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Oracolarità. befana, bacio del Bambinello, Horcynus orca

Post n°536 pubblicato il 07 Gennaio 2012 da giuliosforza

Post 513

 

Avviene spesso che, rileggendomi, m’accada  di sorridere del mio stile alquanto oracolare, antiquato, ricercato, come di chi abbia inutilmente attraversato indenne quasi un secolo di radicali trasformazioni anche linguistiche, di volgarizzazioni se non di involgarimenti, di dissacrazioni, di “modernizzazioni”, termine dietro cui si nasconde spesso un depotenziamento dei sensi robusti delle parole significanti  e delle cose  significate. E mi propongo di emendarmi. Ma invano. Tento di volare basso, ma immediatamente mi trovo a riprender quota, contro la mia volontà, come trasportato, sospinto, da una corrente d’aria, un rhein anch’essa, cui non riesco a sottrarmi. E sia. Che danni può in fondo fare un poco di “retorica” tra tanta dilagante piattezza?

*

Dal mio camino grande, infuocato, a tal punto da frantumare i mattoni refrattari, da grossi ciocchi di rovere, non è scesa la befana e la calza è restata vuota. Forse non è ancora totale, buona nuova, il mio rimbambi(ni)mento.

*

Ho riassistito nella chiesa parrocchiale, sotto lo sguardo benevolo di Maria Illuminata, di San Biagio e di tutti santi comprotettori, dopo circa settanta anni alla cerimonia del bacio del Bambinello che conclude le feste natalizie. Sono stato tentato di commozione. Al termine della messa i quattro bambini quattro qui rimasti ed un adolescente hanno letto, alternandosi coi genitori, preghiere di circostanza poi il riccamente infasciato (ricami d’oro zecchino e fiori policromi sulla antica stoffa, opera paziente di chi sa qual suora di clausura)  Bambolo divino (nulla da invidiare a quello dell’Aracoeli) è stato portato in processione, a malavoglia sorretto da Giulio junior (il mio nipote dodicenne che già ostenta  per altro un serioso ateismo!), lungo la navata centrale della Chiesa per poi essere esposto al bacio dei devoti. Io, unico dei presenti, per pudore non lo ho baciato, e la cosa è stata notata e, immagino, deprecata. Il Bambinello, che mi scruta corda et renes, mi perdonerà.

Sarei stato tentato di accompagnare all’organo i canti degli astanti (in maggioranza persone molto anziane, quelle poche rimaste) a sorreggerne ritmo ed intonazione, ma sono stato trattenuto. I pastori a Betlemme, mi si è detto, non avevano strumenti d’accompagnamento. Ma ne siamo proprio certi? E le zampogne e i flauti di pan, o similia, strumenti essenzialmente pastorali? Al termine della cerimonia, sul sagrato delle chiesa, nel freddo secco di questi colli preappenninici (le vicine montagne della Laga, il Velino e la cima del Gran Sasso, anch’esso da una certa altezza scorgibile, sono ricoperte di neve abbagliante) vin brulé offerto  dal parroco, un piemontese d’Asti capitato una ventina d’anni fa da queste parti non si sa come, non troppo anziano ma con problemi ed in procinto di tornarsene fra i suoi Allobrogi.

*

E’ il sette ed albeggia. Il cielo è di un turchino incorrotto e rigidissima è l’aria. Con un po’ di groppo spengo e sigillo il camino, preparo la valigia anche se partirò nel pomeriggio (ogni partenza mi crea ore di ansia) dopo l’ennesimo funerale (una suora, l’ultima di quelle qui nate), ripasso la villanella (Cucurucu chilichili) di Giovanni da Nola che nel tardo pomeriggio proporrò al mio gruppo corale…metanoetico (!) in Tivoli, in vista delle celebrazioni bruniane di febbraio. A notte fonda mi riavrà Roma, horcynus orca feroce divoratrice di sogni, nei suoi abissi.

Chàirete Dàimones!  

 

 

 
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