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Del plagio. Canzoni francesi e Lieder tedeschi. Mireille Mathieu e France Gall

Post n°1028 pubblicato il 29 Febbraio 2020 da giuliosforza

 

Post 948

   Alcuni anni fa mi trattenni in questo diario un poco sul plagio, avendo per caso scoperto che dei miei ex allievi avevano pubblicato, senza citarmi, brani interi di miei libri, articoli di riviste, versi, in rivistine locali o nelle loro tesi di laurea discusse in altre facoltà o nella mia stessa facoltà ma con altri relatori. La cosa mi infastidì non poco ma presto la mia rabbia sbollì al pensiero che anche molti prof. fanno lo stesso, spudoratamente appropriandosi di interi lavori di loro alunni. Ma la mia riflessione sul plagio era molto più generale ed anche spiritosa: dicevo ad esempio, su suggestione papiniana, dei plagi dai quali non ci è possibile in alcun modo salvaguardarci e nei cui confronti non è possibile alcuna legale rivendicazione: quelli, i peggiori, fattici dai nostri predecessori; tutto essendo incontestabilmente, non solo secondo Goethe, stato già detto nei contenuti, può accadere che qualcosa lo sia stato anche nella forma. Insomma, può accadere, mi dicevo, che persino uno come me si ritrovi citato alla lettera da un Dante, uno Shakespeare, un Goethe...Succede, succede… e t’incavoli, come mi incavolai io quando, liceale ancora, avrei voluto scrivere, infatuato da un kantismo ancora non digerito, una Critica della Critica Critica. Trovavo ingegnoso il titolo. Solo che, scoprii poco dopo, con disappunto, qualcosa con lo stesso titolo essere già stato scritto da un tal Carl Marx. Mi incavolai appunto, e lì iniziò la mia antipatia per il Treviriano e per il suo concittadino Ambrogio, reo, tra l’altro, della conversion di Agostino di Tagaste.

E poi l’occasione mi era stata porta dalla mia passione musicale.

   Può un wagneriano dilettarsi di Mireille Mathieu e di France Gall, la prima tutt’ora, settantattreenne,

felicemente attiva, la seconda purtroppo morta settantenne due anni orsono? Certo che può, sono un delizioso riposo dopo le sbornie runiche wartburghiane nibelungiche norimberghiane e via discorrendo... La Mathieu, con la sua voce rotonda e piena  e la sua erre deliziosamente arrotata che la fan somigliare a un tubar di colomba, continua a piacermi anche oggi, e il fatto poi che sia avignonese me la rende ancor più simpatica: Avignone fu l’occasione irripetuta e ahimè irripetibile, offertaci dalla benevola Provvidenza, di liberarci finalmente non dico di quel piagnone di Francesco Petrarca ma soprattutto del Papa. Della Gall ho un ricordo che mi commuove di quando, tenera bambolina appena adolescente, cantò, guadagnandosi il podio, in un festival europeo, l’originale e un po’ birbona canzone di Christian Bruhn  Ein bissches Goethe, ein bissches Bonaparte, di cui dirò più sotto. Come le canzoni francesi, amavo ed amo quelle tedesche, perché i tedeschi non si smentiscono mai neanche nei loro Lieder, rivelandosi per quelli che sono: geniali e originali da far rabbia, sia nella musica che nel testo. Tornando alla Mathieu e al plagio, ascoltata in un’occasione per caso la sua Mille colombes, una bella melodia pacifista dall’andamento quasi di pastorale natalizia, ne rimasi incantato, ma una cosa subito mi colpì: il refrain era pari pari la copia del coro belliniano che accompagna in sottofondo Casta Diva, la struggente melodia che Norma intona alla luna nella incantata foresta druidica. Scrissi ai miei amici poeti Jacqueline e Claude Held per tentare di avere l’indirizzo della Mireille, che essi per altro non sopportavano trovandola mielosa e lagnosa, o quello della sua casa discografica: volevo protestare. Per fortuna non ebbi l’indirizzo e non protestai, evitando una figuraccia. Risvegliatomi difatti stamane col motivo mireilliano in testa, sono andato a fare le mie belle ricerche, e che ho trovato? Che non si tratta affatto di plagio: autori del brano risultano un tal Vincenzo Bellini, Christian Lebel e Christian Bruhn, lo stesso di Bissches Goethe. Nel testo che riproduco, e che è facilmente reperibile su You tube, le strofe sono le due di tre versi, il refrain in questione, l’apporto belliniano, quelle di quattro versi. Il prestito belliniano è particolarmente azzeccato: in una canzone pacifista si inserisce perfettamente, essendo Norma, nelle intenzioni del grande Catanese, non solo una struggente storia d’amore tra una sacerdotessa druidica e un centurione romano, ma anche una denuncia non tanto indiretta del bellicismo di Roma e delle sue prevaricazioni.

    L'hiver est la sur les toits du village / Le ciel est blanc et j'entends la chorale des enfants / Dans la vieille église, sur on orgue aux couleurs du temps.

   Que la paix soit sur le monde pour les cent milles ans qui viennent / Donnez-nous mille colombes a tous les soleils levant / Donnez-nous mille colombes et des millions d'hirondelles /Faites un jour que tous les hommes redeviennent des enfants.

   Demain, c'est nous, et demain plus de guerre / Demain, partout, les canons dormiront sous les fleurs / Un monde joli est un monde ou l'on vit sans peur.

   Que la paix soit sur le monde pour les cent milles ans qui viennent / Donnez-nous mille colombes a tous les soleils levant / Donnez-nous mille colombes et des millions d'hirondelles/ Faites un jour que tous les hommes redeviennent des enfants.

   Come si vede molto carino è il testo e rende assai bene l’atmosfera: “L’inverno copre i tetti del villaggio, il cielo è bianco ed io ascolto un coro di bambini cantar nella vecchia chiesa, accompagnato da un organo i cui suoni hanno il colore del tempo. Che la pace regni nel mondo per centomila anni a venire, donateci a ogni alba mille colombe. Dateci mille colombe e milioni di rondinelle, fate che tutti gli uomini ridiventino bambini. Nel nostro domani non più guerre, domani, ovunque, i cannoni dormiranno sotto cumuli di fiori, un mondo bello è un mondo in cui si vive senza paura. Che la pace, ecc”. Una immagine sinestetica degna di Scriabin e D’Annunzio particolarmente mi piace: quella dei colori dei suoni dell’organo antico.

Ed ora a Ein bisschen Goethe, ein bisschen Bonaparte, che non ha niente a che fare col plagio, ma la cui melodia ed il cui testo hanno qualcosa di birichino che non so tanto spiegare. Intanto esilarante è la pretesa della protagonista, quella che nell’uomo dei suoi sogni debbano insieme combinarsi due geni diversi, seppur sommo ognuno nel suo genere, cosa chiaramente impossibile: evidentemente la fanciulla è ancora inesperta (perché poi io immagini la protagonista fanciulla non so, forse per la sua ingenuità, il non sapere ancora che già è un problema convivere con delle  persone normali, uomo donna che sia, figurarsi con un doppio genio. E’ vero la canzone dice un po’ e un po’, ma può forse frammentarsi la totalità di un genio? Inoltre essa  ha tanto il tono di una canzonatura di Goethe e di Napoleone, di una loro irriverente dissacrazione (i crucchi, che poi crucchi non sono, sanno fare anche questo: quando subito dopo la caduta del muro visitai Bonn, e vidi il monumento dedicato al suo immenso Figlio, sulla bacchetta che il Corrucciato tiene in mano vidi infilato un preservativo; e a Weimar, ancora tutta deturpata dalle scritte osannanti a Stalin, in Frauenplan, la piazza ove è la casa di Goethe, sulle mura dell’edificio vidi scritto in caratteri cubitali: Goethe? Nein, Danke. Sono tali e tanti i geni tedeschi che forse per questo ci si può permettere tanta irriverenza.

   Ma torniamo al Lied.

   Ho più di una volta sostenuto, e qui lo confermo, che i Lieder tedeschi, anche quelli non classici, che oltretutto sono infiniti e per la maggior parte scritti da giganti della la musica su testi di altrettanto grandi giganti della poesia, non hanno paragoni, almeno da noi, in quanto a dignità di melodia e di parola, ed anche quando una qualche concessione devono fare al moderno rock e a tutte le sue derivazioni, fino al, per i miei orecchi,  fastidiosissimo Rap che mescola, mi dicono per principio, oratoria da quattro soldi con rima e linguaggio da strada, la differenza di stile e di cultura si nota, come in tutti gli altri campi (non dimentichiamo che da almeno tre secoli l’hegeliano Spirito parla tedesco).

 

   So soll er ausseh'n, der Mann auf den ich warte / Ein bisschen Geist, ein bisschen Mut / An meiner grünen Seite - ja das wäre gut! / Ein bisschen Goethe, ein bisschen Bonaparte / So soll er ausseh'n, der Mann auf den ich warte / Ein bisschen Mut, ein bisschen Geist  / Wenn ich nur wüsste wo er wohnt und wie er heißt!
Einer hatte starke Arme / Doch er war kein großes Licht  / Der And're hatte sehr viel Köpfchen / Doch ein Mann, das war er nicht!
   Ein bisschen Goethe, ein bisschen Bonaparte / So soll er ausseh'n, der Mann auf den ich warte / Ein bisschen Mut, ein bisschen Geist  / Wenn ich nur wüsste wo er wohnt und wie er heißt!
Einer der war Deutscher Meister / Doch zum Küssen viel zu scheu  / Der And're ware ein Casanova

Demzufolge auch nicht treu! / Ein bisschen Goethe, ein bisschen Bonaparte / So soll er ausseh'n, der Mann auf den ich warte / Ein bisschen Geist, ein bisschen Mut / An meiner grünen Seite – ja das wäre gut!
Ein bisschen Goethe, ein bisschen Bonaparte / So soll er ausseh'n, der Mann auf den ich warte

Ein bisschen Mut, ein bisschen Geist - / Wenn ich nur wüsste wo er wohnt und wie er heißt! / Wenn ich nur wüsste wo er wohnt und wie er heißt!

   Un po’ Goethe, un po’ Bonaparte, ecco l’uomo dei miei sogni. Un po’ di genialità creativa, un po' di coraggio guerriero, accanto al mio lato verde, alla mia freschezza, ci starebbero proprio bene. Un po’ Goethe, un po’ Bonaparte, ecco l'uomo che vorrei. Un uomo con un pizzico di coraggio e di spirito: se solo sapessi dove abita e come si chiama! Uno, Bonaparte, aveva possenti braccia, ma non era un Illuminato, l’altro era un cervellone ma in quanto al resto era assai carente; diciamola tutta: non era un uomo.
Un po’ Goethe, un po’ Bonaparte, questo l’uomo che sto ancora aspettando. Un pizzico di potenza unito a un pizzico di intelligenza geniale. Questo l’uomo che ancora invano attendo. Un po’ di coraggio, un po' di spirito, Solo sapessi dove quell’uomo vive e come si chiama. Uno era un sommo Vate tedesco, ma troppo timido anche solo per saper baciare. L’altro era un Casanova, quindi un infedele per natura. Un po’ Goethe, un po’ Bonaparte, questo l’uomo che ancora inutilmente aspetto. Un po’ di spirito, un po' di coraggio accanto alla mia fragilità di verde mammola, ci starebbero proprio bene. Un po’ Goethe, un po’ Bonaparte, tale dovrebbe essere l'uomo che aspetto. Un po' di forza, un po' di intelligenza. Se solo sapessi dove abita e come si chiama l’uomo con tali requisiti! Se solo sapessi dove abita e come si chiama!

   Quello che la fanciulla sta realmente pensando è ben chiaro. L’uomo come lo penso io non esiste. Meglio sola.

Non so se la mia traduzione è eccessivamente libera e se sono riuscito, con l’aggiunta di qualche parola e di qualche segno ortografico, a rendere bene la leggerezza del testo tedesco, che mi pare sostanzialmente una divertita presa di giro, come dicono i fiorentini, non solo del rapporto amoroso ma anche della “mascolinità”. Un non serioso divertimento femminista, insomma. L’epoca, in fondo, era quella. Se poi tutta la mia interpretazione è prevaricante, chiedo venia al lettore.
    ______________

   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 



 

 

 
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