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Heine, Schwarzreise; Gerardo di Nola, Campanella nuovo Prometeo ecc.. Terapia corale

Post n°1003 pubblicato il 22 Marzo 2019 da giuliosforza

   Post 924

   Sì, è questo il periodo della mia vita forse più importante, quello che si dice dei, per altro inutili, consuntivi e non più dei progetti. Ma sicuramente è il meno luminoso ed esaltante, per non dire il più cupo e disperato. Mi guardo intorno e vedo il mondo, di cui celebrai la grandezza e la bellezza con accenti da invasato,  poco a poco, come in una dissolvenza, attenuare i suoi colori e i suoi suoni; brutto e ridicolo m’appare ciò che predicai bello, soprattutto l’homo erectus, per non dire la mulier erecta, coi loro arti anteriori  penzolanti, altre appendici, come il sesso o il seno, fluttuanti , la pelle glabra ed implume, che  s’affannano a ricoprire surrettiziamente di rivestimenti il cui artificio ne aumenta, anziché diminuirne, il ridicolo. E non riesco a guardare un bambino senza vedere il probabile assassino, il violento, il delinquente, il reietto, il malato, il tormentato, il disperato  che in lui si cela. E mi chiedo se questo è il mondo che il creatore  vidit quod esset bonum, compiacendosene. Decisamente sto vivendo un brutto periodo, e la tentazione di anticiparne in qualche modo la fine non mi è aliena. 

   Eppure eppure…Una fiamma stenta a spegnarsi,  e basta un niente perché riprenda vigore. Si tratta della fiamma dell’Arte, soprattutto della Poesia e della Musica. Le due Muse predilette,  Euterpe e Calliope, continuano a starmi vicino, ad assistere il mio tramonto, a colmare la mia casa ormai vuota di presenze e colma di assenze, a esorcizzare la fatale solitudine che attorno al me esistente si crea nel suo riapprossimarsi all’anonimato, all’impersonalità dell’essere. Oggi è Heine, a riaccendere il mio fuoco. Riprendo il Die Harzreise, e già l’esergo mi ravviva e riscalda. Si tratta della citazione di una parte del discorso pronunciato da Ludwig Börne alle esequie di Jean-Paul : Nichts ist dauernd, als der Wechsel; nichts beständig, als der Tod. Jeder Schlag des Herzens schlägt uns  eine Wunde, und das Leben wäre ein ewiges Verbluten, wenn nicht di Dichtkunst wäre. Sie gewährt uns, was uns die Natur versagt: eine goldene Zeit, die nicht rostet, einen Frühling, der nicht abblüht, wolkenloses Glück und ewige Jugend. Niente è durevole come il mutamento, niente è immutabile quanto la morte. Ogni battito del cuore ci infligge una ferita e vivere sarebbe un eterno morire dissanguati se non esistesse la poesia. Essa ci concede quello che la natura ci nega: un’età dell’oro che non si offusca, una primavera che non sfiorisce, una felicità senza nuvole ed eterna giovinezza. E poi i cinque tetrastici in ottonari, due dei quali furono adattati ad una semplice melodia che facevamo riecheggiare, dopo l’invocazione ad Odino, nella nostre Passeggiate di Natura e Cultura sui monti simbruini sabini marsicani: Auf die Bergen will ich steigen, wo die frommen Hütten stehen, Wo die Brust sich frei erschliesset, Und die freien Lüfte wehen.  Auf die Berge will ich steigen, Wo di dunkeln Tannen ragen, Bäche rauschen, Vögel singen, Und die stolzen Wolken jagen. Sui monti voglio salire, dove son semplici capanne, dove il petto s’apre libero e libere soffiano i venti. Sui monti voglio salire, dove svettano cupi abeti, mormorano ruscelli, uccelli cantano e fiere si rincorrono le nuvole. I monti sabini lucretili simbruini marsicani erano i nostri Meru, i nostri Sinai, i nostri Olimpi, i nostri Ida ove gli dei ci chiamavano a convegno e ci introducevano nei loro arcani, in quell’esoterico che sbaglia soltanto quando tenta a valle di farsi essoterico, di ‘volgarizzarsi’ (Das Esoterische schadet nur, in dem es exoterisch zu werden trachtet - Goethe, Mit Goethe durch das Jahr 2019, März, 18 Montag).

 

*

   Una mia ex alunna sabina, Maria Antonietta Morgagni, mi ha inviato due sue piccole raccolte poetiche (Ti conosco da sempre e La misura dell’amore è “Amore senza”  misura”) richiedendomene una opinione. Io, che per quanto riguarda stile poetico son fermo a rima e ritmo classici (non che non abbia tentato, in gioventù, le forme nuove, sempre più libere, che alla capricciosa Calliope piace assumere, e non abbia partecipato, ma una sola volta, ad un concorso presieduto addirittura da Ungaretti, dal quale uscii regolarmente escluso), sono il meno indicato per esprimere giudizi che non rischino di apparire prevenuti e precritici, ma gli sfoghi lirici di Antonietta non mi sono dispiaciuti, e gliel’ho scritto. Le ho detto di aver gustato le sue ‘semplici’ liriche, semplici al limite del naïf, ma in grado di comunicare una grande serenità alla mia anima turbata. Le ho scritto che nella mia concezione estetica complessa e qua e là contorta, meglio attorta, pensavo non ci potesse essere spazio per la poesia delle piccole cose. per la semplicità di una contemplazione di sé e  del mondo e di Dio abbandonata, come le cose, alla gioia  del guardarsi e dell'accettarsi e, perché no, del godersi come fu del Tutto al suo autoporsi, o essere posto dall'atto creatore, e di uno stile poetico a tali concetti, a tali emozioni, adeguato. Le ho detto di trovare nelle sue semplici effusioni liriche la purezza e la quiete suprema  delle albe e dei tramonti che furono dell'alba della Vita al suo sorgere, "quando gli astri del cielo danzavano in gloria e i figli degli uomini lanciavano grida di allegrezza", la quiete di un'anima che  ha raggiunto la pace con se stessa e col Sé Universo  e tale pace comunica e intorno a sé diffonde. Le ho scritto  che avrebbe potuto intitolare le sue raccolte "Storia di un'anima", perché in esse  ho avvertito lo stesso spirito della 'piccola' Santa di Lisieux, lo stesso afflato amoroso che fa del Dono, in questo caso del dono lirico, l'atto supremo della  Comunione ontologica: ché "Vivre d'amour c'est donner sans mesure / Sans réclamer de salaire ici-bas. / Ah sans compter je donne, étant bien sûre  / Que lorsq'on aime on ne calcule pas .

   E l’ho ringraziata del Dono.

*

Dei tre pilastri (in ordine di tempo Telesio cosentino, Bruno nolano, Campanella stilota, o stilese) regalati dalla Magna Grecia al Rinascimento italiano ed europeo, direi al Rinascimento tout-court, Campanella non può certo dirsi il minore, ma è quello che ancor oggi soffre di più controversa valutazione. Di vent'anni più giovane di Bruno, di una sessantina di Telesio, come Bruno domenicano, poeta pensante e filosofo poetante, amico e confidente di Galileo, passò tutta la vita a tentare di sfuggire alle persecuzioni dei poteri ecclesiastici e civili con mezze abiure e finte pazzie (non perdonategli dai bruniani rigidi -per un certo periodo neanche da me) che se non gli servirono ad aver una vita tranquilla da dedicare all'arte poetica, alla filosofia, alla politica (alla quale partecipò non solo con l'utopistica Città del sole ma con vari altri scritti di diritto e con concrete azioni di sobillazione e rivolta contro il potere aragonese) almeno gli consentirono di sopravvivere a cinque processi, alle relative torture e a 29 anni di carcere durante i quali poté con mille sotterfugi dedicarsi alla sua poesia e alla sua filosofia, i cui caratteri innovativi, soprattutto in poesia, non sono stati ancora tutti adeguatamente approfonditi e valutati, nonostante la geniale, certo la più completa ed innovativa, operazione ermeneutica operata agli inizi del XX secolo da Giovanni Gentile e Giovanni Papini. 
   Ora scopro un volume di un Gerardo di Nola (cognome evocativo), geniale e vivace, almeno per un certo tempo, se leggo bene, prete napoletano, latinista e grecista, teologo e filosofo insigne e insigne poligrafo, dal titolo allettante che la figura e l'opera di Campanella felicemente ed efficacemente riassume: Tommaso Campanella, il nuovo Prometeo, da Poeta-vate-Profeta a Restauratore della politica e del diritto. Libro ormai fuori commercio che solo attraverso la solita meritoria Amazon sono riuscito a scovare e al quale finora ho potuto dare una veloce scorsa, quanto è bastato per capire d'essermi fatto un bel dono in questo inizio di Quaresima. Stavo godendomi su Rai5 la bella edizione dell'Andrea Chénier scaligero diretto da Chailly quando, giunto alla deliziosa serenata di Ernesto, m'è venuto in mente il bel distico ‘barbaro’ campanelliano ” (anche in ciò lo stilota fu un anticipatore) Al novo secolo lingua nuova instrumento rinasca / può nuova progenie il canto novello fare". E mi son chiesto se per caso Andrea Chénier, il giovane poeta vittima della ghigliottina, non li avesse avuti presenti quando egli stesso aveva espresso in alessandrini due concetti perfettamente identici, che bastano a spazzar via tutte le baggianate ritmiche e stilistiche delle false avanguardie: " Allumons nos flambeaux à leurs feux magnifiques /sur des pensers nouveaux faisons des vers antiques".

  

P S.

   Il libro del Di Nola è dedicato a un vescovo. Evidentemente si tratta di un non so quanto riuscito tentativo di recuperare il grande Domenicano all’ortodossia. Ma in questo caso il tentativo è comprensibile e perdonabile, l’operazione è fatta con garbo e non c’è da adontarsene più di tanto. Anche perché è Campanella stesso a prestarsi, forse fin troppo, con le sue forzate e forzose ambiguità (necessarie per salvare pelle e genio) all’operazione.

 

*

   M’è accaduto di condividere su fb un simpatico post di Paola Malgeri (l'ex alunna amica che ha due grandi cuori, uno italiano, l'altro tedesco), l’immagine di una maglietta con su riprodotto un gruppo corale stilizzato e la scritta 'io canto in un coro, non ho bisogno di terapia'; e m’è tornata nostalgia dei tanti cori che nella mia lunga vita, da amatore, ho diretto. Ed ho rirovistato tra il materiale corale che ho raccolto e che occupa più di due scaffali della mia biblioteca. E mi disperavo perché non trovavo una raccolta di canti e cori popolari di tutto il mondo pubblicati dall'editrice belga Lanno e sponsorizzati dalla Jannsen Pharmaceutica. Ci crederete? Era in bella vista sul pianoforte e la giornaliera familiarità me l'aveva reso invisibile. Si tratta di un grosso volume, 32×25, 440 pagine di canzoni e cori popolari di tutto il mondo, dono del grande organista, amico e discepolo d'universita', Marco Lo Muscio; un volume prezioso che da solo vale molti altri della mia biblioteca. Se avrò meritato di rinascere, spero mi sarà consentito di rinascere con la stessa passione: ho intenzione di inserire tutti i 300 brani nel prossimo repertorio...

 

*

Arte e vita. Si può morire d'arte lucidissimi a 109 anni, assistiti dalle Muse di musica poesia e pittura. È successo a Gillo Dorfles, oggi. Invidiabile è dir poco.

________________________

Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 
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