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Metafisica del Suono

Post n°968 pubblicato il 20 Novembre 2017 da giuliosforza

Post 888

    Le due ultime settimane sono state le più belle di questo autunno di me e delle cose perché colme di musica. Colme di Wagner (Ring des Nibelungen), colme di Richard Strauss, ma anche di Bellini e di Donizetti. E di altro di successivamente cui dirò. Nell’ascolto mi sono ridisciolto nel suono primordiale (l’Urklang) che fu all’Inizio col Logos giovanneo (en Arché én ò Logos), con la faustiana Tat goethiana (Im Anfang war die Tat), con l’Atto gentiliano (di Logos e Tat, Pensiero e Azione, inscindibile sintesi). E ho ripensato a quello che scrissi nell’Introduzione al volume Musica mundi di Maria Teresa Luciani  che raccoglie tutte le preziose schede del seminario di educazione all’ascolto da lei curato nell’ambito dei miei corsi di Educazione estetica e di Metodologia dell’educazione musicale. Nella mia filosofia della musica l’ascolto occupa, con la coralità, un posto privilegiato. Il ruolo che gli riservo è quello di spalancare al colto e all’inclito le porte del tempio dell’Isi velata, nel cui tabernacolo si cela l’Essenza  di te e del mondo (di te-mondo) come onofriana  “rappresa melodia”. Essenza come Suono. Per questo non solo la vita senza musica sarebbe un errore (Nietzsche) ma, ancor più radicalmente, maggiore errore sarebbe una vita che non sia musica.

    Ripubblico qui di seguito quella Introduzione, anche spinto dalla suggestione di una recente lettura, del tutto occasionale, di un interessante studio dedicato a La scuola dell’ascolto. Oralità, suono e musica nell’opera di Elias Canetti (Antonello Lombardi, Utorpheus edizioni) dove l’ambito dell’ascolto è più vasto, le voci da acoltare sono di ogni genere e di ogni provenienza, ma alla fine si fondono nella  coralità cosmica che è l’essenza stessa del Suono primigenio.

    “Nel convincimento di chi scrive la musica è sì massima adorniana ‘ambiguità elevata a sistema’ e marceliana dialettica profonda dell’io, ma anche, e soprattutto, autorivelazione dell’Assoluto come emozione lirica (Selbstaufregung, Selbstgefühl) nella coscienza empirica, strada diretta  all’essenza nella cui percezione l’Urklang si avverte come sonora ratio seminalis della realtà. E sonorità rappresa, sonorità espansa risultan le cose, e i corpi non pesano, danzano, e la danza sfrenata degli esseri esorcizzati del demone della gravità (Nietzsche) è la sarabanda stessa dei suoni che premuti e compressi ed in ressa nella potenzialità seminale si dispiegano nella multiformità aerea delle essenze melodiche sovrapponentisi o rincorrentisi nella verticalità armonica o nella orizzontalità fuggevole, ma mai come nel moto placata, mai come nella stasi inquieta. E di essenza sonora tutte le cose fremono come assoluto liricamente autorivelantesi.

   Nella “misticità” sonora la “paganità” delle cose respira e la coscienza tragica del loro temporale e spaziale Destino si fa autocoscienza intemporale di un Io che è Fans del proprio Fatum, e tale si ama (Amor Fati come amor sui ipsius fantis).

   Attraverso la Musica la Conoscenza ridiventa pregna di Dio. Si dissequestra Iddio dalle incolture della liberazione  dalla vita e lo si rende alla cultura della liberazione della vita. Attraverso la Musica il morto Iddio risorge, un Iddio che della musica ha la serenità tragica e l’ironica tragicità. Musica come opus metaphysicum  dunque, ma zarathustrianamente metaphysicum, che vette ed abissi attinge (abissi come vette, vette come abissi) con  la leggerezza, la leggiadria, la temerarietà d’un Euforione, con essi giocando.

   La Musique creuse le ciel  dunque, diremo col Baudelaire delle Fusées, ma non senza avere prima avvertito essere il cielo interno alla terra, e solo perciò una novalisiana inneweltliche Askese poterlo attingere. Un cielo interno all’io anzi con l’io stesso profondo coincidente, del cui ritmo, un processo di negazione e di inveramenti, di scoperte e di smarrimenti, di occultamenti e di svelamenti l’essere stesso si ritma.

   Meravigliosamente tale natura, tale ruolo, tale fine del fatto sonoro intese e cantò chi sé disse fratello gemello del folle di Röcken. Chi abbia in buona disposizione d’animo letto Gabriele D’Annunzio, chi si sia da lui lasciato guidare alla sensuale e sensuosa e mistica scoperta del proprio corpo-universo nelle cose-tutto per le cose tutte, non solo ha avvertito in lui il più grande produttore di suoni come parole e di parole come cose (e di simboli di simboli e di metafore di metafore) ma anche uno dei più sottili indagatori dell’anima di Frau Musika e del suo corpo esperti. L’anima e il corpo di Frau Musika sono così presenti nell’opera totale dannunziana da rischiar di diventare invadenti. Quando non la trama di ogni azione se ne sostanzia l’atmosfera di essa se ne impregna. E poco a poco, romanzo per romanzo, dramma per dramma, lirica per lirica la velata Signora discopre all’iniziato i suoi fascini, pudibonda e procace,si rivela strada privilegiata, condizione pregiudiziale, per l’auspicata supernatura. L’uomo novissimo, l’uomo estetico inventore di desideri il cui avvento il declino dell’homo faber rende urgente, sembra aver bisogno soprattutto di musica. Levatrice del superuomo sembra essa destinata ad essere, Latona di Metanoesis, ponte lanciato tra la paleo e la metantropologia. L’uomo novissimo dalla sensibilità ripulita dilatata immillata fatta cosmica, liberato dagli impacci della gravità dei determinismi dei finalismi delle trascendenze delle deleghe delle mediazioni sembra trovar nel paradigma musicale di una sonorità autogonica il modello della sua propria autoctisi, del far sé nuovo con tutte le cose nuove. I suoni (i pensieri come suoni) sembrano destinati a rivolgersi contro il nuovo Atteone (brunianamente nuovo) per divorarne la residua empiricità e forzarlo al riconoscimento della propria divinità, dopo le sue affannose ed inutili rincorse di fallaci iddii, fuori di sé, in vuote spoglie lunari.

   Le strade dell’essenza che la musica discopre conducono al centro stesso del mistero che sono le cose, lo rivelano terra delle radicazioni comuni dell’Io e del Mondo e di Dio (nell’Io del Mondo e di Dio). Nella musica vige lo stesso principio di contraddizione che (non) regola il pensiero e l’essere. Essere e divenire, placazione e turbamento, abisso e vertice e vortice (nel vortice, come casa viva  dell’Essere e dell’Essere-Musica) sono gli stessi dell’assoluto ontologico e di quello musicale. Identici i séméia, come segnali alle porte di un deserto, di vuoto e di pienezza, di esplosione e di implosione, di dispersione e di interiorizzazione, di dissolvimento e di ricompaginazione.

   Dire la musica autocoscienza lirica (farsi lirico) dell’assoluto è dunque dir vero, come dirla  quell’Isi che nel suo volto cela il volto stesso di chi brama scoprirla.

Far musica è autenticamente philosophari se Sophia  ha suo luogo in quel centro dell’universo che è il mio cuore, se non anemica imperatrice è dei deserti dell’oggettivazione, ma sanguigna governatrice delle fiorenti province della comunione ontologica.

   Si può spingere il discorso oltre ed affermare che nella musica è consentita quell’esperienza di eternità come liberazione dell’atto dalla sua cornice spazio-temporale, che raramente consente anche l’amore.

   Nel mito di Orfeo questa dottrina è già prefigurata. L’Orpheus orphanòs , figlio di Oiagros, “colui che vaga nella solitudine dei campi”, solo attraverso la musica risolve l’angoscia del suo ex-sistere, la coscienza tragica del proprio distacco dall’essere, nell’esperienza dell’assoluto e dell’eternità fatta da vivo negli Inferi, comunica con le fiere e con la natura inanimata (recupero della totalità e dell’unità pre-oggettivazione) si fa armonia e puro spirito.

   Le astratte considerazioni finora fatte consentono di evidenziare il fondamentale ruolo della musica nella vita e nell’educazione e, di conseguenza, in una scuola che riprenda a cuore le sorti dell’uomo totale; nella quale già un’adeguata educazione all’ascolto rappresenterebbe una grandissima conquista, se la musica, prima o poi, finisce col parlare dentro come i quadri del Louvre diuturnamente osservati dentro la coscienza del giovane Berenson.

   Fra tutte le definizioni di ascolto come fenomeno sensoriale quella contenuta nel Dictionnaire de la musique –  Science de la musique – diretto da Marc Honneger, Bordas, Paris, 1976, mi pare la più esaustiva nella sua sinteticità. “ L’ascolto è un’attitudine percettiva implicante una focalizzazione dell’attenzione su uno stimolo acustico. Il soggetto percipiente è sottoposto ad una infinità di sollecitazioni acustiche non gerarchizzate che, se rispondono alle leggi generali della percezione, vengono avvertite senza l’intervento attivo del soggetto. L’operatore umano recettore di messaggio reagisce in lotta permanente contro il disordine della natura (rumore). Esso conforma intenzionalmente a sé una parte dell’universo e realizza il suo messaggio con relazioni di ordine e di equivalenza a partire da un repertorio di forme, di stereotipi e di simboli acquisiti anteriormente. Il confronto dello stimolo e dello stereotipo gli permette di calcolare il tasso di correlazione, la percentuale di punti comuni che la autorizzano ad avanzare un giudizio. Selezione ed analisi sono quasi istantanee (tempi di presenza) ed escludono temporaneamente gli stimoli marginali. Lo stimolo privilegiato entra nel campo della coscienza dell’individuo, che prende coscienza del reale e determina l’ascolto. Effettuandosi tale conoscenza in riferimento alle conoscenze anteriori, si può immaginare l’importanza della memoria e dell’apprendimento di ascolto

   Ascoltare è affinare (auscultare da aures colere ?), è assommare piacere cinestetico, piacere intellettuale, piacere estetico: è attivare le potenze, implicare se stessi in un processo di ricreazione-creazione (inventio).

   Anche l’eseguire è un ascoltare: è intender sensi (e sensi sono i suoni) e porsi con essi in consonanza. La fase dell’invenzione di sensi non può che essere successiva.

   Di qui il difetto di talune didattiche musicali ove l’apprendimento (necessariamente approssimativo) di uno strumento non sia accompagnato dall’ascolto dello strumento, della infinita varietà di messaggi di cui, nella infinita varietà del suo uso, è fatto mediatore. Suonare uno strumento è innanzitutto ascoltarlo, è interiorizzarlo, è farlo vibrare dentro di sé, farne il suono, un suono della voce interiore: ciò l’artista autentico gli chiede, di farsi tramite della sua coscienza.

E noi, pur condividendo le considerazioni di quanto i cultori del tema in oggetto, da Wiesengrund Adorno a Giacomo Manzoni, hanno affermato, noi si andava oltre, ritenendo che al di là delle sue pure premesse e finalità tecniche ogni educazione all’ascolto debba rappresentare una totale immersione nell’evento sonoro come nel più profondo di se stessi donde ogni evento, anche l’evento sonoro, prende origine e senso. Solo l’ascolto, costante e paziente, diuturno e illuminato è in grado di far sì che il fruitore “indifferente” adorniano risalga i gradini che lo conducono all’“esperto” passando per “colui che ascolta per passatempo”, per “l’ascoltatore risentito”, per “ l’ascoltatore emotivo”, per il “buon ascoltatore” e il “consumatore”, secondo la singolare classificazione del francofortese”. Ascoltare sul piano sensitivo, espressivo e musicale, non basta. La musica ha un significato che va al di là delle note: mai come in musica il nesso generale travalica infinitamente la serie dei significati particolari. Un piano metanoetico si impone, ove senso e intelletto, ragione e cuore si rendono disponibili all’esperienza del mistero che è nel suono come suono primitivo, come primitiva invocazione all’essere, come domanda metafisica. Urklang quale Urschrei, come si diceva”.

__________________

Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 

 

 

 

 
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