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“La pazzia è una forma di normalità” Pirandello

Post n°233 pubblicato il 21 Febbraio 2012 da cavallo140
 

“Siamo tutti costretti,
per rendere sopportabile la realtà,
a coltivare in noi qualche piccola pazzia.”
(Marcel Proust)

Chi è il matto, il folle, il pazzo, il deviante? Cosa è la normalità?
Sono domande che ognuno di noi si pone, sia per curiosità, sia per capire i limiti del “concesso”, ma in fondo ce le domandiamo perché il tema della Follia, del disagio psichico è sempre stato un mondo isolato, stigmatizzato, messo da parte per paura: ma di cosa? Paura di affrontare l’incerto, l’imprevisto; forse paura di capirsi e uscire dalle “righe della normalità” e ritrovarsi così immersi in una realtà tutta nuova che non vogliamo accettare, in quanto ci crea “confusione”, ma vogliamo solo affacciarci per poter spiare cosa possa significare essere “Matti” .
In latino “folle” significa “sacco, palla”, cioè contenitore, e quindi per deduzione “testa vuota”. Ma è proprio vuota la testa di una persona “folle”? è proprio assente la mente? Il fatto stesso che un sacco/palla sia pieno di sola aria già racchiude qualcosa, un qualcosa che comunque ha a che fare con la “psiche”. A ben vedere, la mente del “matto” non è un semplice sacco vuoto: ma un segno di vita, di psiche, esiste sempre. La testa del folle è “piena”, come qualunque altra testa che noi chiamiamo “normali”, piena di significati che possono essere necessari per la propria sopravvivenza.

La società ha definito “pazzia” qualsiasi cosa irrazionale, inconcepibile, per cui il pazzo è stigmatizzato come una persona bizzarra, senza ragione; non solo: anche irrequieto, capace di far danno e di essere pericolosa, per cui il matto per la collettività è riconducibile ad uno stato di “confusione”, visto come un essere/persona “non-normale”.
Ma chi decide i limiti della normalità? In ogni società, il “normale” è chi segue le regole sociali, chi adotta un atteggiamento conformista nei confronti dei codici di comportamento che il sistema sociale offre e impone, dunque si conforma alle regole dominanti. Ogni individuo si costruisce un ruolo e un’immagine di sè che non devono uscire da certi limiti, e devono essere funzionali ai valori sociali dominanti. Siamo continuamente spinti ad essere normali, in quanto la normalità, secondo il modello proposto da questo contesto sociale, è un modello a cui è “giusto conformarsi”.
Ciò che è considerato “da pazzi”, deviante, varia nel tempo, nelle culture, nella categoria sociale. Come le norme sono accettate, anche un comportamento è ritenuto deviante sulla base della volontà e del potere della classe dominante, che tende ad imporre all’intera società i modelli di comportamento che sono accettabili e quelli che invece non lo sono. molte società, infatti, approvano comportamenti che noi invece definiamo anormali, basti pensare agli sciamani che credono fermamente di poter curare i malati con rituali e formule magiche, o ai visionari.
In una società come la nostra, esistono talmente tante norme che chiunque ne ha violata almeno una, ad esempio:: è da “pazzi” passare con il semaforo rosso. Ma non tutti vengono puniti per i loro sporadici comportamenti “devianti”. Solo alcuni diventano i devianti “ufficiali”, e riconosciuti dalla società come modelli da non imitare.
Una delle citazioni più celebri di Pirandello è: “La pazzia è una forma di normalità”, in quanto tutti in un modo o nell’altro siamo folli, chi più e chi meno. Ogni individuo nella società porta una maschera che lo obbliga a recitare sempre la stessa parte imposta dall’esterno sulla base delle convenzioni sociali. E l’unico modo per evitare l’isolamento è il mantenimento della maschera, altrimenti si viene allontanati, rifiutati, perché gli altri pensano che la diversità di comportamento sia dovuta ad una forma di follia della persona. Il concetto di normalità, non dovrebbe intendersi più come “seguire le norme”, ma bisognerebbe sostenere che “normale” è ciò che da ciascuno viene fatto seguendo i propri intimi bisogni.
Tuttavia la follia è sempre alle porte e ciascuno di noi combatte tutta la vita per non scegliere comportamenti che potrebbero essere segni di “confusione”. La normalità non è mai garantita (sempre se questa esista), ma sempre affermata e difesa. L’equilibrio psichico di ciascuno è instabile, ma si regge per una serie di meccanismi interpersonali. L’immagine che una persona ha di sé stesso è in primo luogo un’immagine sociale, che viene avvalorata o meno dagli altri. L’equilibrio personale è equilibrio sociale.

Anche la follia merita i suoi applausi.
Alda Merini 

 
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San valentino

Post n°232 pubblicato il 14 Febbraio 2012 da cavallo140
 

 

COS'E' L'AMORE
 ~ Alan Douar  ~ 

 

Quando ti chiedi cos'è l'amore, 
immagina due mani ardenti 
che si incontrano, 
due sguardi perduti l'uno nell'altro, 
due cuori che tremano 
di fronte all'immensità di un sentimento, 
e poche parole 
per rendere eterno un istante.

 

 

COME T'AMO?
 ~ Elisabeth Barret Browning  ~

 

 Come t'amo? Lascia che te ne conti i modi.
T'amo con la profondità, la vastità , l'altezza
che l'anima mia raggiunge quando smarrita tocca i confini 
dell'Essere e della Grazia ideale.
Ti amo nelle più piccole cose d'ogni giorno e nelle più grandi, 
alla luce del sole e a quella delle candele.
T'amo liberamente come chi lotta per la Giustizia;
T'amo puramente come gli uomini rifuggono la lode.
T'amo con la stessa passione che vedevo un tempo 
nelle sofferenze e con la fede della fanciullezza. 
T'amo con un amore che credetti perduto
Con i miei perduti cari.
T'amo con il respiro, le lacrime, i sorrisi, dell'intera mia vita! 
E se Dio lo vorrà, 
T'amerò infinitamente di più dopo la morte. 

 

 

SENZA DI TE
~ John Keats ~

 

 Non posso esistere senza di te. 
Mi dimentico di tutto tranne che di rivederti:
...
la mia vita sembra che si arresti lì, 
non vedo più avanti. 
Mi hai assorbito. 
In questo momento ho la sensazione 
come di dissolvermi:
sarei estremamente triste 
senza la speranza di rivederti presto. 
Avrei paura a staccarmi da te. 
Mi hai rapito via l'anima con un potere 
cui non posso resistere;
eppure potei resistere finché non ti vidi;
e anche dopo averti veduta 
mi sforzai spesso di ragionare 
contro le ragioni del mio amore. 
Ora non ne sono più capace. 
Sarebbe una pena troppo grande.
Il mio amore è egoista. 
Non posso respirare senza di te. 

 

IL BACIO
 ~ Pablo Neruda  ~ 

Ti manderò un bacio con il vento 
e so che lo sentirai,
ti volterai senza vedermi ma io sarò lì.
Siamo fatti della stessa materia 
di cui sono fatti i sogni
Vorrei essere una nuvola bianca 
in un cielo infinito
per seguirti ovunque e amarti ogni istante
Se sei un sogno non svegliarmi
Vorrei vivere nel tuo respiro
Mentre ti guardo muoio per te
Il tuo sogno sarà di sognare me
Ti amo perché ti vedo riflessa 
in tutto quello che c'è di bello
Dimmi dove sei stanotte 
ancora nei miei sogni?
Ho sentito una carezza sul viso 
arrivare fino al cuore
Vorrei arrivare fino al cielo 
e con i raggi del sole scriverti ti amo
Vorrei che il vento soffiasse ogni giorno 
tra i tuoi capelli,
per poter sentire anche da lontano 
il tuo profumo!
Vorrei fare con te quello 
che la primavera fa con i ciliegi.


 Felicissimo San Valentino a tutti... 

 

 
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L’uomo ha sempre avuto bisogno di credere in ciò che vale.

Post n°231 pubblicato il 31 Gennaio 2012 da cavallo140
 

Per il Bene. Per la Terra. Per noi stessi. 

Oggi non si crede più in nulla. Non parlo delle credenze, delle ideologie, che hanno ridotto il mondo di un gran teatro di burattini, dove la politica e l'economia hanno avuto la meglio, condizionando, ipnotizzando, distruggendo, asservendo. Parlo di valori. Un tempo si combatteva per ciò che vale. L'onestà, l'integrità, il sostegno, l'appartenenza a un popolo, in una sola parola il Bene. Oggi non si combatte nessuna battaglia di valore. Si fa guerra per conquistare le risorse energetiche e alimentari. Si distrugge per diventare sempre più ricchi. Nessuna battaglia ha veramente senso. La vita stessa ci insegna che la nostra esistenza è lotta: accade anche nel mondo animale. Ma questo tipo di lotta non ha nulla a che fare con la distruizione inutile, scollegata da ogni valore positivo.

 

 

 

Io amo la spada. Ne ho tre. La spada è una visione della vita. Se serve usarla, a mio avviso, è per il bene comune. Non per la sopraffazione. Un tempo vi era chi usava la spada per difendere il proprio regno, villaggio, famiglia, dagli assalti di ogni tiranno possibile. Per questo tipo di battaglia ha senso usare la spada. Oggi per cosa combattiamo? Per cosa lottiamo? Guardiamo il mondo dagli schermi e rimaniamo seduti. Non troviamo nulla per cui vale la pena combattere. E la rassegnazione avanza. Vengono meno le forze.

L'uomo ha sempre avuto bisogno di credere in ciò che vale. Lo spettacolo abberrante a cui stiamo assistendo oggi in Italia è il trionfo della menzogna, dell'oscuro, della perversione, del potere nero. Molti giovani vedono e si ritirano nel proprio mondo interiore. Molti cittadini sono storditi. Anche chi vuole combattere, sa che ha do fronte un nemico potente: la televisione. E allora? Che fare? Arrendersi?

No. Anche in questo mondo in decadenza, vale la pena lottare per ciò che vale. Chi crede nella Luce troverà sempre un'aquila che scenderà dal cielo per aiutare il guerriero. Il ruggito della forza interiore può echeggiare in modi nuovi, diversi, magari attraverso la Rete che ci connette tutti. Bisogna aspettare che questo mondo cada. Ormai i tempi sono maturi: è fin troppo evidente. Ma chi ancora crede in ciò che vale, chi crede nel Bene (cuore, solidarietà, rispetto per ogni creatura, amicizia, lealtà, verità) allora può sempre tirare fuori la propria spada interiore e combattere in questo tempo oscuro.

Per il Bene. Per la Terra. Per noi stessi.

 

 

 
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Arroganza - Oltre l'Apparenza

Post n°230 pubblicato il 30 Gennaio 2012 da cavallo140

ARROGANZA

Arroganza. Non é il nome di un profumo, bensì un sentimento, uno stato d'animo che non ha niente di nobile, né di generoso. Per me é un vestito di pessimo gusto, orribile anche se ad indossarlo fosse Venere stessa, eppure se andassimo proprio ad analizzare l'essere umano, sono sicura che ognuno di noi ne possiede almeno un lembo da qualche parte, ma la capacità di farne una piccola palla grinzosa e buttarlo da una parte é una qualità che pochi riescono a sviluppare.

Naturalmente esistono vari stadi di arroganza, quella grave é caratterizzata dal sudiciume interiore di chi riesce tranquillamente a calpestare gli esseri umani con assoluta assenza di vergogna per affermare i propri diritti calpestando quelli degli altri; a mio avviso, il mio Paese ne é la culla, infatti noto la mancanza del più grande strumento esistente per il controllo del comportamento e, cioé, la coscienza con il conseguente neutralizzarsi del sentimento della vergogna, sostituito dall'arroganza, spocchiosa e scostante con la sopravvalutazione dell'Io e l'assoluta consapevolezza dell'impunibilità raggirando abilmente le Leggi. 

 

 

Ognuno poi ha il  proprio carattere, caratterizzato da una linea genetica, principalmente, e formato in seguito dalla propria educazione, frequentazione, condotta di vita, studi, percorso di vita, vicissitudini, gratificazioni, successi, colpi bassi, etc. 

L'arroganza naturalmente non vive in solitudine ma in compagnia dei suoi sinonimi e cioé alterigia, prepotenza, superbia, insolenza, e devo dire, almeno per me, la sua forma meno sgradevole é la spavalderia che é forse l'unica sfaccettatura che personalmente riesco a malapena a tollerare, perché, in fondo, forse serve a dare un pizzico di coraggio nelle situazioni impreviste,  a tener testa agli arroganti veri, proprio per evitare ferite gravi. 

Personalmente ritengo opportuno inserire nel proprio bagaglio un fazzolettino di umiltà, così tanto per mettere un profumo fresco adatto in tutte le stagioni, per essere piacevoli soprattutto a noi stessi, per ricordare la disponibiltà, l'educazione, la tolleranza, condannando a priori la prevalizzazione su esseri più miti,  ricordando che il buon senso, secondo la mia opinione, é la più alta componente dell'intelligenza, e se per caso dovessi varcare quel confine che mi potrebbe trovare in stretta  confidenza con l'arroganza, sarò grato ai miei più cari amici di farmelo notare e farò di tutto per ristabilire le opportune distanze.

 

 

 

 
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Guai a chi lavora aspettando le lodi del mondo: il mondo è un cattivo pagatore e paga sempre con l'ingratitudine.

Post n°229 pubblicato il 21 Gennaio 2012 da cavallo140
 

La città invisibile  

"La ragione è uBenvenuti nella città invisibile,  con le persone invisibili

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

 

 

Esistono ma sono invisibili.

 

Partiamo da quello che, al parcheggio, vi sollecita con insistenza a dargli un contributo (se no ti ritrovi la macchina rigata), o al semaforo cerca di pulirvi il parabrezza o di rifilarvi improbabili souvenir.

 

La reazione spontanea è quella di dire: ma vai a lavorare. Giusto. Ma dove, da chi? Qual è l’azienda che può essere interessata ad assumere queste persone con un curriculum solitamente non incoraggiante?

 

Arriviamo al punto: tutti vorremmo che lavorassero. Tuttavia nessuno di noi sarebbe disponibile a dargli concretamente un lavoro (E chi si fida?).

 

Il problema è chiuso. Noi continuiamo nei nostri mugugni. Loro continuano ad "aggiustarsi". Del resto noi abbiamo cose ben più importanti di cui occuparci.

 

Proviamo ora a cercare di ricordare quante persone ciascuno di noi conosce che, per i più svariati motivi, nonostante siano in età da lavoro e nonostante siano privi di reddito sufficiente, passano la giornata prive di qualunque occupazione.

 

Non ci riferiamo a quelle persone, già sfortunate, che hanno perso il lavoro perché l’azienda ha chiuso (e di questi tempi è sempre più frequente...), ma di quelle che un lavoro non ce l’hanno proprio mai avuto. Per vicissitudini personali, per problemi psichiatrici, o semplicemente per stili di vita poco raccomandabili, per frequentazioni di sostanze o persone ritenute pericolose.

 

Ebbene, per queste persone concetti come ferie, vacanze, risparmio, orari, impegni, programmi per il futuro, sono concetti impropri, sconosciuti. I "consigli per gli acquisti" dai quali ogni minuto sono bombardate costituiscono autentiche istigazioni a delinquere. Le notizie che quotidianamente sentono relative alla vita politica ed economica sono indisponenti. Intanto perché sentono che gruppi numerosi di persone stanno vivendo spudoratamente sulle spalle della collettività, carichi di privilegi che non si preoccupano neanche più di tenere nascosti. E poi perché vedono la maggior parte delle persone che comunque, nel loro piccolo, hanno almeno una situazione sostenibile, una rete di rapporti familiari e sociali più o meno soddisfacente, un lavoro su cui contare pur con i problemi che comporta, qualche organizzazione sindacale o di categoria con la quale far sentire la propria voce. Persone che "esistono" non fosse altro perchè rientrano in categorie sociali riconoscibili sulle quali si fanno statistiche e sondaggi.

 

No, le persone di cui vi parliamo sono escluse da tutto ciò. Esistono ma sono invisibili. Colpevolmente (per noi) invisibili. Perché ci da fastidio vederle. Dunque rimuoviamo il problema. E ci illudiamo di averlo risolto.

 

E la prossima volta che al semaforo qualcuno ci infastidirà imprecheremo nuovamente: ma vai a lavorare.

 E continueremo a sentirci maturi e intelligenti.

 
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la libertà non è uno spazio libero..

Post n°228 pubblicato il 13 Gennaio 2012 da cavallo140

la libertà……

Morti sulle strade, morti sul lavoro, morti per droga, morti per soldi e morti per legge di sangue, morti tutti per non curanza.
Un paese piagato dall’ingiustizia della violenza, prepotenza, arroganza, incapace di valorizzare ciò che è bene, disattento a smitizzare quanto è virtuale, ma assolutamente reale.
Ogni tragedia appare come una sequela di errori sfornati in serie, tutti uguali per quantità e qualità.
Un paese dalle interpretazioni sfumate, una società bullistica che non ha più niente da con-dividere, se non parole prive del Dna, atteggiamenti fotocopiati e impolverati.
E’ tutto così scontato e banale, che l’abitudine alla fatica, quella che accompagna il pensare al fare, ha cambiato residenza, non abita più la nostra struttura mentale, s’è dislocata altrove, a debita distanza.
Un paese di spari e di rapine, di morti per un’offesa che non scalfisce il viso, ma il portafoglio, di feriti e di umiliati dal primo venuto, un treno merci di prassi, di moventi, di simulazioni.
Un paese alla berlina nell’umanità disintegrata, nelle preghiere accartocciate ai piedi di una croce resa invisibile al pentimento, che non ha più voce interiore, eppure è il nodo della questione sotto il profilo culturale e anche da un punto di vista politico.
Promesse, lanci pubblicitari, matite spuntate e racconti inefficaci di uomini e donne presi per il bavero, derubati della propria dignità che sta nel sudore della speranza.
Donne e bambini messi all’angolo, per vigliaccheria, per gelosia, per invidia, per un potere dominante acquistato a basso costo, al mercato del silenzio, quello più infamante.
Vite disperse nella disattenzione, peggio nel disamore, come fotografie da scegliere, da scartare, da nascondere, mentre a ogni sussulto di coscienza, interviene la preparazione di un palco per mostrare gli attributi, e magari una buona dose di follia per volere cambiare il mondo.
Eppure il nostro futuro è tutto adagiato nella nostra capacità di rivedere il passato, di rielaborare i nostri trascorsi, per andare oltre il disincanto vissuto dai tanti giovani, per non essere costretti a vivere l’uno accanto all’altro come “sordi”.
Non c’è più bisogno di scuse, di giustificazioni, il gioco è allo scoperto, alla mercè delle intelligenze che non si sottraggono al dazio da pagare per avere concesso un uso smodato delle proprie debolezze, fragilità, inadeguatezze.
Ma ancora una volta in nostro soccorso giungono gli esempi di uomini autorevoli e di cittadini sconosciuti, che non lasciano spazio alla resa, affidandosi ai piccoli gesti quotidiani, per liberare la libertà, quella libertà che non si raggiunge mai in solitudine, ma insieme, non accettando questa emorragia di felicità verso la morte, dove il male e il dolore crescono e sono pochi i malati che guariscono.
Riferimenti importanti che ci insegnano la sola ricetta possibile, l’ascolto, avendo cura che giovi a qualcuno ne ha bisogno, senza badare a quanti poco amano le voci scomode, gli impegni eroici, e dare a nostra volta speranza a chi ha difficoltà anche solo a pensarla.Mi tornano in mente le parole di un grande poeta: la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione.

 Sogno spesso un luogo
privo di barriere e di confini,
senza gabbie, sbarre, catene o spinati.
Un luogo dov'è assente la tradizione
e la vita al presente si vive,
senza ancore nel passato,
con ogni ora, ogni giorno agli altri non uguali.
Un luogo nel quale, per il futuro,
sono ignoti desideri e bramosie.
Si, quello che sogno è un posto dove si ama
senza condizioni e senza possedere;
dove non ci schiavizzano leggi, famiglia o riti,
idoli, miti o dei.
Già, sogno sovente un mondo
dove gli umani sono liberi:
liberi di stare da soli o tra la folla,
di abitare in mezzo al deserto,
in collina o sulla montagna,
senza chiedere permesso o grazia
né rendere conto a chicchessia.
Liberi di solidarizzare con ciascun sofferente
o di stringere al petto tutti,
proprio tutti i viventi,
senza traccia di scelta né distinzione.
Liberi di fare l'amore
con chi piace e a cui piaci.
Liberi di volare con la mente,
senza impedimenti di sorta,
sul concreto e sull'astratto,
sulla terra, lassù in cielo
o nell'Infinito eterno.


 
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IL PASSATO

Post n°227 pubblicato il 06 Gennaio 2012 da cavallo140
 

Ma è così che ti frega, la vita...

 

A volte ci si illude di poter tenere il passato chiuso dentro una scatola riposta nell'armadio, così come in un cassetto in fondo al proprio cuore.
Non è così facile... Ma non è sempre negativo.
Ci sono cose della nostra vita che vorremmo completamente rimuovere, che ci fanno stare male...
Ci sono persone che ci mancano così immensamente che a volte vorremmo non pensarle per non sentire troppo forte quel vuoto che ci hanno lasciato dentro.
A volte capita persino che ci manchino i sentimenti che provavamo riferiti a quelle persone e che probabilmente non tornano mai nello stesso modo, anche se l'amore torna sempre ad affacciarsi alla nostra porta.

Mi capita spesso di sfogliare vecchi ricordi come fossero fotografie e ho l'istantanea percezione di sprazzi di una felicità assoluta e incondizionata. Avrei voluto portarmela dietro per sempre.
Ma è così che ti frega, la vita... Ti rapisce quando hai ancora l'anima addormentata e ti semina dentro un'immagine, o un odore, o un suono che poi non riesci più ad estirpare, ha radici profonde.
Ma anche quello fa parte della felicità e troppo spesso lo scopri solo dopo, quand'è troppo tardi.
Quando sei già un esule, a migliaia di chilometri da quell'immagine, da quel suono, da quell'odore.

Io penso davvero che ogni uomo viva del proprio passato, ma deve sforzarsi di non esserlo se ci sono cose di quel passato che lo hanno fatto vergognare di non avere avuto il coraggio di fermarsi e cambiare.
Come tutti, dalla vita voglio solo serenità.
Volevo... salvarmi. Semplicemente questo.
Pensavo che in grado di salvarmi ci fosse il dovere, l'onestà, la bontà, la lealtà... Invece no. Non basta.
La vita può rigirarsi su se stessa in un modo strano, inesorabile. E ti accorgi che a quel punto non puoi desiderare qualcosa senza farti del male. La vita su cui pretendi il controllo, non ti dà il tempo di scappare, più ti agiti più ti ingarbugli nella rete; più ti ribelli, più ti ferisci...
Non se ne esce.
Poi arriva il momento in cui tutto si paralizza e ti senti sospeso.
Ovunque volti lo sguardo vedi solo facce vuote ed è allora che ti accorgi che non sei più in grado di sentire nulla.
Quello è l'errore più grave che si possa fare, assecondare l'apatia.
Io ho potuto combatterla solo in un modo.
Quando ho iniziato ad avere desideri profondi, con tutta la forza che avevo, mi sono fatto molto male, ma alla fine ho capito.
E' stato il desiderio a farmi bruciare l'anima di una nuova energia.
L'unico che, nonostante il tempo, non muore mai... E diventa la linfa vitale che ti permette di non mollare.

Il desiderio di esserci, per chiunque ne abbia bisogno o anche solo per te stesso.
Il desiderio di provare emozioni quotidiane, scontate, ma a volte esclusive.
Perchè  anche uscendo di casa può capitare che alzando lo sguardo al cielo ci si senta improvvisamente felici.
Felici soltanto di essere lì, in quel modo, con quello stato d'animo, in quel battito di ciglia.
Il tempo trascina con le sue raffiche di vento tante cose, logora anche le pietre, ma non esisterebbe neanche lui se non avesse nulla da consumare.
Senza l'esistenza di ognuno di noi non avrebbe l'importanza che ha e i suoi effetti non si vedrebbero.
Il nostro lento e faticoso proseguire lascia delle orme profonde che quel vento inesorabile a volte cancella, ma questo fa sì che altri dopo di noi, percorrendo quella strada, si trovino a tracciarne di nuove e più profonde, proprio grazie alle nostre.
Non dovremmo mai dimenticare che siamo le preziose tacche sulla linea del nostro tempo...

 

E un astronomo disse:
Maestro, parlaci del Tempo.

E lui rispose:
Vorreste misurare il tempo, l'incommensurabile e l'immenso.
Vorreste regolare il vostro comportamento e dirigere il corso del vostro spirito secondo le ore e le stagioni.
Del tempo vorreste fare un fiume per sostate presso la sua riva e guardarlo fluire.

Ma l'eterno che è in voi sa che la vita è senza tempo
E sa che l'oggi non è che il ricordo di ieri, e il domani il sogno di oggi.
E ciò che in voi è canto e contemplazione dimora quieto
Entro i confini di quel primo attimo in cui le stelle furono disseminate nello spazio.
Chi di voi non sente che la sua forza d'amore è sconfinata?
E chi non sente che questo autentico amore, benché sconfinato, è racchiuso nel centro del proprio essere,
E non passa da pensiero d'amore a pensiero d'amore, né da atto d'amore ad atto d'amore?
E non è forse il tempo, così come l'amore, indiviso e immoto?

Ma se col pensiero volete misurare il tempo in stagioni, fate che ogni stagione racchiuda tutte le altre,
E che il presente abbracci il passato con il ricordo, e il futuro con l'attesa.

Kahlil Gibran 

 

 
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Il caso Sakineh e l'ipocrisia occidentale.

Post n°226 pubblicato il 03 Gennaio 2012 da cavallo140
 

Sakineh...

Ancora  il caso Sakineh. Ancora una volta la strategia della tensione, dello scontro, della diffamazione e della strumentalizzazione dei media. Ancora una volta riparte la campagna di odio contro il nemico, con un balletto di ipocrisie e false notizie, di strumentalizzazioni e violenza verbale.  Sia chiaro: sono contro la pena di morte in Iran, come negli Stati Uniti, come in Cina, come in Arabia Saudita e in tutte la parti del mondo dove ancora questa barbara pratica è in auge. Appunto, sono contrario alla pena di morte senza se e senza ma. Alcuni, ipocritamente, sono contrari alla pena di morte solo in Iran, perché in fondo non sono interessati a salvare dalla morte la condannata iraniana, ma a condannare un’intera nazione e popolo. L’obiettivo, non dichiarato, è preparare l’opinione pubblica alla guerra: quella prossima ventura contro l’Iran. Sono contro la pena di morte, ovunque nel mondo, ma anche contro la strumentalizzazione dei diritti umanitari, della falsa retorica e dell’ipocrisia.

Il caso Sakineh è un emblema, un caso da manuale di strumentalizzazione e di manipolazione mediatica. Il caso della lapidazione a morte di Sakineh per adulterio (così ci è stata proposta, falsamente, per mesi e mesi) è forse uno dei casi più interessanti da studiare per capire come le campagne di odio nascono e si diffondono (il libro Barack Obush di Giulietto Chiesa e Pino Cabras spiega molto bene come sia nata la campagna per salvare Sakineh). Campagne di odio che prendono spunto da fatti concreti (in questo caso la condanna a morte di Sakineh) per essere poi strumentalizzati. È un classico da manuale e la storia recente è piena di questi esempi.

Fu così durante la prima guerra mondiale quando si parlava dei crimini commessi dai tedeschi contro donne e bambini ai quali venivano tagliate le mani. Una notizia che ha scosso e turbato l’opinione pubblica e ha mobilitato parte di essa. Una notizia rivelatasi poi falsa, ma l’indignazione e l’odio, nel frattempo, erano già diventati guerra e mobilitazione contro il nemico tedesco.

Fu così durante la seconda guerra mondiale quando si diede luogo, negli Stati Uniti, ad una feroce campagna d’odio contro i giapponesi con notizie false e strumentalizzazioni. L’obiettivo era lo stesso: trasformare un popolo riluttante alla guerra, in un popolo di feroci guerrafondai. Fu così per il Corea e il Vietnam. Fu così durante la guerra del Kosovo, la cosidetta guerra umanitaria (un orribile ossimoro). Si parlò di pulizia etnica, di sterminio sistematico, si paragonò Milosevic a Hitler. Alcune notizie erano vere, altre false, alcune per comodità taciute. L’obiettivo era evocare un’emozione da trasformare in odio per giustificare la guerra. L’obiettivo era spingere l’opinione pubblica ad accettare la guerra. E poco importa se quelle notizie, oggi, sono considerate esagerate e false (come i 500mila kosovari che mancavano all’appello e si temeva fossero stati uccisi da Milosevic). L’obiettivo è stato raggiunto. La guerra, per chi l’ha vissuta comodamente seduto a casa, è passata.


È successo con Saddam Hussein (negli anni Ottanta fedele alleato degli Stati Uniti e poi considerato feroce nemico): accusato di detenere armi di distruzione di massa che a distanza di dieci anni non sono state mai trovate. Poco importa se poi proprio i marines americani in guerra per trovare le armi di distruzione di massa abbiano usato armi altrettanto micidiali e proibite dalla convenzione di Ginevra sugli iracheni (vedi il fosforo bianco usato a Falluja). Si diceva che l’Iraq perseguitava i kurdi (vero) ma si dimenticava di dire che la Turchia, membro della Nato dal 1952, fa altrettanto, ancora oggi. L’ultimo caso mercoledì 28 dicembre 2011 quando la Turchia con i suoi F-16 e droni senza pilota ha bombardato i dintorni di un villaggio chiamato Roboski (Ortasu in turco) al confine con l’Iraq. Primo bilancio parla di 35 morti (tra cui un dodicenne).

I diritti umanitari vengono tirati in ballo quando conviene. È successo in Libia, ora succede in Siria e in Iran. Ma non succede in Barhein, Arabia Saudita e Kuwait. Loro sono gli alleati dell’Occidente e contro di loro nessuna campagna di sensibilizzazione. Si possono fare migliaia di esempi dell’ipocrisia occidentale, ma il caso Sakineh, in questi giorni ritornato di moda, è il più emblematico.

Anche ieri ho sentito dire in TV che Sakineh è stata condannata per adulterio. Sakineh è stata condannata per omicidio e non per adulterio: l’accusa è di aver fatto drogare il marito e averlo fatto uccidere nel sonno dal suo amante. Per essere ancora più precisi: anche il suo amante (sì aveva un amante, ma è molto difficile in Iran provare l’accusa di adulterio poiché sono necessari 4 testimoni oculari che hanno assistito personalmente all’adulterio) è stato condannato a morte in entrambi i gradi di giudizio.

Io spero che Sakineh non sia condannata a morte, come spero che tutti i detenuti statunitensi che vivono nel braccio della morte non siano condannati a morte. Spero anche che i condannati cinesi e quelli sauditi non siano condannati a morte, ma scontino la loro pena in carcere. La storia di Sakineh deve, però, farci riflettere. Non si tratta di una campagna per salvare la vita di una donna, ma una campagna per giustificare una guerra. Una campagna che prende spunto da un fatto concreto (la condanna a morte di una donna) ma che si discosta da essa per perseguire altri obiettivi.

 

Sakineh: “La donna non rischierebbe più la lapidazione, ma l’impiccagione che, come si sa, è più «umana»!”. Che dire allora dell’iniezione letale che ha ucciso la ritardata mentale Lewis due anni fa? È forse l’iniezione letale più umana? Il filosofo francese, parla di simboli, dignità delle donne, di uguaglianza dei diritti umani, di giustizia per l’innocenza. Parole nobili, belle, profonde. Ma perché non ha scritto due righe per Teresa Lewis? Non è una donna? Non è l’iniezione letale altrettanto inumana?

Il segretario di Stato americano Hillary Clinton si è detta turbata da una possibile esecuzione a morte in Iran. Ha protestato dicendo che ancora una volta il regime iraniano non è in grado di salvaguardare i diritti fondamentali e in particolare quelli delle donne. La cosa che sorprende di questa affermazione è che è stata detta dal segretario di Stato di un paese che applica la pena di morte e che, proprio in quei giorni, assassinava Teresa Lewis, donna e ritardata mentale, anche lei accusata di aver fatto uccidere il marito. Proprio come Sakineh. Ma per salvare la Sakineh americana non c’è stata nessuna campagna internazionale.

Ascolta il passo breve delle cose
-assai più breve delle tue finestre-
quel respiro che esce dal tuo sguardo
chiama un nome immediato:la tua donna.
E' fatta di ombre e ciclamini,
ti chiede il tuo mistero
e tu non lo sai dare.
Con le mani
sfiori profili di una lunga serie di segni
che si chiamano rime.
Sotto, credi,
c'è presenza vera di foglie;
un incredibile cammino
che diventa una meta di coraggio.

A L D A    M E R I N I

  

 
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Buon anno 2012

Post n°225 pubblicato il 30 Dicembre 2011 da cavallo140
 

Ti auguro

Io ti auguro non tutti i possibili regali.
Io ti auguro solo quello che la maggior parte della gente non ha:
Io ti auguro del tempo per gioire e per ridere,
e quando lo usi puoi cambiare qualcosa là fuori.

Io ti auguro del tempo per il tuo fare, per il tuo pensare,
non solo per te stesso, ma anche per regalarlo.
Io ti auguro del tempo per non avere fretta e per correre,
ma il tempo per poter essere soddisfatto.

Io ti auguro del tempo non solo per poterlo sprecare.
Io ti auguro che ti possa restare del tempo per stupirti,
e del tempo per avere fiducia,
invece che guardare come passa il tempo nell’orologio.

Io ti auguro del tempo per poter afferrare le stelle
e tempo per crescere, cioè per maturare.
Io ti auguro del tempo per sperare di nuovo e per amare,
non ha senso rinviare questo tempo.

Io ti auguro del tempo per trovare te stesso,
ogni giorno, ogni ora, per trovare la felicità.
Io ti auguro del tempo anche per perdonare gli altri.

Io ti auguro di avere tempo per vivere..

 
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La crisi la pagano i poveri. Questa è l'unica certezza.

Post n°224 pubblicato il 27 Dicembre 2011 da cavallo140
 

La Crisi....

Non sono un economista e faccio fatica a districarmi in questa marea di informazioni e dati che tutto dicono e nulla spiegano. Quando gli economisti e i mass media parlano della crisi sembrano parlare in codice per non farci capire. I mass media hanno il dovere di informarci, ma non lo fanno. So tutto dell’omicidio di Avetrana, della casa di Cogne, del delitto di via Poma, della strage di Erba, eccetera, e non so i nomi degli speculatori, chi comanda il Fondo Monetario Internazionale, cosa sono le agenzie di rating e soprattutto cosa guadagnano le banche centrali e da chi sono governate. Voglio i nomi e voglio conoscere i meccanismi, e voglio che siate voi economisti a spiegarcelo.Per esempio mi piacerebbe che spiegaste questo ai cittadini. La crisi finanziaria non è un fatto inevitabile e in balia delle forze irrazionali della natura; non è un terremoto o un’eruzione vulcanica: non è, insomma, un evento geologico, ma un evento previsto e prevedibile. Mi chiedo e vi chiedo: qualcuno ci guadagna da questa crisi? E se sì, chi? E poi: se qualcuno ci guadagna, non potrebbe essere lui il responsabile creando ad hoc la crisi per specularci?

 

 

Cari economisti dovete dirci chi ci guadagna. Chi? Sappiamo chi ci perde, ovvero le classi sociali povere che sono costrette a pagare il debito in due modi: direttamente con l'aumento delle imposte e indirettamente con il taglio del welfare state e dei servizi che lo stato eroga ai cittadini. I giornali e i telegiornali parlano di crisi finanziaria, di attacco degli speculatori, di spread, di Bot e Cct, di Nasdaq, ma non spiegano niente. Sappiamo solo che la crisi la pagano i poveri. Questa è l'unica certezza.

Quando lo stato sta “fallendo” (chi lo fa fallire? Perché?)

Ad essere malizioso e a farla semplice si potrebbe dire: quando lo stato sta “fallendo” (chi lo fa fallire? Perché?) intervengono gli organismi internazionali che gli “prestano” i soldi ad un tasso di interesse altissimo, e chiedono in cambio, oltre alla restituzione dell’aiuto maggiorato da un tasso di interesse altissimo, “riforme”, un eufemismo per dire: riduzione dei servizi pubblici che lo stato offre ai cittadini (scuole e ospedali ad esempio); taglio dei diritti dei lavoratori, per permettere alle aziende di essere più competitive; e privatizzazione, ovvero vendita ai privati delle aziende “produttive” dello stato (quelle in debito ovviamente non interessano).

Non sono un economista dicevo: allora cari economisti spiegatecelo voi come funziona. E parlateci anche del caso islandese. Nel 2008, con la crisi dei mercati finanziari, falliscono le principali banche islandesi e la corona islandese perse l’85% nei confronti dell’Euro. L’Islanda stava fallendo. A questo punto arriva la soluzione (come quella proposta alla Grecia e all’Irlanda e che può essere proposta al Portogallo, alla Spagna e chissà forse anche all’Italia). L’unione Europea e il Fondo Monetario Internazionale pensano bene che il debito creato dagli speculatori e dai banchieri dovesse essere pagato dai cittadini e il governo islandese accetta. Il governo, che dovrebbe rappresentare e tutelare i cittadini, ha proposto a loro il pagamento di 3 miliardi e mezzo di euro in 15 anni con un tasso di interesse del 5,5 %. Detto in soldini (mi scusino gli economisti per i termini non tecnici, ma questo mi pare il modo migliore di spiegare la cosa): ogni famiglia islandese avrebbe dovuto pagare 100 euro al mese per 15 anni.

Gli scontri in Grecia, per intenderci, si sono verificati per questi motivi: hanno obbligato i cittadini greci a pagare il debito, tagliando i loro stipendi (in alcuni casi anche del 25%), tagliando i servizi, privatizzando le aziende dello stato, licenziando i lavoratori, eccetera. Ovvero hanno preso dai poveri per dare ai ricchi. E l’Islanda invece come ha reagito? O meglio, il popolo islandese come ha reagito? Il diffuso malcontento popolare si è tradotto in manifestazioni pacifiche con slogan come “salviamo il paese, non le banche” e “no al capitalismo strozzino” che hanno portato alle dimissioni dell’allora governo in carica e a indire un referendum consultivo popolare. A marzo del 2011 il 93% dei cittadini islandesi ha detto no al pagamento del debito. Ma non solo: sono stati emessi i primi mandati di arresto per diversi banchieri e membri dell’esecutivo.

Certo il caso islandese è unico e forse non ripetibile, ma perché non ne parlate mai? Quando provate a spiegare la crisi, mai un accenno a quanto successo in Islanda. Perché? Se loro non si fossero ribellati, anche pacificamente, il debito l'avrebbero pagato i cittadini, mentre i banchieri sarebbero stati liberi e più ricchi. Invece è andata diversamente: la crisi non la pagano i poveri cittadini e i responsabili sono stati puniti. E in Italia e nel resto del mondo che succede? Cari economisti spiegateci che succede: chi sono i responsabili della crisi? Chi ci guadagna? È inutile dirmi che la borsa perde il 2,35% o che il Nasdaq scende del 2% e che lo spread si allarga, perché così non mi state spiegando un bel niente. Vogliamo i nomi dei responsabili della crisi e perché la crisi dovremmo pagarla noi. E poi spiegateci: possiamo fare come l’Islanda?

Massimo Ragnedda

 
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VORREI ...

Post n°223 pubblicato il 16 Dicembre 2011 da cavallo140
 

VORREI

Se la mia stella dei desideri mi concedesse di decidere il futuro per tutti i giovani vorrei un mondo senza violenza e guerra pieno di solidarietà tra tutte le persone.
Vorrei un lavoro dignitoso per tutti e un maggior spazio di tempo dedicato all'amore e all'amicizia, unici e veri valori importanti.
Vorrei un mondo senza tutte quelle malattie che portano via la vita anche alle persone più giovani.
Un mondo senza invidia, egoismo, presunzione, falsità e prepotenza: insomma un mondo in cui i giovani possano vivere sicuri, tranquilli e sereni.
Vorrei svegliarmi e sapere che la gente crede ancora all'amore e all'amicizia, come ci credo io. Io penso che l'amicizia sia un sentimento dove ci aiutiamo a vicenda, siamo uniti, siamo alla pari, né io sono migliore di loro, né loro migliori di me.
Vorrei svegliarmi e rivivere i bei momenti dell'adolescenza, ma soprattutto vorrei svegliarmi e sapere che il mondo è cambiato, che non esiste più la droga, la paura, la violenza e le varie guerre di questo periodo, ma che esiste l'amore, la felicità e la pace.
Vorrei anche che si impegnassero a far sparire il razzismo in tutte le sue forme, formando così un mondo senza distinzioni e discriminazioni.
Spero che la natura in futuro sia più rispettata anche perché è fondamentale per la vita e dunque non deve essere sprecata.
Vorrei un futuro senza guerre inutili dove i giovani possano esporre le loro idee senza conseguenze.
Vorrei un futuro senza inquinamento "selvaggio" da parte delle industrie, ma anche senza lavoro minorile provocato dalle multinazionali nel sud del mondo.
Vorrei un futuro dove ci sia più impegno nel salvaguardare le specie in via di estinzione. Vorrei insomma un mondo dove le persone facciano cose pensate per migliorarlo e non peggiorarlo senza senso. Questo futuro ce lo dovremo costruire, perché siamo noi la generazione futura che dovrà ricreare un mondo che sta andando verso l'autodistruzione.

Se avessi la possibilità di decidere per tutti i giovani vorrei che i ragazzi fossero quello che sono e non quello che vogliono apparire.
Vorrei che riuscissero a realizzare i propri desideri e che riuscissero con successo nelle cose della vita.
Vorrei che i ragazzi capissero che non sono obbligati a farsi veder grandi, fumando o cose del genere, perché dimostrano il contrario di quello che vogliono far vedere.
Vorrei che ogni ragazzo non si senta obbligato a seguire la corrente, ma ragioni con la propria testa perché non sempre la corrente porta a cose giuste.
Un mondo tranquillo dove i ragazzi non vengano usati per lavori minorili e sfruttati sessualmente.
Ciò che vorrei è impossibile ma sognarlo non costa niente.

Vorrei essere una stella

 

Vorrei essere una stella

dipinta d’azzurro

come l’azzurro del vasto mare.

Vorrei essere una stella

nel vasto cielo nero

perché vorrei guardare

con gli occhi di una stella

il mondo lontano

il mio mondo chiamato Terra.

Vorrei guardare da lontano,

le cose che accadono,

le cose brutte e le cose noiose,

potrei chiudere gli occhi di stella

e non vederle…

Vorrei essere una stella

perché una stella

è un qualcosa di simile a Dio,

simile ad un anima di bambino,

simile alla natura incontaminata,

simile alle cose belle.

Invece…, non sono una stella

non vedo la terra dipinta d’azzurro

anche lei, non umana,

vede e vive cose che

gli occhi miei vedono.

Gli occhi miei umani

troppo umani e vedono cose

che gli fanno piangere pian piano.

Vedono cose… nelle guerre,

vedono cose…negli occhi

di chi muore di fame.

Vedono cose…mie…

che mi fanno piangere pian piano…

le cose belle son poche

la felicità è poca

nella mia vita

nella vita di tutti.

anonimo 

 
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UOMINI .......

Post n°222 pubblicato il 02 Novembre 2011 da cavallo140
 

ADOLESCENTI  DI  OGGI UOMINI DEL DOMANI

 

Educare i propri figli non è un compito facile, soprattutto al giorno d’oggi. In questi ultimi tempi, infatti, come emerso dall’ottavo rapporto EURISPES sui giovani italiani, questi ultimi rivelano una “sofferenza di vivere” che era sconosciuta agli adolescenti di 30 o 40 anni fa, che non possedevano quasi nulla, vivevano in un ambiente familiare e sociale povero, autoritario e fortemente impositivo e non avevano certo di fronte a loro grandi prospettive di lavoro e di successo. Viene allora il sospetto che i giovani siano, in realtà, più poveri oggi di allora, senza voglia di fare, senza un’idea del futuro, senza nessun rapporto con il passato, incapaci di comprendere e di accettare il mondo degli adulti. Il periodo dell’adolescenza è infatti caratterizzato da cambiamenti fisici ma in particolare psicologici, cambia anche il modo di vedere la figura dei genitori con i quali spesso si iniziano a creare conflitti causati dalla voglia di indipendenza. Dal mio punto di vista i genitori di oggi non sono all’altezza di educare i propri figli; appaiono molto spesso assenti a causa del lavoro e della vita frenetica che conducono. Questo porta ad un vero e proprio capovolgimento dei ruoli, contraddistinto dal timore dei genitori di subire attacchi verbali o fisici da parte dei figli. Anziché rimproverarli molti preferiscono soddisfare le loro richieste con la convinzione che in fondo si tratta di piccoli capricci ai quali non conviene opporsi. La nuova generazione è quella del tutto e subito, che porta con sé due aspetti, uno positivo e l'altro negativo .

 

Se da un lato, infatti, è un bene che la conoscenza, contrariamente al passato, passi da figlio a padre, vista l'abilità dei ragazzi a utilizzare le nuove tecnologie, dall'altro, merita attenzione il fenomeno della sempre più crescente intolleranza dei figli nei confronti dei pari, dei professori e dei genitori  stessi .L’idea di rispetto verso una persona più grande va ormai via via perdendosi ed è quindi un dilagare di maleducazione ovunque. Tuttavia anche l’uso della tecnologia,che può essere visto come un punto positivo,può diventare negativo nel caso in cui non se ne faccia un buon uso. Negli ultimi tempi abbiamo visto come gli adolescenti abbiano usato i cellulari e internet per divulgare su you tube video di vita scolastica ,spogliarelli nei bagni, bullismo, e altre situazioni che di certo non ci fanno onore. Inoltre hanno più facilità a parlare in chat che guardando negli occhi una persona, e hanno un rapporto quasi ‘morboso’ con le nuove tecnologie. L’unico modo per affrontare il problema è restituire importanza ai valori che da sempre erano alla base di una buona educazione,valori trasmessi da padre in figlio.Rilevante poi l’importanza del dialogo tra genitori e figli,ormai del tutto assente. Spesso i genitori pensano di poter colmare la loro assenza riempiendo il proprio figlio di regali inutili, accontentando ogni suo capriccio ovvero viziandolo ma delle volte vale molto di più una buona chiacchierata di qualsiasi altro desideratissimo regalo, che porta solo l’adolescente a credere che tutto gli sia dovuto, invece di imparare a guadagnarsi da solo ciò che chiede. Fortunatamente il rapporto con i miei genitori non ha mai attraversato momenti di crisi, in quanto basato su stima e fiducia reciproca. Loro sono sempre stati presenti, consigliandomi in molte scelte e aiutandomi nei momenti difficili. Se ho un problema prima di chiedere consiglio a qualsiasi altra persona so di poter contare su mia madre ,sempre molto paziente nell’ascoltarmi e soprattutto cosciente che ciò che ai suoi occhi può apparire un problema futile per me può non essere così quindi non sottovaluta ciò che mi rattrista ma anzi cerca di darmi conforto e di trovare una soluzione insieme a me. Sicuramente non è confortante pensare che i giovani di oggi sono il futuro del nostro paese in quanto se continuano così, mancheranno senso di responsabilità e capacità decisionali. È il caso quindi di rendersene conto e di prendere in tempo provvedimenti.

 

 
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LA LIBERTA'....

Post n°221 pubblicato il 23 Settembre 2011 da cavallo140
 

La Libertà è solo utopia

 

 Vi pongo la domanda del secolo, ossia esiste la libertà? La libertà di esprimersi .. Ma mi riferisco, alla libertà vera quella che ci libera da condizionamenti e catene più grandi di noi... Beh, quelle forse no. Perchè quando mi si dice che il mercato deve essere globalizzato, la guerra giusta è da combattere, oppure se per vari motivi sei curioso di certi aspetti che non ti quadrano, e vuoi sapere la verità in tutta la sua cruda essenza, vieni considerato anormale e quindi discriminato, ebbene quando mi si dicono queste cose o si verificano questi eventi, penso che allora si non siamo tutti liberi di fare quello che è ovviamente più giusto. Siamo portati ad accettare decisioni che dicono abbiamo preso tutti, Il popolo italiano ha deciso, molto spesso, e senza referendum.... Assurdo!!! La politica dovrebbe assicurare la libertà del popolo, che essa governa, il popolo segue lo stato, esso è sovrano ma deve assicurare norme giuridiche a favore del popolo che è in verità il sovrano, deve essere uno specchio, ma oggi quanti di noi si rispecchiano?

Il nostro paese e tutta la politica è in continua discesa verso la perdita di valori, i valori che rendono tutti più liberi e felici di convivere in uno stesso luogo, si sta attuando una continua disgregazione delle identità piccole, provando a dare uno stampo unico per tutte le popolazioni, su scala mondiale. Si vuole omologare una tradizione...Ma come? Impossibile, o meglio possibile attraverso la violenza, di cui oggi siamo saturi!!

 

 

Sogno una rivoluzione,

una rivoluzione umana,

una rivoluzione degli individui che si capiscano,

che capiscano che il diverso è bello,

che nessuno è superiore all'altro,

che tutti siamo diversi e per questo uguali,

che tutti crediamo, lottiamo, viviamo, speriamo alla stessa maniera, con gli stessi occhi.

Sogno una rivoluzione di tutti,

che si prendano per mano,

che credano nell'altro individuo,

che siano contenti quando l'altro vinca,

che applaudono quando raggiunge una meta.

Sogno una rivoluzione,

di individui liberi di poter andare dove vogliono,

e non di essere discriminati,

per razza, lingua, religione, tradizioni.

Sogno una rivoluzione,

di un mondo di pace,

senza guerre,

senza sofferenze,

senza dolore.

Sogno una rivoluzione,

utopica,.

Credo nell'utopia,

credo nel sogno.

 

 

 

 
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Ignoranza e Stupidità

Post n°220 pubblicato il 18 Settembre 2011 da cavallo140
 

Capire la stupidità…impossibile

 

La stupidità è la più grande forza distruttiva nella storia del genere umano. Non è eliminabile, ma non è invincibile. Capirla e conoscerla è il modo migliore per ridurne gli effetti. Che la stupidità sia un problema grave e pericolosamente diffuso è cosa nota fin dall’antichità. Ma è sorprendente quanto siano scarsi in tutta la storia della cultura umana i tentativi di capire che cosa sia la stupidità e come se ne possano ridurre i perniciosi effetti. Una cosa è chiara: di tutte le possibili forze distruttive nessuna è così insidiosa, pericolosa e onnipresente
come la stupidità umana. Non dobbiamo avere paura del potere della stupidità, ma neppure sottovalutarla o illuderci di esserne immuni. Il problema è troppo serio per poter essere comico, ma conoscerlo e capirlo può essere stimolante e divertente.

 

Come è evidente in ogni studio attento di questi problemi, l’ignoranza e la stupidità sono due cose completamente diverse. Sono altrettanto diverse l’intelligenza e la conoscenza. Ci possono essere persone molto stupide con un ricco bagaglio di nozioni. Come ci possono essere persone poco informate, o con una scarsa educazione scolastica, dotate di grande intelligenza.

C’è anche una sostanziale differenza fra la lunghezza del percorso scolastico e il “sapere”. Una persona può avere frequentato scuole per molti anni e aver imparato poco o nulla, se non sterili “nozionismi”. Mentre ci sono “autodidatti” che hanno una cultura ricca e fertile.

Perciò non intendo dire che ci sia una correlazione, univoca e diretta, fra ignoranza e stupidità. Ma quando i due fattori si combinano il risultato è molto preoccupante.

Una delle più gravi manifestazioni dell’ignoranza è “credere di sapere”. Così come è molto stupido chi non si accorge mai della propria stupidità, è incurabilmente ignorante chi non si accorge mai di “non sapere”. Socrate diceva: «più so, più so di non sapere». E questo è uno dei più importanti motivi per pensare che fosse molto intelligente – e molto più sapiente di chi si illude di esserlo.

Una persona nata e cresciuta in fondo a una spelonca potrebbe essere sconvolta dalla vista del sole. Siamo tutti, in un modo o nell’altro, in quella condizione.

 

 
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INVECCHIARE...

Post n°219 pubblicato il 16 Settembre 2011 da cavallo140
 

La paura d'invecchiare

Le varie fasi della vita, il loro modo di viverle, il corretto rapporto con l'idea della morte sono fattori che influenzano in maniera sensibile la qualità della vita e quindi è giusto che abbiano un posto rilevante nelle nostre riflessioni. Nel De Senectute Cicerone diceva che "nessuno è tanto vecchio da non sperare di vivere ancora un giorno né alcuno tanto giovane da essere sicuro di vivere ancora un giorno". In questa frase, che ricorda quella del bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno che ci consente di distinguere ottimisti da pessimisti, è racchiusa la propensione al timore di invecchiare e al panico che l'idea della morte può generare.
La paura d'invecchiare non sempre è collegata al concetto di morte; ci sono individui che non temono la morte, ma sono terrorizzati dall'idea di diventare vecchi. Sono cioè privi di una ricetta chiara che distrugga questa paura, assicurando loro che si può vivere "da giovani" l'età avanzata. Non a caso molti uomini attempati cercano di sconfiggere la paura degli anni che avanzano accompagnandosi a donne molto più giovani: la loro ricetta è la ragazzina sempre diversa con cui ogni sera escono a cena. Funziona finché una delle compagne non ha il coraggio di dire loro la verità!
In realtà per invecchiare bene e quindi non avere paura di invecchiare, una volta maturi, si devono fare sempre le stesse cose. Questo consiglio è la risposta implicita alla domanda: come si devono vivere le varie fasi della vita? È ovvio che nessuno riesce a seguire alla lettera il consiglio perché è insito nella natura umana cambiare, possibilmente in meglio. Il punto è che il consiglio va visto al negativo: quando non si fa più qualcosa che si è sempre fatto, senza che il nostro atteggiamento sia dovuto a un cambiamento positivo, o prima si era immaturi o si sta diventando vecchi. Il cambiamento è cioè la linea di demarcazione fra le varie fasi della vita: l'adolescenza, la maturità e la vecchiaia.
Non esistono altre fasi, come la giovinezza, la terza età o simili: si tratta di degenerazioni delle tre fasi succitate. Ormai è lampante che un uomo di cinquantacinque anni può fare le stesse cose di uno di trenta; il fatto che molti cinquantacinquenni non ci riescano non è perché hanno imboccato la terza età: è perché hanno gestito così male la loro vita che ormai sono vecchi! Analogamente un ragazzo di venticinque anni che non ha ancora la maturità di un adulto è ancora un adolescente; pensiamo a tutti i giovani che passano le loro serate in discoteca, non perché amano il ballo, non perché amano la musica, ma solamente per aderire al loro cliché di giovani. Dieci anni più tardi quanti ci andranno ancora? Forse il dieci per cento. Vuol dire che l'altro novanta per cento si comportava così solo perché era ancora immaturo. Non hanno significato frasi del tipo: "Ora ho una famiglia", "Torno stanco dal lavoro" ecc.

 

 

I vecchi sulle panchine dei giardini
succhiano fili d'aria a un vento di ricordi
il segno del cappello sulle teste da pulcini
i vecchi mezzi ciechi i vecchi mezzi sordi
I vecchi che si addannano alle bocce
mattine lucide di festa che si può dormire
gli occhiali per vederci da vicino a misurar le gocce
per una malattia difficile da dire
I vecchi tosse secca che non dormono di notte
seduti in pizzo a un letto a riposare la stanchezza
si mangiano i sospiri e un po' di mele cotte
i vecchi senza un corpo i vecchi senza una carezza
I vecchi un po' contadini
che nel cielo sperano e temono il cielo
voci bruciate dal fumo
e dai grappini di un'osteria
i vecchi vecchie canaglie
sempre pieni di sputi e consigli
i vecchi senza più figli
e questi figli che non chiamano mai
I vecchi che portano il mangiare per i gatti
e come i gatti frugano tra i rifiuti
le ossa piene di rumori e smorfie e versi un po' da matti
i vecchi che non sono mai cresciuti
I vecchi anima bianca di calce in controluce
occhi annacquati dalla pioggia della vita
i vecchi soli come i pali della luce
e dover vivere fino alla morte che fatica
I vecchi cuori di pezza
un vecchio cane e una pena al guinzaglio
confusi inciampano di tenerezza
e brontolando se ne vanno via
i vecchi invecchiano piano
con una piccola busta della spesa
quelli che tornano in chiesa lasciano fuori bestemmie
e fanno pace con Dio
I vecchi povere stelle
i vecchi povere patte sbottonate
guance raspose arrossate
di mal di cuore e di nostalgia
i vecchi sempre tra i piedi
chiusi in cucina se viene qualcuno
i vecchi che non li vuole nessuno
i vecchi da buttare via
I vecchi i vecchi
se avessi un'auto da caricarne tanti
mi piacerebbe un giorno portarli al mare
arrotolargli i pantaloni
e prendermeli in braccio tutti quanti
sedia sediola oggi si vola
e attenti a non sudare
e attenti a non sudare ..

Claudio Baglioni

 
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Un Barbone

Post n°218 pubblicato il 17 Agosto 2011 da cavallo140

La strada: non chiamatemi Barbone.

 

La storia di Gianni

GIANNI LA SCIARPA a disegni Burberry se l'arrotola bene intorno al collo, poi infila il cappotto blu che sarebbe anche elegante, blu anche il berretto di panno a visiera tipo lupo di mare. Ha due borse, una 48 ore nera e una sacca grigia. Scarpe nere moderne. La vestizione è alle cinque e mezza della mattina, nella sala d'aspetto della stazione ferroviaria di Greco-Pirelli. "Prima sistemo le mie cose. Ho i cartoni sotto, poi una coperta, e il sacco a pelo. Piego tutto, e metto dietro la panchina di fuori. Fanno tutti così, nessuno tocca niente. Se posso, faccio colazione, sennò salto". Poi si avvia verso la sua giornata, e sembra un viaggiatore in arrivo. "Certo io non mi sento un barbone. Non ho fatto questa scelta".

Diventare barbone è un attimo, un inciampo, una fatalità. Brutta parola barbone, ce ne sono di più corrette: va molto clochard, elegante, o senzacasa, senzadimora. Gianni ha 57 anni, nato a Ragusa. Da tre anni vive per strada. Non si sente un barbone, ma ha grande solidarietà e rispetto per i suoi compagni di vita. Il suo amico Daniele, per esempio, 51 anni, droga e galera alle spalle, senza casa da una vita. Magro, piccolo, e tossisce di continuo in questa mattinata di neve. "Daniele, bisogna che ti curi, che vai dal medico". L'altro scuote le spalle e tossisce. "Testa dura di un valtellinese, hai fatto la broncopolmonite anche l'anno scorso".

L'inciampo di Gianni, quello che l'ha fatto deragliare, è stata una malattia: "Epatite B, quando me l'hanno trovata ho perso il posto. Ero chef sulle navi da crociera della Festival Cruise, in Oriente". E poi un furto: "Sono tornato in Italia, e a Roma mi hanno rubato la 24 ore. Dentro c'era il mio passaporto, e c'era la protesi. Sì, la dentiera. Era il 2004. Siccome ero residente nelle Filippine, là avevo moglie e due figlie, ci hanno messo un anno per ridarmi il passaporto, un calvario. Da allora sto per strada. Senza dentiera, nessuno mi dà un lavoro. Lo vedi? Mi restano solo questi tre denti davanti. Ho fatto dieci colloqui, ma mi guardano in bocca e dicono di no".


Gianni parla sei lingue: "Quattro parlate e scritte: inglese, francese, tedesco, spagnolo. Due solo parlate: cinese e giapponese". Nel suo italiano c'è traccia di pronuncia inglese. Ha girato il mondo. In borsa ha un curriculum che comincia nel '63, scuola alberghiera Tre Stelle di Stresa e finisce sulla motonave Flamingo, Festival Cruise Line. In mezzo, quattro diplomi in Food and Beverage Management, e tredici posti di lavoro: hotel, ristoranti, navi, in tutto il mondo. Ha una domanda di impiego in inglese, ("applicazione", dice traducendo), con tanto di indirizzo e-mail e cellulare ("Usato, me l'ha regalato una suora amica mia"). Il suo indirizzo è quello del Centro Sos, comunità Exodus di don Mazzi: "Ci vado spesso, si possono vedere gli amici e fare quattro chiacchiere, e c'è da leggere". A cento metri dal Grand Hotel Gallia, dove Gianni è stato assistente chef nel '74-'75.

La sua giornata è questa: "Mi alzo alle cinque e mezza. C'è anche chi dorme fino alle sette, ma io lo faccio per rispetto dei viaggiatori. Dobbiamo liberare la sala. Adesso siamo otto singoli e due coppie. La sala è riscaldata, ci lasciano stare, e nessuno fa casino o si ubriaca". Prende su le sue borse, e si incammina verso la fermata dell'81. "Vedi, il mio segreto è questo: io faccio come se dovessi lavorare, come se avessi sempre un'occupazione. Vivo di espedienti, sì. Però non rubo, e non chiedo l'elemosina per strada. Per me è una questione di orgoglio personale". Si arrabatta: "Ho chiesto il sussidio del Comune, ma dicono sempre che si deve riunire la commissione. Conosco qualche prete e qualche vescovo, che a volte mi allungano dei soldi. Io non sono insistente, non assillo la gente. So stare al mondo, e sono gentile".

Con le sue borse, come un viaggiatore. Basta non sentirsi un barbone. "Per mangiare, faccio così. Per esempio: il mercoledì sera alle nove, davanti alla stazione di Porta Garibaldi, viene il furgone di Sant'Egidio con del cibo caldo. Io e Daniele prendiamo il treno delle 20,58 da Greco a Garibaldi". In borsa ha la guida della Comunità di Sant'Egidio "Milano, dove mangiare, dormire, lavarsi". C'è tutto, ci sono anche gli ambulatori dove Daniele non vuole andare. Lui non dorme in stazione: "Mai stato in un dormitorio. Voglio stare da solo. Poi c'è quello che puzza, quello che non ha rispetto. E io ho un cattivo carattere". Poi ci porta a vedere "casa sua". Non l'ha mai mostrata nemmeno a Gianni.

Sotto la neve, in mezzo a questa nuova Milano della Bicocca, il teatro degli Arcimboldi, l'università e i palazzoni disegnati da Gregotti, il "Caffè Harry's Scala". Daniele sta su un pianerottolo, al livello 2 del posteggio sotterraneo, aperto al gelo. Una coperta stesa in verticale a far da muro. Sacchi a pelo, coperte, borse, scarpe, tre lumini da camposanto: "Io qui non sento nemmeno l'umidità". E tossisce. Il suo amico Enzo, titolare del secondo sacco a pelo, è in giro. C'era Donatella, ora è a Bologna. Lì sotto il tunnel del tram c'è altra gente: "Come quei due ragazzi poveri, Antonio e Ludmilla, e i loro cani, vivono in una tenda". Casa sua Daniele la tiene mezza segreta, "perché mi hanno insegnato che si fa così, non si sa mai".

Daniele si arrabbia se lo chiamano barbone "con superiorità", ma ha una sua filosofia della strada: "Il vero barbone è quello che non chiede niente, che fruga nei cestini e fuma i muccetti". Lui, che ha un sussidio di 160 euro al mese dal Comune, non vede che strada nel suo futuro. Gianni è amico suo, divide con lui anche un pasto completo 6 euro alla trattoria di via Breda: "Gestiscono dei cinesi, sono gentili, e quando ho qualche soldo ci vado". Ma per lui la strada è provvisoria, dice: "C'è chi l'ha scelta e chi non l'ha scelta. Chi l'ha scelta è diverso da me. Io mi curo esteriormente e interiormente, per essere una persona normale. Su tanti argomenti ho cultura, so fare discorsi. Potrei lavorare ancora qualche anno, se trovassi".

Già, la dentiera, sempre lì torna. "Ho questo preventivo, fatto dal dentista di fiducia di un amico vescovo: 3.600 euro. E come faccio? Mi sono informato: in Ungheria costa meno. Il viaggio 580 e la protesi 1.300 circa". A questo pensa, marciando con le borse per la sua Milano di mense religiose, centri di assistenza, bagni pubblici: "Vado in quello di via Pucci, 50 centesimi e ti danno anche l'asciugamano". Su e giù da tram e autobus. A pranzo da suor Carmela in via Ponzio: "La 90 fino a piazza Piola, poi la 93". A cena dai francescani di viale Piave, oppure il tè e le brioche della Croce Rossa a Greco. Daniele prendeva anche l'Intercity, due fermate, per mangiare a Pavia: "Il primo potevi mangiarlo anche tre o quattro volte, roba buona. Ma era troppo uno sbattimento".

E Gianni, che non si sente un barbone, lo accudisce come un fratello maggiore. Poi dà una mano al dopolavoro ferrovieri, sportello d'ascolto sotto la massicciata della stazione Centrale: "Abbiamo appena organizzato il Capodanno della solidarietà, 1200 pasti". Il responsabile, ha un solo sogno: "Che restiamo disoccupati, nel senso che non ci sono più emarginati da assistere. Ci vorrebbero soluzioni vere. E invece i senza casa aumentano". A Milano c'è un esercito di gente che si dedica a loro, fra laici e religiosi. In giorni di neve e gelo, distribuiscono anche coperte e sacchi a pelo.

Gianni aspetta solo che finisca, questa sua vita di strada: "Ho pochi mesi, fino a marzo, per risolvere il problema della dentiera. Perché poi ci sono gli ingaggi sulle navi, sono pronto a partire per il mondo". Nelle Filippine ha due figlie, ospiti delle suore. La moglie è morta nell'alluvione del 2002. "Ogni tanto telefono, se ho abbastanza soldi". Intanto, c'è da badare a quegli altri: "Hassan il marocchino, anche lui dorme con me a Greco: bravo ragazzo, con un caffè lo fai felice. Al bar, ogni sera ci regalano quello che è avanzato: brioche o panini". Aspetta anche che finisca l'inverno: "D'estate vado in Toscana, ho degli amici che mi aiutano". Liscia il cappotto blu, sistema la sciarpa, saluta gli amici della "sala". Non sentirsi un barbone è già qualcosa. Se poi ci fosse anche una dentiera, per ricominciare la sua vita deragliata, sarebbe tutto a posto. Tutto a posto ma…..

 

 
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Ci sono persone vive che sono già morte

Post n°217 pubblicato il 26 Luglio 2011 da cavallo140
 

Proteggere il bambino che è in ognuno di noi

Crescere un figlio non è cosa da poco.Non è solo metterlo al mondo .
Sentire dentro il tuo ventre una vita che palpita, che scalcia,per poi uscire prepotentemente con dolore, con rabbia, con caparbietà.In modo insolente, feroce, dolce..quasi languido.
Non è solo questo.
Anche il più tenero degli abbracci a questa nuova vita è meno intenso del sacrificio che giorno dopo giorno un genitore deve affrontare per crescere un figlio.
Nei gesti quotidiani si rinnova per sempre il miracolo della nascita.
Triste è chi non conosce questi sentimenti perché è morto dentro.
Un calice senza acqua.
Così diviene tuo figlio chi ha la necessità del tuo aiuto.
C’è un figlio in ogni angolo di strada e sta a te porgergli la tua mano, anche quando si rigira
per morderti, come un cane ferito e prevenuto.
Triste è chi non conosce il bambino che è in ognuno di noi..In ogni anima c’è una parte nascosta, intima, personale che cela il bambino che non vuole diventare adulto.Quelle sono le speranze, gli ideali, gli angolini reconditi ove rifugiarsi quando fuori tira vento e la tempesta incombe.
Quando il cielo a poco a poco si riempie di nuvolosi e il vento soffia tanto forte da trascinarti via, con se.Ti attraversa gli abiti e trafigge la tua pelle.Solo allora quel bambino esce allo scoperto e tenendoti per mano ti riconduce verso lidi più sereni, con la speranza che il domani torni a splendere il sole. E’ quando quel bambino non viene più alla luce che è finito il tuo tempo.Senza il miracolo della nascita non esiste la vita, la speranza, le aspettative.
Ci sono persone vive che sono già morte.Sono fantocci senza anima e sono i poveri di cuore.Sopravvivono privi di ideali e di umanità; si riconoscono per l’estrema cura della loro persona e dell’apparenza. Amano il lusso e la bella vita ed hanno come solo unico scopo il raggiungimento del massimo benessere fisico ed economico.
Per fortuna però esiste anche un altro tipo di essere umano quello che accetta ciò che gli è riservato sia nel bene che nel male.E’ lui che riesce a godere delle piccole e grandi cose che la vita gli riserva ed è capace di accettare la sua sorte guardando dentro di se.Emana un particolare fascino che spaventa alcune persone; questo crea problemi perché la stragrande maggioranza degli esseri umani non capisce che spesso il segreto della felicità è nascosto nelle piccole cose.Soprattutto nel saper apprezzare quello che di buono la vita ci propone, rivolgendo il pensiero a chi è meno fortunato di noi.

 

la luce dei sogni        Marco Danese

 

 
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Il suicidio di un mio amico che non ha avuto il coraggio di andare avanti

Post n°216 pubblicato il 20 Luglio 2011 da cavallo140
 

 UNA STORIA  …………MI RACCONTO

LA MIA FANTASIA

 

 

 

Non potrò mai dimenticare quella sera….

Scusatemi ma non posso dirvi cosa successe se prima non vi racconto un po’ di me, vi chiedo soltanto di avere pazienza per leggere qualcosa che sicuramente può essere anche la tua storia.

Sono nato in Sicilia nell’era in cui in Italia il boom economico (anche se la Sicilia non ha mai realizzato un vero boom economico) , cominciava a dare i suoi primi frutti sull’economia delle famiglie, educato secondo i canoni tradizionali a cui ogni famiglia del tempo faceva riferimento, senza eccessi, ma anche senza penurie, sono cresciuto come tanti altri miei coetanei adeguandomi alle circostanze di un’era che aveva qualcosa di nuovo, e che non si rassegnava a lasciare il vecchio.

L’educazione spirituale era quella cattolica, così ho avuto modo di ricevere nella mia vita quei sacramenti, di cui in realtà non capivo ne il valore e neanche la necessità, ma era ciò che tutti facevano, e che per tradizione si è sempre accettato senza porre tante domande. Così crescendo cominciai a fare come faceva mio padre e mio nonno prima di lui, mi recavo in chiesa la domenica mattina non certo per ascoltare le cose che riguardavano Dio (quelle erano discorsi per donne e per vecchi), cominciando a maturare in me l’idea che Dio in realtà non esisteva, era un’invenzione dell’uomo per mascherare la sua debolezza e la necessità di avere almeno la speranza in un qualcosa che nessuno può vedere, un vero uomo neanche pensa di parlare di Dio, dopo un po’ di tempo la chiesa per me era divenuta soltanto un monumento dedicato allo spreco umano.

Subito dopo essere ritornato dal servizio militare decisi di andare via dalla mia regione,la scusa era quella di cercare lavoro, ma la realtà e che il modo di pensare e le tradizioni di quest’isola non erano da me condivise.

Andai a vivere a Verona, e grazie all’aiuto di un mio zio riuscì ad inserirmi nel mondo del lavoro, trovai un piccolo appartamento in affitto, e finalmente cominciai a gustare la libertà da ogni vincolo e restrizione. Che bello il sapore della libertà, è come la brezza al mattino presto in aperta campagna, ti sveglia ti fa stare bene.

Cominciai a farmi degli amici, le mie convinzioni erano di non ritornare più in Sicilia, e lavoravo solo il tanto che bastava per pagare le spese ed assicurarmi il divertimento.

A poco a poco divenni identico nella mentalità di coloro che frequentavo, ero un ragazzo che come quelli della sua età, frequentavano i pub, le birrerie, le discoteche, e lo spinello era una cosa del tutto normale. Anche il livello culturale cominciava ad essere trasformato, cominciai ad interessarmi di tutto ciò che mi era nuovo cominciai a leggere libri di ogni genere, ma più di tutti mi appassionò un libro “Introduzione alla Psicoanalisi” di Freud.   

Col passare degli anni, tutta la mia spavalderia cominciò ad attenuarsi, vedevo lo scorrere dei miei anni, e ciò che avevo realizzato era il niente, non si prospettava un buon futuro, gli amici c’erano, ma non bastavano più, i divertimenti cominciavano ad essere monotoni e ripetitivi, e cominciai a coprire questi pensieri, abusando ed esagerando ogni cosa, smisi di fumare le sigarette, sostituendole con gli spinelli, che la sera con cura preparavo, mimetizzandole come delle sigarette, la birra cominciò a piacermi in un modo incredibile, il mio carattere cominciò a trasformarsi, divenni sempre più egoista ed impulsivo, non avevo rispetto più di niente neanche di me stesso, non volevo aiuto da nessuno, ma avevo un disperato bisogno di aiuto.

Perfino con la mia famiglia ruppi i ponti, non mi recai più in Sicilia neanche per il periodo estivo, per me mio padre e mia madre erano morti.  

Il tempo passava e le cose non miglioravano, cominciai a perdere i posti di lavoro che trovavo, ero diventato sempre più pigro, riuscivo a malapena a pagare le spese, e così cominciai a cadere in una strana forma di depressione, esternamente non si notava, ma internamente milioni di pensieri si accavallavano nella mia mente, tutto cominciò ad andare veramente male. Pian piano cominciò ad affiorare nella mia mente, un pensiero che divenne sempre più insistente, era un pensiero che all’inizio mi mise paura, ma che a poco a poco cominciai a conviverci e ed assaporarlo:

“La tua vita è ormai un fallimento vi è un’unica possibilità per rimediare, puoi fare qualche cosa che risolverà ogni tuo problema, bisogna che tu conosci l’oblio della morte, questa è l’unica possibilità che hai, la morte è la tua amica lei ti può aiutare” 

Man mano che il tempo passava le cose si mettevamo sempre peggio, ciò che prima mi procurava piacere adesso mi dava fastidio noia, volevo sempre di più e passare ogni limite, il mattino quando rientravo a casa dopo una notte di birra e spinelli, ed altro ancora non mi sentivo soddisfatto, cercavo ancora qualcosa che riuscisse a colmare quel senso di vuoto che c’era in me, ma non lo trovai mai. Non potrò mai dimenticare quella sera. Verona vi era una nebbia quasi irreale, dalla stanza del mio monolocale al 6° piano di un palazzo popolare, vedevo una nuvola poggiata sulla città, e le luci gialle dei lampioni sembravano come del fuoco che ardesse sotto quella coltre fitta di nebbia, ed io ero sopra quelle nuvole, sotto di me cera soltanto un vuoto, un vuoto infinito ed interminabile, in quel momento decisi di fare l’unica cosa che mi rimaneva da fare, ....MORIRE.

Dopo qualche istante mi ritrovai sulla ringhiera di quel balcone pronto per spiccare il salto il mio ultimo salto verso l’ignoto, verso ciò che pensavo sicuramente meglio di quello che avevo, o che in realtà non avevo.

Quegli istanti mi sembrarono un’eternità, ed è vero poco prima di morire vedi scorrere la tua vita come in un film, cominciai a sentire la nebbia sbattermi sulla faccia come un vento gelido che ti entra nelle ossa, stavo per staccare i miei piedi dalla ringhiera, ma ad un tratto sentii una voce che non ricordavo più, che avevo sentito qualche volta da bambino davanti a qualche vecchio film che parlava della storia di Gesù, che guardando mi mettevo a piangere, sentendomi il cuore scoppiare chiedendo nella mia innocenza di stare accanto a Lui, quella stessa voce che soltanto in un cuore di bambino poteva essere ascoltata, in quel momento cominciò a parlare, e parlava proprio nel mio cuore indurito e ormai privo di ogni tipo di amore o compassione, ricordo che furono poche parole ma dirette vere e che cambiarono ogni cosa in un istante, quella voce mi disse:

“C’è sempre la possibilità di riscatto nella vita, ma se tu bruci la tua vita adesso io non potrò riscattarti”

Forse potranno sembrare delle parole banali, ma vi assicuro in quel momento quella voce queste parole mi salvarono la vita.

Poco dopo mi ritrovai seduto sul divano e cominciai a piangere, ma non mi sentivo più solo, sentivo accanto a me una presenza vera tangibile, che mi teneva fra le braccia, e sempre la stessa voce mi disse: “Da questo momento la tua vita non ti appartiene più, poiché io mi prenderò cura di tè io ti riscatterò, e tu mi sarai strumento”.

Da quel momento mi ritrovai tra le mani una vecchia Bibbia regalatami da mia madre anni prima e dimenticata in un cassetto, e quando cominciai a leggere in quel libro le lacrime cominciarono ad attraversare la mia vita, e man mano che piangevo sentivo come liberarmi da pesi enormi, di cui io non ero più capace di portarne il carico.

A svariati anni di distanza guardo a quelle tenebre che attraversarono la mia vita, e mi vedo oggi inondato dalla Sua luce dalla Sua grazia, e ringrazio Gesù, per avermi salvato, e portato a vivere una nuova vita, ma stavolta con Lui come compagno nel mio percorso. Oggi sono un cristiano, che segue la sua via, il Signore mi ha provveduto di ogni cosa, sono sposo di una dolce compagna, e genitore di due splendidi bambini, e posso dichiarare in tutta verità e schiettezza, il Signore mi ha riscattato.

Vedi caro amico/a ancora moltissime cose potrei dirti e di quali grandi miracoli ho assistito nella mia vita, ma il miracolo più grande è stato incontrare Gesù, e non come una religione, ma come un amico, pronto soccorrerti in ogni circostanza, non voglio e non posso vivere più la mia vita senza di Lui, non posso e non voglio vivere una vita fatta solo di una facciata di religiosità, Lui mi ha insegnato ad avere un contatto diretto personale, Egli si prende cura di me, e vuole anche prendersi cura di te, in qualunque circostanza in qualunque situazione tu possa trovarti, fai l’unica cosa giusta grida al Signore ed egli ti soccorrerà. 

 

 

 

 

 

Spesso nella vita fatta di quotidianità siamo messi di fronte ad angoscie che minano le nostre sicurezze, i nostri principi, la nostra voglie di vivere. In quei momenti tutto sembra non aver senso e un sentimento di inquietudine, disperazione e sfiducia avvolge le nostre emozioni. Tuttavia, la maggior parte di noi riesce in qualche modo a superare questo stato e a ritornare al livello di benessere precedente. In alcuni casi questa possibilità sembra non potersi attuare, è come se ci fosse un ostacolo insormontabile che impedisca l’inesorabile cammino della vita.

 

Addio amico mio trova pace .....

 

 
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Un futuro nero per i giovani lavoratori italiani.

Post n°215 pubblicato il 08 Luglio 2011 da cavallo140
 

Generazione mille euro (film)

Trama

Matteo è un trentenne, neolaureato e geniale matematico, che lavora per una importante azienda di marketing, e divide il proprio appartamento con il suo migliore amico Francesco, appassionato di cinema e playstation. La vita dei due giovani sarà sconvolta e rivoluzionata dall'arrivo di Angelica, nuova direttrice dell'azienda di Matteo e della nuova coinquilina Beatrice. In brevissimo tempo una serie di eventi si abbatteranno su Matteo, che lasciato dalla fidanzata, sfrattato ed a rischio licenziamento sarà posto per la prima volta nella sua vita davanti alle responsabilità.

Generazione 1000 euro è diretto da Massimo Venier che in conferenza stampa si stizzisce quando si parla di precari: "non amo molto la parola precariato perchè abusata e televisiva: uniformando la questione con questo termine/marchio si finisce per nascondere anzichè mettere in luce il problema".

Alessandro Tiberi, protagonista, parla del suo Matteo come di un ragazzo che "si rapporta a tutti gli altri personaggi come se fossero uno specchio che lui cerca di decifrare: è intelligente, vorrebbe fare ciò per cui ha studiato una vita e invece si ritrova in una multinazionale senza sapere cosa farà domani. L'unica arma che gli rimane è quella del sarcasmo, dell'ironia".

Ed è proprio l'ironia il piatto forte di Generazione mille euro che fa sorridere facendo riflettere e permette a tutti di pensare di non essere, in fondo in fondo, solo dei "luoghi comuni".

Realtà...............................

Inquietante fare due calcoli sulla pensione che si dovranno aspettare milioni di italiani. Troppo pericoloso diffondere certe notizie. Meglio parlare di piccoli fatti di cronaca nera, del pinguino Frizz, del cane Bill, del delitto di Cogne, di Elisa Claps, di Sarah Scazzi, di black block, maretta in maggioranza, calciopoli o gossip estivo. La stampa italiana, la stragrande maggioranza delle testate che la costituiscono, nega di trattare un argomento che, pur essendo una non notizia, dovrebbe essere posto a conoscenza di tutti. Se non è la stampa a innescare una rivoluzione, intesa come cambiamento del sistema, chi altro potrà mai fare questo? Qualcuno ne parla. Oggi l’ANSA ha diramato una notizia in merito a un recente studio Censis-Unipol. Che ci sia qualcosa di politico o no in tutto ciò non importa, quel che conta sono i numeri che caratterizzano lo studio.

Il 42% dei giovani lavoratori di oggi avrà pensione sotto mille euro a mese

Risultati progetto Censis-Unipol su Welfare

“Il 42% dei giovani (25-34 anni) lavoratori dipendenti di oggi andra’ in pensione intorno al 2050 con meno di 1.000 euro al mese. E’ quanto emerge dai risultati del primo anno di lavoro del progetto ‘Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali’ di Censis e Unipol.

La ricerca – sulla base di una stima del Censis su dati Istat e Ragioneria generale dello Stato – sottolinea come attualmente i dipendenti in questa fascia di età che guadagnano una cifra inferiore ai 1.000 euro siano il 31,9%. “Ciò significa che in molti si troveranno ad avere dalla pensione pubblica un reddito addirittura più basso di quello che avevano a inizio carriera”, spiega l’indagine. E ricorda che “la previsione riguarda i più ‘fortunati’, cioé i 4 milioni di giovani oggi ben inseriti nel mercato del lavoro, con contratti standard: poi ci sono 1 milione di giovani autonomi o con contratti atipici e 2 milioni di giovani che non studiano né lavorano”.

In Spagna li chiamano da anni ‘milleuristas‘, coloro i quali percepiscono 1000 euro. In Italia ancora molti li sognano, restando con disponibilità mensili inferiori (es. 800 euro, quando oggi il canone mensile di locazione di un misero monolocale nella periferia di una città medio grande costa non meno di 600 euro, escluse spese).

1000 euro nel 2050 potrebbero essere paragonate a meno di 200 euro di oggi, quindi una situazione di assoluta povertà, mentre equitalia e le banche continuano a pignorare per le insolvenze rispettivamente di fiscalità e mutui. le sofferenze bancarie crescono, i titoli di stato si moltiplicano sino alla soglia critica del default (impossibilità di restituire il capitale con conseguente perdita dell’intero investimento – sono soprattutto le fasce più deboli a investire nei titoli di stato, ritenuti i più affidabili del mercato).

Si parla di lavoratori dipendenti, i privilegiati, pochi. E i precari, recentemente definiti la parte peggiore d’Italia da un ministro in carica?

Dopo i lavoratori dipendenti infatti è bene ricordare che al sud, dove una donna su due non lavora, gran parte dei giovani vive una situazione lavorativa di costante precarietà, con un reddito medio stimato di appena 400 euro mensili. Le statistiche del lavoro parlano di occupati solo perché i criteri per definire un occupato sono molto larghi. Vogliamo parlare della qualità dell’occupazione? Non pretendiamo i super stipendi dei dirigenti pubblici o dei rappresentanti politici. Basta qualcosa che consenta di fare una famiglia, prendere in locazione un piccolo appartamento, acquistare un’automobile anche da pagare a rate, mantenere i figli a scuola, concedersi un paio di settimane di vacanza all’anno. Una vita normale, banale, che per molti tuttavia resta un miraggio, oggi, in Italia, dove l’economia è retta dal reddito di padri e nonni, figli di un’altra epoca e del sistema pensionistico retributivo. Si stava meglio quando si stava peggio.

Ricordate qualche mese fa cosa stava per venir fuori, poi è stato magistralmente insabbiato? Ecco un estratto da un articolo comparso su Wired:

Inps, è ufficiale: i precari saranno senza pensione

La notizia è arrivata e conferma la peggiore delle ipotesi. Rimarrà sotto traccia per ovvi motivi, anche se in Rete possiamo farla circolare. Se siete precari sappiate che non riceverete la pensione. I contributi che state versando servono soltanto a pagare chi la pensione ce l’ha garantita. Perché l’Inps debba nascondere questa verità è evidente: per evitare la rivolta. Ad affermarlo non sono degli analisti rivoluzionari e di sinistra ma lo stesso presidente dell’istituto di previdenza, Antonio Mastrapasqua che, come scrive Agoravox, ha finalmente risposto a chi gli chiedeva perché l’INPS non fornisce ai precari la simulazione della loro pensione futura come fa con gli altri lavoratori: “Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale“. (…)

Ancora oggi, infatti, sul sito INPS, a differenza degli altri lavoratori, per i precari (gli iscritti alla c.d. ‘gestione separata’).

Qualcuno come Paolo Attivissimo parla di una bufala e interpreta le parole del presidente INPS a sfavore dei precari, quasi a dire che anch’essi riceveranno una degna pensione, solo che ora non è il caso di calcolarla pena svenimenti precoci. L’antibufala non è altro che una strenua difesa dello stato costituito, resta la verità: con la miseria versata da lavori peraltro sottopagati (in parte dichiarati e per giunta stagionali, in larga parte in nero), il futuro di milioni di italiani non vedrà neppure il miraggio di una pensione.

Riflettete e diffondete, perché altri possano farsi un’idea sul proprio presente e, soprattutto, sul proprio futuro.

 
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Ultimo sogno....

Post n°214 pubblicato il 21 Giugno 2011 da cavallo140
 

L'Ultimo Sogno
TRAMA
Per tutta la vita l'architetto George Monroe non ha fatto altro che rincorrere il suo grande sogno: costruire una casa su una scogliere a picco sul mare. Ma il suo è un obiettivo pagato a caro prezzo: una famiglia distrutta ed una vita privata ridotta in macerie. Alla soglia dei cinquant'anni George scopre di essere malato di tumore allo stato terminale e di avere ormai poco tempo a disposizione. Decide allora di realizzare l'ultimo suo sogno: riappacificarsi con il figlio.
Dopo il divorzio da Robin, l'architetto George è rimasto a vivere nella sua casa sulla scogliera, che negli anni è degenerata fino a diventare una baracca. Un giorno l'uomo viene licenziato (non vuole imparare ad usare il computer) e scopre che un tumore gli lascia solo pochi mesi di vita. Decide di abbattere la sua vecchia casa per costruire quella dei suoi sogni, e vuole al fianco il figlio Sam per tentare di recuperare il suo affetto. Sam è un ragazzo difficile, fa uso di droghe e sembra non amare nessuno, né i genitori, né il ricco patrigno freddo e concentrato solo sul lavoro, né tantomeno se stesso. George è tenace, non ha più nulla da perdere e arriva a toccare il cuore del figlio parlandogli molto sinceramente. Anche lui ha avuto un'adolescenza difficile, con un padre che picchiava la madre e che ne aveva provocato la morte in un incidente stradale, nel quale era rimasta coinvolta anche un'altra auto, facendo finire una bambina su una sedia a rotelle. George conquista la fiducia del figlio, ottiene nuovamente l'amore di Robin e l'affetto di molti vicini. Proprio uno di questi, Coleen, con la bizzarra figlia invaghitasi di Sam, ingaggia un gruppo di operai per portare a termine la casa quando ormai George comincia a dare i primi segni di cedimento e tutti scoprono la verità fino a quel momento nascosta. All'ospedale George muore fra le braccia di Robin, che torna da un marito anch'esso cambiato in meglio da tutta la vicenda. La casa è terminata ed è splendida ma Sam, che secondo il testamento di George è il nuovo proprietario, sa di non poterla tenere. La regala alla ragazza che anni prima il nonno aveva costretto sulla sedia a rotelle e torna a vivere con la madre.

Qual'è il vostro sogno?
E se si realizzasse? Cosa cambierebbe nella vostra vita?


 
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