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Riflessione filosofico-poetico-musicale

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Requiem. Voltaire e Schiller. Le feu. Isotta

Post n°851 pubblicato il 28 Maggio 2015 da giuliosforza

Post 794

 

Ho avuto una sorta di incubo … musicale. Ho sognato ( solo un brutto sogno, dunque) di essere reduce da un concerto e di aver scritto quanto segue:

 

“Come i miei lettori sanno, io non sono solito esser parco di elogi (e da molti ne sono rimproverato), ce l’ho con la critica acida e prevenuta (la critica per principio, la critica per la critica) e di quanto vedo gusto ascolto preferisco mettere in risalto gli aspetti positivi, quel poco o tanto che è  per me fonte d’un qualche piacere. Ma questa volta proprio non mi è possibile e debbo stroncare.

Che Mozart sia, come uomo e spesso anche come artista, un giocherellone tutti lo sanno, ma ciò non  autorizza a giocherellare con lui e con la sua arte. 

Non dirò, per rispetto dei molti amici che si sono trovati implicati in tale nefasta operazione, pomposamente presentata come “prima esecuzione assoluta”   del Capolavoro in versione “storicamente e filologicamente “ rivisitata (?), non dirò dove e da chi ho udito lo scempio fatto  del  Requiem del Salisburghese: una baraonda di voci e di suoni, una nave di Franceschiello in cui “a poppa sparavano e a prua non lo sapevano”; un coro in ogni sua parte scollegato, un’orchestra idem, dei solisti, presentati come “straordinari”, allo sbando come singoli e come complesso, un pur bravo  maestro a  cui coro e orchestra sfuggono di mano, incapace di riprendere il timone di un naviglio impazzito. Come se cantori e orchestra non riuscissero a sentirsi: colpa forse dell’acustica?

Non ho retto ed al termine del Dies Irae ho abbandonato. Può darsi, lo spero di cuore, che nella seconda parte le cose siano migliorate.

Lo spettacolo in quanto spettacolo, oh sì, quello è perfettamente riuscito: domani,ne son certo, leggerò della chiesa stipatissima, del pubblico interessatissimo, della straordinaria bravura del maestro, dei solisti, dell’orchestra, del coro... Io questa volta non posso unirmi al …coro elogiativo.

Forse è il caso che quel coro e quell’orchestra ridimensionino le loro ambizioni”.

 

Deve essere stato proprio un brutto sogno.

 

*

Sono a metà lettura dell’autobiografia di Paolo Isotta, La virtù dell’elefante, e  sono sempre più sconcertato dalla cultura musicale, storica e musicologica, del critico napoletano, e dalla sua indipendenza di giudizio. Tali sono le sue stroncature, a destra e a manca, che son pochi gli idoli contemporanei, compositori, direttori e cantanti, soprattutto italiani, a uscirne indenni. A un tale mostro tutto si perdona, anche la compiacenza, che molti trovano pornografica, per me solo ironica e autoironica, con cui si sofferma nella descrizioni delle pratiche erotiche, omo ed etero, sue e di tanti altri. Prodigiose, dico. la sua cultura e la sua memoria: se si dovesse fare l’indice dei nomi, degli autori e delle opere da lui presi in considerazione, non basterebbero cinquanta fitte pagine: una vera enciclopedia.

Nel punto in cui sono,  i personaggi più citati, e stralodati, sono, in ordine sparso, Scarlatti, Spontini, Siciliani, il grande sovrintendente alla cui conoscenza e al cui coraggio si devono la riscoperta, e la conseguente riproposizione in vari teatri, di molte opere, soprattutto antiche, trascurate per decenni, se non cadute in oblio. Di lui, persona notoriamente spiritosissima, Isotta cita una simpatico battuta (più di tanto non posso ritenerla): “I direttori tedeschi debbono dirigere la musica tedesca, i direttori francesi debbono dirigere la musica francese, i direttori  russi la musica russa, i direttori italiani debbono dirigere la musica!”. Per quanto riguarda  Scarlatti, di questo Sommo (tale il giudizio di Isotta, facilmente condivisibile) leggo con piacevole sorpresa  l’esaltazione che il critico fa della musica a cappella, non  certo quella di lui più ricordata; e la lode dell’”impressionante Oratorio Davidis pugna et victoria con doppio coro nel finale che mette i brividi giacché uno è dei Filistei che in “minore” piangono la morte di Golia, l’altro degli Ebrei che in “maggiore” festeggiano la vittoria”. I minimamente esperti nell’arte di Euterpe capiscono di che impresa si tratti.

*

Contemporaneamente, in questi giorni di capricciosa ed uggiosa Persefone, mando avanti la lettura de Il Fuoco nella storica traduzione francese (Le Feu) di Hérelle (bella edizione rilegata in pelle e oro della Calman Lévy, 1929, che riproduce la prima dei Cahiers de Paris del 1900). Ho nel contempo modo di constatare quanto la voce dedicata al Vate dal Wikipedia francese sia molto più seria, oggettiva e informata di quella italiana. Parimenti dicasi del Wikipedia tedesco, ove trovo anche una ottima traduzione anonima de La pioggia nel pineto (Der Regen im Pinienhain).

 

*

 

La Pucelle d’Horléans, di Voltaire, e Die Jungfrau von Orléans di Schiller: gli altri due capolavori che mi fan compagnia in questo periodo. Due modi completamente diversi di avvicinarsi alla figura della leggendaria contadinella di Domrémi, l’uno sarcastico e irriverente, l’altro tragico e storicamente più documentato.

Leggo Schiller in una edizione UTET, collana ‘I grandi Scrittori stranieri’, del 1946, a cura di Federico Sternberg: edizione assai elegante e curata, se si tiene conto del periodo appena postbellico e delle difficoltà in cui anche l’industria libraria si dibatteva. Schiller, nato nel 1759, aveva avuto modo di leggere La Pucelle di Voltaire, morto nel ’78 dello stesso secolo, ma non se ne era lasciato minimamente impressionare e nulla dello spirito ‘voltairiano’ era in lui trapassato; e quando, nel 1801, a 42 anni (morirà appena quattro anni più tardi) pubblicò il suo dramma, egli già viveva in sintonia spirituale con Goethe, che lo aveva protetto e attirato nell’aura del suo olimpico neoclassicismo, pur se memorie sturmistiche, come è naturale, in lui perdurano, e perdura lo spirito ribelle e libertario de I Masnadieri, del Don Carlos, del Guglielmo Tell  anche nel Jungfrau magnificato. E lo Schiller dell’Hymnus an die Freude, che Beeth farà nella Nona esplodere in un’orgia dionisiaca di suoni, nel Jungfrau non si smentisce. L’orgia di gioia si fa orgia di libertà.

 

______________

Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 

 

 

 

 
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