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Crostata e pesche ultra carburante per l'Etna
E’ partito a mezza notte da Palermo, in auto dopo una giornata di lavoro, alla volta dell’Etna. A fargli compagnia c’era una bella crostata da un kg ed alcune pesche, man mano che il viaggio procedeva la crostata e le pesche diminuivano.
Sembrava quasi di non arrivare mai da Palermo a Messina da Messina a Giarre e poi fino a Linguaglossa e poi ancora a Piano Provenzana, della crostata e delle pesche non c’era più traccia. Era buio e faceva freddo, più o meno 10°C, piacevoli dopo il caldo dei giorni precedenti, ma anche troppo freddo per non vestirsi un po’ di più in attesa della partenza. Il tempo di scambiare due chiacchere tra facce assonnate e qualcuno che si lamentava per il freddo e si iniziò a correre. Alcuni erano vestiti a strati di abbigliamento tecnico, zaini costellati di borracce, armati di bastoncini telescopici, il nostro amico era in pantaloncini ed maglietta a maniche corte una borraccia ed quel che serviva di dotazione obbligatoria nelle tasche della maglia.
Lo guardavano un po’ stupiti perché non sentiva freddo, ma dopo appena un km nessuno sentiva più freddo e si dovettero spogliare. Anche questa volta era partito tra gli ultimi, conosceva quel percorso, inutile avere fretta 64km sono tanti anche se si inizia in discesa.
E chilometro dopo chilometro inizia a recuperare posizioni, salita e discesa che sia tiene un passo che gli sta comodo senza strafare. Qualcuno prova a stargli dietro, lo avverte bonariamente: -con questo passo arrivo intorno alle 10 ore forse qualcosa meno, ma guarda che è lunga, è ancora lunga, se vuoi seguirmi non ci sono problemi ma è dura.
In più di qualcuno prova a seguirlo, ma dopo 2, 5 o 10 km lo lasciano andare preferiscono tenere il proprio passo.
Purtroppo la discesa annuncia qualche disagio, il piede scivola nella scarpa ed un dito si fa pesto alla svelta. Prova a sistemare le ghette, ad aggiustare le stringhe, ma niente continua a battere sempre quel dito insopportabilmente. Le ore passano, i chilometri di sentiero scorrono, la crostata e le pesche della notte sono carburante potente e qualche piccola aggiunta ad ogni ristoro integrano di volta in volta. Ad un ristoro gli dicono che è 18°, bene pensa lui, guarda l’orologio (non ha fatto partire il cronometro) fa il conto di quante ore ha già corso e quante ancora ne correrà, corre.
La salita è meglio della discesa, il dito non batte sulla scarpa, lo sguardo spazia sulla Montagna e le pendici, ma il più delle volte è rivolto al punto più alto.
Non sembra arrivare mai quel punto più alto, ancora metri e metri, neri e aguzzi di lava rappresa, di cespugli spinosi, di sole caldo, e di aria di montagna.
Poi arriva la discesa, l’ultima lunghissima, terribile per le sue dita peste, per quel continuo insopportabile urtare sulla punta della scarpa, per le vesciche. L’avrebbe divorata saltando quella discesa nella cenere lavica, ed invece perde qualche posizione guadagnata in salita, ma ormai la gara è fatta, manca poco, si ripete.
Si vede l’arrivo si sentono le voci dello speaker. Ecco il traguardo, i saluti con gli amici arrivati prima e con quelli che man mano arrivano. C’è il tempo di cambiarsi, mangiare e riposare un po’. E’ già l’ora di tornare ma non prima di un bagno a Marina di Cottone, dove i muscoli stanchi si confrontano con l’acqua fredda dello Jonio e si risvegliano.
foto A. Ponari (http://ultramaratone.maratone.dintorni.over-blog.it/)
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