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Charles Wright
Morandi
Parlo d'immobilità, del silenzio
un centrotavola di porcellana,
un vaso a goccia, una brocca.
Parlo di spazio, che è unilaterale,
senza risposta, e lasciato a seccare.
Parlo di colore, di forma, del vuoto
che vigilano questi oggetti, e da cui sorgono.
Parlo di colpa, goccia rossa, goccia bianca,
la sua gobba e la curva, che è blu.
Parlo di bottiglie, e rovina,
e di ciò che facciamo brillare nel buio, e perché...
Charles Wright
Breve storia dell'ombra
a cura di Antonella Francini
Crocetti Editore 2006
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NIENTE NEBBIA IN VAL PADANA
Dario Fo
Chi
ha vissuto in Lombardia (Pianura Padana), sa cosa volavano dire almeno fino
agli anni 70, gli inverni (autunni) in cui non si vedeva niente, ma proprio
niente. La nebbia, tanto per cominciare, era una risorsa economica. Catalizzava
le marcite utili ai campi ed era necessaria alle colture di riso. Vivere nella
nebbia, poi era un po’ come andare in letargo che è un fatto straordinario del
ciclo della natura e degli animali, in cui la vita biologica stessa si
modifica. Con la nebbia a modificarsi è la percezione della realtà: confonde i
contorni e attutisce i rumori, ti senti trasportato in un mondo irreale che ha
dato vita a divertenti leggende come quella secondo cui nel Risorgimento le
truppe austriache e piemontesi si trovarono nella nebbia le une accanto alle
altre, sfiorandosi indifferenti senza nemmeno spararsi.
“
La neve l’è il pan d’la tera, la nebia l’è il vin”, diceva mio nonno, proprio
per dire che la nebbia ti da quella sensazione unica di stordimento e
inebriamento come certe belle ubriacature. Non a caso è la gioia degli amanti.
A Franca e a me capitò un fatto che poi finì anche nel film Lo Svitato: eravamo
abbracciati su un prato, umidi, ma, almeno così credevamo, protetti dalla
nebbia. A un certo punto sentimmo la voce di una ragazza che se la prendeva col
fidanzato per una vance di troppo, e poiché seguirono altre voci infastidite da
quel bisticcio, capimmo di essere una folla di coppie che vivevano i loro
amori. Protetti dalla nebbia.
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