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Post N° 156

Post n°156 pubblicato il 30 Settembre 2006 da helloween84

Suonerà un tantino azzardato, ma sento di non dire niente di falso o esagerato se dico di aver appena passato i tre giorni più belli della mia vita. Certo, magari è quantomeno macabro, dato che si è trattato di tre giorni passati in ospedale, ma vi assicuro che è la verità.

Qualche mese fa una telefonata sul cellulare mi coglie nel bel mezzo del mio usuale cazzeggio in aula studio all’ università, informandomi che forse sono compatibile con un paziente in attesa di trapianto di midollo. Ero iscritto dal 2003 all’ ADMO e mi era stato detto che le probabilità per un paziente di risultare compatibile con un donatore sono di uno a decine, centinaia di migliaia, e che per questo motivo la maggior parte della gente che si iscrive non viene mai chiamata a donare. Dopo una telefonata del genere posso assicurare che ci si sente veramente euforici, e si muore dalla voglia di fare tutte le analisi necessarie a verificare la piena compatibilità per poter davvero dare una mano a questa persona (che purtroppo rimane “invisibile”, nel senso che, per evitare ricatti del tipo “io ti ho dato il midollo, tu adesso mi paghi” non ti viene mai comunicato il nome o altri riferimenti simili).
Passano qualche mese e qualche prelievo, e finalmente mi viene detto che sono totalmente compatibile con questo ragazzo, che a quanto pare è un mio coetaneo della zona di Milano e che risponde al nome di C.V. (non so e non saprò mai altro di lui). A questo punto vengo mandato in quel di Bologna per questa fantomatica “idoneità”, che altro non è che un colloquio con la commissione di medici che farà l’ intervento, in cui mi viene detto tutto quello che succederà nei tre giorni di ricovero, dai prelievi all’ intervento fino ad arrivare alla dimissione.
Data del ricovero: martedì 26 settembre. Giorno dell’ intervento: 27 settembre. A casa il 28.
Martedì mattina parto dalla stazione di Ferrara assieme alla responsabile del Registro Donatori della provincia, che è anche la persona che fino ad allora mi ha costantemente seguito per telefono, chiamandomi anche 5 o 6 volte per chiedermi se mi ricordavo che l’ indomani avevo un prelievo (e io non rispondevo perchè stavo al lavoro… Teresa santa subito). Nel giro di una quarantina di minuti siamo al S. Orsola. Qui mi viene mostrata la mia stanza (c’ ho pure la tv e il videoregistratore, mi par d’ essere in albergo) e dopo un prelievo, una misurazione della pressione e poche altre formalità vengo lasciato libero di farmi un giretto per la capitale dell’ Emilia Romagna (Rinculino docet) fino a sera (beata ingenuità… mica lo sanno loro che io mi perdo pure dietro casa mia).
Preso contatto con il sopracitato Rikolino, ci incontriamo al capolinea del suo autobus in Piazza Cavour (come ci sono arrivato non lo so… fatto sta che ci siam trovati) e lui mi porta a fare un giro panoramico di Bologna alla ricerca delle sue numerose fans (lui sì che è braccato da stuoli di donnine, che tra l’ altro gli fanno pure le dichiarazioni sull’ autobus… devo confessare che un po’ sono invidioso immagine). Verso le 18 faccio ritorno in ospedale, alle 18.30 cena (io a quell’ ora di solito faccio merenda, ma dopo un paio di giorni ti ci abitui). La sera fatico un attimo a prendere sonno e mi faccio qualche giro per i corridoi del reparto chiacchierando con le infermiere di turno, poi verso le 23 mi spalmo definitivamente sul letto. Alle 23.02 e 24 secondi già ronfo come una segheria.
La mattina dopo sveglia alle 6.30. Doccia, poi mi dicono “Adesso arrivano i portantini e ti portano giù in sala operatoria” “Ok, io sono in camera”. I portantini ovviamente sono arrivati alle 8 (io ero a digiuno dalla sera prima e devo dire che il pensiero di un blitz al bar e di un assalto allo cabaret delle paste mi ha sfiorato più di una volta, ma ero sorvegliato attentamente da un commando di infermiere pronte a tutto pur di fermarmi, ho dovuto desistere).
Finalmente arriva il mio mezzo di locomozione (voglio passare tutta la vita deambulando in barella… è una figata) e vengo portato in sala.
“Devo metterti quest’ ago per la flebo, ti farà un po’ male”
“Ah”
L’ anestesista comincia a disinfettare e massaggiare il punto in cui infilerà l’ ago
“Ti faccio male?”
“Per ora no, ma mi fido poco di lei”
Mi infilano l’ ago nella mano (ahia), poche altre parole scambiate con i medici poi non mi ricordo più niente… l’ anestesia è subdola, bastarda et silenziosa.
Al risveglio sono ancora in sala operatoria, e la rottura di scatole più grande, per rendere l’ idea, è proprio l’ ago nella mano, perché nella zona del prelievo (tra il Sacro Sederino e la schiena) ho solo un vago fastidio, come quando prendi una botta e ti si fa il livido, niente di più.
Ancora mezzo intontito vengo riportato in camera e ci trovo il mio collega e compagno di stanza, arrivato qualche ora prima. Nicola ha fatto il prelievo il giorno dopo di me (quindi giovedì), ci siamo conosciuti durante i controlli per la compatibilità con i rispettivi pazienti. 28 anni, matto come un cavallo… si è sposato qualche mese fa e credo che non se ne sia ancora del tutto convinto (“Stato civile?” “Celib… ehm, no. Com’ è che si dice quando uno è sposato?”). Passo la giornata chiacchierando con lui, guardando la tv e andando in bagno ogni 15 minuti: le quattro sacche di zuccheri che mi hanno dato via flebo fanno il loro effetto. Alle 11.30 a lui portano il pranzo: “Ascolta… se vuoi vado fuori in corridoio a mangiare, non voglio mangiarti in faccia mentre tu non puoi toccare niente fino a stasera” “Nono, mica me ne frega niente, io non ho neanche fame”. Nel pomeriggio lui è lasciato libero come me il giorno prima, perciò mi dò al sonnecchiamento selvaggio fino alle 18.30, quando arrivano i miei a trovarmi. Per qualche ora parlo di cose che per la maggior parte non mi ricordo (mentre ricordo perfettamente il primo pasto solido dopo 20 ore e passa di digiuno… anche se le due sacche di sangue (mio, lasciato in “deposito” al Centro Trasfusionale di Ferrara solo una quindicina di giorni prima perché mi fosse poi reinfuso subito dopo la donazione… pure lì ho trovato due medici ed un infermiere spettacolari) e quattro sacche di zuccheri mi avevano impedito di sentire la fame fino a quel momento, la cena è sempre la cena: pasta in brodo, pizza e macedonia. In tre giorni di ospedale, pur avendo mangiato relativamente leggero, non ho mai mangiato male) poi alle 20 loro se ne vanno a divertirsi nel traffico di Bologna, mentre io mezz’ ora dopo mi libero finalmente del fido compagno TrespoloDellaFlebo, che fino a quel momento avevo odiato con tutte le mie forze (provate voi ad andare in bagno tre volte ogni ora portandovi dietro tutte le volte un palo con le ruote, tra l’ altro di venti centimetri più alto della porta). Alle 21.30 rientra Nicola, si guarda insieme la figura di merda dell’ Inter poi io, sfiancato da una giornata di prigionia sul letto (e finalmente libero dal legame di sangue che mi univa al trespolo) vado a fare i miei venti minuti di su e giù per i corridoi del reparto BCM, sempre rompendo le balle alle infermiere di turno (che già devono fare il turno di notte, poi gli tocca pure sopportare le mie chiacchiere… ma questo non dorme mai?).
La mattina dopo tutta la procedura tocca a Nicola (muhuhahahAHAHAH immagine), mentre io vengo comunque svegliato per un prelievo di controllo (il terzo o quarto nel giro di due giorni… alla fine avevo un braccio che parevo un veterano di siringa e cucchiaino), poi ovviamente non riesco a riprendere sonno e (indovinate un po’?) me la giro per i corridoi mentre lui se ne va a fare la doccia. Passo davanti alla cucina, dove le infermiere che in quel momento finivano il turno stanno facendo colazione assieme a quelle che a quell’ ora cominciavano, loro mi vedono e mi invitano dentro a prendere un caffè. Non mi stancherò mai di dire che in tre giorni lì dentro sono stato servito, coccolato e riverito in tutto. Non so, sarà che chi fa questo mestiere deve essere per forza gentile e cordiale con i pazienti (tra l’ altro in quel reparto sono ricoverate pure persone che il midollo lo devono ricevere, e che prima del trapianto devono subirsi la chemioterapia, e dopo rimangono in riabilitazione per mesi) ma queste sono persone davvero eccezionali. Una di loro mi fa “Mirko, io smonto adesso, per cui non ci vediamo più”. Dio solo sa quanto mi sia dispiaciuto doverla salutare… io un salto lì dentro a trovarle prima o poi ce lo rifaccio, ci ho lasciato il cuore.
Nel frattempo i portantini arrivano per il mio compagno di avventure (però questa volta loro sono in orario e lui è ancora sotto la doccia immagine). Partito lui, per me rimane solo il tempo di una doccia, un’ occhiata con annessa medicazione alla zona del prelievo e un questionario (come si sente oggi, accusa dolori particolari, come ritiene di essere stato trattato durante il ricovero, eccetera), poi mi viene data la lettera per la dimissione. Ma si sa, io sono un rompiballe, per cui chiedo se posso continuare ad occupare la stanza fino a dopo pranzo, dato che i miei non possono venirmi a prendere la mattina. La caporeparto mi risponde che non c’ è nessun problema. Verso le 10.30 Nicola torna dalla sala operatoria. Pure lui è come nuovo, sembra rientrato più da una serata con gli amici che da un prelievo di midollo osseo (se non fosse che, uscendo con una mise VestagliaCuffiettaESottoIlVestitoNiente, forse avrebbe qualche difficoltà a rientrare a casa, se non con un paio di braccialetti nuovi e accompagnato da due signori in vestito scuro e cappello). Si fanno due chiacchiere, poi mi arriva il pranzo: “Vuoi che vada fuori a mangiare? Non voglio mangiarti in faccia…” “Vai a cagare” immagine.
Dopo il pranzo faccio la valigia, saluto lui, le infermiere e me ne vo a prendere il taxi (pagato dall’ ADMO) che mi riporta in stazione a Ferrara. Lì trovo i miei e me ne ritorno a casa.

Ho fatto questa “cronaca minuto per minuto” per far capire quanto ridicolo sia il disturbo per una persona “sana” che abbia la possibilità di donare un po’ di sé stesso a chi, quel “po’ di te”, magari lo aspetta da anni. Certo, qualche timore c’ è sempre, ma quando ricevi una telefonata che ti dice che probabilmente tre giorni del tuo tempo possono servire a salvare una vita questi timori non ti passano nemmeno per la testa, semplicemente non ti poni il problema di accettare o rifiutare. Per me è stato così.
I donatori di midollo in Italia sono poco più di 300.000, in tutto il mondo sono solo una decina di milioni. Questo, considerando le poche possibilità che un paziente ha di trovare un donatore compatibile, dà l’ idea di quanto bisogno ci sia di sensibilizzare le persone e pubblicizzare queste associazioni.
Il “mio” paziente è un ragazzo della mia età malato di leucemia. Il giorno dopo la mia visita a Bologna per l’ idoneità, la sua famiglia ha ricevuto per telefono la notizia che c’ era un donatore di midollo compatibile e disponibile. Ci ho provato ad immaginare cosa possono aver provato in quel momento, ma non credo e non pretendo di esserci riuscito. La Teresa (che è sempre la signora che mi ha accompagnato in tutta questa faccenda, dalla prima telefonata fino a ieri, quando via sms mi ha chiesto come stavo e mi ha informato che Nicola è andato a casa tutto intero) mi ha già detto che, se mi interessa, l’ ADMO mette a disposizione dei moduli tramite il quale contattare il proprio paziente: tu scrivi la tua lettera lì sopra, questi moduli passano una sorta di “censura” che elimina gli eventuali riferimenti che potrebbero identificarti (io ad esempio non posso firmarmi con il mio nome e cognome, perché verrebbe meno l’ anonimato) e vengono inviati al Centro Trapianti in cui è stato ricoverato lui, che provvede a farli arrivare nelle sue mani. Se lui decide di rispondermi avviene la stessa cosa al contrario. Non vedo l’ ora di farlo, perché questo ragazzo mi ha dato la possibilità di sentirmi per la prima volta in vita mia veramente utile a qualcuno (suo malgrado, poveretto… lui, avesse potuto, credo che ne avrebbe fatto volentieri a meno). Lui giovedì pomeriggio ha ricevuto il midollo, io adesso aspetto di sapere come gli andrà. Perché se io ho finito, per lui tutto è appena cominciato.
Questa è un’ esperienza che ti segna per la vita… non solo per la donazione in sé (mi è stato detto che la donazione è un atto di straordinario egoismo… trovo sia vero, perché non nego che il primo sentimento che provi sia l’ orgoglio di aver aiutato qualcuno, che altro non è se non la felicità di aver fatto qualcosa che ti permetta di essere contento di te stesso. Solo dopo vengono la speranza che al tuo “amico senza nome” vada tutto per il meglio e la voglia di avere al più presto sue notizie) ma anche per le persone straordinarie che incontri in ospedale, sempre lì a chiederti come stai e se hai bisogno di qualcosa, sempre disponibili a scambiare due chiacchiere o a rispondere alle tue domande, e sempre pazienti quando devono rifare la stanza e tu sei ancora seminudo e chiedi cinque minuti per vestirti e sgombrare il campo. Direi di no, questi tre giorni non credo di potermeli dimenticare troppo facilmente.

immagine


(Nella foto: la piccola infermierina immagine)

 
 
 
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