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Raffaele La Capria. Valerio Massimo Manfredi. Paola Malgeri Knaup

Post n°865 pubblicato il 10 Agosto 2015 da giuliosforza

Post 806

 

Dicono che Caronte stia per lasciarci e s’approssimi Circe. Amo gli elementi scatenati quanto odio l’immobilità di un’aria che, dimentica degli altri suoi primordiali elementi fratelli terra e acqua, privilegia il fuoco ed avvampa intorno togliendo alle cose ed agli animali il respiro. Ben venga dunque Circe con i suoi turbamenti e le sue malie. Con essi finalmente finirà l’inedia e la mia anima tornerà ad anelare (an/halare, soffiare, respirare, ma anche tendere, abbandonarsi anima e corpo alle vitali tensioni, allo Streben).

 

Oltre che con La Capria (Lo stile dell’anatra. lettura relativamente impegnativa e sempre meno, man mano che procedo, condivisa, ché torno a preferire lo stile dell’aquila) tento di refrigerarmi con una lettura amena, L’ultima legione dell’archeologo, ricercatore, esploratore, professore Valerio Massimo Manfredi, che mi narra con uno stile piattamente divulgativo (ho tanto l’impressione che dietro la sua sempre più numerosa produzione ci sia la mano di uno dei sempre più numerosi e sempre più remunerati gost writers) gli ultimi giorni dell’Impero romano d’Occidente. Ma anche scorro le semplici e agili pagine del volumetto raccolta racconta (Albatros editore, Roma 2015, pp. 54, euro 9.50) che contiene altre brevi divagazioni della nostra amica italotedesca Paola Malgeri Knaup, per la quale la scrittura non ha rappresentato semplicemente una evasione, ma il suo modo creativo di …vincere il drago.

Questi i titoli:

Morire e …non finire; Roma Oberhausen andata e ritorno; Il tiessecidì’ (TSCD), animale domestico; Guerre; Germania mania; Adelaide, figlia nobile; I cicatrelli; Sonetto romanesco. Zinne ricucite; Ino; Miscellanea.

Considero questa seconda prova narrativa di Paola una premessa e un impegno per un’imminente opera di più vasto respiro. Paola ne è ormai pregna, prossimo sicuramente ne è il parto.

*

Nostalgia della Bellezza

di Raffaele La Capria, parte prima.

Del denso capitolo mi propongo di trascrivere, in ognuno dei prossimi post, lunghi brani. Mia volontà sarebbe per la verità riprodurlo per intero, tanto mi sembra unitario e non frammentabile il discorso, e difficile di conseguenza una scelta. Si vedrà.  

 

“Si può parlare di Bellezza, in un tempo come ilk nostro così propizio alla contemplazione e  così indaffarato in guerre e massacri? La Bellezza è roba da esteti, da privilegiati in grado di apprezzarla e godersela, dicono, non è democratica:Se si parla di Bellezza si è subito sospettati di kitsch, lo diceva un artista come Balthus. Oggi nessuno sa cosa è la Bellezza, e prevale l’opinione corriva e corrente che ‘è bello quel che piace’.  Sì, certo, non è facile definire in parole cos’è la bellezza, da quando gli dei son diventati idee e concetti, metafore e simboli, e non si rivelano più come epifanie. Ma che c’è distribuita in modi multiformi, sofisticati o mercificati, è senso comune. E che scoprire 2quel che piace” sia non proprio così semplice, e in molti casi richieda un senso non comune, su questo non c’è dubbio. ‘Beauty ist difficult’.

 

‘Beauty ist difficult’, lo ha scritto Pound. Ed è difficile perché contiene, come sapeva bene Beaudelaire, un elemento eterno e invariabile la cui percentuale è indefinibile, e uno relativo (all’epoca, al gusto, alla morale, alla sensibilità del tempo), senza il quale ilprimo9 non potrebbe essere percepito.

   Ed è così che io ho percepito una difficile Bellezza fin dove l’Arte Moderna è riuscita a estendere il campo della mia percezione ( i cui confini,lo riconosco, sono ancora per me non ben definiti, e l’ho intravista anche là dove non avrei potuto aspettarmi di trovarla perché non era inclusa nelle intenzioni dell’artista. L’ho vista esplodere stridente in un Kandinskij, squillare festosa in un Mirò, l’ho letta tra le righe di un ascetico e asettico Mondrian, e l’ho perfino vista lampeggiare nel ghigno terrificante di uno9 dei mostri di Bacon.

 

Se vado in giro e mi guardo intorno, e vedo gli uomini e le donne, e tutte le cose create da Dio, le forme infinite della natura, il mare e il cielo con le oro trasparenze,  un fiore, un paesaggio, sento che è vivo e radicato in me un Ideale di Bellezza che, pur soggettivo, so ben vedere e riconoscere. E quando dico ‘Ideale’ non mi riferisco a un’idea precisa o a un modello già definito, ma a un desiderio vago e a un’aspirazione che si realizza quando la Bellezza all’improvviso mi si rivela in una forma, in una figura, in un colore, in un paesaggio, nel volto appena intravisto di un passante. E la scopro anche là dove non mi pareva possibile, in un insetto, per esempio, che quando ne osservo la perfetta struttura o la delicata vibrazione dei colori sembra anch’0esso toccato, come tutto ciò che è bello, dalla grazia divina.

   Ma quando vado in un museo e ne percorro le sale, e da una sala all’altra io attraverso le mutazioni che nel tempo ha assunto l’ideale di Bellezza che si realizza in un quadro (come la Venere Afrodite che rinasce nella fanciulla fiorentina dipinta da Botticelli),  io percorro una strada che tutti, più o meno, conosciamo, quella della Storia dell’Arte. E su questa strada l’Ideale della Bellezza a un certo punto si perde in mille arrischiati sentieri e non si riconosce più. A riconoscerlo, lì, per quei sentieri, sono in pochi, e quei pochi sono come gli antichi sacerdoti custodi di misteri cui essi soli avevano accesso e cui gli altri, il volgo, ciecamente dovevano prosternarsi in adorazione. Questi sacerdoti, come i capi di una setta suicida, dicono che in fondo a quei sentieri c’è solo la morte, la morte dell’Arte, e con competenza, con distacco, dottamente disquisiscono di quando ‘il vecchio accademico regno del Bello crollò’.

   Mi sono sempre un po’ meravigliato di questa separazione che si avverte, oggi più che una volta,, tra l’Ideale della Bellezza nella Vita e l’Ideale della Bellezza nell’Arte. So bene che Vita e Arte appartengono a due sfere diverse, a due mondi. Ma so anche che questi due mondi non dovrebbero essere tanto estranei l’uno all’altro come sembrano essere oggi”.

(segue)

 
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