio trasmesso, dal Re del San Carlino, al popolo napoletano, e per farlo, prendiamo in prestito una frase di Enzo Grano, il quale afferma che il primogenito di Salvatore Petito fu: "Un simbolo delle aspirazioni popolari e finì per insegnare al proletariato ad avere un nuovo rispetto per se stesso ed una serena coscienza dei propri doveri" Antonio Petito era considerato il re dei Pulcinella, anzi potremmo dire che Pulcinella era ed è sinonimo di Petito. Oltre ad essere ricordato come il più grande interprete dell'Aversano, Totonno è stato anche un prolifico commediografo e tra le sue più belle opere, ricordiamo "Palummella zompa e vola", "Cicuzza", "Sò mastu Rafele e non te ne 'ncarricà Francesca da Rimini". E qui ci fermiamo, perché l'elenco sarebbe lunghissimo. Inoltre il nostro Pulcinella era quasi analfabeta, e ciò lo si riscontra anche dai numerosi manoscritti conservati al museo Nazionale, e dalle difficoltà incontrate da Di Giacomo, Bragaglia ed altri nel trascrivere le sue opere e la sua autobiografia. Grande fu lo strapotere del nostro Totonno in quel del San Carlino: il suo carisma e la sua genialità lo misero su di un piedistallo dal quale nessuno mai riuscì a detronizzarlo ed a sostituirlo degnamente. Dal carattere un pò particolare e dotato di quell'estro così trascinante, Antonio Petito era un uomo allegro anche nella vita privata, era un burlone a cui piaceva far tiri mancini. Lo sperimentarono molto bene l'Altavilla e Eduardo Scarpetta, tanto per far qualche nome. E pensare che Totonno aveva iniziato la sua carriera artistica interpretando le parti di cattivo, e lo faceva talmente bene che una sera al teatro di "Donna Peppa" uno spettatore, indispettito per il tradimento di Jago (interpretato da Antonio Petito) ne' l'Otello, in un impeto di rabbia, lanciò una scarpa al Petito, con una violenza tale da procurargli una grossa ferita. Alla madre, che voleva far arrestare l'esagitato, Petito disse queste parole: «Pecchè 'o faje arrestà ? In fondo m'ha fatto 'o cchiù bello cumplimento ca me puteva fa !». Il destino, purtroppo, lo attendeva inclemente. La sera del 24 marzo del 1876 mentre Totonno 'o pazzo intento a recitare nella "Dama Bianca" del grande Marulli, un attacco di angina pectoris lo fulminò dietro le quinte. Fu allora adagiato su di un materasso e portato sul palcoscenico dove esalò il suo ultimo respiro, sotto gli occhi di un pubblico addolorato e frastornato che, piangendo e disperandosi, gli tributò l'ultimo ed il più fragoroso degli applausi. Con la morte di Antonio Petito finiva anche una gloriosa generazione di Pulcinella che mai più vide attori degni di vestire quel bianco camice, anche se non si possono trascurare le ottime interpretazioni di Giuseppe De Martino e Salvatore De Muto che, pur dando ottimi saggi di recitazione, non seppero ridare alla maschera napoletano quel lustro e quella fama che gli aveva dato Antonio Petito. |
Post n°21 pubblicato il 03 Gennaio 2007 da corenapulitano
Il teatro San Carlino fu costruito, per la prima volta, nel 1740. Il teatro si trovava in largo del Castello, ed era poco più di una baracca ed era affidato ai Tomeo. Il capostipite dei Tomeo era Michele Tomeo, che dal 1734 fu impresario di un teatro detto "La Cantina", sito in piazza del Castello, e che, con una oculata gestione, tenne in vita fino alla sua morte, avvenuta nel 1762. Il Tomeo riuscì a resistere a tutte quelle "baracche" (piccoli palcoscenici in legno) che in quei tempi nascevano dalla sera alla mattina, e con la stessa rapidità morivano, ed anche al primo San Carlino, che fu edificato proprio di fronte alla "Cantina", e che poi, grazie anche ai discendenti del Tomeo, visse negli anni successivi ben altri gloriosi fasti. Ed ecco cosa scriveva Samuel Sharp circa il teatro di piazza Castello: Oggi al posto del San Carlino vi troviamo la sede della banca d’Italia, non vi è nemmeno una targa a ricordo dei grandi artisti che fecero grande quel teatro, nel San Carlino nasce la parodia, la comicità, lo sfottò. Basti pensare che in quegli anni nessuno poteva osare prendere in giro il Re, a parte gli attori del San Carlino che nelle loro parodie potevano sberleffare anche la famiglia reale, e si racconta addirittura, che lo stesso Ferdinando IV di Borbone preferiva disertare il San Carlo dove i nobili andavano a sentire le opere e a vedere i drammi, per andare al San Carlino travestito da Lazzaro per confondersi con la folla. |
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