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passioni apatiche nel Paese del mah

Post n°58 pubblicato il 03 Febbraio 2008 da p_i_a_n_o
 
Foto di p_i_a_n_o

" Mancheranno due mesi e mezzo alle elezioni. Giorno più, giorno meno. L´incarico esplorativo affidato a Marini dal presidente Napolitano, allo scopo di formare un governo tecnico che riformi il sistema elettorale, risponde a un fine giusto quanto impraticabile. Scrivere una legge elettorale peggiore di quella attuale è, certamente, una missione impossibile. Ma l´idea di comporre, in qualche mese, orientamenti e interessi apertamente divergenti, anche fra partiti dello stesso
schieramento, lo è altrettanto. Se non al prezzo di compromessi improbabili.
Col rischio di passare dal "porcellum" al "pasticcium". Per
questo conviene essere realisti. La campagna elettorale è già cominciata (anche
se non è mai finita). Difficile credere a governi di "pacificazione".
Visto il clima politico di questa breve legislatura, la stessa formula appare
sarcastica. Una presa in giro. Neppure le associazioni economiche, che pure
hanno sostenuto questa esigenza, ci credono davvero. Al più, auspicano, come ha fatto ieri Montezemolo, una fase costituente. Ma "dopo" le elezioni. Tuttavia, sbaglia chi vede nel voto una svolta, in grado di scuotere l´opinione
pubblica. Un colpo di cancellino e via: il passato è passato. Si ricomincia
daccapo. In effetti, dubitiamo che ciò possa avvenire. E, a nostro avviso, ne
dubitano gli stessi italiani. I quali guardano al prossimo voto senza troppe
illusioni. D´altronde, voltar pagina potrebbe significare il ritorno, due anni
dopo, della stessa coalizione che ha governato il Paese dal 2001 al 2006. Un
uomo solo al comando: Silvio Berlusconi. E intorno Fini, Casini, Bossi. Magari
insieme ad alcune "new entries": Mastella e Dini. Insomma: il nuovo
che avanza. Difficile che questa prospettiva possa restituire speranza ai
cittadini. Come era avvenuto nel 2001, quando, davvero, molti italiani si
affidarono al Cavaliere perché, dopo tanti sacrifici, volevano finalmente
essere felici. Pochi anni e la speranza finì sepolta sotto una valanga di
delusione. Da cui Prodi e il governo di centrosinistra non sono riusciti a
liberarli. Al contrario. Tuttavia, pensare che gli italiani possano affrontare
con entusiasmo la prossima scadenza elettorale. Che ritengano sul serio la CdL (divisa da ambizioni
personali e di partito, ma unita dal "porcellum" e dal Cavaliere)
capace di cambiare l´Italia, rilanciare l´economia, ricucire gli strappi della
società, ricostruire un clima di fiducia. Sembra sinceramente troppo. Diciamo,
allora, che gli italiani si sono adattati a vivere questa "vita in
diretta". On-line. Come su Internet. Dove navighi a vista, visiti siti e
incontri persone, comunichi e giochi. Poi, quando sei stanco, spegni e
riaccendi. Se il computer non funziona, resetti. E ricominci. Tutto come prima. Siamo un Paese attraversato da "passioni apatiche". Scosso da emozioni
sterili. Arrabbiato per default. Si va al voto, si reclamano elezioni subito,
senza illudersi che serva veramente. Che le cose possano cambiare
sostanzialmente. Un po´ come i processi infiniti, che vanno in onda a tempo
pieno e si svolgono sotto gli occhi di tutti. Un tempo erano confinati in uno
spazio dedicato: "un giorno in pretura". Poi si sono trasferiti
"tutti i giorni da Vespa, Mentana e Cucuzza". Con i protagonisti
presenti, al gran completo: avvocati, imputati, testimoni, magistrati,
psicologi, preti, criminologi, criminali, giornalisti, esperti. Affiancati da
politici, veline e cuochi. I processi e le indagini si svolgono in diretta, sui
media, perché non importa giungere a una soluzione. Scoprire i colpevoli. Anzi:
è vero il contrario. Infatti, spesso, raggiunto il successo mediatico, i casi
certi diventano incerti. I colpevoli predestinati diventano presunti e poi
neppure quello. Cogne, Garlasco, Perugia. Oggi perfino Erba. Il che, da un
certo punto di vista, è bene. Perché è giusto che la giustizia sia giusta. Ma
il problema è un altro. Le persone si sono abituate al caso insoluto. O meglio
ancora: il caso - personaggi e interpreti - per loro diventa più interessante
della soluzione. "Passioni apatiche". Appunto. Questo Paese dei casi insoluti, dei governi incompiuti, delle transizioni
eterne. (Dopo 16 anni è lecito definire l´Italia una "Repubblica
transitoria"). Ormai assiste all´esplosione di emergenze che diventano
normali. Guarda Napoli, sepolta dai rifiuti. Da settimane, mesi. E immagina che
lo sarà ancora: fra settimane e mesi. (Tanto più, visto che il disgusto e la
protesta costituiranno importanti temi di campagna elettorale, determinanti ai
fini del risultato). Così gli scandali, sollevati a colpi di intercettazioni pubblicate e riprodotte
sui media. Interpretate in tv, come fiction. Ormai ritornano, a ritmo regolare.
E investono, in modo bipolare, destra e sinistra. Per cui nessuno, ormai, crede
che verranno davvero risolti. Che si giungerà a una soluzione definita e
definitiva. Che qualcuno pagherà. Un po´ come la grande enfasi sulla Casta. Che
infuria da mesi e mesi. Contro i privilegi della politica e della
sottopolitica. Dei politici e dei sottopolitici. Che abitano le stanze del
Palazzo e delle palazzine di provincia. Fin qui, è servita a produrre
best-seller editoriali, a elevare gli indici di ascolto delle trasmissioni
televisive, a generare una miriade di blog e di meet-up di denuncia e protesta.
E a promuovere manifestazioni partecipate e indignate. Con il risultato che
alle prossime elezioni voteremo con la stessa legge elettorale, per liste
decise dalle segreterie nazionali, senza possibilità di scelta per i cittadini.
In altri termini: passeremo dalla Casta alla Casta. Questa rabbia sterile e diffusa: invade la vita quotidiana e contamina il
linguaggio. Fino a divenire un genere, uno stile di comunicazione. Fa vendere
giornali e alza l´audience delle trasmissioni. La denuncia gridata,
personalizzata, senza soluzione di continuità, a lungo andare, mitridatizza
tutti. Perché ci si assuefa, in fondo. A questo mondo di ladri e malviventi.
Veri e presunti. Inseguiti dagli inviati di Striscia e delle Iene. Intercettati
da servizi segreti e agenzie private. Denunciati sui media, da cui ottengono
spazio e visibilità. Fino a divenire, a loro volta, protagonisti. Eroi.
Negativi: ma pur sempre eroi. Al centro della scena. Questa protesta che dilaga ovunque, senza trovare soluzione. Sbocco. Quasi un
fenomeno espressivo: si protesta per liberare il risentimento che sentiamo
dentro di noi. Ma non per "ottenere". Al massimo per
"impedire". Per porre e imporre veti. Rassegnandosi, però, a non
cambiare. Queste "passioni apatiche": generano una società impassibile. Che
accetta le divisioni, perfino le contrapposizioni più radicali, senza reazioni
forti. Pensiamo alle tensioni territoriali, alla frattura tra Nord e Sud. Aveva
suscitato mobilitazioni violente, quindici anni fa, sulla spinta della Lega.
Oggi sono date per scontate. A Nord: i cittadini vivono e gli imprenditori
producono "come se" Roma non ci fosse. Votano Lega o Forza Italia.
Per inerzia. Mentre in gran parte del Mezzogiorno prevale la rassegnazione ad
essere tornati "Sud". Periferia economica e sociale. Che usa la
politica come una risorsa particolarista e localista. Più della legge elettorale, delle elezioni anticipate, del
"porcellum" e del governo tecnico, è questo cielo grigio, è
l´atmosfera uggiosa di questi giorni, che ci preoccupa maggiormente. Questo
scenario in cui ciascuno è indotto ad arrangiarsi (l´arte in cui gli italiani
riescono meglio – secondo gli italiani stessi). Questo Paese del mah…
("Come ti va?". "Mah…")." (Ilvo Diamanti)

 
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parentopoli all'università di Foggia

Post n°57 pubblicato il 30 Gennaio 2008 da p_i_a_n_o
 
Foto di p_i_a_n_o

" Del prof. Antonio Muscio si ricorda l´ultima crociata anti nepotistica: la facoltà di Economia stava per assumere come ricercatrice la moglie del professor Corrado Crocetta, docente anche lui in quella facoltà, e Antonio Muscio, magnifico rettore dell´Università di Foggia, balzò sulla sedia: «Farò tutt gli accertamenti del caso, il fascicolo è congelato» disse
ai giornali. Per poi però firmare l´assunzione della ricercatrice Laura
Antonucci, la signora Crocetta appunto: «Me lo impone la legge» confidò
agli stessi quotidiani come per scusarsi. «Certo non è una
bell´immagine per l´ateneo di Foggia». All´immagine Antonio Muscio
evidentemente deve tenerci tanto. Soprattutto a quella della sua
famiglia. Almeno a osservare la sua fitta ragnatela di parentele
all´interno dell´ateneo foggiano, incroci tutti ricostruiti in un
accurato esposto anonimo indirizzato a procure e giornali.
Antonio Muscio è professore ordinario in Zootecnia speciale ed è rettore
dell´università di Foggia da quando l´ateneo esiste. Il suo mandato sta
per scadere, dopo nove anni passati sulla poltrona di Magnifico: nove
anni, nonostante lo statuto preveda che un rettore può durare al
massimo sei anni. Fu però Muscio stesso, nel corso del suo mandato, ad
approvare una norma secondo la quale il suo primo incarico non era da
conteggiare trovandosi ancora la facoltà in un regime di transizione.
Era infatti il prorettore dell´ateneo barese incaricato di seguire la
nascita dell´università di Foggia. In questi anni, Muscio non è certo
rimasto da solo. Con lui ha lavorato per lungo tempo Aurelia Eroli, sua
moglie, ora in pensione: era una dirigente del personale
tecnico-amministrativo. Stesso ruolo che oggi ricoprono Rossana Muscio,
sua figlia, ed Eliana Eroli, sua nipote. Rossana è sposata con Ivan
Cincione, che nel 2004 ha vinto un posto da ricercatore in Patologia
clinica alla facoltà di medicina. Moglie, figlia, nipote, genero. E
anche sorella del genero: Pamela Cincione è anche lei una dipendente
dell´ateneo. Ma c´è ancora un sogno nella famiglia Muscio. Il magnifico
rettore vorrebbe, come ogni padre, che suo figlio ripercorresse le sue
orme. E così il giovane Alessandro, economista, sta partecipando a un
concorso da ricercatore in economia applicata alla facoltà di Agraria.
«Aveva diritto di fare quella domanda come un qualsiasi altro
cittadino: perché avrei dovuto negarglielo?» si chiede il padre. Che
spera che il figlio vinca quel posto anche per un discorso di
ricongiungimento familiare: la moglie di Alessandro, Janise Laverse, è
una dipendente della facoltà di Agraria.
La storia di Muscio è finita anche sui tavoli dell´Alto commissario anticorruzione, il
prefetto Achille Serra, che sta indagando sul sistema universitario in
Italia. E che a fine del 2007 ha inviato a Procura, ministero e Corte
dei conti un dossier di denuncia contro l´Accademia delle belle arti di
Lecce, dove un docente su tre è parente. Muscio, però, non è certo
l´unico a Foggia a pensare alla famiglia. L´attuale prorettore, Matteo
Di Biase, è uno dei candidati alla sua successione. E´ cardiologo di
chiara fama e suo figlio Luigi un giorno vorrebbe diventare come lui.
E´ sulla buona strada: cardiologo come papà, un anno fa ha vinto un
concorso da ricercatore in Malattie dell´apparato cardiovascolare
bandito proprio dall´ateneo foggiano. Sicuramente però si tratterà di
un caso. Così come è certamente un caso che la famiglia Crocetta -
quella che mise in imbarazzo il povero rettore Muscio - si sia
ritrovata sotto il tetto della facoltà di Economia: essendo la loro
materia, marito e moglie non avranno difficoltà a spiegare che è
statisticamente provato che si tratta di coincidenza. E´ casualità pura
anche che Francesca e Vito Sivo, padre e figlia, si trovino entrambi
alla facoltà di Lettere.
Così come si possono spiegare soltanto
con la perfidia del fato gli incredibili scambi che sovente accadono
tra professori. Caterina Berardi è la nuora dell´ex rettore
dell´Università di Bari, Giovanni Girone. È ricercatrice a Foggia in
Storia del cristianesimo e delle chiese. Il dipartimento è quello di
Tradizione e fortuna dell´antico, lo stesso dove lavora l´ordinario
Francesco Marin. Bene, la figlia del professore, la giovane Claudia, a
maggio del 2006 è diventata anche lei ricercatrice. Insegna a Bari,
facoltà di Scienze della formazione, Statistica. La stessa disciplina
del buon Girone. Caso simile è in quello in cui è incappato Fabrizio
Palasciano, figlio di Giuseppe, ordinario di medicina interna a Bari.
Fabrizio è dottore di ricerca in «Archeologia e didattica dei beni
culturali» a Foggia. La preside della facoltà è Franca Pinto Minerva
che, per la sua carica, fa parte anche del collegio dei docenti del
dottorato. Il figlio della professoressa, Francesco Minerva, è invece
un medico. Specializzato da poco in medicina interna: il suo direttore
è stato Palasciano padre.
Recentemente l´Università di Foggia è
stata chiamata in causa, seppur indirettamente, per un caso di
Raccomandopoli. Il procuratore capo del tribunale, Vincenzo Russo,
prometteva a uno degli uomini di fiducia dell´ex ministro della
Giustizia, Clemente Mastella, tale Lucariello, un interessamento con il
Rettore per sua nipote che aspirava a entrare a far parte della scuola
di specializzazione di Ginecologia. «Dammi tutti i dati» diceva il
procuratore. Alla fine, però, non se ne fece più niente." (Giuliano Foschini, giornalista di Repubblica)

 
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i soldi della chiesa

Post n°56 pubblicato il 26 Gennaio 2008 da p_i_a_n_o
 
Foto di p_i_a_n_o

" La chiesa cattolica è l´unica religione a disporre di una dottrina sociale, fondata sulla lotta alla povertà e la demonizzazione del danaro, «sterco del diavolo». Vangelo secondo Matteo: «E´ più facile che un cammello passi nella cruna dell´ago, che un ricco entri nel regno dei cieli». Ma è anche l´unica religione ad avere una propria
banca per maneggiare affari e investimenti, l´Istituto Opere Religiose.
La sede dello Ior è uno scrigno di pietra all´interno delle mura
vaticane. Una suggestiva torre del Quattrocento, fatta costruire da
Niccolò V, con mura spesse nove metri alla base. Si entra attraverso
una porta discreta, senza una scritta, una sigla o un simbolo. Soltanto
il presidio delle guardie svizzere notte e giorno ne segnala
l´importanza. All´interno si trovano una grande sala di computer, un
solo sportello e un unico bancomat. Attraverso questa cruna dell´ago
passano immense e spesso oscure fortune. Le stime più prudenti
calcolano 5 miliardi di euro di depositi
. La banca vaticana offre ai
correntisti, fra i quali come ha ammesso una volta il presidente Angelo
Caloia «qualcuno ha avuto problemi con la giustizia», rendimenti
superiori ai migliori hedge fund e un vantaggio inestimabile: la totale
segretezza. Più impermeabile ai controlli delle isole Cayman, più
riservato delle banche svizzere, l´istituto vaticano è un vero paradiso
(fiscale) in terra. Un libretto d´assegni con la sigla Ior non esiste.
Tutti i depositi e i passaggi di danaro avvengono con bonifici, in
contanti o in lingotti d´oro. Nessuna traccia. Da vent´anni,
quando si chiuse il processo per lo scandalo del Banco Ambrosiano, lo
Ior è un buco nero in cui nessuno osa guardare. Per uscire dal crac che
aveva rovinato decine di migliaia di famiglie, la banca vaticana versò
250 milioni di dollari ai liquidatori. Meno di un quarto rispetto ai
1.159 milioni di dollari dovuti secondo l´allora ministro del Tesoro,
Beniamino Andreatta. Lo scandalo fu accompagnato da infinite leggende e
da una scia di cadaveri eccellenti. Michele Sindona avvelenato nel
carcere di Voghera, Roberto Calvi impiccato sotto il ponte dei Frati
Neri a Londra, il giudice istruttore Emilio Alessandrini ucciso dai
colpi di Prima Linea, l´avvocato Giorgio Ambrosoli freddato da un
killer della mafia venuto dall´America al portone di casa. Senza
contare il mistero più inquietante, la morte di papa Luciani, dopo soli
33 giorni di pontificato, alla vigilia della decisione di rimuovere
Paul Marcinkus e i vertici dello Ior. Sull´improvvisa fine di Giovanni
Paolo I si sono alimentate macabre dicerie, aiutate dalla reticenza
vaticana. Non vi sarà autopsia per accertare il presunto e fulminante
infarto e non sarà mai trovato il taccuino con gli appunti sullo Ior
che secondo molti testimoni il papa portò a letto l´ultima notte. Era
lo Ior di Paul Marcinkus, il figlio di un lavavetri lituano, nato a
Cicero (Chicago) a due strade dal quartier generale di Al Capone,
protagonista di una delle più clamorose quanto inspiegabili carriere
nella storia recente della chiesa. Alto e atletico, buon giocatore di
baseball e golf, era stato l´uomo che aveva salvato Paolo VI
dall´attentato nelle Filippine. Ma forse non basta a spiegare la
simpatia di un intellettuale come Montini, autore della più avanzata
enciclica della storia, la Populorum Progressio, per questo prete
americano perennemente atteggiato da avventuriero di Wall Street, con
le mazze da golf nella fuoriserie, l´Avana incollato alle labbra, le
stupende segreterie bionde e gli amici di poker della P2. Con il
successore di papa Luciani, Marcinkus trova subito un´intesa. A Karol
Wojtyla piace molto quel figlio di immigrati dell´Est che parla bene il
polacco, odia i comunisti e sembra così sensibile alle lotte di
Solidarnosc. Quando i magistrati di Milano spiccano mandato d´arresto
nei confronti di Marcinkus, il Vaticano si chiude come una roccaforte
per proteggerlo, rifiuta ogni collaborazione con la giustizia italiana,
sbandiera i passaporti esteri e l´extraterritorialità. Ci vorranno
altri dieci anni a Woytjla per decidersi a rimuovere uno dei principali
responsabili del crac Ambrosiano dalla presidenza dello Ior. Ma senza
mai spendere una parola di condanna e neppure di velata critica:
Marcinkus era e rimane per le gerarchie cattoliche «una vittima», anzi
«un´ingenua vittima».
Dal 1989, con l´arrivo alla presidenza di
Angelo Caloia, un galantuomo della finanza bianca, amico e
collaboratore di Gianni Bazoli, molte cose dentro lo Ior cambiano.
Altre no. Il ruolo di bonificatore dello Ior affidato al laico Caloia è
molto vantato dalle gerarchie vaticane all´esterno quanto ostacolato
all´interno, soprattutto nei primi anni. Come confida lo stesso Caloia
al suo diarista, il giornalista cattolico Giancarlo Galli, autore di un
libro fondamentale ma introvabile, Finanza bianca (Mondadori, 2003).
«Il vero dominus dello Ior - scrive Galli - rimaneva monsignor Donato
De Bonis, in rapporti con tutta la Roma che contava, politica e
mondana. Francesco Cossiga lo chiamava Donatino, Giulio Andreotti lo
teneva in massima considerazione. E poi aristocratici, finanzieri,
artisti come Sofia Loren. Questo spiegherebbe perché fra i conti si
trovassero anche quelli di personaggi che poi dovevano confrontarsi con
la giustizia. Bastava un cenno del monsignore per aprire un conto
segreto». A volte monsignor De Bonis accompagnava di persona i
correntisti con i contanti o l´oro nel caveau, attraverso una scala, in
cima alla torre, «più vicino al cielo». I contrasti fra il presidente
Caloia e De Bonis, in teoria sottoposto, saranno frequenti e duri.
Commenta Giancarlo Galli: «Un´aurea legge manageriale vuole che, in
caso di conflitto fra un superiore e un inferiore, sia quest´ultimo a
soccombere. Ma essendo lo Ior istituzione particolarissima, quando un
laico entra in rotta di collisione con una tonaca non è più questione
di gradi». La glasnost finanziaria di Caloia procede in ogni caso
a ritmi serrati, ma non impedisce che l´ombra dello Ior venga evocata
in quasi tutti gli scandali degli ultimi vent´anni. Da Tangentopoli
alle stragi del ‘93 alla scalata dei «furbetti» e perfino a Calciopoli.
Ma come appare, così l´ombra si dilegua. Nessuno sa o vuole guardare
oltre le mura impenetrabili della banca vaticana. L´autunno del
1993 è la stagione più crudele di Tangentopoli. Subito dopo i suicidi
veri o presunti di Gabriele Cagliari e di Raul Gardini, la mattina del
4 ottobre arriva al presidente dello Ior una telefonata del procuratore
capo del pool di Mani Pulite, Francesco Saverio Borrelli: «Caro
professore, ci sono dei problemi, riguardanti lo Ior, i contatti con
Enimont...». Il fatto è che una parte considerevole della «madre di
tutte le tangenti», per la precisione 108 miliardi di lire in
certificati del Tesoro, è transitata dallo Ior. Sul conto di un vecchio
cliente, Luigi Bisignani, piduista, giornalista, collaboratore del
gruppo Ferruzzi e faccendiere in proprio, in seguito condannato a 3
anni e 4 mesi per lo scandalo Enimont e di recente rispuntato
nell´inchiesta "Why Not" di Luigi De Magistris. Dopo la telefonata di
Borrelli, il presidente Caloia si precipita a consulto in Vaticano da
monsignor Renato Dardozzi, fiduciario del segretario di Stato Agostino
Casaroli. «Monsignor Dardozzi - racconterà a Galli lo stesso Caloia -
col suo fiorito linguaggio disse che ero nella merda e, per farmelo
capire, ordinò una brandina da sistemare in Vaticano. Mi opposi,
rispondendogli che avrei continuato ad alloggiare all´Hassler. Tuttavia
accettai il suggerimento di consultare d´urgenza dei luminari di
diritto. Una risposta a Borrelli bisognava pur darla!». La risposta
sarà di poche ma definitive righe: «Ogni eventuale testimonianza è
sottoposta a una richiesta di rogatoria internazionale». I magistrati
del pool valutano l´ipotesi della rogatoria. Lo Ior non ha sportelli in
terra italiana, non emette assegni e, in quanto «ente fondante della
Città del Vaticano», è protetto dal Concordato: qualsiasi richiesta
deve partire dal ministero degli Esteri. Le probabilità di ottenere la
rogatoria in queste condizioni sono lo zero virgola. In compenso
l´effetto di una richiesta da parte dei giudici milanesi sarebbe
devastante sull´opinione pubblica. Il pool si ritira in buon ordine e
si accontenta della spiegazione ufficiale: «Lo Ior non poteva conoscere
la destinazione del danaro». Il secondo episodio, ancora più cupo,
risale alla metà degli anni Novanta, durante il processo per mafia a
Marcello Dell´Utri. In video conferenza dagli Stati Uniti il pentito
Francesco Marino Mannoia rivela che «Licio Gelli investiva i danari dei
corleonesi di Totò Riina nella banca del Vaticano». «Lo Ior garantiva
ai corleonesi investimenti e discrezione». Fin qui Mannoia fornisce
informazioni di prima mano. Da capo delle raffinerie di eroina di tutta
la Sicilia occidentale, principale fonte di profitto delle cosche. Non
può non sapere dove finiscono i capitali mafiosi. Quindi va oltre, con
un´ipotesi. «Quando il Papa (Giovanni Paolo II, ndr) venne in Sicilia e
scomunicò i mafiosi, i boss si risentirono soprattutto perché portavano
i loro soldi in Vaticano. Da qui nacque la decisione di far esplodere
due bombe davanti a due chiese di Roma». Mannoia non è uno qualsiasi.
E´ secondo Giovanni Falcone «il più attendibile dei collaboratori di
giustizia», per alcuni versi più prezioso dello stesso Buscetta. Ogni
sua affermazione ha trovato riscontri oggettivi. Soltanto su una non si
è proceduto ad accertare i fatti, quella sullo Ior. I magistrati del
caso Dell´Utri non indagano sulla pista Ior perché non riguarda
Dell´Utri e il gruppo Berlusconi, ma passano le carte ai colleghi del
processo Andreotti. Scarpinato e gli altri sono a conoscenza del
precedente di Borrelli e non firmano la richiesta di rogatoria. Al
palazzo di giustizia di Palermo qualcuno in alto osserva: «Non ci siamo
fatti abbastanza nemici per metterci contro anche il Vaticano?». Sulle
trame dello Ior cala un altro sipario di dieci anni, fino alla scalata
dei "furbetti del quartierino". Il 10 luglio dell´anno scorso il capo
dei "furbetti", Giampiero Fiorani, racconta in carcere ai magistrati:
«Alla Bsi svizzera ci sono tre conti della Santa Sede che saranno, non
esagero, due o tre miliardi di euro». Al pm milanese Francesco Greco,
Fiorani fa l´elenco dei versamenti in nero fatti alle casse vaticane:
«I primi soldi neri li ho dati al cardinale Castillo Lara (presidente
dell´Apsa, l´amministrazione del patrimonio immobiliare della chiesa,
ndr), quando ho comprato la Cassa Lombarda. M´ha chiesto trenta
miliardi di lire, possibilmente su un conto estero». Altri seguiranno,
molti a giudicare dalle lamentele dello stesso Fiorani nell´incontro
con il cardinale Giovanni Battista Re, potente prefetto della
congregazione dei vescovi e braccio destro di Ruini: «Uno che vi ha
sempre dato i soldi, come io ve li ho sempre dati in contanti, e andava
tutto bene, ma poi quando è in disgrazia non fate neanche una
telefonata a sua moglie per sapere se sta bene o male». Il
Vaticano molla presto Fiorani, ma in compenso difende Antonio Fazio
fino al giorno prima delle dimissioni, quando ormai lo hanno
abbandonato tutti. Avvenire e Osservatore Romano ripetono fino
all´ultimo giorno di Fazio in Bankitalia la teoria del «complotto
politico» contro il governatore. Del resto, la carriera di questo
strano banchiere che alle riunioni dei governatori centrali non ha mai
citato una volta Keynes ma almeno un centinaio di volte le encicliche,
si spiega in buona parte con l´appoggio vaticano. In prima persona di
Camillo Ruini, presidente della Cei, e poi di Giovanni Battista Re,
amico intimo di Fazio, tanto da aver celebrato nel 2003 la messa per il
venticinquesimo anniversario di matrimonio dell´ex governatore con
Maria Cristina Rosati. Naturalmente neppure i racconti di Fiorani
aprono lo scrigno dei segreti dello Ior e dell´Apsa, i cui rapporti con
le banche svizzere e i paradisi fiscali in giro per il mondo sono
quantomeno singolari. E´ difficile per esempio spiegare con esigenze
pastorali la decisione del Vaticano di scorporare le Isole Cayman dalla
naturale diocesi giamaicana di Kingston, per proclamarle "missio sui
iuris" alle dirette dipendenze della Santa Sede e affidarle al
cardinale Adam Joseph Maida, membro del collegio dello Ior.
Il
quarto e ultimo episodio di coinvolgimento dello Ior negli scandali
italiani è quasi comico rispetto ai precedenti e riguarda Calciopoli.
Secondo i magistrati romani Palamara e Palaia, i fondi neri della Gea,
la società di mediazione presieduta dal figlio di Moggi, sarebbero
custoditi nella banca vaticana. Attraverso i buoni uffici di un altro
dei banchieri di fiducia della Santa Sede dalla fedina penale non
immacolata, Cesare Geronzi, padre dell´azionista di maggioranza della
Gea. Nel caveau dello Ior sarebbe custodito anche il "tesoretto"
personale di Luciano Moggi, stimato in 150 milioni di euro. Al solito,
rogatorie e verifiche sono impossibili. Ma è certo che Moggi gode di
grande considerazione in Vaticano. Difeso dalla stampa cattolica
sempre, accolto nei pellegrinaggi a Lourdes dalla corte di Ruini, Moggi
è da poco diventato titolare di una rubrica di "etica e sport" su
Petrus, il quotidiano on-line vicino a papa Benedetto XVI, da dove l´ex
dirigente juventino rinviato a giudizio ha subito cominciato a
scagliare le prime pietre contro la corruzione (altrui). Con
l´immagine di Luciano Moggi maestro di morale cattolica si chiude
l´ultima puntata dell´inchiesta sui soldi della Chiesa. I segreti dello
Ior rimarranno custoditi forse per sempre nella torre-scrigno. L´epoca
Marcinkus è archiviata ma l´opacità che circonda la banca della Santa
Sede è ben lontana dallo sciogliersi in acque trasparenti. Si sa
soltanto che le casse e il caveau dello Ior non sono mai state tanto
pingui e i depositi continuano ad affluire, incoraggiati da interessi
del 12 per cento annuo e perfino superiori. Fornire cifre precise è,
come detto, impossibile. Le poche accertate sono queste. Con oltre 407
mila dollari di prodotto interno lordo pro capite, la Città del
Vaticano è di gran lunga lo «stato più ricco del mondo», come si
leggeva nella bella inchiesta di Marina Marinetti su Panorama Economy.
Secondo le stime della Fed del 2002, frutto dell´unica inchiesta di
un´autorità internazionale sulla finanza vaticana e riferita soltanto
agli interessi su suolo americano, la chiesa cattolica possedeva negli
Stati Uniti 298 milioni di dollari in titoli, 195 milioni in azioni,
102 in obbligazioni a lungo termine, più joint venture con partner Usa
per 273 milioni. Nessuna autorità italiana ha mai avviato
un´inchiesta per stabilire il peso economico del Vaticano nel paese che
lo ospita. Un potere enorme, diretto e indiretto. Negli ultimi decenni
il mondo cattolico ha espugnato la roccaforte tradizionale delle
minoranze laiche e liberali italiane, la finanza. Dal tramonto di
Enrico Cuccia, il vecchio azionista gran nemico di Sindona, di Calvi e
dello Ior, la «finanza bianca» ha conquistato posizioni su posizioni.
La definizione è certo generica e comprende personaggi assai distanti
tra loro. Ma tutti in relazione stretta con le gerarchie
ecclesiastiche, con le associazioni cattoliche e con la prelatura
dell´Opus Dei. In un´Italia dove la politica conta ormai meno della
finanza, la chiesa cattolica ha più potere e influenza sulle banche di
quanta ne avesse ai tempi della Democrazia Cristiana." (Curzio Maltese )

 
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il disinteresse della scuola

Post n°55 pubblicato il 21 Gennaio 2008 da p_i_a_n_o
 
Foto di p_i_a_n_o

" Se non si dà apprendimento senza gratificazione emotiva, l'incuria dell'emotività, o la sua cura a livelli così sbrigativi da essere controproducenti, è il massimo rischio che oggi uno studente, andando a scuola, corre. E non è un rischio da poco perche, se è vero che la scuola è l'esperienza più alta in cui
si offrono i modelli di secoli di cultura, se questi modelli
restano contenuti della mente senza diventare spunti
formativi del cuore, il cuore comincerà a vagare senza
orizzonte in quel nulla inquieto e depresso che neppure il baccano
della musica giovanile riesce a mascherare. Quando
parlo di "cuore" parlo di ciò che nell'età evolutiva
dischiude alla vita, con quella forza disordinata e propulsiva
senza la quale difficilmente gli adolescenti troverebbero il
coraggio di proseguire l'impresa. Il sapere trasmesso a
scuola non deve comprimere questa forza, ma porsi al
suo servizio per consentirle un'espressione più articolata
in termini di scenari, progetti, investimenti, interessi.
Infine resta la vita, e il sapere lo strumento per meglio
esprimerla.Laddove invece il sapere diventa lo scopo e il profitto il metro per
misurarlo qualunque siano le condizioni d'esistenza in
cui una vita è riuscita a esprimersi, la scuola fallisce,
perche livella, quando non mortifica, soggettività nascenti in
nome di un presunto sapere oggettivo che serve a dare
identità più ai professori che agli studenti in affannosa
ricerca. "Causa prima" di devianza, rispetto a tutte le "cause seconde"
che la sociologia vede alla base del disagio giovanile, la
scuola si offre con quel volto irresponsabile di chi si tiene
fuori dai problemi connessi ai processi di crescita e, limitando
consapevolmente il suo spazio operativo, manifesta
quella falsa innocenza che l'oggettività del trattamento
(profitto-giudizio) è sempre disposta a concedere a chi non si
prende cura della soggettività dei giovani, perchè
mettervi le mani non garantisce di poterle tirar fuori davvero
pulite e disinfettate. Questi sono i problemi della scuola, problemi che si possono
risolvere solo con la formazlone, e non solo la preparazione,
di professori che abbiano come tensione della loro vita
la cura dei giovani. E come non si può fare i corazzieri
se si è alti un metro e cinquanta, cominciamo a chiederci
perche si può insegnare per il solo fatto di possedere una
laurea, senza alcuna richiesta in ordine alla competenza
psicologica, alla capacità di comunicazione, al
carisma. Sì, proprio il carisma. Tutti abbiamo conosciuto almeno un professore che è stato
decisivo nelle nostre scelte di vita. Perche questa possibilità
è sempre più ridotta per i giovani di oggi, quando la
psicologia ci insegna che i processi di identificazione con gli
adulti, le cariche emozionali che su di loro vengono
convogliate sono le prime condizioni per la costruzione di un
concetto di se così necessario per non brancolare nell'
oscillazione dell ' indeterminatezza ? La mancanza di formazione personale, infatti, se non porta gli
adolescenti al suicidio, li porta spesso là dove si spaccia
musica, alcol e droga, in quella deriva dell'esistere che è poi
quell'assistere allo scorrere della vita in terza persona
senza esserne granche coinvolti, in ritmi sempre più estremi
ed estranei. Per cui, in certo modo, ci si sente stranieri
nella propria vita, in quell'insipido trascorrere di giorni,
dove equivalente diventa esserci o non esserci, senza che
alcun gradiente faccia apparire la vita preferibile al suo nulla,
in quell'atmosfera opaca e spessa che si frappone tra se
e le proprie cose, che se ne vanno lontane da una vita che
avverte se stessa sempre più anonima e altra. A queste
forme di disagio si è soliti rispondere con quell'elenco
di riforme dove ciò che si prospetta sono autonomie
gestionali, rivalutazione della figura del preside, incentivi
materiali, nuovi programmi ministeriali messi a punto in
funzione di nuovi profili professionali, accorpamento di indirizzi
di studio, commissioni di esperti, informatizzazione di
questo e di quello, magnifici libri di testo, corsi integrativi,
corsi d'aggiornamento. L'unico fattore trascurato è il
frequente disinteresse emotivo e intellettuale dell'insegnante,
con trasmissione diretta allo studente, che tra i banchi di
scuola finisce per trovare solo quanto di più lontano e astratto
c'è in ordine alla sua vita, in quella calda stagione
dove il sapere non riesce, per difetto di trasmissione, a divenire
nutrimento della passione e suo percorso futuro." (Galimberti , L'ospite inquietante Feltrinelli 2007)

guarda il video

 
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è possibile far scomparire i rifiuti

Post n°54 pubblicato il 19 Gennaio 2008 da p_i_a_n_o
 
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“L’ansia da incenerimento totale che emerge leggendo alcune cronache sui fatti napoletani francamente mi sorprende: pensare che il problema dei rifiuti si
liquidi con la soluzione finale, con il rimedio miracoloso del grande fuoco, significa non aver capito la natura della questione e non conoscere le leggi europee che la governano… l´Italia rischia nuove procedure d’infrazione:
bisogna rispettare la normativa europea che mette al primo posto la riduzione
delle materie prime utilizzate. Al secondo posto il riuso degli oggetti. Al
terzo il riciclo dei materiali scartati. E solo al quarto, cioè solo per quella
piccola quota di rifiuti che non possono essere riciclati, l’incenerimento.
Riciclare significa dare un taglio robusto alla cosiddetta intensità
energetica, cioè alla quantità di energia necessaria per costruire un singolo
prodotto. Dai metalli al vetro, dalle plastiche alla carta, usare materiali
riciclati vuol dire comprimere la bolletta energetica. È questa l’altra faccia
dell’inquinamento evitato: il risparmio energetico che assicura un vantaggio
economico e nuovi posti di lavoro”  (Jeremy Rifkin)



“Sembrerebbe che l'emergenza rifiuti in Campania possa risolversi soltanto attraverso discariche ed inceneritori, senza la consapevolezza che ciò rappresenta una strategia politica di lungo periodo e non unicamente la risoluzione del contingente. Si vuole attuare una precisa scelta politica, oggetto di
ripensamento in tutta Europa, ovvero sbilanciare la gestione dei rifiuti sulla
realizzazione degli impianti, piuttosto che sulla politica delle "r": a) riduzione dei consumi; b) raccolta differenziata; c) recupero; d) riparazione; e) riuso; f) riciclaggio. L'orientamento
dettato dall'emergenza intende sbilanciare la gestione del ciclo integrato dei
rifiuti a favore di un sistema di combustione classica, assegnando la funzione
principale all'ipotesi di incenerimento dei rifiuti, indicata invece residuale
e marginale dalla normativa e dalla giurisprudenza vigente. Per invertire
radicalmente la rotta della politica dei rifiuti in Italia bisogna uscire dal
cul de sac del CIP 6 e abrogare definitivamente, anche per gli impianti già
realizzati, la delibera n. 6 del comitato interministeriale prezzi che nel 1992
dichiarava, unico Paese in Europa, il rifiuto fonte rinnovabile, prevedendo
sovvenzioni pubbliche per gli impianti di incenerimento. Il CIP 6, prelevando
le risorse direttamente dai cittadini, attraverso le bollette dell'energia
elettrica, ha influenzato, negli ultimi quindici anni, la politica dei rifiuti
in Italia, incentrandola prevalentemente sulla fase terminale, appunto sullo
smaltimento e sulla progettazione e realizzazione di impianti di incenerimento.
Attraverso il CIP 6 sono state alimentate sacche parassitarie e rendite
finanziarie che hanno avuto quale loro principale obiettivo bruciare la maggior
quantità di rifiuti "tal quale", impedendo ed ostacolando il decollo
della raccolta differenziata. I finanziamenti pubblici provenienti dal CIP 6
hanno influenzato gli strumenti di pianificazione regionale e rallentato, non
soltanto lo sviluppo della raccolta differenziata, ma fonti di energia pulita e
rinnovabile come l'eolico ed il fotovoltaico. Una pratica quella
dell'incenerimento che alimenta lo spreco, con una resa energetica del 10-15%
contro un dispendio di risorse che l'energia prodotta non compensa neppure
lontanamente. Una pratica che incentiva la realizzazione di impianti che a
pieno regime producono, al di là delle tossiche e nocive polveri ultra-sottili,
una quantità di ceneri tali da richiedere la realizzazione di discariche in
grande quantità per collocare i nuovi rifiuti prodotti dalla combustione. Si
prenda dunque con serietà e rigore l'ipotesi di passare da metodi primordiali
di smaltimento quali "il fuoco e le buche" a modelli già sperimentati
con successo in alcune parti d'Italia come il trattamento meccanico biologico
"a freddo". Si utilizzi l'emergenza come una grande occasione di
rilancio e rinnovamento e non come il pretesto per affermare scelte che
guardano indietro, ovvero all'era del fuoco." (Alberto Lucarelli -
Ordinario di diritto pubblico - Università di Napoli Federico II)

video con Maurizio Pallante, esperto in tecnologie ambientali

 
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c'è differenza tra democrazia e dittatura?

Post n°53 pubblicato il 03 Gennaio 2008 da p_i_a_n_o
 
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"Io ho definito e definisco la democrazia rappresentativa, in modo un po’ brutale se volete, un modo per metterlo nel c..o alla gente col suo consenso e soprattutto alla povera gente. Innanzitutto non si è mai
capito bene cosa sia la democrazia rappresentativa: Norberto Bobbio,
che ha dedicato tutta la sua lunga e laboriosa vita a questo tema, non
ne viene a capo. Indica come essenziali della democrazia
rappresentativa una volta nove elementi, una volta sei, una volta tre.
Comunque prendiamo due elementi che vengono considerati dalla vulgata come essenziali della democrazia, cioè il voto è uguale – one man, one vote - come dicono gli anglosassoni , il voto è libero.
Ebbene, il voto non è uguale: il consenso è taroccato. Il voto non è
uguale per la ragione definitiva che è stata illustrata da quella che
viene chiamata la scuola élitista italiana dei primi del Novecento, Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto e Roberto Michels. Dice Mosca: “Cento che agiscano
sempre di concerto e d’accordo prevarranno sempre su mille che agiscano
liberamente”. Il consenso non è libero perché ampiamente condizionato
dai mass media che sono in mano ai soliti noti e che, non a caso, si
chiamano strumenti del consenso.
In realtà la democrazia rappresentativa è un sistema di oligarchie, di minoranze organizzate, di aristocrazie mascherate
che schiacciano il cittadino singolo, l’uomo libero che non vuole
umiliarsi a infeudarsi in queste oligarchie, i partiti e le altre lobby
economiche o criminali spesso legate insieme. La democrazia
rappresentativa sarebbe ciò di cui il pensiero liberale voleva
valorizzare - meriti, capacità, potenzialità - e il cittadino ideale di
una democrazia ne diventa vittima designata. Senza fare troppa teoria, lo vediamo tutti che non contiamo niente, che la nostra voce non è ascoltata. Qualche anno fa, a Piazza San Giovanni, sono state radunate un milione di persone su un tema come le leggi ad personam,
un tema difficilissimo infatti è più facile radunare le persone su temi
economici. Ebbene: non c’è stata nessuna risposta né da destra né da
sinistra. Anzi a sinistra si è detto spesso: “non mi confonderai con un
girotondino” come se andare in piazza non fosse il primo diritto politico del cittadino che viene prima del voto. Il problema è della democrazia mondiale, occidentale ma il sistema
italiano, e Grillo l’ha mostrato molto bene, ha delle degenerazioni
intollerabili. Diceva Hans Kelsen, che non è un marxista e non è un estremista talebano, che la democrazia rappresentativa è un sistema di finzioni
e sosteneva che sembra che la funzione della ideologia democratica sia
quella di dare ai cittadini l’illusione della libertà, e si chiede fino
a quando questa straordinaria scissione tra realtà ed ideologia
possa continuare. E’ la domanda che mi faccio anche io da parecchio
tempo. Ora, naturalmente, le democrazie nate su bagni di sangue hanno
messo un tappo concettuale, una specie di norma di chiusura sostenendo
che la democrazia sia il fine e la fine della Storia, per cui noi saremo condannati a morire democratici. Io credo invece che, come ogni sistema che non rispetta nessuno dei suoi presupposti,
prima o poi cadrà... prima o poi una truffa di questo genere deve
essere eliminata." (Massimo Fini)

 
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una settimana senza inquinare

Post n°52 pubblicato il 28 Dicembre 2007 da p_i_a_n_o
 
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Verdure di
stagione. Docce brevi. Luci a basso consumo. Riscaldamento al minimo. Spostamenti
solo in bici o in treno. Tonno marinato con sedano e cipolle come cena di
Natale. Per sette giorni abbiamo provato a vivere consumando il minor
quantitativo di Co2. Risultato: una vittoria sofferta. «L´inizio è terrificante
a causa delle tante regole penitenziali. Ma ne vale la pena».
Non sono
pendolare, non ho auto né lavastoviglie, sto a un secondo piano senza ascensore
e ho tutto sotto casa: ufficio, negozi, stazione. La Tv l´ho buttata per manifesta
inutilità; possiedo solo una radiolina a onde corte e un glorioso telefonino
vecchio di sette anni.
«Lei è un
virtuoso», annunciano. Ma la virtù non basta: loro vogliono accertarsi che sia
anche matto abbastanza per sottomettermi alle prove più dure. Così frugano
nella mia privacy, annotando ogni minuzia dei miei consumi e si buttano nel conteggio.
Elettrodomestici, caldaia, luce, eccetera: totale 2427 chilowattore annui,
corrispondenti a 1578 chili di Co2, come sette frigoriferi pieni. Al giorno
fanno 4,32. La metà della media europea che è di nove chili pro capite, dato
confermato da Greenpeace.
«Ottimo -
penso - parto in vantaggio». Invece no, non sono inclusi i trasporti, e sono
proprio quelli che sballano il conto. L´aereo soprattutto, che spara gas-serra
in quantità letali. Solo per ricuperare i voli di quest´anno, mi dicono, dovrei
piantare alberi per una vita. Replico che sono pronto, anche a non volare più,
come Terzani dopo il famoso incontro con l´Indovino. Risposta: «Intanto cominci
leggendosi un bel vademecum di consumo etico».
L´inizio è
terrificante. Regole penitenziali a raffica. Se fosse prescritto anche il caffè
di cicoria, sarebbe un perfetto manuale di autarchia fascista. Ma è una guerra
necessaria: Co2 è in agguato ovunque. Nei cibi refrigerati e nelle lunghe
cotture. Nelle confezioni luccicanti di plastica e nel cibo che ha alle spalle
grandi distanze di trasporto camion. Soprattutto nella carne, perché il
foraggio inquina cento volte più del letame.
Scopro che
la mia vita va rivoltata come un calzino. Devo acquistare il pane sotto casa;
comprare verdure di stagione, meglio se locali; fare scorta di legumi secchi e
abbandonare l´acqua minerale. E poi luci a basso consumo, riscaldamento minimo,
docce brevi non quotidiane e - ovviamente - raccolta differenziata della
spazzatura. Ultimo sigillo: viaggiare meno. Solo treno e bicicletta.
Mi dicono
che avrò a disposizione consulenti "etici", pronti a sciogliere i
miei dubbi e a calcolare l´effetto-Co2 delle mie giornate, sulla base di un
rapporto quotidiano che mi impegno a mandare. «Lo zero se lo scordi - mi
smontano in partenza - a quello non arriva neanche un monaco tibetano». Chiedo
almeno quale può essere un buon obiettivo. Risposta lapidaria: «Il massimo».
Tanta è l´apnea della Terra.
MERCOLEDI´- PRIMO
GIORNO
Mi sento
sommerso di divieti, come un ebreo osservante cui è prescritto anche il piede
con cui scendere dal letto. Dio mio, se devo stare attento a ogni boccone che
mangio, al compostaggio, al riciclaggio eccetera, il mio diventa uno sforzo
monomaniaco, e allora dove va a finire l´etica se non ho più tempo per
accorgermi del mendicante sotto casa? E poi come racconterò tutto questo?
Elencare una serie di piccoli gesti sparagnini è una noia mortale; come tenere
un diario di bordo restando chiusi in cambusa. Una sfida narrativa oltre che
ecologica.
Per
cominciare azzero tutto, nel timore di sbagliare. Per un giorno, niente
riscaldamento, acquisti, spostamenti. Posso farlo, la dispensa è piena, non ho
viaggi in vista e fuori fa un caldo schifoso. M´accorgo che posso cucinare
anche senza il fuoco, così mi regalo un pranzo con acciughe marinate, pane e
spinaci crudi col parmigiano a scaglie. Funziona, ma sono pieno di dubbi. E´
Natale ma sul mio tavolo è quaresima. E poi che senso ha tirare la cinghia se
il mondo continua a vomitare gas fottendosene del domani? A fine giornata mi
sento strano e leggero, come dopo un Ramadan.
GIOVEDI´ -SECONDO
GIORNO
Avvio
energico. Avvito una cassetta sul retro della bici e, così bardato, affronto il
mercato ortofrutticolo. In un angolo trovo un contadino che ha steso a terra un
tappeto di meraviglie dimenticate. Verze terragne, crauti, aglio piccolo e
pestilenziale, miele di ape dalmatica, uova ruspanti. Compro rape e cachi. Non
un´occhiata alle fragole spagnole e ai pomodori di serra. Spendo la metà del
solito e mi faccio pure una chiacchierata. Intanto arriva la buona notizia: la
prima giornata è andata bene: 1.57 chili di Co2. Grande.
Ma la sera
mi chiama Repubblica, l´indomani mi spediscono a Monza per servizio ed è chiaro
che il viaggio sballerà la media Co2. Ma è meglio così, lo scontro si fa duro.
Così scelgo il massimo: solo treno, niente taxi e partenza con bici al seguito.
Cominciano le sorprese: gli Eurostar non hanno il vano necessario al trasporto.
In Italia le due ruote viaggiano solo su polverosi regionali, il che vuol dire
cambi continui e tempi da tradotta del Piave.
Comincio a
capire. La mia è una guerriglia, un atto eversivo. Devo rassegnarmi ad avere il
sistema contro. Tengo duro, cerco ancora, finché scopro sull´orario cartaceo
che un treno veloce col porta-bici esiste. Va a Schaffhausen, Svizzera.
L´unico, in tutto il Grande Nord. Dai, che ce la fai.
La bici
comporta altre complicazioni. La liturgia del bagaglio cambia completamente.
Devo dividerlo in due sacche e metterci accanto lo zainetto da computer. Come
ricambio, niente camicie: solo magliette che non si stirano. Un salutare
esercizio di alleggerimento.
Dovrei
anche cercare un albergo eco-compatibile - c´è una guida apposita che li elenca
- ma è troppo complicato e chiedo a un amico di ospitarmi. Sotto casa scopro
un´osteria nuova, mi faccio un baccalà in umido e un calice di rosso. Per la
prima volta sono ottimista: a fine giornata ho prodotto 1.22 kg di Co2. Un po´
meglio di ieri.
VENERDI´- TERZO
GIORNO
Dal treno
per Venezia vedo migliaia di camion fermi in una nube di Co2. Tradotte di
agnelli dall´Ungheria alle Calabrie, yogourth francesi diretti in Friuli. Lo
sciopero-incubo è finito da una settimana e tutto è come prima. L´Italia
ostaggio dei Tir, come il Cile di Allende.
A Mestre
piazzo le due ruote sull´Intercity. Nella tratta italiana il vano-bici non lo
usa nessuno, è tristemente vuoto. In carrozza la gente mi guarda strano. Esco
dagli schemi: viaggio con un mezzo povero, ma porto una cravatta elegante e un
cappello da rabbino (naturalmente l´ho fatto apposta).
A Vicenza
mi si siede accanto una mamma ansiogena con due bambini-mostri. Il dialogo si
limita al cibo: tavola pancino fame prosciutto mangia bevi ancora basta finisci
gnam gnam. Il maschietto ripete: mio mio mio. Poi, guardando il vuoto: io io io
io. Conosce solo l´ausiliare "voglio". Ignora il "posso" e
il "devo". Risate, urla, colpi ai tavolini senza timore di punizioni.
E´ chiaro: sono i bambini il primo anello della catena dello spreco. Ai bambini
non si nega nulla. Il livello mondiale di Co2 dipende anche da loro.
Il bar
della stazione di Milano è una mostruosa macchina di rifiuti. In un minuto vedo
sparire nelle borse dei viaggiatori tonnellate di confezioni di plastica. Fuori
l´aria è irrespirabile, inghiotto polveri sottili per una settimana. Ma è un
avvelenamento utile: aumenta la rabbia e la voglia di cambiare. Sento che in me
sta avvenendo una trasformazione irreversibile.
La sera a
Monza piove. Non demordo, pedalo nel buio in mezzo a villette blindate, tra
soli immigrati, fino a destinazione, un condominio di periferia. A intervista
finita mi chiedono di restare a cena. Accetto, ma è un clamoroso errore. Per
restare nella norma devo rinunciare al meglio: lo stufato di manzo, perché ha
consumato troppo gas. Ci ridiamo su, ma io torno a Milano-Centrale scornato,
bici-treno nella nebbia tra torvi pendolari lumbard.
SABATO -QUARTO
GIORNO
Rientro a
casa. A Mestre tutti i treni sono in ritardo ma in compenso quaranta
megaschermi sparano in simultanea pubblicità per intontire l´utenza. Un costo
spaventoso in termini di inquinamento, acustico e atmosferico. Ma nessuno si
ribella, siamo una repubblica delle babane. Tacere, obbedire, consumare.
La
carrozza per Trieste è surriscaldata (mi prendo un raffreddore da fieno) e
piena di telefonini sintonizzati sul nulla. Ragazzi ridono ascoltando da un
computer una voce che gracchia minacce anti-immigrati in un veneto barbarico
condito di bestemmie. Torno a casa nella pioggia, stanchissimo, ma la
performance Co2 del viaggio è buona: 26.81 (14.40 + 12.41) in due giorni, tutto
compreso.
DOMENICA -QUINTO
GIORNO
Vado in
centro, tra le luminarie. Gli italiani saranno anche più poveri ma i loro
carrelli sono stracolmi. In un Paese che frana riempire la dispensa è una
terapia ansiolitica, l´unica consentita. Dilapidare, per non pensare che si sta
dilapidando. Ma la paura affiora negli sguardi. E´ quasi Natale e nessuno
sorride. A me sembra invece di sentire le feste per la prima volta dopo anni.
Approfitto
della domenica, vado in ufficio e metto la stanza in assetto-risparmio. Nella
risma della fotocopiatrice piazzo fogli già usati da un lato, poi elimino ogni
situazione di stand-by e faccio strage di luci inutili. E la sera, visto che ho
un cesto di pane secco, metto a mollo le pagnotte per fare gli gnocchi. Ricetta
della nonna, con aggiunta di speck, aglio, formaggio, prezzemolo eccetera.
Vengono una meraviglia, e la performance migliora ancora: 0.97.
LUNEDI´,
NATALE -SESTO
GIORNO
E´ Natale
e faccio la rivoluzione. Chiudo il freezer, tanto non serve. Visto che è
dicembre, metto in terrazza una dispensa per le verdure. Sposto il tavolo
vicino alla finestra per consumare meno luce. Compro due prese elettriche
intelligenti, che si disattivano quando le batterie del telefonino o computer
sono cariche. Installo in bagno un rompi-getto, che dimezza i consumi. Ordino
un carica-telefonino da bici che sfrutta l´energia della pedalata.
Ormai ci
ho preso gusto. Sostituisco il dentifricio col bicarbonato. Elimino i sacchi di
plastica della spesa e metto accanto alla porta una borsa con le ruote. Poi
divido le immondizie alla tedesca. Cinque contenitori: vetro, plastica, cibo e
carta, divisa tra confezioni alimentari e giornali. E´ un atto solo simbolico -
nella civilissima Trieste non esiste raccolta differenziata - ma che importa:
mi serve come autodisciplina e a capire quanto spreco. La prima somma è
stupefacente: in cinque giorni la spazzatura si è dimezzata.
Mi chiedo:
perché, accanto alla Costituzione, a scuola non si insegna anche consumo etico?
Perché i presidi non smantellano quegli osceni distributori di merendine? Mi
accorgo di tante cose, per esempio che i negozi di cose "biologiche"
hanno spesso prezzi immorali e vendono roba che ha alle spalle trasporti
lunghissimi. Un imbroglio per ricchi e malati terminali.
Un amico
mi sfotte, dice che lo sforzo è patetico e il mondo affonderà lo stesso.
Rispondo che la parola "Economia" viene dal greco e significa
"gestione della casa". Vuol dire che gli antichi sapevano: il mondo
si cambia partendo dal proprio piccolo. Sì, sento che funziona. Sono entrato a
regime: il bilancio della giornata è ottimo: 0.75. E´ una settimana che non
accendo il riscaldamento e l´idea che Putin - il "genio" della fiamma
azzurra nel mio bollitore - abbia guadagnato meno, mi fa godere.
MARTEDI´ - ULTIMO
GIORNO
Invece
dell´abete natalizio, che non ho mai comprato, trovo dai Forestali una piantina
di quercia e salgo a piantarla in un parco di periferia. Scopo della missione:
compensare l´anidride emessa nel viaggio a Milano. Per coerenza ci vado a
piedi, seguendo le prescrizioni di Kyoto. Poi torno in città felice, con le
mani sporche di terra e una fame da bestie. Così ho santificato le feste.
Chiudo la
mia settimana "all´osso" invitando a casa tre amici. Cena natalizia
autarchica: tonno marinato con sedano e cipolla, seppie in umido. Al posto
delle lampadine, candele; e così scopro che con la luce bassa ci di diverte di
più. C´è un gran discettare di consumi, la storia di Co2 appassiona tutti. Il
risultato del giorno è ottimo: 0.36. Un decimo della mia già virtuosa base di
partenza.
Festeggiamo
con coppe di yogourth coperto di miele e mirtilli secchi, poi una grappa di
Ribolla. In una settimana ho messo a segno una media-record di kg. 0.84 di Co2,
che sale a 4.52 con tutto il viaggio a Milano (senza lo sconto dell´albero
piantato). E´ stato difficile? Per niente. A Natale finito ripenso ai
supermarket, agli schieramenti di inutilità luccicanti, e mi sembra di rivedere
i reduci malconci di una guerra perduta, mille anni fa.

Paolo Rumiz

 
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auguri scomodi

Post n°51 pubblicato il 22 Dicembre 2007 da p_i_a_n_o
 
Tag: chiesa
Foto di p_i_a_n_o

" Carissimi, non obbedirei al mio dovere di vescovo, se vi dicessi "Buon Natale" senza darvi disturbo. Io, invece, vi voglio infastidire. Non sopporto infatti l'idea di dover
rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla routine di calendario. Mi lusinga addirittura l'ipotesi che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati. Tanti auguri scomodi, allora , miei cari fratelli! Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista,
assurda, senza spinte verticali e vi conceda di inventarvi una vita
carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio. Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia
sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non
avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di
passaggio. Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la
vostra carriera diventa idolo della vostra vita, il sorpasso, il
progetto dei vostri giorni, la schiena del prossimo, strumento delle
vostre scalate. Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla dove
deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi
occhi feriti a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie,
finché la vostra coscienza ipocrita accetterà che il bidone della
spazzatura, l'inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce
di una vita soppressa. Giuseppe, che nell'affronto di mille porte chiuse è il simbolo di
tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni,
rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti
allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete
mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime
segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro. Gli angeli che annunciano la pace portino ancora guerra alla
vostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che poco più lontano
di una spanna, con l'aggravante del vostro complice silenzio, si
consumano ingiustizie, si sfratta la gente, si fabbricano armi, si
militarizza la terra degli umili, si condannano popoli allo sterminio
della fame. I Poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano
nell'oscurità e la città dorme nell'indifferenza, vi facciano capire
che, se anche voi volete vedere "una gran luce" dovete partire dagli
ultimi. Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili. I pastori che vegliano nella notte, "facendo la guardia al gregge
", e scrutano l'aurora, vi diano il senso della storia, l'ebbrezza
delle attese, il gaudio dell'abbandono in Dio. E vi ispirino il desiderio profondo di vivere poveri che è poi l'unico modo per morire ricchi. Buon Natale! Sul nostro vecchio mondo che muore, nasca la speranza." (don Tonino Bello)

Pubblicazioni di don Tonino Bello.

 
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come si fa politica oggi in Italia

Post n°50 pubblicato il 20 Dicembre 2007 da p_i_a_n_o
 
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ascolta l'audio della intercettazione telefonica tra Agostino Saccà, alto dirigente della RAI e Silvio Berlusconi ... non c'è bisogno di commentare: l'informazione, pagata con i nostri soldi, è asservita ai potenti di turno; i soldi che diamo col canone RAI servono a far lavorare le puttanelle di turno...

 
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imparare a morire

Post n°49 pubblicato il 16 Dicembre 2007 da p_i_a_n_o
 
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"In questi
giorni sono stato vicino a un caro amico che sta morendo: Sergio Angeletti, in arte Angese.
Ve ne parlo non per rattristarvi ma per raccontarvi che e' possibile affrontare la
morte in modo diverso.
Ve lo dico
perche' credo che tutti abbiamo una paura fottuta del momento nel quale capisci
che la tua vita sta per finire. E credo sia di conforto sapere che e' possibile
affrontare questo momento serenamente.
Non che
Sergio non avesse paura o non fosse dispiaciuto (se la tua morte non ti crea
scompiglio sei un lobotomizzato emotivo oppure sei stupido). Ma e' riuscito a
trovare un atteggiamento positivo anche di fronte a un evento cosi'
sconvolgente.
La
settimana scorsa ho scritto che era stato ricoverato per una "cazzata".
Una peritonite agli intestini. Ma poi le complicazioni sono seguite alle
complicazioni e si e' via via aggravato. Pareva che la peritonite fosse un
effetto collaterale di una precedente operazione, invece ieri sono arrivate le
analisi istologiche che insieme ai risultati della Tac hanno dato informazioni
che non lasciano speranze. Ieri sera e' stato operato di nuovo d'urgenza anche
se c'era poco da fare.
Ci siamo
trovati intorno a lui che era ancora perfettamente lucido, desiderava avere
intorno gli amici, almeno quelli che per ragioni geografiche potevano accorrere
rapidamente.
Abbiamo
parlato per ore con Paola, Irish, Rita, Angela ed Eleonora. Un po' scherzando,
Sergio sparava battute esilaranti, un po' parlando del fatto che stava per
morire. Era convinto di non risvegliarsi dall'anestesia. Ci ha dato istruzioni
sulla sua sepoltura. E per la festa da fare al posto del funerale con i
lamenti. Vuole essere cremato e seppellito ad Alcatraz sulla strada per la Torre, dove ci sono le
pietre dipinte. Ha detto: "Seppellite li' i miei resti... Nel cimitero
indiano." Vuole che ci mettiamo una pietra con sopra un cavallo dipinto,
con il muso verso il ristorante, come se stesse tornando a casa dalla Torre.
Poi ha voluto firmare la disposizione per essere cremato e una dichiarazione
che richiedeva ai medici di evitare ogni accanimento terapeutico. E poi abbiamo
parlato di cosa pensiamo succeda quando la vita finisce. Nessuno di noi e'
credente ma non riusciamo neanche a immaginare che non continui a esistere nulla
di nulla dei pensieri e dei ricordi. Non abbiamo le idee chiare, e in fondo non
e' richiesto capirci qualche cosa di fronte al mistero della morte. Ma il
semplice materialismo bruto (muori e basta) non ci sembra credibile. Forse non
continua a esistere proprio la tua entita' cosciente ma solo qualche cosa di
piu' labile... Ma proprio tutto tutto non puo' sparire. Quanto meno resta l'eco
della tua vita. Come quando una boccia colpisce un'altra boccia mettendola in
moto. Beh, non siamo arrivati a grandi conclusioni.
Comunque
era surreale vederci li', intorno al suo letto a discutere della vita dopo la
morte non in astratto ma come cosa imminente.
L'unica
conclusione sicura a cui siamo giunti e' che una volta che Sergio sara' sepolto
sotto la pietra con il cavallo dipinto, se qualcuno vorra' sapere come la pensa
potra' andare li' e provare a parlargli.
Non ha
garantito che rispondera' a tutti ma ci ha promesso che passando di li'
sentiremo la sua amorevole presenza. Sono 30 anni che con Angese dividiamo le
esperienze fondamentali della vita e so che se dice una cosa poi la fa. Se non
esistesse niente dopo la vita, ma proprio niente, il nulla pressofuso degli
atei duri, in ogni caso questa sarebbe solo una regola generale. E sicuramente
Angese costituirebbe l'eccezione.
Il fatto
che l'universo abbia sue leggi e' un suo problema non un nostro problema.
Si',
perche' quando ti trovi a vedere una persona che affronta la morte, capendone
la drammaticita' e la tristezza capisci anche che sta compiendo un gesto che
trascende i limiti della condizione umana. In fondo Dio, se anche dovesse
esistere, non ha grandi meriti: e' Dio, per lui e' l'unica condizione
possibile. Non fa nessuna fatica. Invece l'essere umano, per riuscire a
affrontare con relativa serenita' la fine della vita deve compiere un atto
straordinario che camminare sull'acqua a confronto e' una sciocchezza.
Sergio
Angese e' riuscito a dire a se stesso: ho vissuto alla grande, ho avuto una
vita intensa, ho fatto esperienze grandiose, adesso e' finita, vaffanculo, mi
va bene cosi'.
Grande
Angese, lo abbiamo ringraziato tutti, dicendogli che ci stava facendo un regalo
mostrandoci come si possa morire in modo degno, concludendo la vita con
eleganza, riuscendo a stemperare l'angoscia.
L'ultima
immagine di Sergio, che porto con me, per l'eternita': lui che viene sospinto
via in barella per questi corridoi infiniti di questo ospedale fabbrica.
Incredibilmente rimpicciolito - lui, che e' sempre stato possente - con la
testolina sprofondata tra le lenzuola, guarda il muro del corridoio che scorre
con un sorriso, sembra un sorriso incantato, che avresti guardando un
capolavoro, un tramonto o tuo figlio che gioca.
Mi piace
pensare che guardasse la vita, che persiste anche in uno squallido corridoio
d'ospedale, con lo stupore che merita.
E auguro a
tutti voi che mi leggete di saper affrontare la morte come Sergio.
E vi
auguro anche di avere una vita intensa e di gustarla il piu' possibile. Secondo
per secondo. E' l'unico valore che ti ritrovi quando finisce.
E vi
auguro di amare molto molti amici. Avrete piu' occasioni per soffrire ma credo
che sia bello avere intorno persone che ti amano quando la vita fisiologica
termina. Soffrire per amore e' un prezzo accettabile da pagare per il lusso di
amare e essere amati.
Credo che
si possa accettare la fine solo se hai assaporato quello che hai vissuto e lo
hai condiviso.
Aggiungo
una riflessione.
Se e' vero
che la vita e' una sola e' anche vero che la morte e' una sola.
Credo che
morendo si compia un'azione attiva che ha uno scopo anche se non saprei dire
quale.
Probabilmente
scoprirlo e' lo scopo della vita. Non e' un gioco di parole.
Questo e'
un pensiero bifronte.
Da una
parte sostengo che la morte potrebbe essere un fenomeno attivo che libera
nell'universo l'energia mentale accumulata in una vita. E ipotizzo che lo scopo
della vita e' alimentare e far crescere l'universo, migliorandolo attraverso
l'apporto di miliardi di cariche energetiche liberate dai decessi. La qualita'
dei decessi determina la potenza del miglioramento cui danno vita. Morendo bene
diamo maggiori possibilita' di essere felici a chi vivra' dopo di noi.
D'altra
parte la vita forse non ha uno scopo reale e quanto ho detto e' privo di
costrutto. Ma in quanto io lo affermo, questo pensiero esiste e se riesco a
morire restandone convinto ho creato uno scopo nella vita.
D'altronde
per provare questa affermazione posso solo esistere assaporando la vita, e cio'
da una parte mi dara' piacere, dall'altra mi permettera' di provare a me stesso
che la vita ha un senso positivo e vale la pena migliorarla in quanto gia'
cosi' mi permette di soddisfare la prima condizione essenziale: stabilire che
la vita ha valore e quindi senso.
Forse la
vita e' priva di senso ma noi possiamo compiere il miracolo di vivere talmente
intensamente da poter dire, alla fine, eccone il senso, l'ho inventato io, l'ho
costruito io e ora nessuno puo' mettere in dubbio che esista veramente.
Trovare il
proprio senso della vita e' un atto che travalica i semplici limiti che essa
stessa ci impone.
E
probabilmente io sono sotto shock, senno' non avrei il coraggio di fare questi
discorsi.
 La nostra
cultura rimuove la morte e poi la impaccheta in mille telefilm e telegiornali.
Non
vogliamo parlare della morte ma non riusciamo a non pensarci. Non la
affrontiamo come compimento del nostro lavoro di vivere e poi siamo disposti a
pagare per vedere piu' morti di quelli che ci passa gratuitamente la tv. Cosi'
ci abboniamo a Sky o andiamo al cinema.
Quanto
sarebbe educativo invece discutere della propria morte anche a scuola e fare
gite scolastiche in ospedale?
La morte
e' una grande maestra. E' lei che ci insegna che la vita ha un immenso valore.
La vita in se', non i grandi successi. La vita: guardare, camminare, annusare,
toccare, correre, baciare, giocare, godere, mangiare, accarezzare e dire
stupidaggini.
 Mi sono
sempre chiesto come mi trovero' io, come mi sentiro' quando capiro' che devo
morire.
Ovviamente
sommo privilegio sarebbe morire nel sonno. Ma se non mi e' dato...
Stare
vicino ad Angese in queste ore mi ha insegnato un grande trucco.
Io sono il
mio stato mentale di adesso. Ed e' ovvio che non possa pensare di dover
affrontare la morte.
Ma quando
ti trovi li', e sai che morirai presto, avviene una metamorfosi istantanea
nella tua mente. Lo shock agisce in qualche modo come una droga miracolosa e,
se riesci a guardare in faccia la situazione, entri in uno stato irreale dove
puoi persino dare un senso alla morte. Beh, magari un senso no... Ma riesci
almeno ad accettarla, a farla in qualche modo tua.
Lo stesso
mi e' successo mentre andavo in ospedale la prima volta. Avevo paura di come
avrei trovato Sergio dopo il primo intervento. Poi quando sei li' lo shock ti
aiuta e ti trovi ad essere la persona che puo' affrontare quella prova. Pensare
prima alle cose brutte non serve. Quando dovremo affrontarle, affiorera' dalla
nostra mente piu' profonda un'identita' sconosciuta, un altro me stesso capace di
affrontare quello stato perche' e' nato apposta per farlo. Averlo capito mi ha
dato una grande tranquillita'.
Io non
devo morire. Io sono quello che deve vivere perche' ora sto vivendo. Quando
dovro' morire sara' un altro a doverlo fare. Uno specialista della propria
morte." (Jacopo Fo)

 
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Gli italiani prigionieri della sfiducia

Post n°48 pubblicato il 13 Dicembre 2007 da p_i_a_n_o
 
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A un primo
sguardo, la chiave di lettura di questo decimo "Rapporto
sull´atteggiamento degli italiani verso lo Stato", condotto da Demos per la Repubblica, è la stessa
degli ultimi anni. La sfiducia. Ha sfondato ogni limite. Nei confronti delle
istituzioni, soprattutto, ha raggiunto un livello mai raggiunto dal 2000 ad
oggi. Questo sentimento colpisce, in particolare, la magistratura, la scuola,
oltre, ovviamente, allo Stato. Anche il consenso verso l´Unione Europea, fra i
cittadini, cala al di sotto del 50%. Per la prima volta. Mentre la fiducia
nella Chiesa diminuisce sensibilmente. Perdono ulteriormente
"credito" le banche. Per non parlare delle istituzioni
rappresentative: parlamento e partiti.
Pubblico e
privato. Giustizia e interessi. Enti locali e nazionali. Poteri civili e
religiosi. Nessun riferimento sembra in grado di conservare credibilità e
legittimità fra i cittadini. Nulla di nuovo, potremmo dire, per questo Paese.
Dove lo Stato, tradizionalmente, non gode di grande consenso. Tanto più da
qualche tempo. Tuttavia, questa volta, nell´aria si coglie qualcosa di nuovo.
Basta considerare con attenzione la "sfiducia", la quale può assumere
significati molto diversi.
C´è, ad
esempio, una sfiducia "costruttiva", che si esprime quando esiste
un´alternativa all´ordine esistente. Ma esiste anche l´inverso: una fiducia
"distruttiva", che spazza via un sistema privo di legittimità e
consenso. Ancora: c´è la sfiducia "critica", che sfida e sanziona le
istituzioni, per costringerle a correggersi. Oppure: la sfiducia
"democratica", contrappeso alle tentazioni del potere. Garanzia di
libertà. Per citare Benjamin Constant: "Ogni buona costituzione è un atto
di sfiducia". Ma c´è anche una sfiducia "cinica", espressa da
individui "apoti" o "estranei". Che intendono
"chiamarsi fuori": per ragioni tattiche, opportunistiche; oppure, al
contrario, per dissenso radicale. In ognuno di questi casi, però, la sfiducia
rivela un orientamento "strategico" dei cittadini nei confronti dello
Stato e delle istituzioni. Questa fase, invece, ci sembra caratterizzata da un
diverso tipo di sfiducia, che definiremmo "apatica". Senza passione.
Quasi indifferente. Di certo non finalizzata: né al confronto né allo scontro.
Ma, soprattutto, non proiettata nel futuro. E´ l´aspetto che distingue
maggiormente questo Rapporto. Anche nei precedenti emergeva un diffuso
sentimento di insoddisfazione retrospettiva e preventiva. Convinti, i
cittadini, che "se ieri le cose sono andate male, domani andranno anche
peggio". La "sfiducia apatica", però, va oltre. Non evoca
pessimismo, ma eclissi del futuro. Incapacità di guardare e di pensarsi oltre
il presente. Anche perché, oggi, il linguaggio della politica e delle
istituzioni risulta largamente incomprensibile. Due italiani su tre,
d´altronde, ritengono che, ormai, non vi siano più grandi differenze tra i
partiti. Certo: metà di essi pensa che "senza partiti non vi sia
democrazia"; ma l´altra metà, di riflesso, la pensa in modo diverso. Anzi,
circa il 40% sostiene che, anche senza partiti, la democrazia possa funzionare
egualmente bene.
Ancora: il
54% degli italiani crede che i partiti debbano disporre di una "base di
iscritti". Quindi: di un´organizzazione. Ma il 60% preferirebbe che la
scelta del leader scavalcasse ogni vincolo associativo e avvenisse
"attraverso elezioni aperte a tutti gli elettori interessati". La
stessa indecisione si coglie di fronte alla distinzione fra destra e sinistra.
Insomma,
la società italiana oggi appare "confusa". Priva di appigli a cui
afferrarsi, per trovare stabilità e sicurezza. Ma anche di punti di
riferimento, in base a cui orientarsi e aggregarsi. (Non a caso il Censis,
nell´ultimo rapporto , per descrivere la società italiana ha parlato di
"mucillagine": un´entità spappolata, senza coesione e senza
spessore). Perché gli appigli e i riferimenti mancano. O sfuggono, cambiano di continuo.
Oppure ancora: sono incomprensibili. Dal 1991, d´altronde, si susseguono
progetti istituzionali, elettorali e politici sempre diversi, sempre
provvisori. Espressi in un linguaggio sempre criptico. Partiti che cambiano
nome e cognome; coalizioni a "geometria occasionale". Modelli
istituzionali e leggi elettorali in continua evoluzione. Delineano una
geografia confusa, dai confini imprecisi. Tra Spagna, Germania, Inghilterra e
Francia. Un´ardita opera di sincretismo europeo. Dal sondaggio su cui si basa questo
Rapporto, d´altronde, emerge che circa un elettore su due, fra quelli che
guardano con favore il proporzionale, valuta in modo altrettanto positivo anche
il maggioritario. Non ha in mente un modello diverso e specifico, ma si è,
semplicemente, è perduto nel contorto dibattito sui sistemi elettorali. E non
si raccapezza più.
E´,
inoltre, difficile immaginare il "futuro" delle istituzioni in un
clima così instabile. Quando il leader dell´opposizione assicura che questo
governo è destinato a cadere. Domani. La settimana prossima. Al massimo fra un
mese o due. Quando i leader della maggioranza e gli stessi ministri chiedono
continue verifiche, minacciano la sfiducia. Senza soluzione di continuità.
Difficile non provare sconcerto e senso di precarietà quando idee, valori,
norme, istituzioni - i riferimenti della vita pubblica e dell´identità
personale – appaiono tanto confusi.
Così, le
stesse fondamenta del sistema rivelano qualche scricchiolio un po´ sinistro.
Il
consenso nei confronti della "democrazia" rimane alto. Espresso dal
68% dei cittadini. Ma è in calo sensibile, rispetto agli ultimi anni. Visto che
quasi una persona su tre pensa che, almeno per qualche tempo, se ne possa fare
a meno. Questa "larga minoranza" cresce ulteriormente nella popolazione
giovanile, fino a raggiungere il 40% fra coloro che hanno meno di vent´anni.
I giovani,
peraltro, riflettono e riproducono, accentuati, tutti i principali sintomi
della sindrome da "presente infinito", che oggi affligge la società
italiana. Stressata da orientamenti ambigui e stridenti. Essi, infatti, sono
coinvolti in ogni forma di partecipazione. Impegnati a percorrere le vie della
protesta. Convinti, più degli altri, che non ci sia bisogno dei partiti. Che
destra e sinistra siano distinzioni indistinte. I giovani: esprimono nei
confronti di Beppe Grillo il maggior grado di simpatia. Molto superiore a
quella attribuita ai principali leader di destra e sinistra. Prodi e
Berlusconi. Veltroni e Fini.
Qui è il
paradosso italiano del nostro tempo. Questa miscela di sfiducia
"apatica", mobilitazione sociale permanente, immaginazione
istituzionale e politica senza freni. Questa scena affollata di figure, sigle,
bandiere, parole. Non evocano l´antipolitica, ma l´iperpolitica. Troppa
politica: sui media, nelle piazze, nei gazebo. Genera instabilità, alimenta
distacco, soffoca il futuro.

Ilvo Diamanti

 
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il peso dell'ambiente sulle spalle dei poveri

Post n°47 pubblicato il 12 Dicembre 2007 da p_i_a_n_o
 
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Un intervento di Joseph Stiglitz sulla
conferenza di Bali che dovrà definire il quadro per tentare di impedire il disastro
incombente del riscaldamento globale e dei mutamenti climatici
.

"Il
Protocollo di Kyoto è una conquista di grande importanza e, tuttavia, esso non
tocca il 75 per cento delle fonti di emissione: gli Stati Uniti, il paese che
più inquina, non lo ha ratificato. (Ora che il nuovo governo australiano lo ha
sottoscritto, gli Stati Uniti sono, tra i paesi industriali avanzati, l´unico a
essere rimasto fuori). Il Protocollo di Kyoto non contempla requisiti per i
paesi in via di sviluppo, eppure, in un futuro non troppo lontano, a questi
paesi potrà essere imputata la metà o più delle emissioni; e non prevede
inoltre niente contro la deforestazione che contribuisce quasi quanto gli Stati
Uniti all´aumento della concentrazione dei gas serra. Gli Stati Uniti e la Cina competono nella gara a
chi inquina di più. Gli Stati Uniti l´hanno vinta da parecchio tempo, ma nei
prossimi anni, la Cina
contenderà loro questo discutibile primato. L´Indonesia si colloca al terzo
posto per via della sua rapida deforestazione. Un´azione concreta che dovrebbe
essere decisa a Bali è il sostegno alla Rainforest Coalition, un gruppo di
paesi in via di sviluppo che chiedono di essere aiutati per preservare le loro foreste.
Questi paesi forniscono un servizio all´ambiente per il quale non sono
compensati. Per preservare le foreste hanno bisogno di risorse e di incentivi.
I benefici che deriverebbero a livello globale da un tale aiuto superano di
gran lunga i costi. Il momento in cui si svolge questa conferenza non è
propizio. George W. Bush, scettico da molto tempo sul riscaldamento globale e
da tempo impegnato a minare il multilateralismo, è ancora il presidente degli
Stati Uniti. A causa dei suoi stretti rapporti con il settore petrolifero, egli
detesta far pagare per le emissioni. Ciò nonostante, i partecipanti alla
conferenza di Bali possono trovare un accordo su alcuni princìpi guida per i
futuri negoziati. Tra questi, al primo posto, che le soluzioni contro il riscaldamento
globale richiedono la partecipazione di tutti i paesi. Secondo, che non ci può
essere chi non paga il biglietto e che quindi è possibile imporre e dovrebbero
essere imposte delle sanzioni commerciali – le uniche sanzioni efficaci di cui
può avvalersi la comunità internazionale – a quei paesi che non cooperano.
Terzo, che il problema del riscaldamento globale ha dimensioni tali da rendere
necessario l´utilizzo di ogni strumento disponibile. Nella soluzione devono
essere compresi incentivi migliori. Tuttavia, attorno a quale sia la strada più
efficace – quella delle quote e di un mercato dei diritti di emissione del
Protocollo di Kyoto oppure quella di una tassa sulla produzione dei gas serra,
la cosiddetta carbon tax – sussiste una furiosa controversia. Il problema del
sistema contemplato dal Protocollo di Kyoto è quello di stabilire dei tetti che
siano accettabili sia per i paesi sviluppati sia per i paesi in via di
sviluppo. Concedere dei vantaggi a livello delle quote di emissione è come
elargire denaro – potenzialmente centinaia di miliardi di dollari. Il principio
su cui si fonda il Protocollo di Kyoto – vale a dire che ai paesi che nel 1990
producevano più emissioni sia concesso di immettere anche nel futuro più gas
serra – è inaccettabile per i paesi in via di sviluppo, così come lo è anche la
concessione di maggiori diritti di emissioni per i paesi con un Pil più alto.
L´unico principio che ha una qualche base etica è quello che prevede pari
diritti di emissione pro capite (con alcuni aggiustamenti – per esempio, gli
Stati Uniti hanno consumato già la loro quota dell´atmosfera globale, quindi a
questo paese dovrebbe essere consentita una quota di emissioni inferiore).
Tuttavia, adottare questo principio implicherebbe un tale esborso dai paesi
sviluppati verso quelli in via di sviluppo che, purtroppo, difficilmente i
primi lo accetterebbero. L´efficienza economica esige che i paesi che producono
emissioni ne paghino il costo e il modo più semplice per costringerli a farlo è
una tassa sulle emissioni di anidride carbonica. Si potrebbe raggiungere un
accordo internazionale in virtù del quale ogni paese imporrebbe una carbon tax
basata su una aliquota concordata (che dovrebbe riflettere i costi sociali
globali). In effetti, è molto più sensato tassare ciò che non è virtuoso, come
l´inquinamento, che tassare le cose virtuose come il lavoro o il risparmio. La
carbon tax accrescerebbe l´efficienza a livello globale. Il sistema delle quote
di emissione e di un mercato di queste quote piace ovviamente ai settori
industriali che inquinano. Se da una parte offre loro un incentivo per non
inquinare, dall´altra, le quote di emissioni attribuite compensano buona parte
di ciò che questi settori pagherebbero in un sistema a tassazione. Alcune
aziende riescono persino a guadagnare da questo meccanismo. Inoltre, in Europa,
il concetto di tetti per le quote di emissione attribuite e del loro scambio è
consolidato e quindi molti sono restii a tentare vie alternative. Ciò
nonostante, non è stato ancora proposto un insieme di princìpi accettabile per
l´assegnazione dei diritti di emissione. Per alcuni ciò non rappresenta una
preoccupazione. Poiché i paesi in via di sviluppo sono destinati ad avere più
da perdere dei paesi sviluppati se non si fa niente riguardo al riscaldamento
globale, molti sono convinti che questi ultimi possano essere raggirati,
minacciati o indotti a sostenere un accordo globale. I paesi sviluppati
dovrebbero soltanto stabilire il prezzo minimo da pagare ai paesi in via di
sviluppo in cambio della loro cooperazione. I paesi in via di sviluppo tuttavia
sono preoccupati che un nuovo accordo globale sulle emissioni li collochi, come
tanti altri accordi internazionali, in una posizione di svantaggio. Alla fine
potrebbe prevalere la
Realpolitik. Ma il mondo di oggi è diverso da quello di
venticinque anni fa o da quello di soltanto dieci anni fa. Il fatto che in
molti paesi in via di sviluppo si faccia largo la democrazia implica che i
cittadini di questi paesi chiederanno un trattamento equo. I princìpi contano.
I partecipanti alla conferenza di Bali dovrebbero tenere presente che il
riscaldamento globale è una questione troppo importante per essere tenuta in
ostaggio da un altro tentativo di fare tirare la cinghia ai poveri."



 

 
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la terza rivoluzione industriale

Post n°46 pubblicato il 08 Dicembre 2007 da p_i_a_n_o
 
Foto di p_i_a_n_o

In questa
prima metà del XXI secolo ci stiamo avvicinando al tramonto dell´era
petrolifera. Il prezzo del greggio nei mercati globali continua ad aumentare e
nei prossimi decenni si arriverà sicuramente a un picco. Al tempo stesso,
l´impressionante aumento delle emissioni di biossido di carbonio derivanti
dalla combustione dei combustibili fossili sta facendo salire la temperatura
della Terra e minaccia di modificare l´equilibrio chimico planetario e il clima
globale in un modo che non ha precedenti nella storia, con conseguenze e
ripercussioni inquietanti e minacciose per il futuro della civiltà umana e gli
ecosistemi della Terra.

Se petrolio, carbone e gas naturali continueranno a fornire una parte
considerevole dell´energia mondiale e dell´Unione Europea per un bel pezzo del
XXI secolo, è ormai pressoché unanime il consenso sul fatto che stiamo entrando
in un periodo crepuscolare, nel quale i costi complessivi della nostra
dipendenza dai combustibili fossili iniziano ad agire da freno e ostacolo per
l´economia mondiale. In quest´era crepuscolare, i 27 Stati membri dell´Ue
stanno adoperandosi in ogni modo possibile per assicurarsi che le restanti
scorte di combustibili fossili siano adoperate con maggiore efficienza e stanno
sperimentando nuove tecnologie energetiche pulite per limitare le emissioni di
biossido di carbonio nella combustione dei carburanti tradizionali. Da sole,
però, una maggiore efficienza energetica e una riduzione obbligatoria dei gas
che provocano il riscaldamento globale non basteranno.

Le grandi rivoluzioni economiche della
storia: la convergenza di nuovi regimi energetici e nuove forme di
comunicazione


I cambiamenti economici epocali della storia dell´umanità si sono verificati
allorché nuovi regimi energetici sono coincisi con nuove forme di
comunicazione. Quando tale convergenza ha luogo la società si ristruttura in
modalità del tutto nuove. All´inizio dell´era moderna, l´arrivo simultaneo
della tecnologia del vapore alimentata a carbone e della stampa hanno dato
origine alla prima rivoluzione industriale. Alla fine del XIX secolo e per
tutti i primi due terzi del XX secolo, le forme di comunicazione elettrica di
prima generazione – il telegrafo, il telefono, la radio, la televisione, le
macchine da scrivere elettriche, le calcolatrici, e così via – hanno coinciso
con l´introduzione del petrolio e del motore a combustione interna, diventando
di fatto il meccanismo di controllo e di comando delle comunicazioni per
organizzare e diffondere la seconda rivoluzione industriale. Una grande rivoluzione
nelle comunicazioni ha avuto luogo negli anni Novanta. La seconda generazione
di forme elettriche di comunicazione – personal computer, Internet, il World
Wide Web, e le tecnologie wireless di comunicazione – ha messo in connessione
tra loro il sistema centrale nervoso di oltre un miliardo di persone in tutto
il pianeta alla velocità della luce. Sebbene le nuove rivoluzioni di software e
della comunicazione abbiano iniziato a migliorare la produttività in ogni
settore industriale, il loro pieno potenziale è lungi dal dirsi pienamente
realizzato. Tale pieno potenziale si situa nel loro abbinamento all´energia
rinnovabile, in parte immagazzinata sotto forma di idrogeno, per creare i primi
regimi di energia "distribuita". Gli stessi principi di progettazione,
le stesse tecnologie intelligenti che hanno reso possibile Internet saranno
utilizzati per riconfigurare le reti elettriche della Terra, così che gli
individui possano produrre energia rinnovabile e condividerla da pari a pari,
proprio come adesso producono e condividono informazione, creando di
conseguenza una nuova e decentralizzata forma di uso dell´energia. La creazione
di un regime a energia rinnovabile, in parte immagazzinata sotto forma di
idrogeno, e distribuita tramite reti intergrid intelligenti, spalanca le porte
a una Terza Rivoluzione Industriale, che dovrebbe avere un potente effetto
moltiplicatore economico nel XXI secolo quanto quello che ebbe la convergenza
di stampa e motore a vapore alimentato a carbone nel XIX secolo, o quello della
convergenza di forme elettriche di comunicazione e motore a combustione interna
e petrolio nel XX.



I tre pilastri della Terza Rivoluzione
Industriale

Le forme di
energia rinnovabile – solare, eolica, a idrogeno, geotermica, delle onde
oceaniche e delle biomasse – costituiscono il primo dei tre pilastri
della Terza Rivoluzione Industriale. Se da un lato queste forme di energia agli
esordi oggi rappresentano ancora una piccola percentuale del mix energetico
globale, esse dall´altro sono in rapida crescita grazie ai governi che fissano
obiettivi e scadenze per una loro massiccia immissione nel mercato e grazie ai
costi in costante calo che li rendono sempre più competitivi. Miliardi di euro
di capitali pubblici e privati affluiscono nella ricerca, nello sviluppo e
nella penetrazione nei mercati, a mano a mano che le imprese e i proprietari di
casa cercano di ridurre il loro impatto in termini di emissioni di anidride
carbonica diventando più efficienti e indipendenti dal punto di vista
energetico.

L´introduzione del pilastro delle energie rinnovabili della Terza Rivoluzione
Industriale esige la contemporanea introduzione di un secondo pilastro:
per massimizzare l´energia rinnovabile e ridurre al minimo i costi sarà
necessario sviluppare metodi e sistemi di immagazzinamento che facilitino la
conversione delle fonti intermittenti di queste fonti energetiche in asset
affidabili. Batterie, pompe idrauliche differenziate, altri dispositivi possono
fornire una capacità di immagazzinamento soltanto limitata. Esiste però un
dispositivo di immagazzinamento assai disponibile e che può risultare
relativamente efficiente. L´idrogeno è lo strumento universale che
"immagazzina" tutte le forme di energia rinnovabile, garantendo che
una fornitura stabile e affidabile è sempre disponibile e possibile per
generare elettricità e, cosa altrettanto importante, è facilmente
trasportabile. L´idrogeno è l´elemento più leggero e più abbondante
dell´Universo e quando è utilizzato come fonte energetica gli unici
sottoprodotti a cui dà luogo sono acqua pulita e calore. Le nostre navicelle
spaziali sono alimentate da celle hi-tech a idrogeno da più di 30 anni. Il
punto importante sul quale dobbiamo soffermarci è che una società che si basa
sull´energia rinnovabile è possibile nella misura in cui parte di quell´energia
può essere immagazzinata sotto forma di idrogeno. Questo perché le energie
rinnovabili sono intermittenti: il sole non splende sempre, così come il vento
non soffia sempre, l´acqua non scorre sempre se c´è siccità, e i raccolti
agricoli possono variare per una molteplicità di fattori. Quando le energie
rinnovabili non sono disponibili, non si può generare elettricità e le attività
economiche rischiano di subire una frenata e fermarsi. Ma se l´elettricità
generata allorché l´energia rinnovabile è abbondante, può essere utilizzata per
estrarre idrogeno dall´acqua, che potrà essere conservato per essere utilizzato
in seguito, a quel punto la società disporrà di un rifornimento continuo di
energia elettrica. L´idrogeno può essere estratto anche dalle biomasse e
immagazzinato nello stesso modo. La Commissione Europea
riconosce che una maggiore dipendenza dalle forme di energia rinnovabile
sarebbe enormemente facilitata dallo sviluppo della capacità di
immagazzinamento delle celle a idrogeno. Di conseguenza, nell´ottobre 2007 la Commissione Europea
ha annunciato un´ambiziosa partnership tra pubblico e privato per accelerare
l´introduzione commerciale di un´economia dell´idrogeno nei 27 Stati membri
dell´Unione Europea, con l´obiettivo primario di produrre idrogeno dalle fonti
di energia rinnovabile. Così facendo ha di fatto eretto i primi due pilastri
della Terza Rivoluzione Industriale. Il terzo pilastro, la
riconfigurazione della rete elettrica europea, similmente a quella di Internet,
e in grado di permettere ad aziende e proprietari di casa di produrre l´energia
che serve loro e di condividerla con gli altri, soltanto adesso è in corso di
collaudo da parte di varie società elettriche europee. L´intergrid
intelligente, la rete elettrica interconnessa, è formata da tre componenti di
importanza fondamentale. Le minigrid permettono a proprietari di casa, piccole
e medie aziende (Sme) e imprese economiche su larga scala di produrre energia
rinnovabile a livello locale – tramite pannelli solari, vento, piccole centrali
eoliche, scorie animali e dell´agricoltura, spazzatura e così via – e di
utilizzarla per le loro stesse necessità energetiche senza collegarsi alla rete
elettrica generale. La tecnologia della misurazione intelligente consente ai
produttori locali di rivendere più efficientemente la loro energia alla rete
elettrica principale, come pure di accettare da essa elettricità, rendendo
bidirezionale il flusso dell´elettricità. La fase successiva della tecnologia
delle reti intelligenti consistente nell´inserire dispositivi, sensori e chip,
in tutto il sistema della rete, collegando ogni singola apparecchiatura
elettrica. Il software a quel punto consente all´intera rete elettrica di
sapere con esattezza quanta energia sia utilizzata in ogni momento e in
qualsiasi punto della griglia. Questa interconnettività può essere utilizzata
per re-indirizzare e deviare gli usi e i flussi energetici durante i picchi
d´uso e nelle interruzioni d´uso, e perfino di adeguarsi ai cambiamenti di
prezzo dell´elettricità da un momento a un altro. In futuro, queste reti
intelligenti potranno essere ulteriormente connesse per adeguarsi
istantaneamente ai cambiamenti meteorologici dando alla rete elettrica la
possibilità di adeguare il flusso dell´elettricità di continuo, sia in funzione
delle condizioni meteorologiche sia della domanda dei consumatori. Per esempio,
se la rete elettrica è sottoposta a un picco di uso energetico ed è esposta a
un possibile sovraccarico dovuto all´eccessiva domanda, il software potrà
regolare la lavatrice di un utente e rallentarla di un ciclo per carico o
ridurre l´aria condizionata di un grado. I consumatori che acconsentiranno a
lievi ritocchi dell´elettricità da loro utilizzata riceveranno del credito
sulle loro bollette.



La prossima fase dell´integrazione
europea


L´Unione Europea nacque quando le nazioni europee si strinsero intorno a una
comune politica energetica, prima con la comunità del carbone e dell´acciaio e
poco dopo con la fondazione di Euratom.

La Terza Rivoluzione Industriale richiederà una riconfigurazione completa dei
settori dei trasporti, delle costruzioni e dell´elettricità, creerà nuovi
prodotti e servizi, favorirà lo sviluppo di nuove aziende e darà vita a milioni
di nuovi posti di lavoro. Arrivare primi nel mercato consentirà all´Unione
Europea di essere leader della Terza Rivoluzione Industriale, e di conseguire
un vantaggio commerciale nelle esportazioni nel mondo di know-how della
tecnologia e delle apparecchiature verdi.



La sicurezza energetica

Le crescenti
preoccupazioni per la dipendenza dal gas naturale della Russia e dal petrolio
del Golfo Persico alimentano buona parte del vivace dibattito in corso sulla
questione di come garantire al meglio la sicurezza energetica dell´Ue. Con il
prezzo del petrolio che adesso si aggira sui 68 dollari al barile sul mercato
internazionale, i governi dell´Unione Europea, le industrie e i consumatori si
sentono sempre più vulnerabili e in ansia per la loro indipendenza energetica.
La chiave per "la sicurezza energetica" dell´Ue risiede nell´abilità
di produrre energia ed elettricità localmente e regionalmente, da fonti
prontamente disponibili di energia rinnovabile, nella capacità di
immagazzinarne una parte sotto forma di idrogeno e altre tecnologie di
immagazzinamento per sostituire e supportare l´energia della rete elettrica e
dei trasporti, e nella possibilità di condividere l´energia supplementare
ovunque tramite una rete intelligente che colleghi ogni comunità europea.

Una intergrid intelligente su scala continentale e pienamente integrata
consente a ogni Paese membro dell´Ue di produrre la propria energia e al
contempo di condividerne qualsiasi surplus con il resto dell´Europa con un
approccio da "network" che garantisca all´Ue la sua sicurezza
energetica. L´Italia può condividere con il Regno Unito il suo surplus di
energia solare, il Regno Unito può fare altrettanto con il Portogallo con la
sua energia eolica in eccesso, il Portogallo a sua volta può condividere la sua
abbondante produzione di energia idroelettrica con la Slovenia, e la Slovenia può condividere
le sue abbondanti scorie forestali con la Polonia, che può condividere le sue biomasse
agricole con la Norvegia…
e così via. Quando una qualsiasi regione dell´Unione Europea usufruisce di un
temporaneo aumento o surplus della propria energia rinnovabile, potrà
condividerla con le regioni che si trovano temporaneamente in situazione di
calo o di deficit energetico.



Energia distribuita: dalla
geopolitica alla politica delle biosfere

I combustibili
fossili e l´energia nucleare sono per loro stessa natura energie d´élite, che
rappresentano il vecchio approccio centralizzato dall´alto verso il basso per
la gestione delle risorse, così tipico del XIX e del XX secolo. Poiché possono
essere reperiti soltanto in alcuni luoghi, il carbone, il petrolio, il gas
naturale e l´uranio hanno spesso richiesto ingenti investimenti militari per
essere messi in sicurezza e altrettanto ingenti investimenti di capitale per
lavorarli e commercializzarli. Le fonti di energia rinnovabile, invece, sono
distribuite ovunque sulla Terra. I raggi solari, il vento, l´acqua, la
geotermia, le onde oceaniche, i residui dell´agricoltura e delle foreste, la
spazzatura comunale sono tutte accessibili in tutto il mondo. Se raccolta e
immagazzinata sotto forma di idrogeno, se distribuita sotto forma di
elettricità per mezzo di intergrid, reti elettriche intelligenti, l´energia
rinnovabile ha il potenziale di poter essere condivisa da pari a pari con una
modalità di distribuzione simile a quella che oggi utilizziamo per comunicare e
informarci su Internet. La
Terza Rivoluzione Industriale rende possibile una capillare
ridistribuzione del potere, con conseguenze positive e di vasta portata per la
società. L´odierna distribuzione centralizzata e dall´alto verso il basso di
energia diverrà sempre più obsoleta. Nella nuova èra le aziende, i comuni, i
proprietari di casa potranno diventare produttori tanto quanto consumatori
della loro stessa energia, la cosiddetta "generazione distribuita".
Addirittura, le automobili stesse saranno "stazioni energetiche su
ruote" e avranno la capacità di generare 20 o più kilowatts. Considerato
che in media un´automobile per la maggior parte del tempo è parcheggiata, nelle
ore nelle quali non è utilizzata potrà essere collegata con una presa di
corrente alla casa, all´ufficio o alla rete elettrica interattiva principale e
trasferire elettricità di prima qualità. I veicoli azionati a celle a
combustibile diverranno di conseguenza un mezzo per immagazzinare ingenti
quantità di energia sotto forma di idrogeno che potrà, a sua volta, essere
convertito nuovamente in elettricità per alimentare la rete elettrica
principale. Se soltanto il 25% degli automobilisti usasse il proprio veicolo
come impianto elettrico per rivendere energia alla rete principale intergrid ,
si potrebbero eliminare tutte le centrali elettriche dell´Unione Europea. In
futuro, le società elettriche e le aziende di servizio pubblico sempre più
diverranno bundler di energia distribuita, aggregando e raccogliendo l´energia
rinnovabile generata localmente e regionalmente dalle aziende e dai proprietari
di casa, immagazzinando quell´energia sotto forma di idrogeno e altri supporti
di immagazzinamento energetico e distribuendo l´energia per mezzo di reti
elettriche intelligenti in tutto il continente europeo. L´avvento simultaneo
delle tecnologie della comunicazione distribuita e delle energie rinnovabili
distribuite tramite un accesso aperto, una rete elettrica intelligente equivale
a dire "potere al popolo". La domanda cruciale che ogni nazione deve
porsi è dove intende collocarsi da qui a dieci anni: nelle energie e nelle
industrie al tramonto della seconda rivoluzione industriale o nelle energie e
nelle industrie in via di sviluppo della Terza Rivoluzione Industriale. Sarà
proprio questa Terza Rivoluzione Industriale, infatti, la partita conclusiva in
grado di traghettare il mondo fuori da un panorama energetico obsoleto che si
basa sul carbone e sull´uranio e farlo entrare nel futuro non inquinante e
sostenibile dell´umanità. (Jeremy Rifkin)

 
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nessuno tocchi Clementina!

Post n°44 pubblicato il 05 Dicembre 2007 da p_i_a_n_o
 

Clementina Forleo è trasferita, umiliata, scippata dell'indagine Unipol (che tocca due partiti: Ds e Forza Italia).....

Nessuno tocchi Clementina

 
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come sperare? come non disperarsi?

Post n°43 pubblicato il 27 Novembre 2007 da p_i_a_n_o
 
Foto di p_i_a_n_o

Come
sperare? Le armi di distruzione proliferano. La biosfera si degrada senza che
si sia condotta un´azione vitale che la salvi e che ci salvi. Le vecchie
barbarie imperversano nuovamente: vediamo ovunque all´opera le logiche della
vendetta e le forze di distruzione; esse si sono alleate con la barbarie che si
cela sotto il belletto del calcolo tecno-economico. Il nostro modo di
conoscenza che frammenta il sapere in brandelli sparsi ci rende sempre più
ciechi rendendoci incapaci di percepire i problemi globali e fondamentali. Come
non disperarsi
?
Scrive Edgar Morin: "
Il primo
principio di speranza è nell´improbabile.
Per capire che cosa significa l´improbabile, bisogna capire che cosa significa
il probabile. Il probabile è ciò che una mente umana, in un dato luogo, in un
dato tempo, disponendo dei migliori mezzi di informazione, può immaginare
accadrà. Il probabile non è l´ineluttabile. Già Euripide l´aveva detto al
termine di tre delle sue tragedie, per bocca del corifeo: «Ciò che è probabile
non sempre accade; talvolta un dio malevolo fa accadere l´imprevisto». Ed è accaduto
spesso nella storia umana. Pensate che, per fare un esempio storico, 2.500 anni
fa l´esercito più potente di un impero potente (l´impero persiano) attaccò
alcuni minuscoli borghi greci, tra cui Atene. Ci furono due guerre persiane.
Era più probabile che l´impero persiano schiacciasse le piccole città greche.
Tuttavia, nella prima guerra persiana, gli Ateniesi e gli Spartani respinsero a
Maratona il gigantesco esercito persiano. Una seconda volta, i persiani
invasero la Grecia
e questa volta presero Atene, saccheggiarono Atene, bruciarono Atene e
credevano di avere vinto; tuttavia, come avrete letto sui vostri libri di
storia, la flotta greca che era a Salamina tese un tranello-trappola alla
gigantesca flotta persiana e la distrusse. Da questa vittoria dell´improbabile
sono venute, cinquanta anni dopo, la nascita della democrazia e la nascita
della filosofia. Il secondo principio di speranza viene dalle potenzialità umane ancora non messe in atto.
Einstein diceva che noi utilizziamo soltanto il 15% delle nostre capacità
cerebrali – è una cifra arbitraria ma ci indica a mio avviso che siamo ancora
nella preistoria dello spirito umano. Si può anche partire dall´idea
"dell´uomo generico" che esprimeva il giovane Marx. Che voleva dire
"generico"? Non si trattava dei geni, poiché i geni non esistevano
nella scienza della sua epoca. "Generico" vuol dire che detiene in sé
capacità di generazione e rigenerazione. Queste capacità tendono a sopirsi, a
sclerotizzarsi nelle civiltà; del resto, questo riprendeva in una maniera nuova
una idea profonda di Jean-Jacques Rousseau – che vedeva nelle civiltà una certa
forma di decadimento e di corruzione in relazione alle capacità naturali
dell´essere umano. Jean-Jacques Rousseau non credeva che esistesse un uomo
buono prima dell´uomo civilizzato, ma sapeva che ciò che egli chiamava la
"bontà", vale a dire questa capacità generatrice, poteva trovarsi
inibita nelle civiltà. La capacità generatrice o rigeneratrice ha bisogno
spesso di una irruzione, di una eruzione per manifestarsi, come accadde in
Francia nel 1789. Dobbiamo pensare che oggi le forze generatrici e
rigeneratrici si manifestano in modo dispersivo e embrionale, ma non arrivano
ancora a dispiegarsi. Contemporaneamente all´amplificazione delle forze di
distruzione, esse potrebbero svilupparsi nella crisi planetaria che noi
viviamo. Allora esse ci indicheranno che dobbiamo cambiare strada, che abbiamo
bisogno di un nuovo inizio. Potremo dare un senso alle parole di Heidegger:
«L´origine non è dietro di noi, è davanti a noi». Così possiamo formulare un
secondo principio di speranza, a partire dalle potenzialità generiche
(generatrici e rigeneratrici) dell´umanità. La terza fonte di speranza viene
dalle possibilità di meta-morfosi.
Che cosa è una metamorfosi? Ne abbiamo numerosi esempi in natura, in
particolare nel mondo degli insetti. Vedete un bruco entrare in una crisalide.
Che cosa accade in questa crisalide? Il bruco comincia ad auto-distruggersi pur
mantenendo il suo sistema nervoso e questo processo di auto-distruzione è al
tempo stesso auto-produzione e auto-creazione di un essere nuovo che tuttavia è
lo stesso; ha la stessa identità, ma è del tutto differente nelle sue qualità e
nelle sue attitudini. E quando la crisalide si apre, ebbene è una farfalla che
appare e che prende il volo. La prima grande metamorfosi sopravvenuta sul
pianeta Terra è quella della trasformazione di una organizzazione strettamente
fisico-chimica in una organizzazione vivente. Questa auto-organizzazione è
dotata di qualità, di potenzialità inesistenti a livello delle organizzazioni
strettamente fisiche o chimiche. Essa può riprodursi, ripararsi, muoversi,
conoscere. È nata probabilmente quando sistemi fisico-chimici sempre più
diversi, ricchi e complessi sono arrivati a un limite di sviluppo; essi non
potevano allora fare altro che distruggersi oppure trasformarsi in un
meta-sistema vivente più complesso e più ricco: il meta-sistema vivente. Nel
corso dei millenni, l´umanità fu costituita da piccole società di
cacciatori-raccoglitori senza Stato, senza agricoltura, senza città, senza
leggi. Tuttavia, in cinque punti del globo, Medio-Oriente, bacino dell´Indù,
Cina, Messico, Perù, un certo numero di queste società si è trovato insieme in
uno stato di densità demografica nuovo e si sono unificate e trasformate in
meta-società, le società storiche con l´agricoltura, con gli Stati, con le
città, che hanno sviluppato grandi civiltà. Non tutto è stato un progresso,
poiché molte qualità umane sono state perdute con le società arcaiche e molta
violenza e distruzione sono arrivate con le società storiche. Ma quello che
voglio evidenziare è che è arrivato un momento "storico" in cui forze
di metamorfosi si sono esercitate. Oggi il pianeta non riesce più ad affrontare
i suoi problemi mortali né a risolvere i suoi problemi vitali. Ora, un sistema
che non riesce ad affrontare i suoi problemi vitali o si disintegra o arriva a
effettuare una metamorfosi trasformandosi in un sistema più ricco, più
complesso, capace di affrontare questi problemi. Noi siamo nella
globalizzazione, ma questa dovrebbe essere superata in una "società
mondo". Siamo nello sviluppo, ma questo dovrebbe essere superato nell´idea
di una politica della civiltà e di una politica dell´umanità. Siamo in uno
stato di caos, uno stato agonico; ma voi sapete che la parola
"agonia" significa "lotta estrema tra le forze della morte e le
forze della vita" e che, paradossalmente, ciò che può apportare la morte
può apportare la nuova vita. C´è dunque speranza di una metamorfosi delle
nostre attuali società in una società mondo di tipo nuovo. Allora, si può dire
che più siamo incapaci di affrontare i nostri problemi vitali, più ci
avviciniamo a una catastrofe, più ci avviciniamo a una possibile metamorfosi.
Anche la speranza può crescere con la disperazione. Il poeta Hölderlin diceva:
«Là dove cresce il pericolo, cresce anche ciò che salva». Tutto questo ci
mostra che la speranza non è una certezza, che la speranza deve crescere,
paradossalmente, con la disperazione e che l´idea di metamorfosi è diventata
salutare, forse la più importante ormai. Ma è evidente che prima che ci sia una
trasformazione, prima della comparsa di un nuovo sistema, non lo si può
concepire, non si può definire. Possiamo soltanto indicare che bisognerebbe
cambiare via, che la via nuova potrebbe emergere e che è la via della speranza.
"

 
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una lezione ai professori.... da uno studente

Post n°42 pubblicato il 23 Novembre 2007 da p_i_a_n_o
 
Foto di p_i_a_n_o

"Voi insegnanti ci dite che i desideri sono la
nostra rovina, che ci costringono in una situazione di affanno perenne, di
dipendenza, di mortificazione del pensiero. I desideri ci spingono nei centri
commerciali dove siamo come pecore al pascolo, e noi sbaviamo dietro un
telefonino, un paio di scarpe firmate, una maglia da cento euro, e intanto non
ci accorgiamo che il lupo si sbrana la nostra vita. Ci parlate di Leopardi e di
Schopenhauer, insistete perché noi ragazzi non perdiamo tempo ed energie a
rincorrere false soddisfazioni, che in realtà ci impoveriscono sempre più. Ci
leggete in classe articoli di scrittori, preti, filosofi che condannano il
consumismo. Tutto vero, probabilmente, tutto fila senza una grinza. Però io mi
domando: come mai queste sante parole non producono alcun effetto? È semplice.
Non producono alcun effetto perché tutto il mondo occidentale si regge
sull´eccitazione dei desideri, e se di colpo prevalesse San Francesco sarebbe
lo sfacelo. Si ricorda professore quella pubblicità in cui si vedeva la gente
per la strada che ringraziava un tipo con una busta in mano? Lo ringraziavano
perché aveva comprato qualcosa, una cosa qualunque, forse una cosa inutile, ma
che permetteva all´economia di girare, di creare ricchezza, di aumentare i posti
di lavoro, o almeno di non perderli. Ecco dov´è l´ipocrisia. Tutti i sapientoni
ripetono che bisogna accontentarsi, senza sciupare la propria esistenza dietro
alle sciocchezze che ci vengono proposte a getto continuo, ma poi l´Occidente
si regge solo sulla frenesia, sull´avidità, sul desiderio folle. Tutto il
nostro immaginario è costruito ad arte per sedurre e farci sentire partecipi di
una comunità che esiste finché può spendere. La ruota gira e non si può
assolutamente fermare, e neppure rallentare. Gli adulti al comando gestiscono
la fantasia nazionale, la spingono dove più conviene. Il Pil deve crescere, gli
stipendi devono aumentare per rilanciare i consumi, le industrie devono
incrementare i profitti per far guadagnare i padroni ma anche per non mandare a
casa gli operai. Senza desideri assatanati l´Occidente precipita. Pubblicitari,
creativi, uomini del marketing, belle ragazze in mutande, politici,
televisioni, tutti soffiano a pieni polmoni nelle vele del desiderio, perché è
da lì che vengono i soldi e il benessere. Magari poi la gente impazzisce, si
perde, si indebita, i giovani si confondono, si viziano, diventano sempre più
deboli, ma non c´è niente da fare, se il desiderio non pompa l´acqua non
sgorga. Se il desiderio si blocca, si blocca tutto. E poi arrivate voi
professori, che siete tagliati fuori dal mondo, che contate sempre meno perché
avete poco da spendere, e ci rifilate questi pistolotti inutili. Dite che il
desiderio porta alla depressione o alla criminalità, che separa e contrappone gli
esseri umani, che genera un arraffa arraffa individualista e degradante,
predicate il rigore, lo studio, il sacrificio, ma nessuno vi sta a sentire. Noi
no, perché siamo ragazzi e vogliamo divertirci, ma neanche gli adulti che
valgono davvero vi prestano ascolto. Loro lo sanno cento volte meglio di voi
come funziona la baracca. Funziona solo se i nostri desideri la sostengono
minuto per minuto, altrimenti si sbraca. Fortunatamente oggi la cultura è
inutile, ma se veramente fosse assorbita profondamente dalla gente comune
sarebbe addirittura nociva, saboterebbe la macchina o l´autobus su cui
viaggiamo, e questo non può accadere" (da un articolo di Marco Lodoli, scrittore e professore in un istituto tecnico di Roma)

 
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dall'Africa la soluzione del problema energetico mondiale

Post n°41 pubblicato il 21 Novembre 2007 da p_i_a_n_o
 
Tag: energia
Foto di p_i_a_n_o

Un quadrato di 210 per 210 chilometri. Poco più grande di metà della pianura padana. Ma nel Sahara. «Questo quadrato ipotetico rappresenterebbe comunque poco più di un millesimo dei deserti esistenti - spiega il premio Nobel Carlo Rubbia  - ma su di lui il Sole
ogni anno irraggia in media 15 terawatt di energia, tanti quanti ne
consuma l'intera nostra civiltà. E supponiamo, come ci dicono i trend,
che al 2030 si vada al raddoppio. Si tratterebbe solo di aggiungere un
altro millesimo di deserto solare e di metterlo al lavoro».

Questo è il sogno energetico che ormai da più di un decennio muove
centinaia di menti e di organizzazioni, pubbliche e private, non solo
in Europa ma anche nel Nord-Africa, nel Mediterraneo e negli Usa. E non
è solo un sogno, ma una necessità: «al 2025 l'Europa a 25 avrà un
deficit elettrico di metà dei suoi consumi - dice Hans
Muller-Steinaghen, del Dlr, centro aerospaziale tedesco - pari a oltre
230 gigawatt (l'Italia al 2030 per 16 gigawatt, ndr), a mano a mano che
le vecchie centrali fossili verranno dismesse. E altri 230 aggiuntivi
verranno dalla crescita dei consumi elettrici dei paesi Mediterranei e
del Medio Oriente. Un fabbisogno enorme, che solo una fonte può
sostenere: il grande solare desertico, l'unica con un potenziale di
oltre cento volte gli scenari più estremi». Per tre anni gli
esperti tedeschi, guidati dal ministero dell'Ambiente di Berlino
(insieme a colleghi giordani, marocchini, egiziani e algerini) hanno
lavorato sugli scenari tecnologici di Trans-Csp e Med-Csp, due grossi
volumi, irti di cifre e grafici, su come dovrà cambiare l'intero
contesto energetico dei due continenti. Europa, Nord-Africa e Medio
Oriente interconnessi da una sola rete elettrica ad alta capacità di
trasporto in corrente continua, e grandi centrali solari termodinamiche a concentrazione desertiche
(Csp, concentrated solar power) in grado di produrre e inviare centinaia di gigawatt di potenza fin nel nord-Europa, oltre a soddisfare i consumi locali (anche di acqua
desalinizzata). Una visione grandiosa, quasi temeraria (uno dei suoi
primi sostenitori, negli anni '90, è stato Carlo Rubbia), ma che ora
comincia a diventare realtà. Se ne è avuta una prova in
occasione di World Solar Power 2007, la prima conferenza internazionale
sul Csp tenutasi in Europa, a Siviglia. Una tre giorni che ha visto la
partecipazione di un centinaio tra aziende, centri di ricerca e
istituti finanziari provenienti da Europa, Usa e Medio Oriente.
L'occasione per l'organizzatore, la spagnola Abengoa, di esibire la sua
creatura solare nuova di zecca, la grande centrale Ps10 con i suoi 600
specchi da 120 metri quadri sempre puntati sulla torre centrale alta
115 metri a Sanlucar, capace di produrre 10 megawatt. Attiva dallo
scorso giugno, Ps10 è la prima del suo genere di tipo commerciale (dopo
una quindicina di torri solari di ricerca costruite negli ultimi venti
anni) ed è già in costruzione Ps20, di doppia potenza (12mila case
servite) e poi è allo studio Ps 50, con tecnologie ancora in fase di
sviluppo. Il caso spagnolo, infatti, è il primo e più
massiccio segnale di movimento concreto. Lo scorso 25 maggio il Governo
di Madrid ha assicurato, per decreto, una generosa tariffa elettrica
incentivata per le centrali solari Csp fino a 50 megawatt: 26,9
centesimi di euro per chilowattora (quasi tre volte il prezzo di
mercato) fissi per 25 anni. «Abbastanza per far partire i progetti con
le tecnologie solari attuali - osserva Mark Geyer di Solar Paces,
l'associazione mondiale del solare termodinamico - per ripagare gli
investimenti e i finanziamenti. E soprattutto per avviare quella curva
di apprendimento che, al 2020, dovrebbe far scendere il costo del
chilowattora solare sotto la soglia magica dei dieci centesimi,
competitiva con il gas e il carbone. A quella data gravati da una
carbon tax o dal sequestro della CO2». E la Spagna, con le
sue grandi pianure meridionali a tassi di insolazione nord-africani,
sta correndo: «Al ministero finora sono affluiti progetti per ben 4.100
megawatt complessivi, di cui 412 megawatt già approvati - spiega
Almudena Carrasco della Red Electrica de Espana - una risposta ben
superiore alle previsioni». Oggi si contano almeno 35 centrali solari
in fase di avvio o di progetto, con una chiara concentrazione in
Andalusia e in tutto il centro-sud spagnolo. «La maggiore
concentrazione europea, e soltanto noi di Abengoa contiamo di investire
due miliardi di euro in un sistema di quattro impianti a
SanLucar-Siviglia da 131 megawatt complessivi - spiega Santiago Seage,
presidente di Abengoa Solar - ma gli investimenti sono in moto in tutto
il mondo. Ad oggi noi stimiamo progetti per 6 gigawatt complessivi (e
20 miliardi di euro) in Europa del Sud, Usa, Nordafrica e Medio
Oriente. E presto si aggiungerà alla lista l'Asia, oltre alle
prevedibili centrali australiane. E saranno in prima fila anche India e
Cina». Restiamo però al Mediterraneo. Marocco e Algeria sono
già della partita. Il primo a Ain Ben Mathar, con un impianto ibrido
solare Csp (20 megawatt) e gas a ciclo combinato da 470 megawatt. E i
primi 183mila metri quadrati di specchi solari serviranno agli
ingegneri marocchini per farsi le ossa, dal 2010 sulla nuova
tecnologia. E poi replicarla per esportare in Europa, via
interconnessione con la Spagna, elettricità pulita e a basso costo.
Altrettanto, e forse anche di più, per l'Algeria. Qui è stata già
avviata una tariffa incentivata (non lontana da quella spagnola) e il
primo passo prevede un impianto solare-gas da 160 megawatt a Hassi
r'Mel. «Ma in questo complesso gasiero al centro dell'Algeria contiamo
di sviluppare un tecnopolo solare tra i primi al mondo: al 2015 - dice
Tewfik Hasni, direttore generale di Neal (New Energy Algeria, nuova
consociata di Sonatrach) - prevediamo un investimento da un miliardo di
dollari per 500 megawatt diretti al mercato interno e al 2020 un salto
a 18 miliardi di dollari con un obbiettivo di 6mila megawatt solari per
esportare elettricità in Europa. E vogliamo fare di Hassi r'Mel un
punto di eccellenza mondiale, anche per lo sviluppo di nuove
tecnologie». «E quella algerina è oggi la scommessa più massiccia,
forse persino superiore a quella spagnola», commenta Carlo Rubbia. Questi
i progetti operativi presentati alla tre giorni di Siviglia. Ma anche
Tunisia, Libia e Egitto stanno muovendosi. Israele ha già due centrali
solari in funzione (e vari aziende leader, tra cui Solel e Luz due)
mentre negli Emirati, ad Abu Dhabi, è stata recentemente inaugurata una
intera nuova università tecnica, il Masdar Institute of Technology,
interamente dedicata alle rinnovabili e con apporti del Mit e
dell'Imperial College. Il sogno dell'integrazione
elettrica-solare del Mediterraneo, oltre ai collegamenti già attivi
(Spagna-Marocco) prevede poi, al 2010, altri dodici elettrodotti (in
tecnologia a corrente continua ad alto voltaggio) di cui quattro
cross-mediterranei. E la Terna ha già annunciato il collegamento dalla
Sicilia a Tunisi. Ma a questi dovrebbero seguire connessioni dirette
con la Libia e dalla Sardegna all'Algeria. Mentre dalle coste spagnole
partirà un cavo fino ad Orano. E via Turchia la rete ad
alta potenza risalirà fino in Germania. «Obbiettivo: al 2050 almeno 80
gigawatt affluiranno in Europa da una ventina di siti solari sulle
altre sponde - conclude Muller-Steinaghen -. E almeno il 15% del
consumo elettrico europeo dovrà essere assicurato, via solare, a 5-7
centesimi per chilowattora».

 
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i poveri diventano imprenditori

Post n°40 pubblicato il 16 Novembre 2007 da p_i_a_n_o
 
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 Muhammad Yunus è un economista e banchiere bengalese. È ideatore e realizzatore del microcredito, ovvero di un sistema di piccoli prestiti destinati ad imprenditori troppo poveri per ottenere credito dai circuiti bancari tradizionali. Per i suoi sforzi in questo campo ha vinto il premio nobel per la pace nel 2006.

" Tutti gli esseri umani, senza eccezioni, hanno capacità
imprenditoriali. Il fatto che tali capacità siano riconosciute ad
alcune persone e ad altre no dipende solo dalla società in cui viviamo. Ci accorgemmo di questo fin dal primo esperimento fatto con le donne
alla Grameen Bank. All´inizio dicevano: «Devi dare un prestito a mio
marito, è lui che si occupa del denaro». Ritenevano di non avere alcuna
capacità imprenditoriale. Oggi, la nostra banca ha 7 milioni e mezzo di
mutuatari/proprietari di cui il 97 per cento sono donne. Le donne
indigenti svolgono un ruolo eminente anche nel consiglio di
amministrazione della banca, che ha 27.000 dipendenti e 2.500 filiali. Liberare
le capacità imprenditoriali è come saggiare il sottosuolo o fare
trivellazioni in cerca di petrolio. Si sa che il petrolio c´è, si
tratta soltanto di capire come arrivarci e in che modo estrarlo dal
terreno. Ci potrebbero essere delle false partenze, ma alla fine verrà
estratto. Lo stesso vale per le capacità imprenditoriali. Sono un dono
interiore. Una volta che si è capito di possederle, si tratta soltanto
di liberarle dall´involucro e di metterle in azione. Nulla offre una
dimostrazione migliore di questa realtà dell´esperienza che abbiamo
fatto in Bangladesh con i mendicanti. Quando una donna o un uomo si
riducono a mendicare, ciò vuol dire che a quel punto della loro vita
tutte le alternative hanno fallito. La sola cosa che possono fare per
nutrire se stessi e i loro figli, è mendicare. Ben presto, l´andare di
casa in casa a chiedere la carità, diventa per loro una routine
quotidiana. Abbiamo detto a questi mendicanti: «Perché quando
andate di porta in porta a mendicare non portate con voi un po´ di
mercanzie da vendere? Qualche biscotto, un po´ di dolci o dei
giocattoli per i bambini. Dopo tutto, dovete andarci comunque, non si
tratta di fare un lavoro in più. Se la cosa non dovesse funzionare,
tornerete a mendicare. Ma almeno, in questo modo, avete un´alternativa.
Non avrete più bisogno di fare affidamento solo sulla carità, potrete
guadagnarvi da vivere». Per comprare le mercanzie, abbiamo prestato
loro in media tra i 15 e i 20 dollari, con il patto di restituirli con
ciò che avrebbero guadagnato. Oggi, i mendicanti che partecipano
a questo progetto sono circa 100.000. Nessuno di loro è mai stato
addestrato, gli abbiamo solo dato il denaro e gli abbiamo detto di
pensare a cosa vendere. Tra quei mendicanti, diecimila sono diventati
imprenditori a tempo pieno. Alcuni, ora, sono dei "personal shoppers".
Spesso capita che una donna debba stare a casa e non possa andare al
mercato. Così, quando arriva il mendicante, la donna gli darà
addirittura lista della spesa con le cose da acquistare. Gli altri
90.000 mendicanti che partecipano a questo programma sono quelli che
definisco mendicanti "part-time", i quali, secondo i loro tempi, si
stanno avviando a non dover più fare assegnamento sull´accattonaggio.
Mi piace dire che queste persone stanno "ristrutturando la loro
attività economica", chiudendo il settore "accattonaggio" e creando un
settore " vendite". Per fare questo, occorre tempo. E´ straordinario
vedere come il prestito di soli 20 dollari possa trasformare in modo
radicale la vita di un mendicante. Quando chiedo a queste persone come
è cambiata la loro vita, mi rispondono: «Quando eravamo mendicanti la
gente, molto spesso, neanche apriva la porta. Ci parlava dalla
finestra. Ora che sanno che portiamo qualcosa, aprono e ci fanno
sedere. A volte arrivano di corsa anche i bambini per vedere cosa
abbiamo portato». Non è del denaro che parlano questi nuovi
imprenditori, ma del rispetto e dell´apprezzamento che essi oggi
ricevono. Sono passati dall´umiliazione di essere dei mendicanti che
bussano alla porta di tutti, alla condizione di viaggiatori di
commercio che svolgono il loro lavoro con dignità. Si tratta davvero di
un enorme beneficio a fronte di un investimento di pochi dollari."

 
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6 motivi per dire no al nucleare

Post n°38 pubblicato il 07 Novembre 2007 da p_i_a_n_o
 
Tag: energia
Foto di p_i_a_n_o

Jeremy Rifkin è il teorico dell´economia dell´idrogeno e consulente dell´Unione europea
per le strategie energetiche. «Ci
sono sei buone ragioni per dire no all'uso dell'energia nucleare. La prima riguarda i costi di costruzione che hanno allontanato gli investitori privati: una centrale nucleare costa due miliardi di dollari
e, secondo uno studio dell´Oxford Research Group, per ottenere un
rallentamento visibile del riscaldamento climatico usando l´energia
atomica bisognerebbe costruire migliaia di impianti nucleari entro il
2070: una proliferazione incontrollata e pericolosissima. La seconda sono le scorie radioattive: il cimitero che gli Stati Uniti
vogliono costituire nello Yucca Mountain, in Nevada, è costato 18 anni
di ricerca e 9 miliardi di dollari e non offre le garanzie necessarie. La terza ragione è che l´uranio non abbonda: al ritmo di consumo
attuale si registrerà un deficit attorno al 2025. E passare ai reattori
autofertilizzanti, cioè al plutonio, è la quarta ragione per cui dico
no: significa fornire materiale pronto uso a un terrorismo sempre più
minaccioso. Il quinto motivo per bloccare il nucleare è che gli
impianti atomici hanno bisogno di una materia prima che diventerà
sempre più rara: l´acqua. In Francia il 55 per cento dell´acqua dolce
viene utilizzato per raffreddare le 59 centrali nucleari esistenti e
durante la siccità del 2003, questo si è già rivelato un tallone
d´Achille del sistema. E poi c´è il sesto motivo che spinge a bloccare
il revanscismo nuclearista. Investire tempo ed energia nella
costruzione di impianti nucleari significa togliere risorse al futuro,
bloccare la terza rivoluzione energetica: quella di un sistema leggero
e decentrato in cui l´energia e l´informazione corrono on demande.
Uranio e petrolio sono espressione di un vecchio modo di produrre,
verticistico e centralizzato. Noi siamo nell´era di Internet e di
Youtube. Il modello vincente è la rete flessibile: contatori
intelligenti che consentono di comprare e vendere elettricità, software
capaci di orientare e dosare i flussi di energia in funzione delle
necessità del momento, prezzi che fluttuano a secondo degli orari in
modo da autoregolamentare i consumi».».

 
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