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HO UCCISO MIO FIGLIO GAY PERCHè BESTEMMIAVA

Post n°403 pubblicato il 17 Novembre 2008 da diversity84
Foto di diversity84

di LUCIA SCAJOLA

Esclusivo
Nel 2007 Flavio Vescovini ha sparato a Gabriele, 29 anni, con problemi
di equilibrio psichico e di droga. Condannato a 12 anni, oggi è agli
arresti domiciliari in attesa della sentenza d’appello. Ha fondato
un’associazione per aiutare famiglie come la sua. Per la prima volta
ripercorre il doppio incubo: dei colpi esplosi e della vita in casa fra
paura e amore.

---

Gli ha sparato 12 colpi di pistola
al torace perché voleva che smettesse di bestemmiare. Non è stata
l’omosessualità di suo figlio il problema, anche se in tanti, compreso
Franco Grillini, presidente dell’Arcigay, lo hanno gridato.
Semplicemente quella domenica è stato lui, Flavio Vescovini, a perdere
il senno, per una volta più di Gabriele, 29 anni, tanto malato di
mente, secondo il padre, da fare paura a tutta la casa. In quei minuti
l’esasperazione ha sopraffatto l’amore e l’angelo custode è diventato
assassino. «Come un robot, senza accorgermi di soffrire, ho
materializzato nel mio gesto folle contro di lui tutta la violenza
subita a causa della sua malattia» racconta il pensionato dallo sguardo
oggi vitreo, cui è stato diagnosticato uno stato depressivo risalente
all’adolescenza. Gli psicologi, dopo anni dietro il figlio, oggi si
occupano di lui, padre assassino.

«Almeno adesso siete liberi
voi» aveva detto senza versare una lacrima alla moglie Ausilia e agli
altri due figli, Fabrizio e Marina, quella domenica pomeriggio del 25
novembre 2007, prima che la polizia lo portasse via. «Non significa che
fosse un gesto premeditato. La pistola ce l’ho da trent’anni e comunque
per eliminare mio figlio dalla mia vita non era necessario far fuori un
intero caricatore con tanta violenza. Sarebbe bastato anche solo
lasciarlo nei guai ogni volta che ci si metteva» spiega l’ex direttore
di banca di Monza, oggi agli arresti domiciliari in attesa di sapere
quanti anni di carcere dovrà scontare.



Gabriele nei
guai è finito spesso. Instabile già dall’infanzia, «da piccolo gridava
come un matto», all’età di 14 anni è stato riconosciuto come malato
della patologia borderline, un grave disturbo della personalità, a metà
tra nevrosi e psicosi, da cui deriva l’incapacità di gestire i rapporti
con se stessi e con gli altri. Tra le concause della malattia può
esserci la debolezza psichica dei genitori.



«Ogni
argomento andava trattato con le pinze: ha interrotto il suo rapporto
con il primo psicologo perché secondo lui non prendeva abbastanza
seriamente la sua maniacale fede politica» racconta Vescovini, parlando
dell’ossessione di Gabriele per la Lega nord. «Dormiva con la bandiera
verde sul letto: guai se qualcuno dei fratelli gliela spostava, anche
solo per sbaglio».



Il rapporto tra i suoi figli non è
mai stato di affetto. «Gabriele per loro era una minaccia. Una volta ha
preso a pugni sulla testa sua sorella (nata dal primo matrimonio della
madre, ma in quella casa dall’età di 2 anni, ndr) reduce da 15 ore di
operazione al cranio per una grave malformazione che l’ha costretta a
20 interventi in 30 anni» prosegue Vescovini, che dà la sua versione
dei fatti, senza mai cambiare il tono della voce fioca. «Fabrizio gli
ha messo le mani addosso per difenderla, Gabriele ha reagito e, alla
fine, le costole le ha spaccate a me».



Vivere in
quella casa, a quanto pare, non piaceva a nessuno. «Una volta, mentre
c’eravamo tutti, ha aperto i rubinetti del gas per ucciderci e poco
dopo piangeva come un bambino perché non lo lasciassi all’ospedale
nelle mani dei medici. Come sempre, me lo sono riportato a casa».



Sempre
lui, sempre solo (il resto della famiglia faceva più fatica ad
accettare Gabriele), Flavio era la rete di salvataggio del suo
primogenito bello, intelligente, ma un po’ matto. «Ho sempre cercato
una guida, anche per me. Qualcuno che mi dicesse se il mio
comportamento nei confronti di mio figlio era giusto. Quella malattia,
però, è così poco conosciuta da rischiare di essere sottovalutata, come
è stato con l’ultimo medico del Centro psico- sociale di Monza»
lamenta. Gabriele, comunque, non era un paziente facile. «A 20 anni ha
abbandonato il suo secondo psicologo e i medici del Cps per andare a
Vailate a convivere con il suo compagno di allora» prosegue Vescovini.
«Ha rifiutato il sostegno medico ed è stato un disastro: dopo poco è
scappato lasciando sullo zerbino della proprietaria le chiavi di un
appartamento ormai distrutto. I danni, ovviamente, li ho pagati io».



Tra
padre e figlio, dicono i medici curanti, c’era un rapporto di
dominazione: «Gabriele il dominatore, io il dominato. Avevo la
necessità di fare sempre qualcosa per lui. Ora che non c’è più, perché
io stesso l’ho ucciso, manca il senso della mia vita» spiega Vescovini
con lucidità raggelante. Anche per questo, per avere la sensazione di
vivere ancora per suo figlio, ha ottenuto dal giudice il permesso di
uscire da casa due mattine la settimana. Il mercoledì e il venerdì si
potrà dedicare all’Agave (a.ga.ve@email.it; 339- 4897363),
l’associazione da lui fondata per aiutare le famiglie che devono
affrontare il disturbo borderline della personalità: «Non avrò
l’esperienza clinica, per cui ci sono i medici, ma quella umana non mi
manca. Se, come è stato, mi interpellasse un padre esasperato come me,
gli direi di tenersi lontano dalle armi e di non smettere mai di stare
dalla parte di suo figlio».



Lui lo ha fatto, per
l’ultima volta, nel luglio del 2007, quando, contro tutti, ha aiutato
Gabriele a rientrare dagli Stati Uniti. Era partito «come un
principino» per lavorare a Disney World, ma poi aveva smesso di dare
notizie. «È stato il periodo più buio. Mi sono anche rivolto a Chi l’ha
visto?: sapevo che stava male ma non riuscivo ad avere contatti con
lui». Quando li ha avuti, ha saputo che da Orlando suo figlio era
arrivato a New York, era senza un soldo, e dormiva per strada, «non
aveva più nemmeno le lenti a contatto».



Nessuno,
tranne lui, lo rivoleva a casa. «Non era facile prendersi cura di un
ragazzo ridotto così. Persino i servizi sociali del Comune di Monza mi
hanno chiesto quasi con schifo perché insistessi tanto a riportare a
casa in Italia una persona in quelle condizioni». Chi lo avesse
assistito, a quel punto, oltre che con la sua malattia e i suoi
orientamenti sessuali avrebbe dovuto fare i conti anche con la
tossicodipendenza, acuita all’estero.



«Non sapevo come
gestire la situazione: ho chiesto aiuto alla Caritas, al sindaco, al
centro psicosociale, ma nessuno ha fatto niente per me» accusa
Vescovini. Forse anche per questo, dal 26 settembre, giorno in cui
Gabriele ha rimesso piede a casa, i rapporti tra loro sono degenerati.
«Per toglierlo da quell’inferno stavo cercando di farlo entrare alla
Fermata d’autobus di Torino, centro specializzato in tossicodipendenza
associata al disturbo psichico: per pagare la retta avrei venduto la
casa sul lago d’Iseo». Purtroppo, però, i suoi nervi hanno ceduto prima.



Condannato
a 12 anni in primo grado, oggi Vescovini è agli arresti domiciliari, in
attesa di sapere quanti sono gli anni che la Corte d’appello deciderà
di fargli scontare, aspetta il carcere serenamente perché vuole espiare
la sua colpa. «I frati del Santuario delle Grazie vecchie che mi hanno
confessato dicono che Dio mi ha già perdonato, ma è chiaro che non
basta» dice Vescovini, che intanto ha ottenuto anche il perdono di sua
moglie. «Voglio pagare per tutto il male che ho fatto perché desidero
arrivare un giorno a riabbracciare Gabriele altrove» confessa l’uomo
che ha ritrovato la fede al funerale del figlio. «Non gli ho fatto un
favore togliendogli la vita» dice alterando infine la voce «nessuno
merita di morire prima che Dio lo voglia. Sono certo, però, che oggi è
in pace. Se la misericordia del Signore non accoglie una persona malata
come lui, allora non accoglie nessuno».

 
 
 
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Oliviero Toscani; Jack Lang. Gay Pride: history.

Massimo Consoli; Maria Cristina Gramolini. Independence gay: alle origini del Gay pride.

Ginevra Brandi; Donne.

Julie Anne Peters; Tra mamma e Jo.

Rosanna Fiocchetto, L'amante celeste - La distruzione scientifica della lesbica.

Cesar Tripp, La questione omosessuale.

Stefano Bolognini, Breve storia del matrimonio gay.

Daniela Danna, Matrimonio africano.

Daniela Danna, Matrimonio omosessuale.

Giovanni Dall'Orto, Manuale per coppie diverse.

Giovanni Paolo II, Le unioni omosessuali non sono una realtà coniugale, in "La Famiglia".

Alicata, Cristiana "Quattro", Edizioni il Dito e La Luna, Milano 2006. Romanzo, storia di una famiglia omogenitoriale raccontata da uno dei figli.

Bonaccorso, Monica, Mamme e papà omosessuali, Editori Riuniti.

Bottino, Margherita e Daniela Danna, La gaia famiglia. Che cos'è l'omogenitorialità, Asterios.

Danna, Daniela, Io ho una bella figlia. Le madri lesbiche raccontano, Zoe, Forlì 1998.

 

 

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