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Mario Gennari, recensione Sforza, "Variazioni sul tema", L'Elisir d'Amore, 'Fonte della Nocchia'

Post n°1174 pubblicato il 12 Agosto 2023 da giuliosforza

 

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   Ritrovo casualmente la recensione che Mario Gennari, direttore del Dipartimento di Pedagogia dell’Università di Genova, fece a suo tempo, non richiesto, di uno dei miei ultimi libercoli di mestiere. Nella sua brevità il testo di Gennari coglie l’essenziale del libro e in generale di me, e per questo lo ripubblico affidandolo alla rete, venendo incontro al desiderio  di amiche e amici curiosi.

 “Giulio Sforza, Variazioni sul Tema, Roma, Anicia, 2007, pp. 160.

 «Raccolgo qui ancora una volta alcune fronde sparse e le rendo al vecchio tronco nella speranza (nella illusione?) di restituirle a novella vita» (p. 5). Si apre con tali parole - non prive di una loro pensosa melanconia - l’ultimo libro di Giulio Sforza in cui soggiace quella “ragione partecipativa” che offre senso a tutta l’opera di un pedagogista attento alla poesia, all’arte, alla musica, alla letteratura assunte per la loro forza formativa.

Autore di studi coordinati secondo un impianto teorico rivolto alla ri-fondazione continua del discorso pedagogico, situato nella duplice dimensione della ricerca e della critica: da Metaproblematico e pedagogia a Educazione e sinistra tra conformismo e liberazione, da La funzione didattica (spunti per un discorso sul metodo come episteme) a Musica in prospettiva europea, da Studi Variazioni Divagazioni all’opera poetica Canti di Pan e Ritmi di Thiaso, l’impegno di G. Sforza s’indirizza alla costruzione di un homo aestheticus interpretato attraverso una profonda e partecipata indagine letteraria e religiosa, pedagogica e didattica, storica e filosofica dimensionata all’interno dei nuclei costitutivi della conoscenza.

Amico di Gabriel Marcel, traduttore raffinato di autori francesi (dalla Held a Lévy, da Polin a Daniélou fino a Bergounioux), musicista e poeta, Sforza ha insegnato Pedagogia Generale e Metodologia dell’Educazione Musicale nell’università di Roma “La Sapienza” codificando il proprio magistero entro una dimensione estetologica che lo ha portato a un confronto progressivo con la cultura europea. Di ciò rendono conto i saggi raccolti in questo volume, pubblicato dall’Editore romano Anicia.

Essi si rivolgono ai temi pedagogici dell’educazione religiosa, musicale, storica, artistica. Il riferimento è alla paideia classica – che Sforza implicitamente distingue dalla polymathia e dalla polièideia – nei suoi rapporti con il mito e la filosofia. Fra gli interlocutori moderni che l’autore privilegia vi sono Thomas Mann e Voltaire, Gentile e Don Bosco, Novalis e Wackenroder, Rilke e Zolla.

E proprio da Elémire Zolla sono attinte quelle «tessiture della fede» con cui Sforza sviluppa il tema della religiosità umana: « Se la vera religiosità è (…) liberante, una educazione che si proponga il fine della liberazione non può che essere “religiosa”» (p. 32). La pedagogia di Sforza costituisce un invito ad un «aprirsi all’io nuovo della metantropologia» (p. 32), a compiere la scelta intellettuale propria di chi si assume la responsabilità etica di sentirsi un «Versucher» (p. 60) – un ricercante – , ad emanciparsi dal «dogmatismo» (p. 45) e dai suoi atteggiamenti mentali imprigionati nella prassi della omologazione, infine a liberarsi di ogni «assolutismo politico» (p. 47), ripensando così una «scuola in atto» dove i bimbi siano finalmente riabituati a leggere il grande «Libro della natura» di là dal quale si trovano soltanto le schegge inutili della dis-educazione”.

Mario Gennari

*

   L'Élisir d'amore

   Di tutte le versioni registiche e scenografiche dell’Opera donizettiana che in questi ultimi tempi ho avuto modo di comparare e dal mio punto di vista valutare, questa è quella che mi ha dato meno fastidio. La rilettura di Damiano Michieletto, pur nella sua, insieme delicata e un tantino  farouche manipolazione (e si sa quanto io ce l’abbia contro la mania di forzosa ‘modernizzazione’ di tempi e ambienti in cui le opere liriche si svolgono creando una per me imperdonabile dissonanza con testo e musica - chiaramente solo fino ad un certo punto e dal direttore manipolabili - e scenografia) vuol essere un divertente giocoso tentativo di accordarsi al carattere buffo e ridanciano  dell’Opera senza stravolgerla. Michieletto è in grado di contentare anche un irriducibile conservatore quale, solo in questo campo, io non mi vergogno di essere, e mi sento di condividere quanto nel trafiletto del programma, che presumo di sala e che rubo alla rete, gli si fa affermare:     

“Una spiaggia in scena e il mare rappresentato idealmente dal pubblico, guardando verso la costa maceratese: è L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti proposto in un divertente e innovativo allestimento firmato da Damiano Michieletto e messo in scena al Macerata Opera Festival nel 2018. Lo spettacolo è stato prodotto dal Palau de les Arts Reina Sofia di Valencia e dal Teatro Real di Madrid. Nella rilettura di Michieletto l’azione dell’Elisir d’amore ha luogo in un lido sulla battigia. «Ho cercato, dice Damiano Michieletto - un luogo che rendesse esplosive le relazioni tra i personaggi e al tempo stesso eliminasse i toni antiquati con cui spesso viene rappresentata quest’opera. Tutta la vicenda è ambientata su una spiaggia, durante una giornata al mare, prosegue il regista. Nemorino è un bagnino un po’ sfigato che deve ripulire i cestini, riordinare le sdraio e gonfiare i materassini; ha costantemente nei suoi occhi Adina, la più desiderata della spiaggia, proprietaria di un chiosco che porta il suo nome e nel quale lavora Giannetta. Belcore invece è un marinaio sbruffone che cerca di conquistare quante più ragazze può nel minor tempo possibile. E poi c’è Dulcamara, per il quale mi sono ispirato a un personaggio che ho realmente incontrato: un venditore da spiaggia che con i suoi abbronzanti antirughe e anticellulite, approfitta delle paranoie da prova-costume dei bagnanti. Ma è anche un personaggio con un lato oscuro, celato dietro la vendita del suo celebre Energy drink. Ci sono moltissime occasioni comiche e leggere all’interno dell’opera e ho cercato, per quanto possibile, di metterle in evidenza. Mettendo in scena una commedia mi piace che il pubblico rida e si diverta».

   Lo scenario estivo, soleggiato, fresco e all’aperto è quindi in immediato dialogo e confronto con l’ambiente dello Sferisterio e con le esigenze di un palcoscenico così grande e inusuale come quello maceratese. Le scene sono firmate da Paolo Fantin, i costumi da Silvia Aymonino, mentre il light design è curato da Alessandro Carletti.  Il pubblico ascolterà un cast di star acclamate sui palcoscenici di tutto il mondo, in cui brillano i nomi di Mariangela Sicilia (Adina), di John Osborn, che debutta come Nemorino, Iurii Samoilov (Belcore) e Alex Esposito (Dulcamara)……”.

   Michieletto assolto! Alla prossima.

*

  Fonte della Nocchia

  Era il 1949 e già da qualche anno vivevo in esilio in una delle più amene, e più remote, terre dei Celti cisalpini. La malinconia e la nostalgia della piena adolescenza mi divoravano mente cuore e visceri. Passavo i miei giorni e le mie notti a piangere segretamente, a invocare mamma, le persone e i luoghi più amati della mia sofferta infanzia, e ad affidare ai miei primi struggenti tentativi poetici i miei affanni. Tra le mie nostalgie più vive, era una sorgente di acqua purissima che sgorgava a possenti fiotti sotto un immenso antico pioppo ai piedi di una località detta "Puzzu ella nee", Pozzo della neve. Ad essa stamane ho ripellegrinato e, immerso nel silenzio cosmico della pre-alba e nel foltissimo verde che la circonda, attendo di dare il mio saluto al nuovo giorno. Oggi la fonte perenne canta ancora, ma da una piccola graziosa rustica fontanella che, in seguito alla costruzione del serbatoio e al conseguente abbattimento del pioppo, distribuisce senza sosta, come da millenni e millenni, resistente alle ardenze estive e ai rigori invernali, il suo tesoro. E mi sovviene dei sedici ingenui tetrastici di endecasillabi, rimanti secondo lo schema ABBC, che, appena quattordicenne, ad essa dedicai, e che ricordo a mente. La mia Musa, matura poi senile, prolissa e arzigogolata, e troppo pensante, un poco ne sorrise, ma non smise mai di rimpiangerli. Eccoli:
   
   "Sotto l'immenso pioppo sgorghi, o fonte / nata dal monte che ora mi ridesta, / come una volta nei bei dì di festa, / il desiderio di salire su, /
   con la brigata spensierata a cogliere, / tra i folti rovi nido delle serpi, / nude le gambe tra tra pungenti sterpi, / il dolce frutto che non gusto più.
   Limpida sgorghi e mormori all'intorno, / tutto silenzio come il camposanto / che guardi in fronte, quel tuo dolce canto / quella canzone che sai solo tu,
   che ho qui nel cuore impressa e mi ripeto / sol con me stesso, quando resto solo, / quando mi preme il male, e mi consolo / pensando a cose belle come te.
   O fonte della Nocchia che perenne- / mente fluisci fra gli aridi sassi, / ricordi quando dirigevo i passi / verso di te, nel bel tempo che fu?
   con Benedetto, con gli zii, al mattino / mentre del pioppo il vertice indorato/ movevasi alla brezza e, rinnovato, / correa il ruscello più veloce giù...
   Salutavamo Sant'Antonio all'ombra, / la Madonnina candida del Ponte / dentro la roccia, mentre il sol la fronte / le irradiava dal bel cielo blu.
   E tu cantando ci accoglievi, lieta / di rinfrancarci col tuo licor sano; / mentre s'udiva il primo di lontano / scampanellar dei bovi, ch'ivan su,
   per il pendio della Scentella, al duro / lavoro dei petrosi campi. Noi / sorridevamo fra gli scherzi...poi / con le riserve partivam da te.
   O fonte della Nocchia che ristori / le forze e dai dolcezza blanda al cuore, / quant'era bello il tempo in cui all'aurore / non succedeva il tramontar del sol!
   Quando il sereno rimaneva terso / per tutto il giorno, quando alla mattina / non si scorgeva ancor troppo vicina / la tetra notte con i suoi terror!
   Tu che hai la forza di ridar vigore / ai corpi infermi, possiedi l'incanto / d'astergermi, mentre ti penso, il pianto / dagli occhi, frutto dell'età che va /
    verso il declino? O fonte che perenne / sgorghi dai sassi senza mai morire, / ascolta chi è sul punto di partire / verso un futuro ignoto, ed ha un sol dì!
   Dimmelo, fonte, dimmi, sai il segreto / per rimanere sempre bimbi? Sai / qual è il segreto per non morir mai? / Dimmelo se lo sai, dimmelo tu /
   che sgorghi sotto il pioppo sempre nuova / nata dal monte che ora mi ridesta / come una volta nei bei dì di festa / il deiderio di salire su /
   con la brigata spensierata a cogliere / tra i folti rovi nido delle serpi, / nude le gambe tra pingenti sterpi, / il dolce frutto che non gusto più".
   
   Questo chiedevo alla fonte, e alla vicina 'madonnina candida del ponte', a quattordici anni. Che le chiederò nei miei novanta?

__________________                            

    Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 
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