Kit&MÜrt - UGàL
Ho guardato dentro un bugia ed ho capito che è una malattia dalla quale non si può guarire mai...
Oggi è il giorno del mio compleanno (E sti cazzi! direte voi, e lo direi anch'io al posto vostro :D:D) Dicevo è il mio compleanno e devo dirvi che non c'ho mai tenuto mai così tanto... non mi piace festeggiarlo e ricevere auguri, sì, mi fa tantissimo piacere ma se qualcuno se ne dimentica non ci do minimamente peso. I regali poi, non ne parliamo: se non ne ricevo è meglio... Ma quest'anno stranamente (sarà l'età e sclerosi incombente?), stranamente dicevo desidererei un regalo grande, uno solo ma grandissimo, tanto grande che è impossibile riceverlo. Forse è più facile che domani, se comprassi un gratta e vinci, vinca un milione di euro! Il che non sarebbe una brutta cosa ma mi rimarrebbe sempre quell'amarognolo in bocca di insoddisfazione (anche perché, pur se vincessi tutti i soldi di sto mondo, non potrei mai comprarmelo da solo...sono cose che si regalano e basta e non si vendono da nessuna parte...roba unica più che rara e soprattutto non commerciabile!) Insomma, non vi sto a tediare più di tanto, riassumendo, non mi frega niente che oggi è il mio compleanno, non mi frega se ve lo ricordate, non mi frega se mi fate un regalo ma sta volta non immaginate cosa non darei per ricevere quel regalo! Ora vado a dormire che magari me la sogno sta cosa e sarebbe già un mezzo regalo :D:D:D Buona notte |
Post n°202 pubblicato il 04 Luglio 2010 da merendero77
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POST SCRIPTUM
La centrale nucleare era un panorama agghiacciante per il nuovo Parco dell’Idroscalo milanese sempre pieno d’estate di bambini e famiglie. Anche quest’anno l’associazione delle massaie pugliesi emigrate aveva scelto questo posto come location del raduno estivo. Centinaia di ragazze e signore d’origini pugliesi, pagando un costoso compenso alla società Ludomilano S.p.a. che aveva acquisito dal comune, anni orsono, il lago artificiale e tutto l’intorno, si riunivano con parenti ed amici per imbandire metri e metri di tavolate con le migliori leccornie del tacco d’Italia pescando a ritroso nel ricettario della nonna. Era una moda ormai che impiegate, dottoresse, avvocatesse, direttrici di banca, donne in carriera e quant’altro si dedicassero a rispolverare mattarelli e ad armeggiare con farina, acqua, sale e lievito per imparare a fare cavatelli, orecchiette, panzerotti, focacce. Anche Maria Grazia ne era stata contagiata e, dopo aver frequentato un corso da massaia, era in grado di riproporre numerosi piatti, sia dolci che salati, della sua amata Puglia. Naturalmente non poteva mancare all’evento dell’estate per mettere in mostra la sua bravura ai fornelli e trascinò libero in questa giornata del vintage culinario. Già alle prime luci dell’alba Maria Grazia era sveglia ed eccitata e già cominciava a preparare tutto il necessaire della perfetta massaia. Poi passò ad una accurata scelta dei vestiti da indossare che comportò numerose prove nonostante fossero almeno quindici giorni che faceva shopping perché, a sua detta, non aveva nulla da mettersi per quel giorno. Libero naturalmente arrancò dietro di lei trascinandosi la loro bambina di tre anni, facendo da baby-sitter e da consigliere per sua moglie. Ogni volta lo stesso dramma e lui doveva dissimulare anche interesse per non essere opportunamente accusato da sua moglie di menefreghismo maschilista. Libero sopportava lei e i suoi gusti discutibili e dava consigli cercando di leggere la psiche complessa di sua moglie per non darle pareri sbagliati: dire che tutto le stava una meraviglia era assolutamente da evitare, l’avrebbe mandata su tutte le furie, e dirle la verità lo stesso. Doveva capire qual era la cosa che le piaceva e dirle che era proprio quella la migliore, che la snelliva esaltandone la bellezza. Ed ogni volta era dura! Comunque Libero pazienza e rassegnazione ne aveva. Dopo la scelta dei vestiti, passò alla cura del corpo: lavarsi, eliminare peli superflui, passarsi lo smalto in pendant con i vestiti, fare la piega ai capelli, truccarsi. Libero invece sonnecchiava in dormiveglia nel lettone con la figlioletta e come sempre si preparò all’ultimo momento e di corsa con sottofondo di borbottio di Maria Grazia che ripeteva a cantilena che sarebbero arrivati in ritardo. Arrivati che furono all’Idroscalo, dopo aver parcheggiato la sua SW e pagato in anticipo il parcheggio per tutta la giornata, si tuffarono nell’avventura domenicale. Libero prese la bambina e la portò a giocare mentre la moglie salutava con larghi sorrisi e calorosi abbracci tutte le sue compagne di corso massaie. Dopo i convenevoli di rito, le allegre casalinghe si dedicarono ai fornelli. Maria Grazia, cucinava e di sottecchi guardava di tanto in tanto gli altri due membri della famiglia che giocavano insieme perché fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio. Non tanto per la bambina alla quale lei sapeva bene che Libero era ben in grado di badare, quanto per la numerosa presenza di donne che potevano insidiare suo marito avvicinandosi proprio con la scusa della bambina. Era maniacalmente gelosa lei. Libero sapeva di essere controllato ed ogni tanto la guardava e le sorrideva come per dirle stai tranquilla sono qui ed ho occhi solo per te, amore. Amore! Che parola grossa! Era più che altro un’abitudine ormai, o forse sarebbe meglio dire che era quasi sempre stato un modo gentile di appellarla e basta. S’erano conosciuti sei anni fa a Gravina. Libero era ritornato nel suo paese natale per il funerale di suo nonno e s’era fermato qualche giorno. Approfittò per rivedere qualche vecchio amico ed organizzare una cenetta. Questi, sapendo Libero single duro, portarono una loro amica, una brava ragazza, seria come non se ne trovavano ormai più, Maria Grazia appunto. Anche lei era single da un paio d’anni ché dopo tredici anni di fidanzamento era stata lasciata. La povera sfortunata s’avventò sulla preda e non mollò Libero un secondo. Lui del resto era da un po’ che soffriva di solitudine e, dopo la sua ultima storia con la sua francese, non aveva più riprovato ad avere un rapporto serio. Aveva dapprima provato a fare il vitellone con le donne ma presto se ne era stancato: in fondo chi nasce quadrato non può morire tondo e non si può far finta di essere quello che non si è troppo a lungo. La pena di dover fingersi interessati a qualcuno solo per avere il suo corpo faceva provare a Libero una forte pena per se stesso. Si sentiva anche ridicolo. Allora mollò totalmente. Ma si sa, l’età avanza e lo specchio inesorabile e crudele non perde occasione per ricordarcelo. Libero poi teneva bene a mente le parole di quella vecchia volpe di Houllebecq, “invecchiare è orribile ma farlo da soli è insopportabile!”, e cominciava ad avere paura. Il fuoco romantico s’andava affievolendo e libero lo guardava rassegnato come si guarda un camino che si spegne lentamente quando non si ha più legna per alimentarlo. Quelle favolette che l’avevano infiammato erano da accantonare, il tempo delle mele era finito, le mele erano cadute, erano marcite per terra ed anche l’albero era ormai un fusto con poche ramaglie secche. Non poteva passare la vita a guardare quel cavolo d’albero morto! I suoi amici erano tutti “sistemati” ormai e lui alla veneranda età di 38 anni cosa aveva concluso? Allora cedette alle malie di Maria Grazia e ai consigli dei suoi amici e se la fece piacere. Lei era fu subito presa da questo ragazzo un po' strano, a suo modo eccentrico, che le parlava di poeti che non conosceva e cantanti mai sentiti, che le sembrava così buono e gentile, così dolce, premuroso e attento, una persona speciale che niente aveva a che fare con quel rozzo figuro che l’aveva accompagnata per tredici lunghi anni. Lei si trasferì subito a Milano in primis perché passare ore ed ore al telefono era sfiancante e poi perché lei subito riuscì ad avere supplenze in una scuola elementare. Insomma, Libero s’arrese al suo destino, e dopo due anni appena, dopo frecciate e frecciatine di lei, si presentò una sera con un bell’anello e le chiese di sposarla. Dopo il viaggio di nozze Libero già sarebbe scappato. Si sentiva soffocato, ostaggio di una persona che non amava. Ma non si può sempre avere tutto e forse nella vita bisogna solo decidere se essere l’ostaggio di chi ci ama ma che non amiamo o essere un inutile accessorio della vita di chi amiamo ma non ci ama. Alla fine per fortuna venne la gravidanza e il cuore tempestoso di Libero si calmò. Dopo varie discussioni con sua moglie sui nomi del nascituro/a, decisero che avrebbe scelto Libero per una femminuccia e lei per un maschietto. Il destino volle che fu lui a decidere e quella bambina divenne il grande amore della sua vita. Se ne tatuò anche il nome con annessa sceneggiata isterica di sua moglie ma del resto lo sapeva che aveva sposato un tipo un po' inusuale. Maria Grazia chiamò Libero ad alta voce e con plateali gesti facendo sobbalzare i suoi novanta kili urlando: “Amoreeeee, amoreeee, dai venite che è pronto! Amoreeee! Amoreeeee!” Liberò sentì risalire un rigurgito di disgusto come spesso avveniva quando lo chiamava così in pubblico e lo ricacciò giù. Gli venero in mente le parole di una vecchia canzone dei tempi della sua giovinezza: “è la vita ed ora che cresci devi prenderla così…sì, stupendo!.....” Poi prese Valeriè in braccio, la baciò in fronte, la fece roteare in aria come piaceva a lei sperando in cuor suo che non sarebbe mai diventata come sua madre e la portò verso la tavolata dove a breve sarebbe iniziata una maratona culinaria. |
Post n°199 pubblicato il 26 Giugno 2010 da merendero77
Epilogo (ultimissimo episodio di Libero... ) Valeriè raccoglieva le sue ultime cose mentre Libero fumava ancora facendo finta di guardare tranquillo la tv. Tra tre ore c’era l’aereo che avrebbe portato lei a Parigi e poi da lì a Versailles, la sua città natale e la città dei suoi. In azienda la crisi internazionale s’era fatta sentire e avevano perso grossi clienti in Italia. Il risultato fu una serie di licenziamenti per gli ultimi arrivati a tempo determinato e un’altra serie di trasferimenti forzati in sud est asiatico. Valeriè aveva preso le sue decisioni: s’era licenziata per non andare a Singapore e sarebbe ritornata in Francia dove già aveva fatto un paio di colloqui con una grossa multinazionale e avrebbe lavorato a Parigi. Libero invece rientrava tra i pochi "fortunati" che sarebbero rimasti in Italia a terminare i progetti rimasti in piedi. Fu così che le cose si misero: i binari delle loro vite diventarono paralleli e non si sarebbero più incontrati, ognuno per la sua strada. Valeriè fu subito chiara e, sincera com’era, disse a Libero che oramai era meglio finirla lì. Le loro vite sarebbero diventate troppo diverse, la distanza avrebbe rovinato tutto e poi non c’era speranza per trovare una soluzione alternativa ed indolore. Da persone mature dovevano guardare in faccia la realtà e, senza farsi del male l’uno con l’altra, dovevano accettare la situazione. La loro storia era durata solo pochi mesi ma erano stati mesi davvero belli ed intesi, vissuti a pieno, senza problemi, senza litigi. Valeriè era una ragazza straordinaria, matura, solida, leale, schietta, solare, onesta e non avrebbe mai voluto far del male a Libero. Lo aveva amato tanto, lo aveva incontrato, riconosciuto e fortemente voluto ma era inutile illudersi: non avevano un futuro insieme, le loro vite erano troppo distanti. Libero l’aveva ascoltata scuotendo di tanto in tanto la testa mentre lei snocciolava le sue ragioni. Non aveva granché da replicare: il discorso filava liscio come l’olio, era razionale, prevedibile e anzi inevitabile. Non c’erano colpe, rimpianti, niente da aggiungere. Libero d’istinto si sarebbe licenziato e sarebbe andato in anche lui in Francia magari anche a fare il cameriere, lo scaricatore di frutta al mercato ortofrutticolo, il lavavetri o qualsiasi altra cosa, le avrebbe giurato e spergiurato che l’amava da morire e che l’avrebbe seguita anche all’inferno. Ma non era più un adolescente e la vita non era un romanzo. Nella vita non c'è spazio per i lieto fine. Si dicono, si fanno, si pensano tante cose a caldo che non sono bugie, sono vere e sentite in quel momento e poi inevitabilmente cambiano, perché cambiamo anche noi, cambiano le situazioni. I sogni sono sogni, le favole sono favole, la vita un’altra cosa. Arriva il momento di pagare il conto e nessuno ti fa sconti. Ogni felicità ha il suo prezzo di dolore, ogni incontro il suo prezzo di addio, ogni sorriso il suo prezzo di lacrime, ogni vittoria il suo prezzo di sconfitta. Libero allora lasciò sbollire nel silenzio gli ultimi rantoli del suo cuore d’aquilone e lo guardò impigliato nei rami di un albero altissimo, stracciato e malridotto e ormai inutile per il volo. Soffocò le sue parole in bocca e le ringoiò. Sapeva che Valeriè aveva ragione e convenne che sarebbe stato meglio così: senza rancori ognuno con la sua vita, con un bagaglio più carico di tanti bei ricordi. Sarebbero stati forse una bella coppia se la vita non fosse stata così crudele o forse, chi lo sa, sarebbero finiti comunque per lasciarsi per altri motivi. “Libero, è arrivato il momento” Si sollevò dalla poltrona e si fermò a mezzo metro da lei. “Allora sicuro che non vuoi accompagnarmi?” “No… meglio di no, scusami, ma gli addii li ho sempre odiati”, e abbassò le testa, le mani in tasca, guardandosi le punte dei mocassini nuovi che muoveva nervosamente. Valeriè si avvicinò mentre lui rimase immobile, lasciò la valigia. “Allora ci salutiamo?” “Buona fortuna Vale e buon viaggio”, la guardò con un sorriso goffo. Poi tolse le mani dalle tasche, la strinse e la baciò. In pochi istanti gli passarono nella testa come fulmini migliaia di immagini, di voci, di sapori, di odori, di parole, di gesti. Ogni fulmine uno squarcio nel cuore. Le sue labbra sulle sue, le labbra più belle del mondo, più carnose, più morbide, la prova evidente che qualcosa di divino doveva pur esserci perché mai artista tanto bravo avrebbe potuto foggiare una tale perfezione. Roba da rimanerci secchi insomma, da sindrome di Stendhal. Mai Libero fu tanto sicuro di una cosa: quelle labbra non le avrebbe mai dimenticate, mai. Valeriè dolcemente lo discostò da sé, lo guardò negli occhi con quegli occhi da cerbiatta. “Non mi fare quelle facce, non sono mica morta” e schiuse quei due boccioli di rosa per aprirsi in un sorriso. “Tu sei un persona speciale e sono stata troppo bene con te. Tu sai amare Libero...” Liberò rimise le mani in tasca e riprese a guardarsi le punte dei mocassini riuscendo solo a mala pena a dire grazie. “Libero, ci sentiamo e magari ti vengo a trovare quando ho tempo o vieni tu da me in Francia. Non ci sono problemi. E’ andata così ma non posiamo dimenticare il bene che ci vogliamo e la stima reciproca. Mi mancherai, scemo, mi mancherai tanto!” Libero la riabbracciò un secondo e poi s’allontanò. “Vai Vale…se no fai tardi… avvisami quando arrivi a casa… che giornata di merda Vale! Ti voglio troppo bene.. vai… vai ho detto!” “Ciao Libero… ti chiamo…” La porta si richiuse con il suo tonfo definitivo, Libero si girò e finalmente poté scoppiare in lacrime e, mentre piangeva e parlava da solo, pensò alla frase di Houllebecq che aveva sottolineato tempo addietro: “la vita comunque la vivi, finirà per spezzarti il cuore”. FINE
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___________________________________________ Ogni gioia ha il suo prezzo da pagare In sangue, lacrime e dolore... Impari presto che niente è gratis E che prima o poi l'oste arriva A portarti il suo conto E la festa è finita... . Niente di tragico... Tutto normale... Sono cose che accadono ai vivi... . Ogni incontro ha il suo prezzo da pagare In sangue, lacrime ed addii... Impari presto che nessuno è mai tuo E ognuno appartiene a solo a se stesso E che prima o poi l'oste arriva A portarti il suo conto E la festa è finita... . Niente di drammatico... Tutto normale... Sono cose che accadono ai vivi... |
Ma se anche fosse solo un fuoco Io sono in cerca di magia… Ma se anche fosse solo un fuoco Io sono in cerca di poesia… E lo so che è pericoloso Voglio bruciare di follia! Potrei finire solo in cenere Ma per saperlo l’unico modo E’ continuare ad ardere… Perché l’illusione è cenere dopo il fuoco Ma la paura è morte poco a poco…
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Troppe parole mischiate al niete Anni dietro ad anni Come passi svogliati Di chi passeggia senza meta... Troppe lacrime non versate Troppe risate smorzate Troppe parole per scrivere parole Dedicate al niente Per far finta di non morire... Troppe giornate svogliate Troppe foglie cadute Troppe grida soffocate Troppe parole mischiate a speranze Che non volevano rinascere... Ed ora col passo incerto Di un bambino che ha appena iniziato a camminare, Nuovo come il sole al mattino, Sono come nuvola carica di pioggia E piovono parole che sanno di te E sotto questo inevitabile acquazzone Un pò tremo per i tuoni ed i lampi Ma la paura si scioglie in quegl'istanti Quando incrocio i tuoi occhi Quando sulle tue labbra Muoio e risorgo millemila volte...
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AREA PERSONALE
GUCCINI
e di colpo ti accorgi
che non sono più quei
fantastici giorni all'asilo
di giochi, di amici e se ti guardi
attorno non scorgi le cose consuete,
ma un vago e indistinto profilo...
E un giorno cammini per strada
e ad un tratto comprendi che
non sei la stessa che andava
al mattino alla scuola,
che il mondo là fuori t'aspetta
e tu quasi ti arrendi capendo
che a battito a battito
è l'età che s'invola...
CIAO
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