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Un giorno a Gardone. Un giorno a Brescia. Bukowski

Post n°849 pubblicato il 13 Maggio 2015 da giuliosforza

Post 792

 

Trascorsi due giorni a Gardone per un incontro d’annunziano al Vittoriale. A Gabriele e alla sua casa concedo per la verità solo poche ore, quelle della manifestazione tenutasi in parte all’Auditorium (per il rendiconto delle iniziative prese e da prendersi da parte di un Guerri sempre più …agguerrito -indiscutibile ingegno, fenomenale capacità imprenditoriale, da taluni discussa, a taluni invisa, la sua: sotto la presidenza Guerri il Vittoriale sta davvero diventando “il più bel giardino d’Italia”, una Prioria allargata-); in parte, sotto un sole sfolgorante, nel parco  per l’inaugurazione del recuperato ruscello dell’Acqua Savia: spettacolo dantesco, anime sparse per gli speroni rocciosi dei gironi infernali e per le vallette brumose, qui luminosissime, delle balze purgatoriali i numerosissimi invitati, in basso il Laghetto delle danze,  tutt’intorno i tavoli apprestati per il “banchetto di Suor Intingola” preparato dagli allievi dell’Alberghiero. Il resto del giorno lo riservo al sole al lago e ai fiori della Riviera: rinunciato al banchetto affollato (folla folla folla al Vittoriale, godono le casse, non io, D’Annunzio è esoterico, non essoterico)  ridiscendo solitario il pendio ombrosissimo terminante sulla Gardesana (qua e là gruppi di picniccheggianti, per lo più immigrati), raggiungo il Diana sul lungolago per un breve ristoro e m’avvio verso Salò a piedi sotto un sole ormai estivo (non ha pari questa riviera, al suo confronto la Riviera dei Fiori impallidisce, capisco Goethe).

Torno a Roma fresco, ci credereste? come una rosa, riposato come da una passeggiata fuori porta (tale per altro considero  la mia toccata e fuga gardonese, prima evasione   dopo la clausura del Calendimaggio). Ho inteso “testare” la mia resistenza a un disagevole viaggio (le tre ore e trenta di freccia bianca sono state abbondantemente superate da quelle degli spostamenti da casa a Termini e da Brescia a Gardone). Mi riscopro gagliardo come a vent’anni, ora che ne ho abbondantemente quattro volte tanto. Ma io so chi m’assiste, preserva i miei muscoli, preserva il mio cuore.  

 

A Brescia, città che non amo  (senza motivo per la verità, conoscendola così poco: forse perché ospita la Facoltà di Scienze della Formazione della Cattolica e la Casa Editrice La Scuola, che da oltre un secolo -fu creata nel 1904 da un gruppo di cattolici fra i quali il padre di Papa Montini, come supporto ad una delle più antiche riviste didattiche, quella “Scuola Italiana Moderna” fondata dal Tonini che dal 1893 (s)forma, celio naturalmente e  non me ne vogliano gli amici pedagogisti,  l’esercito degli insegnanti cattolici di ogni ordine e grado?-); a Brescia, dico,o meglio nell’atrio della sua angusta stazione, avevo trascorso un giorno intero in attesa dell’unico treno per Roma previsto per 17.14. Non mi era mai accaduto di sostare tanto in una stazione, e in una stazione senza sala d’attesa, con pochissime poltrone metalliche con grossi fori a cerchio sicché a sostarci più di dieci minuti ti levi col sedere a rondelle. Nulla di più istruttivo dell’atrio di una stazione, col suo andirivieni di  umanità e di sotto umanità. Se il romanzo fosse il mio genere, potrei scriverne uno di sicuro successo dal titolo Un giorno in un atrio di stazione, prosaico quanto basta e quanto basta vicino al gusto dei grossi. Ho osservato, osservato, osservato (anche una coppia di giovani cinesi slanciatissimi d’una bellezza strepitosa), ma soprattutto, come quasi sempre ormai, per ammazzare il tempo in attesa di essere dal tempo ammazzato, letto letto letto, in questa occasione lo sconvolgente, per volgare pornografia e  raffinatissima musicologia, La virtù dell’elefante di Paolo Isotta, sempre più somigliante a Platinette.

 

Maurizio Cara, il grande prof  che continua a onorarmi delle sue attenzioni,

ha commentato un mio messaggio su fb con una delle sue preziose citazioni, questa volta una poesia del grande tedesco-statunitense Charles Bukowski, l’autore, fra l’altro, di quel  Storie di ordinaria follia. Erezioni Eiaculazioni Erezioni così simile, sotto molti aspetti, nelle situazioni e nel linguaggio, all’autobiografia isottiana.  Ho il piacere di condividerla, tanto è attinente al tema che sto trattando.

 

“Gli ubriachi tedeschi alla stazione di Mannheim
seduti a piccoli tavoli rotondi bevono birra e
aspettano. hanno facce rosse e l'aria sconfitta ma
non sono come gli ubriaconi americani. I bevitori di
birra americani. sono tranquilli dentro la stazione di 
Mannheim. i tedeschi hanno perso due guerre dal
1914; forse è perché sono stati sconfitti in quel modo.
ma il loro riserbo e ritegno, il loro delicato
bisogno di non essere quasi notati mi ristorano - un 'indifferenza cosi tollerante verso se stessi e verso di te.
guardare i bevitori di birra in quella stazione a
Mannheim è vedere qualcosa in cui credere
reso pubblico e buono: quegli uomini intrappolati tra
storia e vita dimostrano che la vita può essere terribile
a volte, e altre volte - forse giusta - ma
nulla per cui scaldarsi:
la birra è passabile e il treno arriverà”.

______________

Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 
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