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Dispiacere, non senso di colpa

Post n°488 pubblicato il 22 Settembre 2021 da Hanahr

La terapia è come il passo del gambero: uno avanti e due indietro.
Quando penso di aver afferrato il punto e averlo focalizzato dentro di me, ripiombo velocemente negli schemi già conosciuti, quelli autodistruttivi che non mi fanno sentire libera di essere ciò che vorrei.
Dentro di me è in atto un cambiamento, e a volte ho l'impressione che sto cercando di sabotarlo.
Mano a mano che emergono dettagli, ricordi e sensazioni della mia infanzia, adolescenza e contemporaneità, mi rendo sempre più conto di quanto la figura di mio padre sia stata schiacciante, di quanto ancora lo sia. Perché inevitabilmente desideriamo l'approvazione proprio da coloro che meno sono in grado di darcela.
E mano a mano che approfondisco me stessa, che cerco di focalizzarmi su come sto io, capisco sempre più lui e il suo approccio alla genitorialità.
Spesso mi sono sentita (mi sento tutt'ora) non abbastanza, in fallo, in errore, alla ricerca disperata di quel premio, di essere all'altezza. Ma forse quello che non si è mai sentito all'altezza, quello che si è sempre sentito fuori posto, era solo lui.
Come ha detto anche ieri sera la terapista: ora sono io che, incosciamente, mi faccio mettere all'angolo come se avessi ancora dieci anni. E forse è tempo di trasformare quel perenne senso di colpa in qualcosa di diverso, nel dispiacere per il fatto che lui (e mia madre) non sono in grado di vedere davvero ciò che sono ora, ciò in cui mi sto piano piano cambiando.
Una donna adulta, forte, bella, capace.
E per quanto li ami, per quanto sia addolorata dalla loro cecità, non devo vivere più con questo peso addosso. L'amore di un genitore è sicuramente infinito, ma spesso è miope. Un genitore vedrà sempre i propri figli con un filtro distorcente, come se avessero sempre 5 anni, come se seguissero sempre gli stessi schemi dell'infanzia e si rapportassero al mondo sempre nello stesso modo.
Io non mi sento libera di essere me stessa con loro, in verità forse non sono mai stata libera di sentirmi me stessa con loro. MI sono sempre adeguata a quel loro filtro e forse va bene così, perché in un modo o nell'altro tutti tendiamo ad adattarci alle aspettative degli altri, ma perché dovrei sentirmi ancora in colpa se non corrispondo alle loro idee preconcette?
Forse non sono la figlia che avrebbero voluto, ma devo imparare, lentamente, faticosamente, ad essere la persona che voglio io.
Questo ovviamente non vuol dire chiudere con loro, smettere di voler loro bene, smettere di essere la loro figlia, ma forse solo smettere di sentirmi imprigionata dai loro schemi, dalle loro frustrazioni, dal loro senso di inadeguatezza come genitori. E non vorrei nemmeno che fosse una gara alla colpevolizzazione.
So che mi amano molto, so che nel loro modo a volte contorto di rapportarsi, vogliono e hanno sempre voluto il mio bene, ma devo essere io a volere il mio bene a scegliere un percorso svincolato da quel senso di aspettative che hanno proiettato su di me.
A volte vivo questa sensazione con un senso di fallimento, ritrovarsi alla mia età facendo ragionamenti degni di un'adolescente, ma non è importante il quando, ma il come si decide di intraprendere la propria crescita, anche adesso, anche accettando che fino a questo momento non si è avuto il coraggio di guardarle davvero queste ferite, perché ho sempre preferito coprirle e nasconderle.
Non esiste il momento giusto, esiste il mio momento e mi auguro che piano piano arriverà.

 
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