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Simposio Platone

Post n°341 pubblicato il 14 Febbraio 2007 da IsAbeAu13
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"Ancora un momento, Fedro, - disse Socrate -: lasciami porre alcune piccole domande ad Agatone, in modo che possa mettermi d'accordo con lui prima di cominciare il mio discorso."

"Ti lascio fare - disse Fedro -; domanda pure."

E così - disse Aristodemo - Socrate cominciò pressappoco con queste parole:

"Per la verità, mio buon Agatone, io dico che tu hai aperto bene la via dichiarando che bisognava innanzitutto mostrare qual è la natura dell'amore e come agisce: io trovo questo inizio davvero eccellente. Andiamo avanti, però, ti prego; dopo tutto quello che hai detto di bello e di buono sulla natura di Eros, rispondi a questa domanda: "E' nella natura dell'Eros essere amore di qualche cosa, oppure di niente?" Io non ti domando se la sua natura è di essere amore per una madre o un padre, perché sarebbe comico domandare se l'Eros è una forma d'amore che si rivolge a una madre o a un padre. Ma se, a proposito del padre in quanto padre io domandassi: "Il padre è padre di qualcuno o no?", tu mi risponderesti senza dubbio - se volessi darmi una buona risposta - che il padre è padre di un figlio, o di una figlia. Non è vero?"

"Certo", disse Agatone.

"E non dirai la stessa cosa della Madre?" - Agatone ne convenne.

"Rispondi ancora - disse Socrate - ad alcune domande, per meglio comprendere dove voglio arrivare. Se io domandassi: "Il fratello, in quanto fratello, è fratello di qualcuno o no?"

Rispose che lo era.

"Dunque è fratello di un fratello o di una sorella?" - Agatone fu d'accordo.

"Prova allora - riprese Socrate - a far la stessa domanda per l'Eros: Eros è amore di niente o di qualcosa?"

"Di qualcosa, evidentemente."

"Tieni bene a mente questo carattere dell'Eros, allora, e dimmi ancora se egli desidera ciò che ama."

"Lo desidera certamente", disse.

"Quando possiede ciò che desidera, è allora che l'ama, o quando non lo possiede?"

"Quando non lo possiede: è probabile che sia così" - disse.

"Ma pensa bene - disse Socrate - se invece che probabile non è una certezza: non dobbiamo forse dire che desidera ciò che non possiede, e che non desidera affatto ciò che possiede già? Per me, mio caro Agatone, questo è chiarissimo. Tu che ne pensi?"

"Sono dello stesso avviso", disse.

"E fai bene ad esserlo. Dunque un uomo che è grande potrà forse desiderare di esser grande? O di esser forte se è forte?"

"E impossibile, visto quel che abbiamo detto."

"Non potrebbe infatti mancare di queste qualità, poiché ce le ha."

"E così."

"Però supponiamo - disse Socrate - che un uomo forte voglia esser forte, che un uomo agile voglia esser agile, che un uomo in buona salute voglia essere in buona salute. Si potrebbe forse pensare, per quel che riguarda queste qualità e tutte quelle dello stesso genere, che gli uomini che le hanno desiderano averle ancora. Lo dico per difenderci contro questo possibile errore. Se ci pensi, Agatone, è necessario che essi abbiano, al momento, ciascuna delle qualità che hanno, che le vogliano o meno: com'è possibile desiderare ciò che si ha già? Ma se qualcuno ci dicesse "Io sono adesso in buona salute, e desidero esserlo; io sono ricco, e desidero esserlo, desidero possedere quel che già possiedo", allora noi gli risponderemmo: "Tu hai la ricchezza, la salute, la forza; quel che desideri, è di averle ancora in futuro, perché per il presente, che tu lo voglia o no, le hai già. Dunque quando dici: io desidero ciò che adesso ho già, queste parole significano semplicemente: ciò che io ho adesso, desidero averlo anche per l'avvenire." Sei d'accordo, non è vero?"

Agatone - disse Aristodemo - lo riconobbe, e Socrate proseguì:

"Se tutto questo è vero, desiderare le cose che non si hanno ancora, che non si possiedono, non è forse volere per l'avvenire che queste cose ci siano conservate?"

"Certo", disse.

"Quindi l'uomo che si trova in questa situazione, e cioè chiunque provi un desiderio, desidera ciò che non ha ancora e che non è nel presente. E ciò che egli non ha, ciò che egli stesso non è, quel che gli manca, insomma, ecco l'oggetto del suo desiderio e del suo amore."

"Sicuramente è così" - disse.

"Andiamo avanti, allora - disse Socrate. Ricapitoliamo i punti su cui siamo d accordo. Non è forse vero, innanzitutto, che l'Eros si indirizza verso certe cose e, in secondo luogo, che queste cose sono quelle di cui sente la mancanza?"

"Sì", disse.

"E adesso, Agatone, ricordati cosa hai detto nel tuo discorso sulle cose verso cui si indirizza l'Eros. Se vuoi, te lo ricordo io stesso: più o meno, tu ci hai detto, credo, che gli dèi hanno risolto i loro conflitti grazie all'amore per la bellezza, perché non ci può essere amore verso quel che è brutto. Son più o meno le tue parole, non è vero?"

"Certo", disse Agatone.

"Tu rispondi come si deve, mio caro - disse Socrate -, e se le cose stanno come tu ci hai detto, I'Eros dovrebbe amare la bellezza, non certo la bruttezza, non è vero?"

Agatone fu d'accordo.

"Ma non ci siamo trovati d'accordo anche su questo, che si ama ciò di cui si sente la mancanza e che non si possiede?"

"Sì", ammise.

"L'Eros manca quindi della bellezza e non la possiede?"

"Per forza", disse.

"Ma come? Chi manca della bellezza e non la possiede affatto, tu lo chiami bello?"

"No di certo."

"E allora, se le cose stanno così, sei ancora dell'avviso che l`Eros sia bello?"

"Temo proprio - disse Agatone - di aver parlato senza sapere quel che dicevo."

"Però il tuo discorso era molto elegante, Agatone. Ma ancora una piccola domanda: le cose buone sono allo stesso tempo belle, secondo te?"

"Lo sono, a mio avviso."

"Allora se all'Eros manca la bellezza e se le cose buone sono anche belle, all'Eros deve per forza mancare anche la bontà".

"Di sicuro, Socrate - disse Agatone -, io non sono in grado di contraddirti: ammetto quel che tu dici. "

"No, carissimo Agatone - disse Socrate -, non me, ma la verità tu non puoi contraddire: Socrate, lui sì che è facile contraddirlo.

Adesso ti lascerò un po' in pace. Ecco il discorso sull'Eros che ho ascoltato un giorno da una donna di Mantinea, Diotima, molto competente su questo come su tanti altri argomenti. Fu lei che una volta, prima della peste, fece fare agli Ateniesi quei sacrifici che ritardarono di dieci anni l'epidemia. Proprio lei mi ha fatto capire molte cose su Eros.

Adesso cercherò di fare del mio meglio per riportarvi le sue parole, partendo da tutto quello su cui Agatone ed io ci siamo trovati d'accordo. Come tu stesso hai detto, Agatone, bisogna innanzitutto chiarire la natura dell'Eros, i suoi attributi e le sue azioni. Forse la cosa più semplice è seguire nella mia esposizione lo stesso ordine che seguì la straniera nell'esame che mi fece. Io, infatti, le rispondevo un po' come adesso ha fatto Agatone con me: io dichiaravo che Eros è un grande dio e che ama le cose belle. Lei mi dimostrava che ero in errore con le stesse argomentazioni di cui mi sono servito discutendo con Agatone: Diotima diceva che Eros non è né bello, per usare le mie parole, né buono. E io le dicevo:

"Ma come Diotima? allora Eros è cattivo e brutto?"

"Che dici? Questa è una bestemmia! - mi rispose -. Credi forse che tutto ciò che non è bello debba essere per forza brutto?"

"Ma certo!"

"E perché mai? Chi non è sapiente deve per forza essere ignorante? Non ti sei mai accorto che c'è una via di mezzo tra la sapienza e l'ignoranza?"

"E qual è?"

"Avere un'opinione giusta, senza però saperla giustificare. Questo non è vero sapere: come posso parlare di scienza, se non so dimostrare che è vero quello che penso? Ma non è neppure piena ignoranza, perché per caso la mia opinione potrebbe corrispondere ai fatti. L'opinione giusta è quindi, suppongo, simile a quel che dicevo: sta a metà strada tra la piena conoscenza e l'ignoranza"34.

"E' vero", risposi.

"Dunque chi non è bello non per questo è per forza brutto, né chi non è buono deve essere cattivo. E così è per l'Eros: poiché tu sei d'accordo con me che non può essere né buono né bello, non devi per questo credere che sia necessariamente cattivo e brutto. Eros - così mi disse Diotima - è a metà tra questi estremi."

"Però - ripresi io - tutti concordano nel pensare che Eros sia un dio potente."

"Dicendo tutti, parli degli ignoranti o di coloro che parlano sapendo cosa dicono?"

"Io parlo proprio di tutti."

Diotima si mise a ridere. "Come possono dire di lui che è un dio potente se dicono che non è affatto un dio?"

"Ma chi dice questo?" dissi io.

"Tu per esempio - disse - ed anch'io!"

Ed io: "Ma cosa dici?"

"E' tutto semplice - rispose -. Dimmi: non sei forse convinto che tutti gli dèi sono felici e belli? o oseresti sostenere che qualcuno degli dèi non è né bello né felice?"

"lo non oserei proprio", risposi.

"Ma chi è felice? non è chi possiede cose buone e belle?"

"Certo."

"Ma tu hai riconosciuto che Eros, mancando delle cose buone e belle, le desidera proprio perché gli mancano."

"E vero, ero d'accordo con te su questo."

"E allora come può essere un dio se le cose buone e belle gli mancano?"

"Sembra impossibile, in effetti."

"Come vedi - disse -, anche tu ritieni che Eros non sia un dio."

"Chi sarà dunque Eros? un mortale?"

"No di certo."

"E allora?"

"E come negli esempi precedenti, la sua natura è a mezza via tra il mortale e l'immortale".

"Che vuoi dire, Diotima?"

"E' un dèmone potente, Socrate. I demoni, infatti, hanno una natura intermedia tra quella dei mortali e quella degli dèi."

"Ma qual è il suo potere?" chiesi.

"Eros interpreta e trasmette agli dèi tutto ciò che viene dagli uomini, e agli uomini ciò che viene dagli dèi: da un lato le preghiere e i sacrifici degli uomini, dall'altro gli ordini degli dèi e i loro premi per i sacrifici compiuti; e in quanto è a mezza via tra gli uni e gli altri, contribuisce a superare la distanza tra loro, in modo che il Tutto sia in se stesso ordinato e unito. Da lui viene l'arte divinatoria, ed anche il sapere dei sacerdoti sui sacrifici, le iniziazioni, gli incantesimi, tutto quel che è divinazione e magia. Il divino non si mescola con ciò che è umano, ma, grazie ai dèmoni, in qualche modo gli dèi entrano in rapporto con gli uomini, parlano loro, sia nella veglia che nel sonno. L'uomo che sa queste cose è vicino al potere dei dèmoni, mentre chi sa altre cose - chi possiede un'arte, o un mestiere manuale - resta un artigiano qualsiasi o un operaio. Questi dèmoni sono numerosi e d'ogni tipo: uno di essi è Eros".

"Chi è suo padre - domandai - e chi sua madre?"

"E' una lunga storia - mi disse -. Adesso te la racconto. Il giorno in cui nacque Afrodite, gli dèi si radunarono per una festa in suo onore. Tra loro c'era Poros, il figlio di Metis. Dopo il banchetto, Penìa era venuta a mendicare, com'è naturale in un giorno di allegra abbondanza, e stava vicino alla porta. Poros aveva bevuto molto nettare (il vino, infatti, non esisteva ancora) e, un po' ubriaco, se ne andò nel giardino di Zeus e si addormentò. Penìa, nella sua povertà, ebbe l'idea di avere un figlio da Poros: così si sdraiò al suo fianco e restò incinta di Eros. Ecco perché Eros è compagno di Afrodite e suo servitore: concepito durante la festa per la nascita della dea, Eros è per natura amante della bellezza - e Afrodite è bella.

Proprio perché figlio di Poros e di Penìa, Eros si trova nella condizione che dicevo: innanzitutto è sempre povero e non è affatto delicato e bello come si dice di solito, ma al contrario è rude, va a piedi nudi, è un senza-casa, dorme sempre sulla nuda terra, sotto le stelle, per strada davanti alle porte, perché ha la natura della madre e il bisogno l'accompagna sempre. D'altra parte, come suo padre, cerca sempre ciò che è bello e buono, è virile, risoluto, ardente, è un cacciatore di prim'ordine, sempre pronto a tramare inganni; desidera il sapere e sa trovare le strade per arrivare dove vuole, e così impiega nella filosofia tutto il tempo della sua vita, è un meraviglioso indovino, e ne sa di magie e di sofismi. E poi, per natura, non è né immortale né mortale. Nella stessa giornata sboccia rigoglioso alla vita e muore, poi ritorna alla vita grazie alle mille risorse che deve a suo padre, ma presto tutte le risorse fuggon via: e così non è mai povero e non è mai ricco.

Vive inoltre tra la saggezza e l'ignoranza, ed ecco come accade: nessun dio si occupa di filosofia e nessuno desidera diventare sapiente, perché tutti lo sono già. Chiunque possegga davvero il sapere, infatti, non fa filosofia; ma anche chi è del tutto ignorante non si occupa di filosofia e non desidera affatto il sapere. E questo è proprio quel che non va nell'essere ignoranti: non si è né belli, né buoni, né intelligenti, ma si crede di essere tutte queste cose. Non si desidera qualcosa se non si sente la sua mancanza".

"Ma allora chi sono i filosofi, se non sono né i sapienti né gli ignoranti?"

"E' chiaro chi sono: anche un bambino può capirlo. Sono quelli che vivono a metà tra sapienza ed ignoranza, ed Eros è uno di questi esseri. La scienza, in effetti, è tra cose più belle, e quindi Eros ama la bellezza: è quindi necessario che sia filosofo e, come tutti i filosofi, è in posizione intermedia tra i sapienti e gli ignoranti. La causa di questo è nella sua origine, perché è nato da un padre sapiente e pieno di risorse e da una madre povera tanto di conoscenze quanto di risorse.

Così, mio caro Socrate, è fatta la natura di questo dèmone. L'idea, però, che tu ti eri fatta dell'Eros non mi sorprende per nulla: da quel che capisco dalle tue parole, tu credevi che Eros fosse l'amato, non l'amante. Per questa ragione, senza dubbio, ti sembrava che fosse pieno di ogni bellezza. Infatti l'oggetto dell'amore è sempre bello, delicato, perfetto, sa dare ogni felicità.

Ma l'essenza di chi ama è differente: è quella che ti ho prima descritto".

Io allora ripresi:

"E sia, straniera: tu hai proprio ragione. Ma se questa è la natura dell'Eros, a cosa può esser utile a noi uomini?"

"Adesso cercherò di spiegartelo, Socrate. Eros ha dunque questo carattere e questa origine: ama le cose belle, come tu ben sai. Ora, prova a domandarti: che cos'è l'amore per le cose belle? o più chiaramente: chi ama le cose belle, le desidera; ma in che cosa consiste esattamente il desiderio che si prova quando si ama?"

"Noi desideriamo che l'oggetto del nostro amore ci appartenga", risposi io.

"Questa tua risposta - disse - apre un nuovo problema: che cosa accade all'uomo che possiede le cose belle?"

Io dichiarai che non ero affatto capace di rispondere a una domanda simile.

"E allora - disse lei - parliamo del bene invece che del bello. Cosa mi dici se ti domando: chi ama le cose buone, le desidera: ma cosa desidera?"

"Che siano sue", risposi.

"E cosa accade all'uomo che le possiede?"

"In questo caso posso rispondere più facilmente - dissi -: sarà felice".

"In effetti proprio possedere ciò che è buono fa la felicità delle persone. Così non abbiamo più bisogno di domandarci che cosa vuole chi vuole essere felice, perché parlando della felicità abbiamo già toccato il fine ultimo del desiderio."

"E' vero", dissi.

 
 
 
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